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Autore: LondonRiver16    26/08/2014    6 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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“You saw my pain

Washed out in the rain

And broken glass

Saw the blood run from my veins

But you saw no fault, no cracks in my heart

And you knelt beside

My hope torn apart

But the ghosts that we knew will flicker from view
And we'll live a long life”

(Ghosts that we knew, Mumford & Sons)

 


Stava ormai calando il tramonto sulla prima giornata che Adam trascorse lontano dal pericolo di morte quando un uomo in divisa bussò alla porta della sua camera. L’agente Thompson si premurò di fargli sapere che aveva ricevuto il permesso di recarsi a trovarlo dal capo infermiere e da quelli che credeva essere i genitori del paziente prima di presentarsi lì, e in aggiunta a ciò ebbe il tatto di domandargli quali fossero le sue condizioni e se si sentisse abbastanza in forma da fare due chiacchiere prima di passare agli argomenti seri e chiedergli di raccontare tutto ciò che ricordava della sera in cui era stato assalito. Adam, da parte sua, lo accontentò senza troppi intoppi e fu grato del fatto che l’uomo evitò di interromperlo, aspettando invece di essere certo che avesse finito per palesare i propri dubbi.

- Hai detto di ricordare i loro volti, almeno in parte – osservò l’agente di polizia una volta che il ragazzo ebbe taciuto, e il giovane annuì. Solo allora l’uomo estrasse dalla propria borsa a tracolla un plico di fogli e glieli porse. - Allora puoi dirmi se qualcuno di questi ti stuzzica la memoria?

Adam si portò le foto formato A4 in grembo e le studiò lentamente una a una, voltando ogni pagina solo dopo aver studiato per bene la figura proposta. Erano per la maggioranza volti giovani, presumibilmente appartenenti a coloro che la polizia aveva individuato come possibili responsabili, ma il ventiduenne non trovò nulla che potesse aiutarlo e continuò a scuotere alla testa, affranto, almeno finché non scoprì l’ottava foto. Allora si bloccò e la scintilla del ricordo gli fece socchiudere le labbra. Sebbene appena un attimo prima fosse stato certo di non ricordare abbastanza da saper ricostruire un volto, gli bastò ritrovarsi davanti quell’espressione e la piega naturalmente triste delle sopracciglia perché ogni dubbio venisse abbattuto.

- Questo è uno di loro. Il più alto dei due. Anche il più indeciso – affermò, tendendo la foto all’agente Thompson. Gli bastò scartare un altro paio di fogli per venire fulminato da un altro viso, dalla forma più armonica e al contempo virile del primo, il viso di un bel ragazzo. Il bel ragazzo che gli aveva puntato addosso quegli slavati occhi verdi pregni di rabbia, il bel ragazzo che gli aveva rifilato il calcio fatale alla tempia e infierito sul suo corpo privo di vita a terra. - Ed ecco l’altro. Questo picchiava più forte.                   

L’uomo in divisa recuperò anche il resto degli identikit, tenendo i due prescelti separati dal resto per poterli considerare con sguardo critico. - Ne sei assolutamente sicuro?

Adam fece cenno di sì senza alcun indugio. - Al cento per cento.

- Ora che hai visto i loro volti per intero, confermi di non averli mai visti prima dell’aggressione? – continuò l’agente, serio, e anche questa volta il ragazzo assentì.

- Le loro facce non mi dicono niente.

Allora l’agente Thompson annuì, compreso, lo ringraziò per la collaborazione e salutando con un cenno del braccio si diresse verso l’uscita.

- Aspetti! – lo fermò però la voce di Adam, e nel momento in cui gli occhi incavati dell’uomo tornarono su di lui si sentì in imbarazzo per la richiesta che stava per fare. Aveva un’importanza a livello personale, ma non aveva idea se fosse rispettosa o meno della prassi della polizia. - Non so, magari non è autorizzato a dirmelo, ma… potrei almeno sapere i loro nomi?

Il poliziotto rimase a fissarlo per un paio di secondi, sul ciglio di un rifiuto, poi chinò un attimo lo sguardo sulle fotografie dei due giovani responsabili, sospirò e tornò agli occhi lucidi di convalescenza di Adam.

- Cole ed Elias Lawson – rispose.

Mentre l’uomo usciva non osservato, il ventiduenne si voltò di scatto verso Tommy per sentire da lui ciò che avrebbe cancellato ogni perplessità in merito a quei due nomi.

Tommy ricambiò il suo sguardo incredulo con una smorfia di disgusto: - I fratelli maggiori di Shane.

 

Nonostante si fosse svegliato senza accusare complicazioni e gli esami del sangue così come quelli fatti per controllare lo stato delle lesioni ad addome e corteccia cerebrale avessero dato esito negativo, Adam dovette attendere qualche altro giorno prima che il dottore gli desse il permesso di alzarsi dal letto. Malgrado il suo corpo desse continui segni di miglioramento, infatti, era ancora debilitato a causa dell’immobilità forzata e ben presto il ragazzo comprese che saltare anche una singola sessione di fisioterapia lo avrebbe fatto dannare per un giorno intero, per quanto erano importanti a livello di recupero motorio.

Al mattino del quarto giorno dal risveglio, mentre finalmente faceva colazione con qualcosa di simile al cibo vero e Tommy gli allungava quello che si erano ormai abituati a chiamare scherzosamente un Long Island di antibiotici, l’infermiere che avevano scoperto chiamarsi Seth entrò con una sedia a rotelle e un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia.

- Indovinate chi è autorizzato a fare una gitarella in giardino oggi.

Il ventiduenne vide gli occhi di Tommy illuminarsi a quella prospettiva - ed era comprensibile dato che negli ultimi tempi era rimasto al chiuso quasi quanto lui – e personalmente si sentì invadere dal sollievo. Il paesaggio fuori dalle finestre lo stava tentando con una giornata meravigliosa e lui non vedeva l’ora di lasciare quella gabbia dorata della sua stanza pregna di disinfettante, fosse stato anche solo per un’oretta di svago e libertà di riempire i polmoni con aria non filtrata.

Quando attraversò le porte automatiche dell’ingresso, seduto sulla carrozzella spinta dall’infermiere e seguita da Tommy, sospirò di piacere nel sentire la carezza della brezza fra i capelli e il calore benefico del sole sulla pelle del viso e delle mani, le uniche parti del corpo che la tuta da ginnastica che gli avevano dato al posto della meno pratica tunica lasciava scoperte. Si era dimenticato cosa volesse dire respirare all’aperto e fu grato a Seth quando l’infermiere acconsentì a farlo alzare dalla carrozzella perché potesse sdraiarsi nel bel mezzo del prato, lì dove non c’era nessun altro, lì dove lui e il suo ragazzo avrebbero potuto passare del tempo all’aria aperta, per lasciare che il sole scottasse loro il viso e le loro conversazioni non rimbalzassero su pareti troppo bianche, sterilizzate all’estremo, troppo simili a quelle di un obitorio. Avevano entrambi un bisogno disperato di lasciare quella camera d’ospedale e tornare a vivere sotto il cielo.

Erano lì sdraiati l’uno accanto all’altro da meno di cinque minuti e Seth se n’era andato portandosi appresso la sedia rotelle con la promessa di tornare dopo un’ora, quando Adam, le dita delle mani intrecciate dietro la nuca per fargli da cuscino, voltò la testa verso sinistra di appena qualche centimetro per poter guardare il suo ragazzo attraverso le palpebre socchiuse a causa della forte luce diretta.

Il diciassettenne indossava un paio di jeans grigio scuro e una canottiera di un viola a malapena distinguibile dal nero con delle scritte bianche, teneva le gambe piegate e le mani in grembo. Con gli occhi chiusi per il sole, sembrava un bambolotto di porcellana con un taglio di capelli alternativo, una sovrabbondanza di orecchini e solo un accenno di peluria sotto il mento. Ma più di tutto ciò, era il modo confidente in cui si poneva nei confronti del resto del mondo a far capire ad Adam quanto fosse realmente cresciuto negli ultimi tempi, con tutte le nuove sfide che in un modo o nell’altro, alla fine, era riuscito a superare.

Quando il maggiore dei due aprì la bocca per parlare, emise appena un mormorio.

- Tommy?

Il giovane non si mosse di un millimetro né aprì gli occhi, tutto intento a godersi il tepore della splendida giornata di maggio che lo baciava in fronte: - Hm?

- Voglio che tu sappia una cosa – deglutì Adam. - Quello che mi è successo ha cambiato come vedo le cose. Risvegliarsi è stato come vivere un miracolo.

Finalmente il più piccolo dischiuse gli occhi nella sua direzione e gli rivolse un sorriso sincero, per quanto ancora un po’ triste al ricordo dei giorni passati a parlare da solo. - Non dirlo a me.

- Ma l’aggressione, il coma… queste cose mi hanno fatto capire che quando si sente la necessità di dire qualcosa non bisogna tirarsi indietro. Mai. Perché quella che si ha davanti potrebbe essere l’ultima occasione che si ha per togliersi quel macigno dal petto.

Sentendolo parlare con così tanta serietà e soppesando le parole come se da esse dipendesse gran parte del futuro, Tommy si fece attento e fece leva sui gomiti per sollevarsi un poco e guardarlo dritto in faccia.

- Se hai qualcosa da dirmi parla, non farti problemi.

- In realtà credo sia tu quello che ha bisogno di dire qualcosa. Di dirlo anche ora che sono cosciente, intendo – ribatté Adam, alzando un sopracciglio. - Magari anche solo per rassicurarmi del fatto che non fosse solo un sogno.

Tommy subì quella che in un primo momento gli sembrò una critica con un’espressione attonita, poi abbassò lo sguardo e inghiottì a vuoto. Con l’aria parve riuscire a ingoiare tutto ciò che lo teneva lontano dall’ammissione della sua colpa, però, e Adam lo vide trincerarsi un attimo nel rifugio del suo essere prima che il ragazzo tornasse a fare pieno affidamento sui suoi profondi occhi celesti.

- D’accordo – acconsentì allora in un soffio che sapeva già d’intimità, scrutandolo con timore per la durata di quello che fu un tremendo secondo per Adam, immediatamente prima di inumidirsi le labbra e confessare tutto ad alta voce, col suo ragazzo vigile e in ascolto accanto a sé. Nove mesi dopo aver sentito quel sentimento incastrarlo per la prima volta. - Io… ti amo.

Un sorriso lucente si allargò all’istante sul volto del più grande, che sentì come un incendio di felicità divampargli nello stomaco. Non c’erano dubbi che fosse onesto.

- Lo hai sussurrato.

- Cosa?

- Lo hai detto a bassa voce.

- Io… sì. Sì, è vero – riconobbe Tommy, increspando le sopracciglia con aria perplessa. - Ha importanza?

La piega di gioia sul viso del maggiore si fece indulgente. - Sai cosa diceva Gandhi a riguardo?

- Proprio no. Mi spiace.

Il ventiduenne scosse appena la testa per fargli capire che non ce n’era motivo. - Raccontava di un pensatore che un giorno fece una domanda ai propri discepoli, chiedendo se qualcuno di loro sapesse spiegargli perché, quando si è arrabbiati, si grida contro gli altri. Poiché nessuno dei discepoli seppe dargli la risposta giusta, il pensatore spiegò che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto ed è per coprire questa distanza e farsi ascoltare che si tende a gridare. Quanto più arrabbiati si è, tanto più forte si dovrà gridare per sentirsi l’uno con l’altro. D’altra parte, aggiunse il pensatore – continuò Adam, chinando il busto per avvicinarsi al viso del più piccolo e a quei suoi occhi brillanti, rapiti dalla storia. - Che succede quando due persone sono innamorate? Queste persone non gridano affatto, anzi, parlano soavemente, disse. E perché? – aggiunse, contento di vederlo sorridere come un bambino ammaliato, mentre una sua mano gli scivolava sul fianco e la distanza fra le loro labbra veniva annullata quasi del tutto, solo un centimetro o due a separare i loro respiri lievi, pronti a nutrirsi l’uno dell’altro. - Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra loro è piccola. A volte i loro cuori sono talmente vicini che neanche parlano, sussurrano appena. E quando l’amore è più intenso non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi. I cuori si intendono.

La bocca del più grande raggiunse quella di Tommy senza sforzo, ormai naturalmente protesa verso di essa. Si scambiarono un bacio dolce e libero come l’aria che li circondava, soffice come l’erba, semplice come il trascorrere lento della manciata di secondi durante i quali trattennero il respiro prima di separarsi. Ma il premio più prezioso per Adam fu vedere quanto si fosse fatto splendente lo sguardo del più piccolo quando infine lo lasciò andare.

- È bellissima, Ad – sussurrò.

Adam si beò del suo sorriso innamorato ancora per un po’, poi gli diede un buffetto sulla guancia e tornò a stravaccarsi sul prato nella stessa posizione di pochi minuti prima.

- Lo so. Perfetta per irretire e sedurre ingenui fanciulli malati di romanticismo.

La manata sulla spalla, una delle parti sane che Tommy aveva compreso poter picchiare senza dover temere alcuna conseguenza per il recupero di Adam, lo colpì subito prima di quel sibilo di divertita esasperazione.

- Sei un imbecille.

Allora il ragazzo tornò a girarsi verso di lui per rubargli un bacio a stampo e sogghignare ai suoi danni. - Ma mi ami.

Tommy gli lanciò un’occhiataccia degna di una madre con le mani piantate sui fianchi, ma come quello di ogni madre il suo risentimento fu destinato a sciogliersi presto dinnanzi a quegli occhi.

- Sì – ammise, nuovamente tenero, nuovamente sottovoce. Poi, quando seppe che il più grande aveva smesso di aspettarsi una risposta, si sdraiò di nuovo vicino a lui, mettendosi sul fianco, e chiudendo gli occhi gli avvolse la vita con le braccia esattamente come quella notte, quando aveva creduto di essere sul punto di perderlo per sempre, incastrò una gamba fra le sue e adagiò la guancia destra sul suo petto, godendo della sua sorpresa senza commentarla. Invece, con solo una punta di sarcasmo, disse: - E se lo lasci dire, signor Lambert: questa è la sua fortuna più grande.

Per tutta risposta Adam ridacchiò e lo strinse ancora di più a sé, mettendogli un braccio attorno al collo. Ma durante tutta l’ora successiva, tempo che passarono perlopiù in silenzio a beneficiare dell’abbraccio del sole e di quello dell’altro, nonché per ancora molto tempo dopo, non riuscì a smettere di pensare a quelle parole e a quanta verità celassero dietro la propria semplicità.

Tommy aveva ragione. Tutto ciò che teneva Adam in piedi e gli faceva vedere la vita come degna di essere vissuta, tutto ciò che Adam aveva era la sua relazione con la persona che solo un anno prima aveva catalogato come un bambinetto spocchioso, viziato figlio di papà. E l’amore che per grazia divina avevano scoperto l’uno nell’altro, che gli aveva dato la spinta giusta per scoprire quanto si stesse sbagliando e quanto si sarebbe perso se solo non si fosse dimostrato abbastanza cocciuto e insistente nei suoi confronti.

Sì, doveva ammetterlo. Ritrovare Tommy e innamorarsi di lui aveva decisamente salvato entrambi dal baratro, decine di volte. Ma non era quello il tempo di pensare a cosa ciò significasse.

Per il momento aveva solo l’intenzione di godersi quell’ennesimo, immeritato miracolo in cui la sorte lo aveva fatto inciampare.

 

◊◊◊

 

Sette anni dopo

18 marzo

 

◊◊◊

 

Lo spettacolo del tramonto in quell’angolo isolato di mondo era appena iniziato, eppure la luce aveva già assunto una sfumatura così magica da togliere il fiato. La campagna sfoggiava una melodia continui di steli d’erba che frusciavano, grilli che frinivano, fronde d’alberi che si muovevano lente e sinuose sopra le teste dei pochi amanti della natura che s’inoltravano su quel sentiero a quell’ora, a pochi giorni dall’inizio ufficiale della primavera, quando il freddo sapeva ancora farsi pungente nelle ore ai margini della giornata. E il sole a quell’ora, per la miseria, al limite delle sue possibilità, tingeva tutti i pascoli incolti attorno di un arancio tanto intenso da scaldare corpo e cuore.

Continuando a camminare lungo lo stretto passaggio fra i cespugli a passo sostenuto, temendo di essere in ritardo, Adam si permise di gettare un’occhiata preoccupata verso il basso, solo per fare una smorfia quando vide ciò che temeva. Aveva indossato delle comuni scarpe da ginnastica, sapendo che il viottolo avrebbe potuto recare ancora tracce di umidità risalenti alle piogge della settimana prima, ma a quanto pare aveva sbagliato i propri calcoli o marciato con troppa decisione per evitare che anche i risvolti dei suoi pantaloni di tessuto nero s’inzaccherassero di fango. D’altronde non aveva avuto tempo di passare a casa e cambiarsi, dopo il lavoro. Dopotutto non era colpa sua se i tempi si erano rivelati così ristretti.

Con un sospiro di rassegnazione, il ragazzo lasciò perdere gli abiti e velocizzò il passo quanto più era possibile senza mettersi a correre. Gli era sembrato di sentire le prime avvisaglie di voci conosciute, ma non era il caso di rischiare di macchiare anche la giacca rubino. Alla fine dei conti aveva fatto in modo che la persona a cui avrebbe dedicato la sorpresa del giorno venisse accompagnata dalla sua coppietta iperattiva preferita anche per mettere una pezza al suo eventuale ritardo, perciò, continuò a ripetersi per trattenersi dall’accelerare quando finalmente scorse l’angolo dietro al quale lo attendeva tutto, doveva restare calmo.

Tommy è in buone mani, dovette ripetersi mentalmente. Non importa se ritardi di qualche minuto, non lo lasceranno andare da nessuna parte. Cristo santo, TJ, oggi è uno dei giorni più importanti della nostra vita e tu ancora non lo sai. Probabilmente vuoi solo andartene a casa, cenare e lavorare un’ora o due al computer prima di venire a letto per due coccole.

Sì, perché con infinita pazienza aveva aspettato che il suo ragazzo crescesse. Per evitare qualsiasi tipo di senso di colpa e che Rick, Julie o Alison provassero l’istinto di ucciderlo per la sconsideratezza delle sue parole, speranze, preghiere, aveva aspettato che diventasse grande, che avesse sia l’età per andarsene di casa che per bersi una birra con gli amici senza dover nascondersi dai controlli sui minorenni, che finisse il college e trovasse un lavoro che gli piacesse e lo completasse, cosicché si sentisse sicuro sia a livello personale che economico anche senza di lui.

Ora Tommy aveva ventiquattro anni e mezzo, ormai da tempo si era laureato in Servizio Sociale e da due anni viveva con lui e lavorava stabilmente alle dipendenze dello stesso Ministero che ogni mese elargiva a Kevin il suo stipendio: seguendo i propri sogni e con l’obiettivo di fare del bene a ragazzini umiliati dal destino e dagli uomini com’erano stati lui e Adam, solo di un’altra generazione, era diventato assistente sociale. Uno costantemente presente e attento, come quelli che erano mancati a lui e al suo ragazzo; uno coi controcazzi, era solito aggiungere il migliore amico del maggiore.

Ma la cosa più importante, il piccolo imprescindibile particolare che aveva incoraggiato Adam a mettere da parte ogni dubbio e organizzare quella giornata era un altro: Tommy lo amava ancora come lo amava lui, forse più che mai ora che le cose fra di loro avevano finalmente trovato la propria stabilità. Sì, era stato tutto il loro amore in comune a portarlo sul ciglio di quella follia, e la sensazione che un sentimento tanto potente avrebbe potuto trasformarsi, mutare come aveva già fatto in quegli anni trascorsi assieme, ma mai scomparire del tutto.

Adam si sentiva vecchio a pensarla così. A volte inseguire riflessioni tanto profonde e rendersi conto di padroneggiare consapevolezze così ingenti ancora prima dei trent’anni lo spaventava, ma era pronto a sopportare questo e altro se ciò avesse significato poter continuare a ringraziare il cielo ogni notte, prima di dormire, per ciò che lui e Tommy avevano.

- Dai, ragazzi, che razza di scherzo è questo? Devo andare a casa, ho un sacco di lavoro in arretrato!

La voce del biondo e il suo tono esasperato lo fecero sorridere non appena voltò l’angolo e li vide, tutti e tre i suoi compari, in fondo al prato, vicino allo steccato ai piedi del quale Adam ricordava di essersi seduto molte volte per riposare e ristorarsi con dell’acqua e qualche tramezzino. La visione di Tommy, anche se di spalle, fu abbastanza perché il suo cuore decidesse che era ora di pompare più sangue nel corpo, ma accorgersi della posa sicura di Kevin davanti al ragazzo e scorgere l’occhiolino di Drew lo fece sentire subito meglio, gli disegnò un sorriso compiaciuto in faccia e lo spinse a continuare il proprio cammino nella loro direzione mentre il più grande di tutti si prendeva la responsabilità di continuare a distrarre il più giovane della combriccola.

Adam ebbe la sensazione che non si sarebbe mai più sentito tanto riconoscente nei confronti dei propri amici, e si godette ogni singola parola della discussione che seguì mentre lui si avvicinava senza far rumore.

- Piantala di impanicarti – fece Kevin, in piedi di fronte a Tommy, incrociando le braccia e lanciandogli un’occhiata di brioso rimprovero. – Te l’ho già detto, ho comunicato al tuo portatile che stasera lo accenderai un po’ più tardi e lui mi ha promesso che non sarebbe andato in iperventilazione per la nostalgia.

Adam non poteva vederlo, ma non ebbe il minimo dubbio su quella che fu l’espressione di Tommy. Lo immaginò alzare gli occhi al cielo, spazientito, e dovette trattenersi dal ridacchiare.

- Senti, Kevin, non hai la minima idea della valanga di documenti che devo studiarmi prima della fine della settimana. E domani ho nove visite di controllo di cui occuparmi, non so neanche come le farò stare tutte in una sola giornata!

In quel momento – e Adam ringraziò il cielo per ciò – intervenne il suo compagno. Per quanto Kevin sapesse essere convincente, era Drew a ottenere sempre i punteggi migliori quando si trattava di calmare adulti scocciati.

- Non pensarci e basta per il momento, okay? – cercò di rasserenarlo, posandogli una mano sulla spalla. Senza dubbio per evitare che potesse accorgersi dei passi che li stavano raggiungendo e voltarsi proprio ora che Adam era così vicino al traguardo. - Prendi un respiro e rilassati un attimo. Ti assicuro che fra poco penserai sia valsa la pena pazientare.

Tommy sbuffò sonoramente in risposta, incrociando a sua volta le braccia e imbastendo un broncio che aveva il potere di rimandare tutti indietro nel tempo a quando lo avevano conosciuto come un ragazzino.

- Posso almeno sapere cosa stiamo aspettando? Che cos’è, una rimpatriata? Aspettare venerdì per una pizza era troppo banale?

- Più che banale impossibile visti i tuoi ritmi, scappi al lavoro anche di sabato mattina.

Tommy fece in tempo a indovinare la nascita di un ghigno sulle facce di Drew e Kevin una frazione di secondo prima di voltare la testa di scatto e ritrovarsi davanti l’unico pezzo mancante della banda, in immancabile completo da bar di tendenza e sorriso smagliante, anche se, notò, un po’ incerto. Teneva le mani nelle tasche, il furbo, e non sapeva nascondere la soddisfazione che gli dava essere riuscito a tenere in piedi quel modesto teatrino fino al momento giusto.

- Ad! – esclamò il biondo non appena lo vide, e subito lo stupore si tramutò in uno sguardo di biasimo che il più grande aveva imparato a conoscere fin troppo bene durante i mesi di convivenza. – Dimmi perché all’improvviso mi viene da pensare che la colpa di tutto questo sia tua.

Alle sue spalle Drew non poté trattenersi dal ridere, ma Adam si permise solo un sorrisetto sprezzante, astuto, mentre con finta indifferenza alzava le spalle: - E va bene, lo ammetto, sono colpevole: il rapimento è stata un’idea mia.

- Lui la mente diabolica, noi il braccio esecutore – aggiunse Kevin a due passi di distanza, mettendo una mano sul fianco di Drew per attirarlo a sé, e Tommy fulminò anche i due più grandi e il loro maledetto sghignazzare alle sue spalle.

- Una definizione calzante, visto che mi avete praticamente portato via di peso dal parcheggio – commentò, per poi tornare al proprio ragazzo con un sospiro. - Adesso posso sapere perché?

In quel momento Adam sorrise genuinamente, il segnale con cui mise da parte le cavolate per passare alle questioni serie, poi si guardò attorno in quell’angolo di paradiso. Proprio in quell’istante uno stormo di passerotti si levò in volo dalla chioma di un albero che ondeggiava sereno a pochi metri da loro e scomparì nel cielo in un frullo d’ali e pigolii.

- Ricordi che posto è questo?

Tommy fece spallucce, come se importasse poco, ma sia lui che il maggiore sapevano quanto entrambi trovassero piacevoli le loro gite in quel luogo, lontano dai dissapori della città.

- Ci siamo venuti a passeggiare diverse volte.

- Vero. Ma la primissima volta è stata il giorno prima che partissi per il college – gli ricordò Adam con voce lieve, accostandosi a lui quel tanto che gli consentì di allungare le braccia e prendergli entrambe le mani. - Mi sentii così fiero quando mi facesti tutto quel discorso su quanto fosse vitale per te finire a fare un mestiere che ti consentisse di aiutare gli altri.

Colpito da quello stralcio di memoria, Tommy prima socchiuse le labbra, poi le incurvò in un sorriso dolce e nostalgico.

- Come Kevin ha aiutato te. Come tu hai aiutato me – disse, completando così la frase che sia lui che Adam ricordavano a memoria. Quel giorno era stato talmente perfetto.

Contento che fossero in due a rammentare tutto così bene, Adam annuì, quindi chinò il capo e prese un respiro profondo. C’era davvero, stava per farlo. E per quanto fosse stramaledettamente sicuro di ciò che stava per dire, ciò non toglieva che la paura di sbagliare, deludere e incasinare tutto fosse appena salita, rapida come un’iniezione di adrenalina, ad accorciargli il respiro e a rendere tutto cento volte più difficile di quanto lo era stata ogni prova davanti ai conoscenti, allo specchio, alla figlia dei suoi migliori amici. Sì, perché si vergognava a dirlo ma aveva fatto anche questo: tentare di imbastire alla bell’e meglio uno dei discorsi più importanti che avrebbe mai rivolto alla persona che amava davanti alla piccola Lily Aubrey, che dal basso dei suoi dodici mesi di vita non aveva potuto che biascicare un versetto entusiasta mentre sbocconcellava il suo biscotto Plasmon. Serata elettrizzante come babysitter.

Ma non era il momento di pensare con quanta fatica si fosse allenato a quel momento, all’idea di compiere davvero quel passo. Era il momento di prendere un secondo respiro profondo e di parlare prima che Kevin gli desse una gomitata fra le costole per farlo muovere da quell’imbarazzantissima posizione di stallo.

- Ho chiesto… uff.

Terzo respiro. Sonora alzata di sopracciglia da parte di Kevin. Tanto coraggio e il giuramento di mollargli un pugno sul muso più tardi, quando tutta quella tortura fosse finita. Dopotutto lui non aveva mai fatto niente del genere, stronzetto supponente.

- Ho chiesto a questi due buzzurri di sequestrarti e sono qui per chiederti qualcosa che non riesco davvero più a tenere per me senza che faccia male. Un male fisico. Ma prima ci tengo a dirti che col senno di poi avrei anche potuto chiedertelo quando avevi diciassette anni, perché per quanto mi riguarda le cose non sono cambiate. Sei ancora il mio raggio di sole, la persona che amo di più al mondo e l’unica con cui vorrò sempre condividere tutto. Il meraviglioso, meraviglioso ragazzo che mi fa sognare e mi tiene i piedi ancorati alla terra allo stesso tempo. Quello che mi fa ringraziare Dio ogni mattina, quando mi sveglio e ti vedo lì che dormi accanto a me.

Gli occhi di Tommy, fissi nei suoi, diventarono enormi e le sue labbra tremarono su quel bellissimo sorriso. - Ad…

Anche il ventinovenne sorrise. Per quanto il panico del momento lo facesse sentire tutt’altro che a proprio agio, la priorità era Tommy. Tommy e quel suo sorriso disarmante.

- Anche quando avevi solo diciassettenne anni – proseguì il più grande, - avrei seriamente potuto farti questa stessa richiesta. Mettermi in ginocchio davanti a te e chiederti se volessi seguirmi davanti a un giudice, se avresti lasciato che ti prendessi per mano, ti infilassi un anello all’anulare, ti baciassi davanti a tutti quelli che conosciamo e ti giurassi fedeltà per dire al mondo che sì, finalmente sarei riuscito a portarti all’altare e che sì, finalmente, finalmente non sarebbe più esistito niente in grado di tenermi lontano da te. Perché da quell’aggressione sarei guarito e mi sarei ripreso presto – confessò, fremendo. - Ma da te no, TJ. Potrei morire d’amore per te, ma dubito che perfino in quel caso riuscirei a liberarmi di ciò che mi esplode dentro ogni volta che ti guardo.

Solo a quel punto, quando smise un attimo di parlare, il più grande si rese conto dell’imbarazzo che aveva imporporato le gote di Tommy come non accadeva più tanto spesso. Quel piccolo, fondamentale segno di apprezzamento ai lati delle sue labbra schiuse per l’incredulità gli riempì il cuore di gioia e Adam smise di trattenersi, prese il più giovane per i fianchi e lo sollevò. Inutile dire che l’accenno di rossore sul viso di Tommy si fece bollente.

- Ad, cosa stai…?

Ma il ragazzo non lo ascoltò e lo lasciò andare solo una volta averlo messo a sedere sopra lo steccato. Gli sistemò le mani sul legno, così che si reggesse da solo, poi tornò a dedicargli tutto l’interesse dei suoi straordinari occhi color acquamarina.

- Sto cercando di dire che aspettare che diventassi abbastanza adulto da non far sembrare sconveniente la mia proposta è stata un’autentica tortura, ma pur sempre una tortura che sarei disposto a sopportare infinite altre volte se sapessi che il sacrificio mi porterà a un tuo sì. Che già allora avrei potuto chiederti di restare con me per tutta la vita e che se non l’ho fatto è solo perché prima avevo bisogno… entrambi avevamo bisogno di vedere se eravamo capaci di crescere insieme – spiegò, sopportando a stento di non riuscire a comprendere cosa nascondesse la confusione che intravedeva negli occhi di Tommy. Sapeva solo che non doveva, non poteva smettere di parlare. - Be’, ne siamo capaci. Se ne sono già andati quasi otto anni dal giorno in cui ho capito di amarti come non avevo mai amato nessun altro e sette da quando ho saputo con certezza che non voglio né vorrò mai un altro accanto a me.

Tommy aprì la bocca, come per ribattere, ma lui fu più veloce. In un secondo si ritrovò inginocchiato a terra, col forte bisogno di deglutire l’aridità che aveva in bocca ogni paio di secondi e in mano la scatolina di velluto blu cobalto che non ricordava nemmeno di aver estratto dalla tasca interna della giacca. Un attimo dopo essersi accorto di quanto stesse sudando serrò gli occhi, imbarazzato come non mai, e fece per tendere il braccio.

- Thomas Joseph Ratliff. Io…

Tartagliò per quelli che gli parvero minuti interi ma che per il resto del mondo furono solo un attimo, una frazione di secondo prima che il ventinovenne sentisse due palmi freschi posarglisi appena sotto le mandibole e insistere gentilmente perché alzasse il volto. Quando lo fece e tornò a guardare verso l’alto, Adam vide che Tommy si era chinato per poterlo raggiungere e sorrideva quanto e più di prima. Dio, non avrebbe nemmeno saputo descrivere quanto il suo amore apparisse felice in quel momento.

- Lo sai, vero, che se continui a essere così adorabile corri il rischio che ti sposi sul serio? – lo prese in giro il giovane.

In qualche modo le risate di Kevin e Drew arrivarono al subconscio di Adam, ma il ragazzo non riuscì a reagire. Era rimasto imbambolato lì, con il volto e il cuore fra le mani di Tommy, e l’astuccetto morbido con quelle che aveva scelto come loro fedi di nozze a mezz’aria, abbandonato fra dita che non avevano più idea di come muoversi. In realtà il suo intero corpo non sapeva più che passi fare, sbalordito dalle parole di Tommy. Alla fine toccò al ventiquattrenne, che pareva comunque abbastanza divertito dalla sua goffaggine, prendergli la mano e aprire da sé il piccolo scrigno.

Quando i suoi occhi scuri tornarono a quelli di Adam, però, gran parte dell’ilarità se n’era andata. Restava un sorriso, il più cedevole di sempre, e un accenno di commozione che presto avrebbe contagiato anche il più grande e quindi avuto la meglio sull’autocontrollo di entrambi i ragazzi.

- Lo voglio, Ad – dichiarò infine Tommy, senza lasciare i suoi occhi mentre indossava al dito l’anello più stretto. Adam trattenne il fiato, sapendo che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma Tommy continuò senza dargli il tempo di elaborare niente: - Voglio svegliarmi accanto a te - Gli prese la mano sinistra, l’alzò e gli infilò la sua fede all’anulare. - Per tutta la vita.

Di fronte al sorriso di quelle labbra che conosceva a memoria ma non lo avrebbero stancato tanto presto, Adam aprì la bocca per rispondere, ma improvvisamente ogni sua capacità di comunicare era svanita. Era quasi certo di essere sul punto di balbettare qualcosa – qualunque cosa -, quando alla fine l’urlo d’incoraggiamento di Kevin, subito seguito dalle grida di giubilo e dagli applausi suoi e di Drew, sovrastarono ogni suo miserabile tentativo di riavere indietro la propria dignità.

- Ti decidi a baciarlo o no?

Tommy li guardò e scoppiò in una risata incantevole un secondo prima che Adam si rimettesse in piedi, gli prendesse il volto arrossato fra le mani e lo baciasse con tanto impeto da farli cadere entrambi a terra dall’altra parte dello steccato, uno sopra l’altro. Adam protesse la testa di Tommy dall’urto con le mani e affogò il suo grido fra le proprie labbra, morendo nelle sue, scoprendole così calde. Lo sentì fremere, mormorare qualcosa d’incomprensibile nel bel mezzo del bacio, ma non smise. Fosse stato per lui, non avrebbe mai smesso, tanto era quello che doveva all’altro.

Si rendeva conto che aveva appena accettato di sposarlo? Gli venne da ridere al solo pensiero, troppo felice anche solo per pensare a qualcosa o a qualcuno che non fosse Tommy. Non esisteva più niente oltre al ragazzo che amava, dopotutto. All’improvviso tutto riguardava loro. Ogni minima cosa, discorso o gesto avesse valore lo acquisiva per entrambi, insieme, per la coppia che erano e di cui presero ufficialmente la forma in quel tardo pomeriggio, bagnati da quel sole in cerca di riposo i cui ultimi raggi non li abbandonarono prima che il loro bacio avesse fine.

Allora Adam si separò a malincuore da quelle labbra, aprì gli occhi e vide il volto di Tommy che sorrideva nella neonata penombra. E si sorprese a considerare che era sempre stato così e così sarebbe sempre stato.

Lui e Tommy, uniti nella luce della felicità e nell’ombra delle ingiustizie che ogni vita alterna senza regole, un solo cuore che teneva in vita entrambi e due respiri affannati sull’onda del primo come dell’ultimo bacio.

 



FINE

 









Ecco. Non avrei potuto, fisicamente, accettare nulla che non fosse un lieto fine. Ma vorrei sentire la vostra opinione :)

Ringrazio dal profondo del cuore tutte le anime belle che hanno seguito questa storia, in un modo o nell’altro. Sapete quanto mi hanno fatto e mi fanno piacere le recensioni: libertà di parola. Ma ringrazio anche coloro che hanno assistito in silenzio allo svolgersi di questa storia, perché in un modo o nell’altro tutte ne avete fatto parte. Un grazie ENORME, gioie <3

Ah, visto che sono qui vi aggiorno su cosa vorrei combinare con questa storia, vale a dire fare sia un prequel che un breve sequel. Il tutto rimane in forse finché non vedo se riesco a metterli insieme. Quindi, se pensate vi farebbe piacere leggere queste cosette una volta che saranno pronte, date un’occhiata qua sotto: vi pubblico il link alla pagina dove comunico ogni aggiornamento, nuova storia e frivolezze varie. A presto, dunque, alla prossima follia che mi salterà in testa. Se vorrete accompagnarmi, ovviamente.

Vi abbraccio ;)

 

a.

 

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