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Autore: Lely_1324    25/09/2014    4 recensioni
Sarà il loro più grande segreto, che li porterà a vivere una straziante storia d'amore. Dovranno confrontarsi con la clandestinità e la passione ...Ma nella città dell'amore tutto è possibile!
JENNIFER MORRISON- COLIN O'DONOGHUE
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano immersi nella vasca da più di mezz’ora, lui che le faceva da schienale circondandola col proprio corpo, lei seduta fra le sue gambe, la nuca appoggiata al suo petto. Gli occhi chiusi, le voglie placate, si rilassavano parlando di tutto e niente, lasciando che l’acqua calda lenisse i loro corpi felici e doloranti, svuotasse le loro menti.
Jen interruppe il silenzio con un filo di voce: “Dunque parti domani mattina”.
“Già” si limitò a risponderle, e, spostandole i capelli di lato, prese a baciarla lungo la linea della nuca.
“Io ho il volo di sera. Cristina passerà a prendermi alle cinque” continuò Jen con tono monocorde.
“Lo so. Ne abbiamo già parlato” le rispose Colin affondando il viso nel suo collo.
“Scusa” disse lei, passandogli una mano sulla guancia “tanto ci vediamo lunedì sera al party di beneficenza, vero?”
“Certo” la rassicurò, baciandole il palmo della mano “non potrei mai mancare .." Jen annuì, accarezzandogli una gamba.
 Avrebbe voluto dirgli che lei, aveva ormai un effetto profondo, devastante e rigenerante, su tutto ciò che lui era, sui pensieri che gli attraversavano la mente, sulle emozioni che  solcavano il suo cuore. Ma si trattenne, limitandosi a regalargli un bacio delicato.

L.A. 8 ottobre 8:30 p.m.

Non appena lo sguardo del suo amico catturò l’arrivo di Jennifer, la sua curiosità fu in parte soddisfatta. Era stato evasivo quando gli aveva chiesto come avesse trascorso quel weekend e sinceramente non se ne spiegava la ragione. A Josh non sfuggì quel brevissimo contatto visivo, né il brevissimo scambio di sorrisi appena accennati. Ed entrambi avevano dipinta sul volto un’espressione di intima felicità. Sapeva che si trattava di una faccenda  immorale e potenzialmente dannosa, ma in quel momento non potè fare a meno di sentirsi contento per i suoi colleghi.
“Tieni gli occhi a bada, Colin ” gli bisbigliò ironicamente “ci sono fotografi in tutta la sala”
“Vado a prendermi un altro Martini”
Nell’avvicinarsi al buffet le passò accanto e sentì che conversava con Megan di sfilate parigine : subito una corrente di elettricità e calore gli percorse la spina dorsale, ma continuò spedito verso il suo tavolo, temendo di non riuscire a mascherare la propria euforia.
“Forse un po’ di alcool mi calmerà” pensò fra sé e sé ingoiando un altro po’ di quel liquido bianco. 
In quel momento, fecero il loro ingresso nella sala i produttori di Once upon a Time: uno di loro, accompagnato dalla moglie,  teneva in braccio un bambino dall’espressione allegra e vivace.
“Vedo che stasera sei felice anche tu, Zeke” mormorò fra sé, sorridendo apertamente alle risatine di giubilo del ragazzino. Le due donne si unirono presto al gruppo, salutando affettuosamente il loro giovane ospite. Lui rimase ancora al suo posto, ipnotizzato dalla scena: Meghan si era subito chinata ad accarezzargli i capelli e a baciarlo, col suo fare espansivo e avvolgente. Jen, invece, si era limitata ad accarezzargli teneramente una spalla, scambiandoci occhiate divertite e ridendo come una ragazzina non appena Zeke lanciava uno dei suoi gridolini.
Colin alzò gli occhi al cielo: ventotto anni, ma in fondo era ancora una bambina. Lui a quell’età stava già aspettando la nascita della sua prima figlia. Chissà lei che tipo di madre sarebbe stata...in quell’istante gli passarono per la mente immagini veloci della sua infanzia, di sua madre e poi della sua vita familiare a Dublino, con Helen che preparava la cena e Rebecca che le dava una mano con Evan. Aveva sempre pensato che, per essere un buon genitore, fosse necessaria una certa disposizione alla disciplina e all’autocontrollo: sua padre ne aveva abusato dopo la morte di sua madre, Helen se ne era servita per crescere due figli con un marito semi-latitante. Lui non era mai riuscito ad essere severo coi propri figli, forse perché si sentiva in colpa nei loro confronti. Ora osservandola mentre rideva con Zeke, pensò che molto probabilmente Jen non sarebbe mai stata una mamma forte e autorevole: probabilmente avrebbe coccolato troppo i suoi figli, li avrebbe viziati. Ma, con una fitta al cuore, pensò anche che, forse, si poteva essere dei buoni genitori anche in quel modo, che si poteva dare una direzione alla propria vita anche in quel modo: con un po’ di passione, con un po’ di tenerezza. Perché Jennifer Morrison era proprio questo: una strana, pericolosa combinazione di passione e tenerezza.


Era già passata la mezzanotte, ma lui non l’aveva raggiunta, né si era fatto sentire. Aveva forse sbagliato nel credere che sarebbe passato da casa sua, quella notte? Eppure, poche ore prima, non aveva distolto gli occhi dai suoi, e le aveva sorriso con dolcezza: a Jen era sembrato un tacito accordo, una promessa. Ma lo stava aspettando da più di un’ora, seduta sul suo divano, con l’abito da sera ancora indosso e le scarpe col tacco. Dunque, non sarebbe venuto? Come la prima volta, dopo il loro ritorno da Parigi la scorsa estate..ma allora era tutto diverso. Lei era fidanzata con Sebastian, e le giornate parigine erano state perlopiù una folle maratona di sesso...questa volta c’era stato qualcos’altro fra di loro, ne era assolutamente sicura. C’erano state le sue carezze sui capelli, mentre lei chiudeva gli occhi e si addormentava; c’era stata la malcelata preoccupazione per il suo repentino dimagrimento; c'erano stati gli abbracci stretti e le parole sussurrate sulla pelle; c’erano state le sue risate cristalline, che Jen aveva quasi dimenticato. E allora, perché non era con lei adesso?
“Se Maometto non va alla montagna..” mormorò Jen fra i denti e, senza pensarci due volte, andò a prendere le chiavi della macchina.


Continuava a girare nervosamente per casa, il giubbotto di pelle sulle spalle, il casco appoggiato sul tavolo della cucina. Sapeva che lei lo stava aspettando. Non si erano detti niente al riguardo, né a Parigi né tanto meno durante la festa di quella sera, ma sapeva che avrebbe dovuto andare da lei. Ed era già in spaventoso ritardo. Sentiva di dover andare, ma la mente gli urlava di restare lì, ancorato alla sua logica, e stavolta non soltanto per la fede che portava al dito. Il cellulare squillò, ed ebbe la certezza che fosse lei.
C: “Ciao”
J: “Hey..tutto ok?”
C: “ Sì “ mentì “è stata una bella serata”
J: “Bellissima...eri già a letto?” Senza di me.. 
C: “No..no..”
J: “Allora fammi entrare, per favore. Sono all’ingresso del residence.”
Deglutì per la sorpresa, uscì sul terrazzo della camera da letto e scorse, di sotto, una testolina bionda che emergeva dal buio della notte.
C: “Ti apro”
Buttò il giubbotto su una sedia e uscì sul pianerottolo, controllando che non ci fosse nessun altro in giro. L’ascensore si aprì, e gli comparve dinanzi, con un sorriso incerto. La fece accomodare in casa, richiudendosi la porta alle spalle.
J: “Ho fatto male a venire?”
“Se non lo sai tu..” le rispose ironicamente, replicando le parole pronunciate da lei a Parigi.
J: “Io dico che ho fatto bene a venire..” e, avanzando sinuosamente, lo circondò con le sue braccia. Poi gli portò le mani al volto, con quel suo gesto naturale, e, alzandosi sulle punte, lo baciò. Lui chiuse gli occhi, stordito dal bagliore di quegli smeraldi verdi e dal tocco delle sue dita, ma restò rigido e distaccato dal corpo di lei. Jen se ne accorse subito, e interruppe il bacio.
J: “Che c’è?”
Lui sospirò sconsolato, togliendo con delicatezza le sue mani dal  proprio volto.
H: “Los Angeles non è Parigi, te lo dissi anche l’altra volta..”
Jen fece un passo indietro, scrutandolo in viso. Ma lui teneva lo sguardo basso.
J: “Non provarci nemmeno..non provare ad allontanarmi come hai fatto questa estate...non mi farò intimorire dal tuo silenzio, non ti permetterò di scappare..”
Finalmente la guardò, spalancando gli occhi per le parole che aveva appena sentito. Si passò nervosamente una mano sulla fronte, poi sul mento e, puntandole gli occhi addosso, chiese a bassa voce: “Cosa vuoi?”- la sua resa era cominciata.
“Voglio passare la notte con te” le mani sui fianchi, le palpebre che sbattevano lasciando trapelare la sua emozione.
“Tu non vuoi soltanto questo da me, Jeanne” sentenziò Colin, la voce ridotta a un fremito.
“Certo che no” continuò Jen, piuttosto alterata “vorrei confrontarmi con un uomo che avesse il coraggio di chiamarmi per nome, invece di rincorrermi dall’altra parte del mondo per giocare agli amanti disperati.”
La guardò per secondi interminabili, diviso fra l’incredulità e il dolore. Poi le disse piano:
“Sei troppo intelligente per non capire che non possiamo, non posso spingermi oltre. È meglio che torni a casa, Jennifer”
J: “No.”
Colin sgranò gli occhi, deglutendo a vuoto: “C-cosa?”
J: “Prima parliamo, poi, forse, me ne andrò a casa” e incrociò le braccia sul petto.
C: “Ok ok..è colpa mia, ho sbagliato a venire di nuovo a Parigi...ma credevo che tu avessi capito!”
J: “Ma come faccio a capire se tu mi prendi e poi scappi via??!!!” esclamò Jen al colmo dell’esasperazione.
All’improvviso lui le si avvicinò , stringendole con forza le braccia: “E VA BENE! TI AMO! SEI SODDISFATTA ADESSO? ERA QUESTO CHE VOLEVI SENTIRTI DIRE ?”
Jen lo fissò incredula, cercando di svincolarsi dalla sua stretta dolorosa: “Stai mentendo..e mi stai facendo male!”
C: “Ce ne faremo molto di più se mi costringerai ad andare oltre..” le sussurrò sconsolato, lasciando la presa e voltandole le spalle. Jen si massaggiò le braccia, mentre gli occhi le si inondavano di lacrime, ancora una volta, ancora per quell’uomo che si rifiutava di guardarla, si rifiutava di amarla.
Esitando, colmò la breve distanza che li separava, e appoggiò con cautela la fronte sulla sua schiena, cingendogli lentamente la vita con le sue esili braccia: “Davvero provi qualcosa per me?”
Colin non rispose, ma lei lo sentì tremare sotto le sue mani.
J: “Se davvero mi ami, devi dirmelo piano..”
Quel suo ampio torace si alzò ed abbassò, liberando un sospiro di sollievo e di dolore. Girandosi nel suo abbraccio, si chinò su di lei, fronte contro fronte, e le sussurrò sulle labbra: “ ti amo..”
Lei incrociò gli occhi nei suoi, anche quell’azzurro brillava di lacrime trattenute, e di paura.
C: “Ti amo..” e cominciò a sfiorarle le labbra, con piccoli tocchi. Fu Jen ad approfondire il bacio, mugolando nella sua bocca tutto il suo struggimento. Lui si lasciò guidare, confuso e spaventato da quella nuova intimità.
C: “Ti amo” le ripetè ancora, come in trance, mentre le baciava delicatamente le palpebre, umide di pianto. La vedeva sorridere, e piangere ancora, in silenzio.
Poi, dopo qualche istante di esitazione, fece una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di fare al di fuori del set. La prese in braccio, e la portò in camera da letto. Era un gesto che gli era sempre piaciuto: così antico, così romantico, eppure così imbarazzante, dolce, troppo dolce. Aveva paura che lei ridesse di lui, ma non lo fece. Jen si strinse col suo peso leggero intorno al suo corpo, la testa appoggiata nell’incavo del suo collo. E quando la depose sul suo letto, e le sciolse i capelli, e lesse nei suoi occhi un’adorazione incondizionata, si sentì spezzare il cuore per quello che le stava facendo.
 - “Ti amo”- glieli sussurò ancora e ancora, mentre le apriva la cerniera dell’abito, sulla schiena, e le toglieva la cintura. Una preghiera, una supplica di perdono. La liberò del vestito, le tolse le scarpe e le sfilò piano le autoreggenti, provocandole brividi violenti con quei suoi tocchi accennati. Poi si lasciò spogliare da lei, che non resistette all’impulso di baciarlo sul collo, sul petto. Questa volta era Jen ad essere vorace, impaziente. Lui si mise sopra di lei, cercando di prendere il controllo, e cominciò a baciarla fra l’incavo dei seni, per placare quella sua irrequietezza. 
...Ormai era andato oltre, non sarebbe più riuscito a tornare indietro.





     
  
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