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Autore: Ljn    20/10/2014    4 recensioni
Stava andando tutto male.
Perché stava andando così? Perché? Qualcuno glielo sapeva spiegare? Un secondo prima era intento a bisticciare con quel Teme silenzioso che infestava la sua vita da un’eternità, l’attimo dopo stavano fuggendo. Fuggendo! Loro!!
Loro, che erano i più forti in assoluto!
Non esisteva. Assolutamente! Non poteva! Si erano allenati fino a sputare sangue, avevano sacrificato … un sacco, per arrivare dove erano. Un ENORME sacco. Un sacco così grande che avrebbe potuto starci dentro tutta la famiglia di Choji. E stava parlando mentafornica … metafarica … metaforonicamente – annuì a se stesso, soddisfatto – perché era ovvio che nella realtà il sacco sarebbe stato un sacco più grande.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Altra complicazione, altri dubbi. Il kanji che troverete nel testo questa volta è 信 shin: fede.

 

Sette.

 

Buio.

Il suo mondo era diventato, un istante infinito dopo l’altro, sempre più buio e silenzioso.

All’inizio, aveva cercato di farsi bastare le sensazioni che gli altri sensi gli facevano arrivare, per non farsi inghiottire del tutto dal silenzio, ma presto quelle informazioni su di un mondo che non poteva raggiungere, erano diventate la forma più elaborata della tortura che l’isolamento gli stava riservando.

Aveva sentito, il gelsomino di Sakura, quando lo aveva abbracciato stretto dopo avergli tolto le bende dagli occhi e gli aveva premuto sul palmo信. Aveva sentito, l’odore di Sasuke e il persistente, ruvido, contatto con le sue mani, quell’esternazione così sorprendente e nuova del suo affetto, che generalmente il Teme nascondeva sotto strati e strati di caustica indifferenza e casuali premure nascoste.

Ma in quel silenzio opprimente e buio, quei brandelli di … casa non gli avevano portato nessun conforto. Era anzi come se gli stessero rinfacciando che non avrebbe mai più potuto avere quello che i due sensi che gli erano rimasti per rapportarsi con l’esterno gli stavano presentando. E lui … lui non poteva permetterlo, ecco.

Ammettere di sentirsi ferito da quelle sensazioni, era come ammettere di essere terrificato dal pensiero di non poterle più completare con i colori e i suoni e con la VERA presenza di coloro che ora parevano così disperatamente lontani. Ma la verità al centro di quella paura era che temeva che riconoscere questa debolezza avrebbe significato anche riconoscere la propria resa a quell’isolamento forzato che lo stava soffocando. E lui non si arrendeva. Mai.

Arrendersi, avrebbe significato che la sua intera vita era una menzogna, perché il non farlo, mai, era una delle verità fondamentali su cui aveva costruito il suo stesso io, nel corso degli anni solitari della sua infanzia.

Il fatto quindi che percepisse questa possibilità impossibile così spaventosamente vicina, in tutto quel buio silente, era talmente … inconcepibile che, per evitare di perdere la presa su se stesso e lasciarsi andare al terrore, aveva deciso di raggomitolarsi su se stesso e respingere, lui per primo, tutti i segnali che crudelmente gli ricordavano che da qualche parte là fuori lui aveva un corpo monco che viveva a metà nel mondo che gli era precluso.

 

Poi …

 

Un “poi” molto dopo, però … giorni, ore, mesi “dopo”, non lo sapeva esattamente, dato che il tempo non aveva più importanza, qualcosa scosse il limbo tenebroso che si era scelto a protezione.

Qualcosa che lo spinse a prestare attenzione al refolo di aria calda che stava turbando l’assenza di percezioni da un po’, e che lui fino a quell’istante aveva facilmente ignorato.

Qualcosa di così strano e nello stesso tempo così potentemente familiare da farlo sussultare e voltare alla ricerca della sua fonte primaria. Perché era sempre stato così, una parte di lui lo ricordava fin troppo bene, anche in quel nulla in cui era sprofondato.

Sempre. Sempre.

Quando Sas’ke aveva bisogno di lui, lui doveva rispondere.

E quando a chiamarlo a sé non era solo la voce di Sasuke, non era solo la conoscenza intima che lui aveva di Sasuke, ma le sue braccia che lo stringevano abbastanza disperatamente da abbattere le barriere che aveva interposto tra lui e il suo mondo doloroso, e il suo cuore che batteva forsennatamente contro la propria mano appena sgradevolmente riscoperta, e il naso che soffiava aria calda contro il suo collo che non doveva ricordare essere là ad offrire una superficie contro cui scontrarsi, e la curva della bocca socchiusa che si muoveva contro la sua clavicola che ooh … aveva ancora delle proprie ossa, dopo tutto?, e quell’umidore …

Che cos’era quell’umidore che sentiva appena sotto l’orecchio?

Esitò. Era sicuro di voler riacquisire quel mondo, quando l’esserci solo per metà era così disperatamente doloroso? Era ancora in tempo per ignorare quel sospiro caldo, e ritornare nel vuoto senza dolore. Poteva di nuovo zittire il tatto e l’olfatto.

Poteva … ignorare … Sasuke?

No. No. NO. Non poteva farlo. Il solo pensare di poterlo fare, era folle come l’idea di arrendersi! Sas’ke era il pilastro … no. Sasuke era la CASA attorno alla quale aveva costruito il suo mondo. Non poteva ignorarlo.

°Sas’ke?°

Ah … l’aveva detto davvero, o lo aveva solo pensato? Aveva mosso la bocca? Sospirato le lettere?

Doveva essere sicuro di cosa fosse penetrato nella realtà in cui Sas’ke esisteva. Non poteva permettersi sbagli, quando si trattava del benessere del Teme!

Per essere certo perciò di arrivare fino a lui, il modo migliore era affidarsi ai sensi che ancora gli rispondevano. Quindi inalò profondamente l’aria calda che gli stava stuzzicando le narici dell’anima, e ricordò a se stesso che il corpo con cui ora sentiva Sas’ke poteva anche agire, nella dimensione in cui Sas’ke viveva, non solo percepirla, e che quindi poteva anche diventare il ponte che gli era necessario per raggiungerlo.

Ritrovò il movimento regolare del proprio respiro al di fuori delle pareti del suo io, e attraverso quello, i confini del proprio corpo. Risalì dal busto appoggiato ad una superficie rigida, quindi scese lungo le proprie braccia fino ad arrivare alle mani. E li si fermò, perché non gli era necessario altro. Una era infatti premuta contro la pelle calda del petto di Sasuke, sopra il battito cardiaco che aveva quasi respinto prima in un istante di follia cieca; l’altra era distesa e libera di muoversi quanto e dove lui la voleva, perciò la usò per riappropriarsi della materia appartenente al luogo da cui il cuore di Sasuke lo stava chiamando. Il tessuto sotto i polpastrelli, quando la mosse, gli lasciò una impressione ruvida e così … fisica rispetto alla mancanza di sensazioni che aveva desiderato fino a pochi istanti prima, da farlo trasalire.

Strinse il pugno attorno alla stoffa. Lo stava davvero facendo. Stava davvero considerando di poter rientrare attivamente nella realtà che lo aveva esiliato così crudelmente, e non solo subirne gli effetti passivamente o respingerli del tutto.

Calmò il nervosismo con il pensiero di colui che lo aveva raggiunto nonostante il suo tentativo di estraniamento e fece scivolare ancora le dita sul tessuto sotto di lui. Cotone. Era cotone, e quello su cui era seduto era morbido, ma non come un materasso, piuttosto come un futon.

Aah … vero. Era a casa del Teme, non solo in sua compagnia. Sasuke gli aveva permesso di invadere il sacro suolo, come lo aveva battezzato lui un pomeriggio di qualche anno prima. Ricordava che stavano litigando, come al solito, e improvvisamente quel nome gli era uscito come acido dalla bocca, assieme ad altre parole intramezzate a “tomba” e a “respirare l’aria che esce dai polmoni dei fantasmi”. Ricordava l’espressione vuota di Sasuke, e la pacata domanda che era seguita, e poi ricordava il suo dolore quando aveva realizzato che a ferire Sas’ke era stato lui, questa volta, e ricordava l’abbraccio con il quale lo aveva avvolto, spaventato al pensiero che avrebbe potuto perdere di nuovo il suo mondo, e le lacrime che aveva versato per lui, perché era impossibile per Sasuke. Ricordava la sua offerta, di rendere quel posto infestato e maledetto una CASA in cui VIVERE. E ricordava le braccia di Sas’ke stringersi timidamente, goffamente, attorno a lui, mentre lui continuava a piangergli sulla spalla.

Lasciò il lenzuolo, e lentamente alzò la mano per andare incontro al corpo che gli era premuto contro. Trovò per primo il torace, che sobbalzò facendo scostare da sé il capo che era appoggiato alla curva del proprio collo. Afferrò velocemente la maglia che il Teme indossava per impedirgli di completare il movimento e poi risalì piano la schiena, quando il suo gesto congelò quello di Sasuke. Alla fine trovò qualcosa di morbido, e vi affondò le dita.

La mano appoggiata sul cuore affrettato di Sasuke si spostò di sua iniziativa, avendo esaurito il proprio compito di segnalare la posizione del mondo al resto di lui, e si unì all’esplorazione di quel corpo conosciuto ma alieno, mentre le dita che la stavano tenendo ferma scivolarono sul suo polso bendato. Risalì lungo i pettorali forti, trascinandosi dietro la mano di Sasuke che scivolò ancora di più lungo il braccio fino ad arrivare alla curva del gomito, per trovare un collo dalla linea lunga, una mandibola dai contorni quasi taglienti, e un mento appuntito.

L’altra mano lasciò le morbide onde dei capelli profumati di menta per unirsi alla gemella, senza che Sasuke facesse nulla per impedirlo, e insieme esplorarono le guance scavate e leggermente ruvide di barba non fatta e gli zigomi definiti, lungo i quali erano ancora ovvie le tracce delle lacrime che lo avevano riportato , con lui, e le asciugarono delicatamente con i pollici. Una alla volta, con affascinata concentrazione.

Passò i polpastrelli gentilmente sulle palpebre chiuse, li fece scivolare lungo l’arco delle sopracciglia fin sulle tempie dalla pelle sottile, e accarezzò ancora con i pollici quei lineamenti fini ed eleganti, asciugando una nuova lacrima solitaria prima che potesse allontanarsi troppo dall’angolo dell’occhio che se l’era fatta scappare. Meravigliandosi di quanto chiaramente Sasuke gli stesse permettendo di vedere l’incredibile e fragile bellezza che l’anima racchiusa in quel duro corpo di temibile shinobi nascondeva al mondo.

Era così intento ad esplorare, affascinato, la pelle che di solito si ritraeva pudica al suo contatto, dispiacendosi delle bende che gli fasciavano i palmi delle mani impedendogli di averne una percezione più completa, che sussultò quando le dita di Sasuke gli si posarono sulle labbra e premettero, come se pure loro avessero bisogno … Ah.

Lasciò il setoso calore della sua pelle per poggiare come in uno specchio i polpastrelli di una mano sulle labbra sottili di lui. «Naruto.» dissero quelle labbra, e Naruto quasi pianse, perché per la prima volta da secoli gli parve di sentire davvero il mondo da dove Sas’ke gli parlava.

«Sasuke.» replicò emozionato contro le dita premute sulle sue labbra, e ottenne una carezza delicata all’angolo della bocca e un’altra che gli sfiorò quello dell’occhio, ad asciugare una lacrima che pensava di non aver versato. Mano che con tocco brusco, ma gentile e quasi timoroso, scivolò leggera fino a posarsi sulla sua nuca, attirando la sua testa verso il calore di un respiro che gli era mancato così tanto da aver avuto l’impressione di soffocare, e che gli restituì il mondo intero.

 

In ritardo, come al solito...
Perchè?
Beh... per diverse ragioni, onestamente, una sola delle quali vi interessa direttamente: la decisione di concludere questa storia con questo capitolo oppure aggiungerne un altro a chiusura del tutto.
Onestamente? Non ne ho idea neppure io.
Lo scopo è raggiunto con questo capitolo, perchè si evince quello che desideravo si evincesse (spero, almeno), ovvero che entrambi i ragazzi vivono e hanno vissuto il silenzio, o meglio la solitudine, che li ha accompagnati sin dall'infanzia, in modo diverso eppure ironicamente piuttosto simile, appoggiandosi inconsciamente all'altro come fosse il centro del proprio mondo. La storia non riguarda tanto un fatto quindi, quanto una riflessione su cosa il silenzio significhi per entrambi, ma soprattutto su cosa "l'altro" significhi per ... beh ... "l'altro".
Però la logica vorrebbe che io terminassi in pari, ovvero con il punto di vista di Sasuke, ve lo concedo.
Ci ruminerò sopra mentre termino di scrivere qualcosa che dovrebbe essere pronto per domani e che è ancora al titolo e alla formattazione di base, cosa che faccio immediatamente dopo aver dato un nome a ciò che scrivo °interessantissima informazione°
Nel frattempo... Tanti auguri ancora alla festeggiata ^^
°si nasconde°
   
 
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