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Autore: Nidham    16/12/2014    3 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non riusciva a credere ai suoi occhi, non aveva il coraggio di farlo, non in quel luogo, non dopo tutti quegli inganni, eppure la sua anima gli urlava di smetterla di fare lo sciocco e correre da lei. Era l'ultimo stadio della follia o un istinto più forte dell'Oblio stesso?

Eilin si ostinava a non pronunciare verbo, ma rimaneva immobile, le mani ad artiglio sulle sbarre, le spalle erette, frementi, il corpo emaciato, quasi evanescente, ma ancora forte e pronto a scattare al primo segnale di pericolo diverso da quello costante e imprescindibile intrinseco in quel luogo.

Non era come se l'era immaginato; quella prigione sembrava troppo tranquilla, troppo asettica rispetto all'incubo in cui aveva creduto di trovarla, ma forse era stato uno sciocco a pensare che il dolore si nascondesse solo dietro feroci torture e muri di fiamme. Per lui, il più feroce tormento si era mostrato col volto imperturbabile e crudele del nulla, del silenzio, dell'assenza, ed era questo che aveva davanti, ora: un vuoto quieto e immobile, una prigione deserta senz'aria e senza fine, in cui la lotta per mantenere se stessi si perdeva in un abisso interminabile di inutilità e glaciale desolazione, in cui ogni passione, ogni barlume di energia veniva soffocato e corrotto da una stasi desolante, in cui, giorno dopo giorno, in un susseguirsi di istanti senza senso, anche l'animo più forte e determinato avrebbe finito inesorabilmente per trasformarsi in una larva contorta senza volontà e senza ragione alcuna per continuare a combattere.

Aveva creduto di dover affrontare un drago o orde di nemici demoniaci, ma non aveva capito che il più grande pericolo sarebbe venuto proprio da ciò che da sempre aveva oppresso e corteggiato la sua anima: il cupo e indifferente gelo del suo essere assassino.

Già le prime sbarre si stavano innalzando intorno a lui, mentre gli occhi severi e angosciati di Eilin si trasfiguravano in un muto lamento di monito.

Nella morte, quella donna fragile e infrangibile aveva abbracciato il nulla che l'aveva imprigionata, ma l'incontenibile testardaggine del suo cuore l'aveva protetta dal sonno senza sogni che avrebbe dovuto accompagnarla fino al definitivo oblio, permettendole di mantenere se stessa per qualche attimo ancora, permettendole di soffrire, ma esistere di fronte al destino e oltre di esso.

Zevran era cresciuto nel nulla, era stato educato per esserlo, tormentato per accettarlo, schiacciato per non abbandonarlo. La sua fiamma era sopravvissuta per anni sotto la grigia cenere del suo ruolo, per divampare radiosa al primo soffio del cambiamento. Eppure adesso, soverchiato dal peso invisibile di un'intera città dove la morte era sovrana e il suo volere comandava una pace infingarda di sottomissione, l'assassino sentiva i lapilli del suo fervore raffreddarsi, l'afflato incandescente del suo animo indebolirsi, la determinazione implacabile venirgli meno proprio a un passo dalla vittoria.

Questo significava quel simbolo così strano e incomprensibile, questo era il pozzo in cui affogare in se stessi e nella propria debolezza, questo era il cuore immobile dell'universo creato dalla follia dei maghi, la punizione per una brama crudele e la difesa sottile per un inconsapevole genere umano.

Quell'apatia così desolante e dolorosa era il mezzo più astuto e efficace per contenere la smania di potere e il furore selvaggio di esseri troppo potenti per essere contenuti da sbarre, esseri che non potevano trovare pace, ma erano costretti a vivere in mezzo alla sua assenza, in un'effige corrotta e contorta di essa che riusciva a trattenerli e placarli in una confusione immota, capace di fornire agli uomini e al mondo qualche anno di respiro.

I Custodi erano il prezzo di quella tregua, il sigillo sulla crepa formatasi in quel ghiaccio, la toppa su una frattura che senza di loro si sarebbe allargata e sfrangiata fino a vomitare sulla terra ogni più oscuro incubo di quell'universo.

Col loro sacrificio riportavano l'equilibrio e sanavano la rottura, ma l'equilibrio è uno specchio a due facce: la loro morte rigenerava la quiete, ma il loro dolore nutriva e curava l'arcidemone, in una spirale infinita in cui luce e oscurità continuavano entrambe a perdersi in un livido grigiore.

Probabilmente molti Custodi non si erano neanche resi conto del loro fato, avevano chiuso gli occhi sul volto puzzolente di un drago per non aprirli mai più e trasformarsi inconsapevolmente in parte di esso. Forse i Flagelli che si erano succeduti più frequenti o più forti erano nati proprio dallo strano e involontario caos creato da quei guerrieri troppo determinati per accettare pacatamente la loro totale e definitiva distruzione; forse coloro che, come Eilin, avevano resistito e lottato contro l'inevitabile, avevano finito per spostare l'ago della bilancia proprio a favore di chi avevano giurato di distruggere, in un bislacco e sardonico scherzo del destino, incomprensibile nella sua feroce ironia.

Mentre la mente di Zevran cercava di afferrare il bandolo di quelle nuove, contorte teorie, la sua mano si fece debole intorno al pugnale, tanto che solo con estremo sforzo e antico addestramento riuscì a conservarne la presa, prima che scivolasse sul pavimento, adesso chiuso, intorno a lui, da una fitta rete di colonne gelide, sottili come aghi e taglienti come lame.

Quando era successo? Quanto tempo aveva sprecato in assurde fantasticherie?

Eilin continuava a fissarlo e a non parlare. Perché si rifiutava di pronunciare il suo nome? Perché si trincerava in quell'assurdo silenzio?

Aveva bisogno di lei ed era così stanco, così esausto.

Quel silenzio crepuscolare era stranamente accogliente, come l'abbraccio della terra dopo una vita passata a combattere. Non c'era conforto lì, ma neanche disperazione e adesso questa sembrava quasi l'unica cosa importante, l'unica scelta possibile dopo tutto il dolore degli ultimi mesi, dopo le notti perse sul fondo di un bicchiere e i giorni spesi a cercare di dimenticare e pregare di non farlo. Che senso aveva combattere, se non esisteva vittoria?

Eilin era immobile e lo guardava.

I suoi occhi erano l'unica luce in quella tenebra senza vera oscurità, in quel regno senza coraggio e senza carattere. La sua fiamma baluginava timida e ostinata come un faro su un mare senza onde, inutile, immutabile.

Aveva bisogno di lei, della sua voce.

Quel silenzio era doloroso più del vuoto in cui stava sprofondando, perché solo quello era vera assenza, solo quello gli faceva capire che nel nulla mancava qualcosa.

Fu allora che se ne rese conto. Zevran alzò il volto, usando ogni frammento di volontà rimastogli. Quelle sbarre non si sarebbero spezzate con un gesto o una prova di forza. Quella prigione non poteva essere vinta da ciò che era nata per contenere: abbracciarne l'essenza senza esserne consumato, questa era l'unica cosa che avrebbe potuto salvarlo e salvarla, diventare nulla per scivolare nel nulla, essere ciò che era nato per diventare e sconfiggere il destino al suo stesso gioco.

Eilin era immobile e sorrideva.

Le sue guance brillavano del calore di lacrime mai versate, ma i suoi occhi contenevano l'unica luce in quella tenebra senza vera oscurità.

 

 

Ok, torno dopo un po' e dopo un capitolo che sto ancora cercando di modificare (ma mi serve una vera ispirazione, altrimenti farei peggio che meglio ^_^), con un pezzettino molto breve e che ho scritto di getto, approfittando di un'oretta libera tra le miriadi di cose che mi assillano ultimamente XD E' un capitolo di passaggio e spiegazione, penso il penultimo, a meno che l'ultimo non mi venga fuori troppo lungo per non spezzarlo in due... Ad ogni modo, spero sia migliore del precedente e che vi piaccia. Coraggio ahahahaha Siamo a fine!! Grazie, come sempre, per la pazienza, il sostegno e i consigli.

  
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