Seduced by Sunlight
By Mistress Lay
Sezione: Naruto
Sottosezione: Arancione, Slash
Disclaimer: nessuno dei personaggi mi appartiene,
altrimenti fioccherebbero yaoi a destra e a manca… U.U
Notes: Un tempo indefinito fa avevo promesso una
ItaNaru, ma tra una cosa e l’altra ho dovuto declinare il mio proposito… ora
che sono psicologicamente dis-inspirata dalle mie fic su HP, mi dedico a
qualcosa che al momento mi sta riempiendo le giornate, ovvero il mondo di
Naruto, che ha provveduto a ri-contagiarmi! *.*
Tanto per cominciare, questa è una long-fic cui la coppia
principale sarà la ItaNaru, ovviamente, vista la presenza costante di
quell’idiota di Sasuke e la mia attitudine a combinare sadismi anche dove non
ce ne sarebbe bisogno, la ItaNaru non spadroneggerà per l’intera totalità della
fic. XD
Un’ultima cosa, per ora ho messo spoiler! tra gli
avvertimenti, ma solo in merito al particolare delle sorti di Itachi. Quando la
triste notizia diverrà di dominio pubblico, cancellerò tale avviso.
*
- Itachi, ti va di seguire il mio allenamento? -
Itachi si voltò con deliberata calma verso il fratello più
piccolo, prima di tornare a legarsi i capelli neri in una bassa coda. Non
riusciva proprio a capire quale sfortuna gli era capitata nell'avere un fratello
minore.
Non che ci fosse qualcosa di tipicamente sbagliato in quel
piccolo impiastro di Sasuke, semplicemente lui non era incline ad alcun gesto
che includesse affetto e dolcezza.
Inoltre Sasuke non demordeva, nonostante la piccola età si
era attaccato in maniera quasi maniacale al fratello maggiore, capendo
perfettamente che in Itachi c'era qualcosa che mancava a tutti gli altri membri
della famiglia Uchiha, papà Fugaku compreso.
E davvero Itachi era la promessa del clan.
Ci si aspettava grandi cose da lui, ma Itachi
straordinariamente aveva superato qualsiasi rosea aspettativa.
Lui era, semplicemente, Itachi.
Pensare che a soli otto anni era diventato chunin aveva
superato qualsiasi ambizione il padre nutrisse in lui, accompagnando quella
stessa ambizione a livello ulteriore.
Sasuke diede voce ad un gemito di stizza, gli andò vicino
tirandogli leggermente la stoffa della maglia: - Mi avevi promesso che oggi mi
avresti aiutato con l’allenamento… -
- Sai bene che non ti avevo promesso niente – ribattè il più
grande, s’infilò i sandali e si tirò in piedi, girandosi per osservare il
broncio che era apparso sul volto pallido di Sasuke – Ho da fare, Sasuke -
Il bambino sbuffò: - Tu hai sempre da fare –
- Perché non sono una bambino come te – lo rimproverò
senza freddezza Itachi – Perché non chiedi a papà? -
Sasuke disdegnò la domanda, scrollando le spalle.
Itachi sospirò: - Facciamo così, quando torno mi farai
vedere i tuoi progressi… –
Il più piccolo gli fece un lieve sorriso in risposta,
felice di aver ottenuto l’attenzione del fratello maggiore: - Vedrai, ti
stupirò! –
Itachi uscì da casa facendogli un lieve cenno con la
testa, in poco tempo raggiunse il limitare del boschetto di Konoha, dove spesso
andava ad allenarsi da solo, lontano dal suo curioso pubblico di parenti.
Solamente Shisui, suo cugino e migliore amico, sapeva qual
era il luogo preferito per allenarsi, ma rispettava la sua privacy e non lo
raggiungeva se non espressamente invitato.
Itachi poteva anche essere solamente un ragazzino, ma in
compenso era rispettato da chiunque, adulti compresi: all’accademia era
considerato essere un genio, i sensei lo coccolavano il suo ego con lodi
sperticate, a casa l’intero clan Uchiha vedeva in lui un perfetto erede,
ovunque andasse Itachi era una leggenda. Con il passare del tempo forse Sasuke
avrebbe sentito quella pressione sulla sua stessa pelle, ma per ora il bambino
si limitava a trotterellare attorno al fratello e basta.
Mentre con il piede spingeva contro un ramo di albero vide
con la coda dell’occhio uno strano strepitio tra il fogliame. Appena possibile
si fermò guardandosi attentamente attorno, fino a vedere un capannello di
bambini correre e gridare appresso a qualcuno.
Aguzzando la vista cercò di intravedere il poverino
inseguito e lo vide proprio mentre questi cadeva nella corsa, rimanendo in
balia del gruppetto di bambini.
Senza nemmeno pensare saltò giù dall’albero e atterrò poi
lì vicino, non chiese nemmeno che cosa stessero facendo perché vedeva
chiaramente i pugni e i calci abbattersi sul bambino che era caduto, prese per
la maglietta uno degli assalitori, strattonandolo violentemente fino a farlo
cadere a terra.
All’istante, ebbe l’attenzione di tutti i presenti:
potevano avere poco più di otto anni, il più grande dieci, li riconobbe come
alcuni dei marmocchi dell’accademia, quelli che cercano di spacciarsi per
futuri grandi ninja e poi correre dietro le gambe dei genitori alle prime
avvisaglie di difficoltà.
I bambini, evidentemente, lo riconobbero, e sbiancarono
immediatamente, sgranando gli occhi.
- Sparite! – ordinò senza alzare particolarmente la voce,
ma il tono era imperioso e potente e fece subito sobbalzare i bambini e correre
via verso il villaggio, senza emettere fiato.
Nel boschetto rimasero solamente Itachi e un piccolo ‘coso’
tutto raggomitolato su se stesso per terra.
Teneva le braccia di fronte alla faccia, come se ancora
tentasse di proteggersi, e le gambe ripiegate: quella strana visione turbò
Itachi perché, sulle ginocchia e sulle braccia, si notavano croste di recenti
ferite e qualche livido vecchio di giorni. Non era la prima volta, dunque, che
si trovava ad essere bersaglio delle angherie dei coetanei e dei più grandi.
Osservandolo più attentamente, Itachi notò i capelli
biondissimi, tutti scompigliati per la corsa, e la pelle leggermente
abbronzata, come quella di una persona che trascorreva molto tempo all’aperto.
Non l’aveva mai visto, ma era possibile anche del
contrario: era raro che si ricordasse di tutte le persone che incontrava,
soprattutto se non avevano niente di rilevante che rendesse più sollecitata la
memoria.
- Come ti chiami? -
Quel piccolo 'coso', curioso per quella interruzione
inaspettata della quotidiana sessione di maltrattamenti, sbirciò da sotto in
su, usando i piccoli spiragli tra le dita, e squadrò attentamente Itachi. Alla
vista, non sembrava molto minaccioso, aveva solo uno sguardo molto
disinteressato, ma, a parte quello, sembrava un adolescente come tanti. Uno di
quelli che lo picchiavano.
Si rincantucciò nel suo angolino, tra un cespuglio e il
tronco di un albero al quale aveva appoggiato lievemente la schiena, cercando
di sembrare più piccolo e innocuo possibile.
- Dico a te, sai! -
L'altro non si diede per vinto ma si avvicinò cautamente.
Se non fosse che a vista era chiaramente un bambino,
Itachi avrebbe giurato che quella piccola pallina dai capelli biondi altri non
era che un cucciolo. Un cucciolo. Maledetti bambini, sempre complicati.
- Rispondimi! -
L'altro scosse le spalle, incassando ancora di più il capo
tra queste. Stava lottando tra il desiderio di scoprire il volto e l'innata
paura di prendere altre sberle. In fondo, chi glielo assicurava che quel
ragazzino non voleva picchiarlo? Magari aveva mandato via gli altri solamente
per divertirsi da solo.
Itachi non era una persona portata alla pazienza, ma
questa era diventata ormai una questione di principio, si accovacciò vicino al
piccolo bambino e portò la mano fino alla fronte di questi, poi, vi spinse
contro, delicatamente, il dito indice, come spesso faceva con il fratello
minore, solo, con più dolcezza.
- Non ti faccio male -
Il bambino biondo spalancò gli occhi da dietro la
barricata delle sue dita, sollevò il capo, continuando a sentire contro la
fronte il dito premuto del ragazzino. Lo fissò attraverso le dita, ancora,
curioso, sorpreso.
Sì, aveva proprio uno sguardo strano quel ragazzino...
come se fosse continuamente tormentato da qualcosa. Era duro, ma non per questo
lo spaventava.
Tirò sonoramente su con il naso, affrettandosi ad
asciugare le lacrime e il naso con la manica della maglietta consunta e poi
tolse finalmente le mani dal viso.
Itachi si ritrovò a fissare con i suoi occhi onice quelli
di un bambino pressochè dell'età del fratello, di un azzurro così limpido che
gli ricordò l'acqua più pura. Aveva un viso diverso da quello di Sasuke,
paffuto, ma anche infinitamente triste, solcato dalle lacrime salate che aveva
cercato di nascondere, con tre buffi graffi lungo le guance.
Sembrava davvero un cucciolo di una qualche bestia strana.
Un cucciolo tutto occhi e tristezza.
- Il nome - ripetè Itachi serio.
L'altro non rispose. Maledetti bambini: ma a quell'età i
bambini non erano come cera malleabile tra le dita di chiunque? Non era il
momento per loro di cedere alla loro innocenza, all'ingenuità?
Perchè quel bambino era stato così facilmente bersaglio di
prese in giro e botte, perchè era così diffidente? Perchè così triste?
- Il nome - ripetè ancora una volta e, pensò, l'ultima.
Dalle labbra del bambino uscì un rantolo incomprensibile
assieme ad una goccia di sangue purpurea.
Itachi spinse ulteriormente il dito contro la fronte del
bambino: - Seduto - il più piccolo lo fissò un secondo, stupito da quel tono,
così imperioso quanto per niente venato dal dispregio e dall'astio. Aveva
ricevuto altri ordini, tutti pieni di odio, ma quello era diverso.
Abbandonò la presa sulle sue ginocchia e si sedette
sull'erba.
Il ragazzino lo guardò un secondo prima di alzarsi in
piedi: - Non ti muovere da qui - e sparì. Sì, letteralmente, sparì.
Il biondino rimase solo, seduto sull'erba, sentiva bruciare
ciascun ematoma sparso lungo tutto il suo corpo, ma la sorpresa era dipinta a
chiare lettere sul suo viso. Inconsciamente, si tirò le gambe contro il petto,
aspettando quello strano ragazzino.
Venne dopo neanche dieci minuti, con pochi e rapidi balzi
fu di nuovo di fronte a lui, con bendaggi e una bottiglietta trasparente in
mano.
- Stai fermo -
Intinse un pezzo di garza nella bottiglietta e la posò
contro la pelle sanguinante del bambino, aspettò pazientemente che questi si
divincolasse per il dolore. Sasuke lo avrebbe fatto, e si sarebbe persino
lamentato, almeno fino a quando mamma Mikoto non lo avrebbe rassicurato con la
sua voce dolce.
Non trovando nel bambino alcuna reazione, sollevò gli
occhi dal suo lavoro, fissando i propri in quelli del bambino: era sorpreso,
stringeva tra i denti le labbra, quasi a trattenere il dolore e il fiato e lo
fissava sorpreso, con i suoi grandi pozzi azzurri lucidi.
- Ti faccio male? -
L'altro scosse la testa.
Itachi lo guardò in malo modo, sicuro che quella fosse una
bugia: - Se ti faccio male dimmelo -
L'altro scosse nuovamente la testa.
Itachi riportò la sua attenzione alla pelle del ginocchio,
tolse la garza, prese un pezzo di benda e con questa bendò l'articolazione.
Controllò per un attimo il suo lavoro con occhio critico: non aveva mai curato
altri che non se stesso, gli riusciva un po' strano prendersi cura di quel
bambino sconosciuto.
Intinse di nuovo la garza nella bottiglietta e la passò
sulle altre ferite, i gomiti, la mano destra, lo zigomo, la tempia. Per
ciascuna di queste incerottò, disinfettò e bendò in corrispondenza delle
ferite, alla fine, osservò il suo lavoro cercando altre possibili ferite.
Solo allora si accorse delle lacrime del bambino che
scivolavano dagli occhi, scavandogli lungo le guance.
Inarcò un sopracciglio: - Perchè piangi? - domandò a
bruciapelo. Era per il dolore?
- Nessuno... - pigolò il bambino con voce sommessa -
Nessuno aveva mai fatto questo per me. Tutti... tutti mi... - la voce venne
meno, ma Itachi comprese ugualmente il significato di quelle lacrime.
Il primo gesto gentile. Ma chi era quel bambino da essere
così emarginato?
Gli mise una mano sui capelli, la premette leggermente,
quasi fosse un gesto di consolazione: in realtà non sapeva esattamente come
comportarsi, lui non aveva mai consolato nessuno e forse quel gesto, a qualche
bambino avvezzo a tali premure, non avrebbe significato niente, eppure, la
reazione che suscitò in quello strano bambino fu del tutto diversa. Il bambino
lo guardò con i suoi occhi bagnati di lacrime, gli rivolse un sorriso immenso,
che illuminò tutto il suo viso.
Così diverso da tutti i bambini che Itachi aveva mai
conosciuto, mai osservato. Gli comunicò una forza straordinaria, indicibile.
Perchè quel bambino ferito nel corpo e nel cuore aveva ancora un sorriso da
donare.
Ma per quanto tempo? Per quanto il sorriso avrebbe
continuato a mitigare il suo cuore? Fino a quando avrebbe trattenuto l'odio
dentro di sè prima di cominciare a provare sentimenti di vendetta e astio verso
tutto il mondo?
- Io sono Itachi - disse con voce ferma, sillabando
lentamente il suo nome. Che non andasse dimenticato...
Il bambino tirò su con il naso, asciugandosi con le mani
il viso, sorrise ancora, questa volta più timidamente: - Naruto. Mi chiamo
Naruto -
- Solo Naruto? -
- Uzumaki... Naruto Uzumaki -
Itachi accennò con il capo mentre con la memoria ripassava
con la mente i nomi dei clan ninja di Konoha. Nessun Uzumaki. Poi si alzò in
piedi: - Ti porto a casa - gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Non aveva
mai donato così tante attenzioni ad una persona, nemmeno ai suoi famigliari. Si
era lasciato forse commuovere da quel bambino singolare, ma, una volta
riportato a casa, lo avrebbe dimenticato, ne era sicuro.
Naruto osservò per un bel po' la mano che Itachi gli
porgeva, era grande, bianca, a palmo in su.
Era la prima volta che qualcuno si mostrava gentile verso
di lui, lo aveva curato, gli stava porgendo una mano atta ad aiutarlo. Una
mano...
L'afferrò con tutta la forza che la sua manina aveva, la
afferrò e si tirò su, aiutato anche da Itachi.
Una mano...
Il primo gesto gentile...
Itachi fece per sottrarre la sua presa, ma Naruto
continuava a stringerlo con la sua mano piccola e calda, con forza, quasi si
appoggiasse a quel gesto e a quella mano per trarne forza.
Per un attimo il più grande sembrò sul punto di chiedere
qualcosa, ma lasciò perdere le sue proteste: - Conducimi - disse semplicemente,
lasciandosi tenere per mano dal piccolo.
*
- Uzumaki? -
Fugaku Uchiha aggrottò le sopracciglia in modo critico,
quasi ostile, a quel nome, scotendo la testa, poi, per ingannare il figlio
maggiore dicendo, con finto tono colloquiale: - Non conosco nessun Uzumaki. Sei
sicuro sia di Konoha? Non mi pare che il cognome sia di queste parti... -
Itachi non si lasciò sviare dalla replica del padre,
piuttosto che fuggire il suo proposito, lo inseguì, fissando il padre dritto
negli occhi onice, quasi con rimprovero, colpevolizzandolo di quella risposta
così scarna e chiaramente falsa.
- Invece di occuparti di cose che non ti competono... -
continuò il padre - perchè non ti preoccupi per tuo fratello? Tua madre mi dice
che chiede continuamente di te... -
Itachi scrollò le spalle: - E' abbastanza grande per allenarsi
da solo -
Fugaku gli lanciò una breve occhiata accusatoria, prima di
lasciar perdere, come qualsiasi cosa che riguardasse il suo secondogenito.
Quasi con sprezzo, Itachi si domandò quando lo scarso potenziale di Sasuke
sarebbe diventato un problema per il capo del clan Uchiha e quando avrebbe
riposto anche sul bambino il peso dell'importanza della loro famiglia.
Si alzò in piedi e uscì dalla cucina, con lo sguardo
perforante del padre a osservarlo fin quando non fosse sparito dalla sua vista.
Non gli chiese nemmeno dove si stesse dirigendo, sicuro che stesse andando ad
allenarsi: ormai chiunque nella famiglia Uchiha dava per scontato che Itachi
facesse qualsiasi cosa per migliorare se stesso, forse era vero, ma era
irritante che credessero di saperlo a priori.
Nel corridoio incontrò la madre, che gli rivolse
immediatamente il suo solito sorriso caldo, portando una mano alla sua guancia
pallida: - Itachi, tesoro, sei rientrato presto... -
Sua madre, l'unica persona che offriva carezze e sorrisi a
tutti, compresi a Sasuke, l'unica che riusciva ancora a vedere in Itachi il suo
bambino, invece che un adulto che non aveva bisogno di nessuno. Se potesse
abbraccerebbe i suoi figli, invece che attenersi alla rigida educazione di
Fugaku e impedirsi di donare gesti di puro affetto materno.
- Madre... - il tono di voce di Itachi era meno aspro di
quello usato con il padre. Quella parola gli scivolò dalla bocca spontaneamente
e Mikoto accentuò il suo sorriso.
- Avresti dovuto vedere i progressi di Sasuke oggi! - gli disse
la madre, con una traccia di orgoglio nella voce.
A sentire i suoi genitori, sembrerebbe che Sasuke fosse al
centro dei loro pensieri, ma in realtà spartiva il cuore della madre senza
toccare quello del padre: Fugaku fingeva di interessarsi al figlio minore
quando Mikoto lo fulminava con lo sguardo, e aveva imparato a fingere così bene
che chiedeva di Sasuke anche in assenza della moglie, ma Itachi sapeva che
quella era una domanda vuota, meccanica, vedeva che i suoi occhi non si
illuminavano mai quando si accennava al bambino.
Eppure, anche la madre, nel parlare di Sasuke, lo faceva
sempre in materia di allenamenti, di progressi, di accademia. Forse anche in
lei quel gene Uchiha che tanto si sforzava di spronare sempre al meglio stava
contaminando il suo sorriso.
Itachi rispose solo con uno scrollare di spalle, la mano
di Mikoto gli sfiorò la guancia e scivolò via, portando con sè il suo calore: -
Sei più taciturno del solito... va tutto bene? -
- Certo - continuò a camminare verso l'uscita - Non torno
a cena - e se ne va.
Nella sua mente si era formato un piano ben congegnato ma
quando si ritrova di fronte agli scaffali della biblioteca della città quel
piano era crollato, confuso nei suoi
tentennamenti, anche se non era da lui tentennare: era stato sempre lui
a prendersi qualsiasi cosa volesse senza nemmeno chiedere. Eppure non poteva
definirsi nemmeno viziato, visto che le cose che desiderava non gli venivano
porte o donate, ma se le era dovute guadagnare con il sudore della fronte.
Era quello lo svantaggio e il vantaggio di appartenere ad
un clan di guerrieri ninja: anche se di una delle famiglie più importanti, un
clan di ninja non era di certo la stessa cosa di una casata nobiliare.
In ogni caso, non era questo il punto, il nocciolo dei
suoi pensieri è rivolto alle stranezze comportamentali che sta subendo a causa
della curiosità. Vuole sapere chi sia quel bambino dai capelli biondi che aveva
incontrato qualche ora prima.
Chissà se nell'albo delle famiglie è scritta quella di
Naruto.
Ancora una volta si stupisce di quanto gli venisse
spontaneo chiamarlo mentalmente per nome.
Scuote la testa, scacciando quel nuovo pensiero che
continua comunque a punzecchiarlo rimandandogli alla memoria l'espressione sul
volto del bambino, quella sorpresa, quelle lacrime, quel sorriso.
Anche le parole del padre lo fanno riflettere, forse le
aveva dette solo per distogliere la sua attenzione dalla questione, per
smorzargliela, eppure forse c'era anche un fondo di verità. Involontario.
Aggrotta le sopracciglia, identicamente a come aveva fatto
il padre poco prima e esce dalla biblioteca.
Che importanza aveva quel bambino per lui?
*
In mezzo ad una via di Konoha, tutti avevano occhi e
saluti per Itachi, lo osservano, confabulavano ammirati, sospiravano estasiate,
tutti gli occhi, tutta l'attenzione, era per lui, il piccolo genio Uchiha. Ad
Itachi, davvero, quella scena non faceva più nè caldo nè freddo. Era solo
noiosa routine, un giorno come un altro, ancora.
Eppure in quella giornata come tante ecco spuntare la sua
variabile indipendente, quella che capovolgeva le sue giornate: Uzumaki Naruto
era qualche metro davanti a lui, sta correndo nella strada sterrata, ha un
sorriso gioioso sul volto, i capelli biondi al vento, un livido sul ginocchio.
Sta correndo, e Itachi non riesce a credere alla gioia di
vivere che trasmette quel piccolo bambino.
Improvvisamente il piccolo cade, inciampò tra le sue gambe
probabilmente, e davvero da fuori poteva proprio sembrare così se non fosse che
nell'esatto istante in cui Naruto era passato di fronte al venditore di
ceramiche, questi non lo avesse scontrato. Non chiese scusa, diede solamente
una breve occhiata a chi aveva fatto cadere prima di riportare la sua
attenzione sui clienti.
Fu Itachi ad afferrare il braccio minuto di Naruto e
tirarlo in piedi: - Non si chiede scusa? - domandò al venditore, quegli fece
per ribattere ma vide il celebre ventaglio rosso degli Uchiha. Mormorò qualche
scusa frettolosa e non diede loro ulteriore attenzione.
Itachi tornò a fissare Naruto: - Ti sei fatto male? -
Il bambino scosse la testa con un enorme sorriso stampato
sul volto: - Ciao! -
Il più grande distolse lo sguardo dicendo: - Andiamocene - fece per avviarsi, quando la manina di Naruto scivolò nella sua, il bambino stava sorridendo, ancora, e quel sorriso minacciava di spaccargli la faccia in due da quanta felicità ne traspariva.
- Nessuno mi aveva difeso - proclamò allegro - Sei
gentile, Itachi -
Il moro sbuffò, contrariato per quella replica.
- Dove andiamo? - continuò Naruto, curioso.
- Dove vorresti andare? -
- Dove vuoi tu -
Itachi non disse altro, strinse la piccola mano,
premurandosi di lanciare occhiate fulminanti a chiunque li stesse fissando e
camminando fianco a fianco con quel bambino.
Forse si era sbagliato.
Forse... gli importava di quell'impiastro.
TBC
Commentate, commentate!
Miss