Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: pesca56    28/10/2014    1 recensioni
Questa storia parla di un amore sopito, nato tra le pagine di un libro.
Parla di una bambina che si nasconde dietro le forme sinuose di un corpo di donna e di una ragazza che non riesce a completare quel corpo maturo con uno spirito altrettanto forte.
Parla di un ragazzo che non lo sa ancora, ma si sta innamorando di quella bambina.
E' la storia di James, che dalla vita ha avuto tutto, ma non è stato capace di condividerlo con nessuno.
E' la storia di Astrid, che si è persa inseguendo se stessa e non si è accorta di stare guardando nel posto sbagliato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Silenzio. Faceva caldo. Aveva gli occhi chiusi, serrati, le palpebre premute con forza, preparate ad un impatto violento rimasto tale solo nei suoi pensieri.
Era ancora tutta intera.
Lentamente dischiuse le ciglia, schermando con le dita i raggi prepotenti del sole di agosto e tirò un sospiro di sollievo.
La locomotiva rossa borbottava impaziente, sputacchiando incollerita improperi di vapore: li richiamava a sé.
< Beh devo dire, è stato facile, credo che potrei rifarlo senza problemi. Mi sono quasi divertita >
Scese dal carrello con nonchalance e si avviò frettolosa verso il treno trascinando il trolley. Si girò a metà strada, gli scoccò uno sguardo di sufficienza e sulle sue labbra si dischiuse un sorriso a trentadue denti.
< Tu non vieni? > chiese.
 
                                                                                                       ∞
 
< Ma ce la fai? Siamo qui da una vita, dobbiamo andare! > esclamò stufo.
< Scusa se non mi va di sfracellarmi contro il muro > replicò lei arrabbiata.
< Ma non ti succede niente, te l’avrò già detto quindici volte negli ultimi tre minuti. Ora per favore vuoi passare al di là di quella parete, per le mutande di Merlino? La gente comincia ad insospettirsi! >
Erano fermi da una mezz’ora generosa a fissare i mattoni del pilastro a metà tra i binari 9 e 10.
La guardava fare un passo avanti e un secondo dopo uno indietro. Più lungo.
Aveva persino provato a darle qualche spintarella discreta, ma lo sguardo omicida della ragazza lo aveva fatto desistere. Non rimaneva altra scelta. Per il bene dei suoi nervi e di quelli del disgraziato che si era preso la briga di fare un viaggio in treno solo per loro due. Lui avrebbe di sicuro apprezzato.
L’aveva rovesciata sul carrello, a cavalcioni sui bagagli, ignorando prontamente gli insulti e i pugni e si era messo a correre il più veloce possibile pregandole di stare zitta, finchè il chiasso della stazione a mezzogiorno non era sfumato nel suono ovattato del silenzio.
E lei? Lei era scesa tranquilla, come se nulla fosse e adesso lo richiamava all’ordine, come se quel tremendo ritardo non fosse colpa sua.
Ficcò le mani in tasca e si avviò verso la scia tracciata dalle ruote della valigia di Astrid.
Aveva smesso da tempo di farsi domande, ma soprattutto di provare a darsi risposte, per quello che riguardava la sua nuova amica.
 
 
Naftalina. Quello era per James l’odore di un buon ricordo. Il suo maglione preferito, rosso, il primo che nonna Molly gli aveva regalato per Natale, ormai le maniche arrivavano al gomito, ma veniva lo stesso custodito gelosamente nell’armadio, sapeva di naftalina; il mantello dell’invisibilità, la prima volta, quando papà glielo aveva consegnato di nascosto, un segreto tra loro due, sapeva di naftalina.  
E anche adesso che il piede destro aveva pestato il primo scalino del treno, nonostante le narici fossero inebriate dal profumo di scirocco della pelle di Astrid, l’unico odore conficcato tra i suoi pensieri era quello pungente e dolciastro della naftalina: il sapore delle immagini che quei binari e la stazione in cui terminavano erano in grado di rievocare.
Gli era sempre piaciuto andare ad Hogwarts. Del resto, a chi non sarebbe piaciuto andare in un posto del genere?
Adorava tutto di quella scuola. A parte studiare.
Non era un ragazzo svogliato, se si metteva d’impegno riusciva a cavarsela piuttosto bene senza sforzi eccessivi, era il concetto stesso dello studio che non faceva per lui. Non aveva nessuna intenzione di perdere la maggior parte del divertimento e delle infinite possibilità che solo quel tipo di scuola potevano offrirgli stando chino sopra pagine fitte e compiti sadici.
La conoscenza teorica avrebbe potuto reperirla in qualsiasi momento, sfogliando uno qualsiasi di quei suoi vecchi testi.
Lì aveva deciso di imparare la vita.
Trascinò stancamente il baule e lo issò sul portabagagli senza sforzo. Era decisamente più leggero di come lo ricordava. Si soffermò ad accarezzare le sue iniziali incise sulla pelle consunta; li sentiva. Poteva sfiorare tutto quello che quei sette anni gli avevano regalato, tutti i ricordi a cui quella valigia aveva fatto da scrigno: Il suo primo incantesimo, il primo calderone esploso, i cui resti esibiti con sfacciataggine erano rimasti monito per gli anni venturi. Il suo primo bacio. Le fughe notturne, gli amici, le avventure, le risate, il primo volo su una scopa vera.
Adesso, quella cassa, era diventata la metafora della sua vita senza Hogwarts. Vuota.
Si lasciò cadere sulla poltrona, vicino al finestrino e si godette lo spettacolo di Astrid alle prese con una valigia strapiena da sollevare troppo in alto per le sue forze. Le domandò se avesse bisogno di aiuto, ma venne liquidato con un seccato “Ce la faccio benissimo da sola”.
Era bella. Bella di quella bellezza che la rendeva così particolare. Bella anche così, con la fronte imperlata di sudore, le guance rosse per lo sforzo, i capelli scarmigliati, l’espressione sofferente ed imbronciata ad arricciarle il naso e le labbra.
Finalmente la vide accasciarsi sul sedile soddisfatta.
< Beh, che hai da guardare? > sbottò lei.
James distolse lo sguardo, colpevole e frugò nello zaino accanto a lui nascondendole il viso, all’improvviso più colorito.
< Tieni > disse porgendole una grossa busta di carta chiusa da un pezzo di scotch.
Lei la prese con aria interrogativa e la posò sulle gambe, incerta.
< Aprila > suggerì.
La vide scartare il pacchetto con calma, curiosa e si beò del fiorire di quel sorriso meraviglioso, spontaneo, sulla bocca morbida.
< Non è un viaggio senza qualcosa da mangiare, no? > chiarì.
< James! Ma… io non ti ho portato niente di mio da assaggiare > mugolò colpevole.
James sorrise e pescò dal sacchetto una scatola di gelatine tutti i gusti +1.
< I dolciumi babbani sono noiosi > sentenziò ficcandosene una manciata in bocca.
Porse i dolcetti ad Astrid con aria di sfida.
< Insieme hanno un gusto strano, ma i sapori peggiori vengono coperti. Una sola è per gli amanti del rischio > sussurrò ammiccante.
La ragazza sbirciò attenta le gelatine, sporse in avanti la testa e scelse con cura, estraendo la prescelta con due dita e precisione chirurgica. Scoccò a James uno sguardo malizioso e fece sparire il boccone tra le labbra. Quando cominciò a masticare la sua espressione sicura vacillò rapidamente.
< Mmm. Broccoli > biascicò schifata.
< Posso osare di più > decretò tuffando nuovamente la mano tra le caramelle.
Trascorsero le due ore successive a rincorrere cioccorane, collezionare figurine ed affumicare lo scompartimento soffiando fumo di piperille nere.
Si sentiva di nuovo un ragazzino. Si sentiva libero. Libero come la risata argentina di Astrid che continuava a risuonare leggera alla scoperta di ogni nuovo effetto di uno qualsiasi di quei dolci magici.
< Sai, la cosa più entusiasmante che mi è successa con le caramelle normali è stato di trovarne due in una bustina sola. Mi sono sentita invincibile per tutto il resto di quella giornata > dichiarò la ragazza ficcandosi in bocca l’ennesima ape frizzola e alzandosi di cinquanta centimetri buoni da terra.
< Questo però è decisamente meglio > constatò euforica.
James sospirò e si distese sulle poltrone, appoggiando le braccia dietro la testa.
< Mi chiedo cosa diranno i miei > mormorò assorto.
< In merito a cosa? > chiese Astrid ritornando seduta malvolentieri.
< Riguardo al mio futuro da insegnante di Pozioni >
La ragazza lo fissò interdetta lasciando a metà strada tra la busta e la bocca un pallino acido.
< Perché, non lo sanno ancora? > domandò sorpresa.
< No > rispose candido James.
Continuava a tenere lo sguardo rivolto verso il finestrino, gli occhi ostinatamente fissi sul paesaggio che scorreva veloce, al ritmo delle ruote sui binari.
< E scusa, cosa pensano che facciamo noi, qua? > riprese Astrid sporgendosi in avanti.
< Ecco… veramente non sanno nemmeno che siamo ad Hogwarts >
E così aveva confessato.
< Ah >
E Astrid non si era arrabbiata.
La sua voce continuava a risuonare atona nel silenzio dello scompartimento.
< E dove pensano che siamo, visto che non credo torneremo a casa per cena? >
Domanda lecita. 
< A Glasgow >
Risposta pronta.
Finalmente James si voltò a guardare la ragazza. Aveva paura.
Pregò perché gli interrogativi che continuavano ad affacciarsi sul viso pensieroso di lei non venissero espressi. A quelle domande avrebbe per forza dovuto mentire: le risposte non le conosceva nemmeno lui.
Il perché non lo sapeva ancora, ma tutte le volte che si immaginava ad insegnare Pozioni arrossiva di vergogna. E al tempo stesso si sentiva a casa.
Era combattuto.
E aveva paura. Di essere giudicato, questo era poco ma sicuro, ma anche di arrivare a cinquant’anni suonati con il rimpianto di aver ignorato l’unico posto che sembrava adatto a lui senza nemmeno aver tentato.
Sospirò.
Il suo curriculum post-scolastico si era rivelato decisamente deludente. Allo scoccare dei sette anni aveva cominciato l’addestramento da Auror; aveva impiegato una settimana per capire che quel lavoro non gli interessava affatto. Si era ritirato il mese successivo, solo per non dare eccessivo dispiacere a suo padre. Al secondo rifiuto di un posto al Ministero, anche Harry si era accorto che qualcosa non andava.
Si era quasi rassegnato ad accettare un rispettabilissimo, ma terribilmente noioso lavoro all’ Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale quando aveva incontrato Astrid. E quella pazza lo aveva inconsapevolmente spinto a buttarsi.
Ma questa sarebbe stata solo una prova. Una prova che avrebbe avuto lui come unico testimone e lei come motivatrice ignara.
James sussultò quando la ragazza lo trafisse con lo sguardo. Era teso, il collo e le spalle gli facevano male, ma dovette irrigidirsi ulteriormente per resistere all’esame di quegli occhi attenti e indagatori.
All’improvviso la vide distogliere lo sguardo e rannicchiarsi sul fianco, anche lei sdraiata sui sedili.
< Beh, non so tu, ma io a Glasgow non ci vado > sussurrò chiudendo gli occhi.
< Preferisco Hogwarts > ammise < Con te >
< Quindi > sottolineò lanciandogli un ultimo sguardo < Io non vado da nessun’altra parte >
< Grazie > mormorò James, tirando un sospiro di sollievo.
Più per non avergli chiesto niente che per altro.
< I viaggi lunghi mi fanno venire sonno > sorrise lei.
< Svegliami quando stiamo per arrivare > biascicò a metà di uno sbadiglio sfacciato e colossale.
< Ai suoi ordini > fu la risposta del ragazzo.
La osservò addormentarsi accoccolata sul sedile.
Chissà se aveva capito. Non sapeva ancora come, ma sembrava che lei riuscisse a intuire sempre la verità dietro alle parole. Si diede dello stupido per averla accusata ingiustamente, la sera prima; era risultato necessario l’intervento congiunto della sua cuginetta preferita e di Malfoy per farlo ragionare. Si era comportato male, ma aveva avuto le sue ragioni. E forse, più avanti, le avrebbe spiegato. Tutto.
 
                                                                                                                 ∞
 
Stava sognando quando la mano calda di James l’aveva strappata dolcemente dalle braccia di Morfeo.
Il buio aveva invaso lo scompartimento, avvolgendolo con bende di seta, lo stesso buio che ora si stendeva piatto fuori dalla sua finestra, a sbarrarle lo sguardo e i pensieri.
Il treno li aveva abbandonati alla stazione di Hogsmeade.
Erano soli. Tremendamente, indiscutibilmente terribilmente soli.
Spaventata, si era stretta a James che euforico l’aveva condotta fino al molo, dove una timida barchetta illuminata da una lanterna li attendeva remissiva. Dietro di lei il castello troneggiava minaccioso e scuro, a guardia dell’acqua di pece.
< Sai, sono quasi dieci anni che non salgo su una di queste. Il lago era illuminato a giorno, eravamo tantissimi e guardavamo verso il castello esterrefatti. E’ stato il momento più magico della mia vita >
Questo le aveva detto mentre lo sguardo ambrato si accendeva della luce di tutte quelle lanterne.
Astrid non poteva fare a meno di pensare che la vista davanti ai suoi, di occhi, era decisamente diversa. Vuoto, solitudine, tristezza. Le stesse emozioni che la accerchiavano anche adesso, nella stanza grande e stranamente fredda che aveva ospitato prima di lei tante ciarliere Grifondoro.
Era agosto, ma aveva avuto freddo, su quella barca. Accoccolarsi tra le braccia di James non era servito a niente. Nemmeno le candele della Sala Grande erano riuscite a riscaldarla. Il gelo di quelle pareti imponenti e vuote le era penetrato nelle ossa, nella mente, nel cuore.
Aveva mangiato poco ed in fretta, liquidando James con la scusa di essere stanca. Lui l’aveva accompagnata nella sala comune di Grifondoro, dove avrebbero dormito.
Rabbrividì al ricordo delle scale.
Il rumore di ogni passo rimbombava violento sul pavimento di marmo facendola sussultare e rimbalzando nelle immense stanze vuote, trapassandola da parte a parte. Non aveva prestato attenzione a nemmeno una delle parole di James, troppo concentrata a rimanergli appiccicata e a non scappare. Separarsi da lui e salire la scalinata dei dormitori era stato drammatico. James se ne era accorto e nell’aria era sfrecciata l’idea di dormire nella stessa stanza. Entrambi avevano perso l’occasione di afferrarla.
Adesso si trovava da sola, congedata da una buonanotte imbarazzata, ad occupare solo uno di quei tanti letti vuoti. Sussultò al pensiero delle compagne di stanza che sarebbero venute a visitarla quella notte.
No. Hogwarts non era decisamente come si era aspettata. Del resto, come aveva fatto a non pensarci, era pur sempre una scuola.
Che cosa è una scuola senza studenti?
E’ uno scheletro.
Vuota.
Triste.
Disgustosa. Come le gelatine tutti i gusti +1, se mangiate una alla volta.
Come lei.
 
 
 
 
 
 
 
Note della stonata:
Salve gente, volevo solo scusarmi per il ritardo apocalittico, sono stata molto impegnata ad apportare alcune modifiche al capitolo precedente che non mi piaceva affatto e a sopravvivere al nuovo inizio dell’anno accademico. Detto questo, spero solo che quello che ho scritto qui sopra sia passabile e prometto che poi me ne sto zitta.
Anzi, no. Prima ringrazio tutti quelle/i che leggono/preferiscono/ricordano/recensiscono/seguono; il vostro parere è sempre importante per me!
Vi mando un bacio,
Pesca
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: pesca56