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Autore: Kia85    20/12/2014    16 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
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Ad Anya, per l’affetto che mi mostra ogni giorno e perché senza di lei questo capitolo non sarebbe mai stato finito. J

 

I’ll get you

 

Epilogo: “All together now

 

Il quartiere di Chelsea era davvero meraviglioso.

Paul era così entusiasta per essere andato a lavorare e vivere in quello che era sempre stato considerato il quartiere degli artisti. Tutto era incantevole, i colori vivaci, i suoni, gli odori… Dio, già lo amava.

Aveva fatto bene a vagare un po’ per le vie caratteristiche, di ritorno dalla stazione di polizia, ammirando affascinato il verde rigoglioso dei parchi, il Tamigi che scorreva tranquillo, il chiacchiericcio degli abitanti del quartiere, gli artisti di strada, i piccoli negozi di antiquariato…

Aveva anche individuato delle gallerie d’arte che gli sarebbe piaciuto visitare. Sicuramente agli occhi di qualcun altro sarebbe apparso come un turista che metteva piede per la prima volta a Londra. In realtà, vi era stato molte volte, sia per lavoro, sia per conto proprio. Ma non aveva mai avuto modo di visitare Chelsea. E ora ci sarebbe persino vissuto.

Quanto era fortunato? Aveva una importante carriera lavorativa, una fidanzata bella e famosa che lo adorava, un fratello affettuoso, una casa piccola e accogliente…

Certo, non doveva essere questo ad accendere in lui il desiderio di entrare in "quel" negozio.

Paul stava rientrando a casa, quando si accorse che proprio lì, di fronte il suo appartamento, vi era un negozio.

Un piccolo negozio di musica dall’aspetto piuttosto anticato. L’insegna in legno riportava il nome, "Il tempio del rock".

Paul non seppe perché si sentì attratto da quel luogo. C'era qualcosa di intrigante nel nome così come nell'aspetto. Ricordavano entrambi qualcosa di molto antico, qualcosa che Paul stava cercando disperatamente. Ma non era possibile. Lui odiava la musica!

Allora perché si sentiva attirato verso quel luogo come se fossero i due poli di una calamita? Non lo sapeva, ma decise che l'unico modo per scoprirlo fosse entrare e vedere con i suoi stessi occhi cosa ci fosse di tanto interessante.

Stava per attraversare la strada, quando il suo cellulare squillò nella sua tasca.

Si fermò davanti casa sua e prese il telefono: era Jane. Caspita, erano secoli che non prendeva lei l'iniziativa di telefonare. Un momento così era troppo prezioso. Paul doveva approfittarne.

No.

Rivolse un'altra occhiata al negozio davanti casa. Forse, pensò Paul mentre vedeva due ragazzini uscire dal negozio ridacchiando con complicità, avrebbe potuto recarsi lì un altro giorno.

Che cosa stai facendo, idiota?

In fondo il negozio non scappava e neanche il suo proprietario. Era forse l’uomo che si poteva intravedere dalla finestra?

No, stupido. Devi entrare ORA!

Così Paul scrollò le spalle e si voltò per rispondere a Jane ed entrare, nel frattempo, in casa.

Solo che al posto della voce delicata della giovane donna, udì un grido, qualcosa di disperato, un urlo tanto forte che dovette chiudere gli occhi.

Li riaprì l'istante successivo e la prima cosa che notò fu il battito accelerato del suo cuore e il sudore che imperlava la sua fronte. Sicuramente erano entrambi dovuti all'incubo appena avuto.

Era stato un incubo, vero?

Doveva essere un incubo, perché… caspita, perché nel sogno lui non conosceva John. Non era mai entrato nel suo negozio e di conseguenza John non era mai entrato nella sua vita.

Mentre quella doveva essere la realtà: Paul sdraiato nel letto di John, nella camera di John, con le braccia di John attorno alla sua vita, il bellissimo viso di John a pochi centimetri dal suo e il figlio di John addormentato tra lui e il padre.

Sospirò dopo aver inspirato profondamente. Sperava con tutto il suo cuore che fosse quella la realtà.

Non aveva mai fatto un incubo così potente e sconvolgente, da quando le cose tra lui e John si erano sistemate. Si chiese come mai. Forse era stato così felice nei mesi precedenti, che il suo inconscio si stava preoccupando di dargli qualche altro pensiero.

Grazie tante, stupido inconscio, proprio oggi tra l'altro?

Un lieve mormorio gli comunicò che John si stesse per svegliare e Paul decise di allontanare quel brutto incubo (perché di un incubo si trattava) per non farlo preoccupare.

"Buongiorno." gli disse l’uomo, stiracchiandosi leggermente, facendo attenzione a non disturbare il sonno del bambino.

Questo non gli impedì comunque di stringere appena il suo braccio intorno alla vita di Paul.

"Buongiorno." rispose Paul, ridendo per il solletico che gli aveva inavvertitamente causato.

"E buon compleanno." proseguì John, sporgendosi verso di lui per baciargli la guancia.

"Oh." disse Paul, muovendosi appena sul cuscino, "Grazie. Ma così farai arrabbiare Julian.”

John aggrottò la fronte, inclinando il capo con perplessità, “E perché mai?”

“Beh, ha detto di voler dormire qui così poteva essere il primo a farmi gli auguri.” spiegò divertito Paul.

“A me ha detto di voler dormire qui perché aveva paura del temporale.”

Paul rise dolcemente, mentre la sua mano si adagiò con delicatezza sui capelli del bambino per accarezzarli brevemente. Dormiva sereno, con la testa nascosta nel petto di John, la schiena rivolta a Paul e un braccio abbandonato sulla vita del padre.

“Oh, è molto furbo.”

“Altroché.” concordò John, “È figlio mio dopotutto.”

“Sì.” rispose Paul, annuendo senza poter distogliere gli occhi da Julian.

Erano veri, sicuramente era così: John, suo figlio, e Paul insieme a loro. Doveva essere tutto vero, perché la morbidezza dei capelli di Julian sotto le sue dita era concreta, e così anche il calore della mano di John sul fianco di Paul.

L’incubo che aveva svegliato Paul doveva essere finito. Non poteva essere nient’altro che uno stupido sogno, qualcosa che era stato prodotto dal suo altrettanto stupido inconscio. Non avrebbe più dovuto pensarci, rischiava solo di rovinare il giorno del suo compleanno, per non parlare del fatto che avrebbe fatto preoccupare John, e quella era l’ultima cosa che voleva.

No, non doveva pensarci. E per fortuna, un aiuto arrivò proprio dal bambino tra loro, il quale cominciò a svegliarsi e tornare alla realtà, aprendo i suoi grandi occhi chiari.

Li stropicciò appena, mentre John e Paul gli davano il buongiorno. Così facendo, permisero a Julian di diventare sempre più consapevole di dove si trovasse.

"Svegliati, piccolo, è mattina."

A quelle parole, il bambino guardò il padre sorridente, con occhi ancora piuttosto assonati, ma nonostante questo, trovò comunque qualcosa da dire.

"Papà?"

"Sì, amore?"

"È vero che non hai fatto gli auguri a Paul prima di me?”

"Gli auguri di che cosa?" domandò John, mostrando una finta curiosità.

"Di buon compleanno."

"Oh, è vero!” esclamò John, colpendosi la fronte con la mano, “Hai proprio ragione. Devo rimediare subito. Buon compleanno, Paul."

"Ma papà..."

Julian mise il broncio e il dispetto del padre lo fece diventare subito sveglio e più vispo che mai. John rise divertito, mentre Paul scuoteva il capo, sconsolato.

"Lascia perdere tuo padre, Julian." disse Paul, prendendo tra le braccia il bambino per consolarlo, "Se tu non glielo avessi ricordato, forse neanche mi avrebbe fatto gli auguri."

E così dicendo rivolse la linguaccia a John, che sembrava ancora deliziato dallo scherzo appena fatto al figlio. Julian rise, notando il gesto di Paul, e si affrettò a imitarlo.

"Anzi, sai che ti dico?” continuò Paul, “Penso che papà si meriti una bella punizione, che ne dici, piccolo?"

Il bambino esultò con gioia, essendo totalmente d'accordo con Paul.

"E sentiamo, di quale colpa mi sarei macchiato?" domandò incuriosito John.

"Alto tradimento." proclamò solennemente Paul.

"Misericordia.” esclamò indignato John, “Cosa prevede, dunque, questa punizione?"

Paul ci pensò un istante, prima di sorridere, segno che avesse appena avuto un’illuminazione.

"Che tu prepari la colazione per tutti e ce la porti a letto."

"Ma tu guarda.” borbottò John, incrociando le braccia, stizzito, “E se non avessi alcuna intenzione di farvi la colazione?"

"Allora, noi non ti parleremo più, dico bene, Julian?" disse Paul, tornando a guardare il bambino appollaiato sul suo grembo.

"Sì, non ti parleremo più."

"Due contro uno, eh?” sospirò John, decidendo infine di alzarsi dal letto, “A quanto pare, mi tocca proprio accettare la punizione."

"Esatto. E ora, fila in cucina.” ordinò Paul, trattenendo a fatica una risata e indicandogli la porta della camera da letto, “Meno chiacchere e più lavoro."

"E scommetto che voi mi aspetterete qui..."

"Ovvio, mio caro."

John scosse il capo rassegnato, prima di uscire dalla stanza, e Paul, sorridendo divertito, strinse a sé Julian che avvolse le braccia intorno a lui, mentre entrambi si accoccolavano di più sotto le coperte, per scherzare e giocare e aspettare insieme una succulenta colazione a letto.

E all’improvviso Paul capì.

Se quella fosse stata la sua realtà, allora era tutto a posto, perché stava bene così.

Ma se quello fosse stato solo un sogno, allora non voleva svegliarsi mai più. Era convinto che qualunque realtà lo aspettasse, una volta aperti gli occhi, non sarebbe mai stata bella come quel sogno, non l’avrebbe mai reso altrettanto felice.

Così strinse di più il bambino tra le sue braccia, percependo il suo calore, il battito del suo cuoricino nel suo petto, e per impedire che il suo corpo si risvegliasse da quel sogno, decise di aggrapparsi a lui.

A Julian e a John.

****

Per Paul il giorno del suo compleanno non fu molto più diverso dagli altri.

Aveva trascorso una piacevole mattinata con Julian al parco, mentre John era in negozio con George.

Nel pomeriggio, invece, aveva avuto diverse lezioni con i suoi allievi. Erano ormai aumentati a quattro, cinque ragazzini che volevano studiare la chitarra. Paul doveva ammettere che, nonostante l'iniziale disappunto per quel lavoretto, ora si trovasse abbastanza bene.

Non era di certo facile insegnare a dei ragazzini. Non tutti erano realmente interessati a imparare a suonare la chitarra. Forse alcuni di loro erano solo stati costretti dai genitori. Altri invece provavano una sincera voglia di suonare e migliorare la loro tecnica.

Tuttavia con tutti loro Paul aveva imparato a mostrarsi severo al punto giusto per farsi rispettare. I ragazzini moderni erano davvero indisciplinati. Quando si impegnavano, riuscivano a tirare fuori il peggio di Paul. Per fortuna che col tempo aveva imparato a essere paziente, e il merito era anche di John. Frequentare John  e suo figlio gli aveva mostrato quanta pazienza potesse esserci in un individuo. Così lui aveva imparato a cercare la sua, proprio come faceva John con Julian.

Questo era uno dei motivi per cui Paul arrivava sempre esausto nel corpo, ma soprattutto nella mente, alla sera. E la sera del giorno del suo compleanno non fu da meno.

Proprio ora stava tornando a casa, o forse era meglio dire che si stesse trascinando a casa. Era stanco sì, ma era anche un po' giù di morale.

Non si era fatto sentire nessuno dei suoi familiari per fargli gli auguri. Né Mike, né suo padre. Ovviamente Paul non aveva più otto anni, non avrebbe dovuto prendersela perché qualcuno si fosse dimenticato di fargli gli auguri di buon compleanno. Ma Mike e Jim non erano qualcuno, rappresentavano ciò che restava della sua famiglia.

Per di più, la sensazione di vivere solo in un sogno non lo stava aiutando affatto a stare meglio. Insomma, era la realtà, oppure si trattava di un maledetto sogno? Paul non sapeva più che cosa stesse vivendo. Non voleva che fosse un sogno. Non voleva aprire gli occhi, svegliarsi e rendersi conto che John non fosse mai entrato nella sua vita. O peggio ancora, che John fosse presente nella sua vita, ma non nel modo in cui stava sperimentando ora.

Come avrebbe potuto resistere?

Paul sospirò, costringendo se stesso ad allontanare una volta per tutte quello stupido pensiero.

Suvvia, Paul, un sogno non dura così tanto, si disse.

La notte non era formata da molte ore e sicuramente non da un'intera giornata. Paul non poteva sognare così a lungo. Era impossibile!

E se in realtà questo sogno non fosse stato concentrato interamente in una notte? E se ogni volta che si addormentava, Paul ripiombava in quel sogno nel punto esatto in cui l'aveva interrotto la sera precedente?

No, no e poi no. Era semplicemente ridicolo. Era la cosa più assurda a cui Paul potesse pensare ora. Sapeva perché stesse provando tutte queste cose.

Aveva solo paura di essere felice. Di essere davvero felice.

La felicità era sempre stata un’illusione per lui, non credeva davvero di essere felice prima di tutta questa storia. Si stava forse accontentando, aveva accettato tutto ciò che la vita gli aveva donato, senza mai rischiare per cercare altro. Eppure con John aveva rischiato, aveva avuto coraggio e aveva sofferto, ma ora, ora provava solo felicità. Certo, non pensava che la loro vita sarebbe stata priva di difficoltà d'ora in poi, ma se fossero stati insieme, avrebbero potuto superare tutto. Ne era certo.

Se solo fosse vero…

Oh dannazione!

Doveva sbarazzarsi una volta per tutte di quel maledetto dubbio che lo tormentava. Era già riuscito a non far preoccupare John quella mattina; non era sicuro di potercela fare di nuovo, dopo un'intera giornata di pensieri e domande e dubbi.

Così prendendo respiri profondi, cercò di pensare solo a cose belle, come per esempio, il suo compleanno. Sicuramente John gli avrebbe preparato qualcosa di speciale: una cena solo per loro tre e poi avrebbero guardato un film, accoccolati sul divano e si sarebbero addormentati tutti insieme questa volta...

Paul stava sorridendo fra sé per l'allettante quadretto ricreato nella sua mente, quando cercò nella tasca le chiavi dell'appartamento di John. Lui gli aveva procurato una copia poco tempo prima, dal momento che Paul aveva cominciato a dormire praticamente ogni sera a casa sua.

Il negozio era chiuso, notò Paul passando davanti al locale completamente immerso nel buio. Era piuttosto presto per chiudere, e la cosa lo fece preoccupare un po', ma se fosse successo qualcosa di grave, John l’avrebbe sicuramente chiamato sul cellulare.

Così si rilassò e aprì la porta. Anche in casa era tutto buio. Forse John era solo uscito un attimo con Julian, forse erano andati a prendere un regalo per Paul, perché John si era dimenticato di cercare qualcosa prima, o forse erano andati a comprare qualcosa da mangiare, o forse-

“Sorpresa!”

Paul quasi saltò per lo spavento, quando accese la luce in sala.

C’erano festoni e palloncini colorati e una grande tavola imbandita sopra cui erano sistemati stuzzichini di ogni genere; ma più di tutto, c’erano le persone a lui più care, gli amici, George e Pattie, i suoi familiari, Jim, Mike con la figlia e la moglie, e ovviamente John e Julian che corse verso di lui per abbracciarlo affettuosamente.

Tutti si affrettarono a fargli gli auguri di buon compleanno, e questo spiegò il motivo per cui nessuno si fosse fatto sentire durante la giornata. Ovviamente, stavano aspettando la festa a sorpresa.

Una sorpresa che, effettivamente, era riuscita in pieno, e Paul pensava di sapere chi ci fosse dietro tutta quella storia.

Rivolse a John, rimasto un po’ più indietro rispetto agli altri, un affettuoso sguardo di biasimo, ma lui si limitò a scrollare le spalle e sorridere incurante.

Quel sorriso, proprio quello fece sussultare dolcemente il suo cuore.

Forse, dopotutto, non stava sognando.

In un sogno il cuore non batteva così forte. O perlomeno non batteva in modo così reale, tanto che Paul lo sentiva persino nelle orecchie.

E dal momento che era sempre stato John a causare quell'incantevole sensazione, allora anche lui doveva essere reale.

Giusto?

****

La festa fu la più incredibile che Paul avesse mai ricevuto.

Le decorazioni erano così allegre, e la musica in sottofondo era decisamente perfetta, per non parlare dei regali avuti dagli invitati. Erano uno più bello dell’altro.

George e Pattie avevano preparato addirittura una torta speciale per lui, con panna, cioccolato e fragole, le quali erano state sistemate molto abilmente da Julian.

Paul fu molto grato a entrambi. Erano due ragazzi in gamba e meritavano tutta la felicità del mondo. Da pochi mesi erano stati dichiarati idonei per adottare un bambino e Paul sperava davvero che al più presto sarebbe arrivata una piccola creatura nella famiglia Harrison. Se lo meritavano, dopotutto. E George, finalmente,  aveva superato quella sorta di gelosia che aveva provato all'arrivo di Paul. Sarebbe stato per sempre il migliore amico di John, qualcosa molto vicino a un fratello.

A proposito di fratelli, Paul era stato incredibilmente felice di aver trovato anche Mike alla festa, ma soprattutto che avesse parlato molto con Jim. Solo pochi mesi prima Paul aveva informato il fratello di aver “ritrovato” il padre. La reazione iniziale di Mike era stata comprensibile: non aveva alcuna intenzione di sapere cosa gli fosse successo, né per quale dannato motivo Paul avesse cambiato idea, quando per tutta la vita aveva affermato di non volerlo perdonare. Ma di fronte alle insistenze di Paul, Mike aveva ceduto, aveva ascoltato la storia di Jim e alla fine, aveva accettato di perdonarlo. Era seguito un primo incontro, dove Mike era stato impacciato tanto quanto Paul, ma comunque l’avevano superato, anche perché l’evidente felicità di Jim era riuscita a contagiare anche i suoi figli. E quando si è felici, è tutto più facile, soprattutto riprendere un rapporto stroncato troppo presto.

Perciò ora, fu un’immensa gioia per Paul vedere Mike e Jim che parlavano, con la piccola Mary che dormiva beatamente fra le braccia del nonno. 

Non c'era stato bisogno di informare Mike riguardo la vera natura del rapporto che intercorreva tra Paul e John. Aveva capito da solo, e la cosa sorprese infinitamente Paul, quando a un certo punto della serata, si erano ritrovati a parlare solo loro due, come un tempo, come da piccoli a Liverpool, e Mike glielo aveva detto chiaramente e sembrava averlo accettato senza problemi.

Ma come aveva fatto a capirlo? Paul ovviamente era certo che Mike non avrebbe fatto scenate disdicevoli per la loro situazione. Tuttavia non avrebbe mai e poi mai immaginato che arrivasse a scoprirlo da solo. Nelle poche volte in cui si erano ritrovati tutti insieme, John e Paul avevano sempre cercato di essere discreti, almeno fino a quando anche il resto della famiglia di Paul fosse stato a conoscenza della loro relazione. Solo che a quanto pareva, l'unico in grado di essere discreto era stato John. Paul non aveva esattamente ottenuto gli stessi risultati. Tutt'altro! C'era troppo nel suo volto, nel sorriso speciale che rivolgeva a John, nei suoi sguardi carichi di un sentimento ben familiare a Mike, nella voce che si addolciva quando pronunciava il suo nome... E fu tutto questo a dire a Mike quali fossero i veri sentimenti di Paul. Lui, d'altronde, lo conosceva più che bene.

Ma la sorpresa di questa scoperta non durò a lungo e ben presto fu sostituita dalla felicità perché ora tutte le persone a lui care sapevano e condividevano la sua gioia, non lo giudicavano, non lo allontanavano.

Niente di tutto questo.

Ora andava tutto bene.

Così alla fine della serata, gli invitati tornarono a casa; Paul li ringraziò uno per uno,  prima di accompagnare il fratello nella sua casa. Sarebbero rimasti lì per un paio di giorni.

Poi tornò a casa di John e sospirando, chiuse la porta nel momento stesso in cui John scese dal piano di sopra. Aveva appena portato a letto un esausto e addormentato Julian.

“Allora?” chiese John, abbandonando la schiena al corrimano.

“Allora?”

“Ti è piaciuta la festa?”

Paul rise dolcemente e annuì, “Sì, moltissimo.”

“Anche la musica?”

“Soprattutto quella.” rispose, rivolgendogli uno sfacciato occhiolino.

“E’ un cd che ho fatto proprio per l’occasione, sai. Sbaglio o l’anno scorso ti avevo promesso una festa con moltissima musica?”

“Oh, era una promessa? Sembrava più una minaccia.” esclamò Paul, lasciandosi scappare una risata, “Ma ti ringrazio, davvero, è stato tutto perfetto.”

“E’ la verità?” chiese l’altro uomo, lo sguardo era diventato serio tutto d’un tratto.

Paul sussultò e batté le palpebre, “Certo, perché dovrei mentire?”

John lo fissò intensamente per qualche secondo, prima di avanzare verso di lui, "Perché è da stamattina che sembri strano. È forse successo qualcosa?"

"No, John, non è successo niente, non ti preoccupare. Sarà solo l'anno in più." rispose Paul, cercando di ridere per tranquillizzare John in primis, ma anche se stesso.

Solo che a quanto pare fallì, e John se ne accorse subito.

"Balle.” sbottò, ora a un soffio da Paul, “Sarò anche rintronato, vista l’ora tarda, ma sono sempre attento quando si tratta di te."

"Lo so." rispose Paul, abbassando lo sguardo.

"E sono convinto che tu stai mentendo ora, amore mio.” gli spiegò John, preoccupato, appoggiando una mano sulla sua guancia, incoraggiandolo a guardarlo negli occhi, “Perciò, posso sapere che cosa succede?"

Paul sospirò, sollevando infine il viso verso John. Non avrebbe mai voluto farlo preoccupare in quel modo: conoscendolo, anche John si era tormentato per tutta la giornata, dopo aver intuito il turbamento di Paul, domandandosi cosa fosse accaduto, se fosse stata colpa sua, se fosse stato qualcosa detto o fatto da John a causare tutto ciò.

Non meritava di essere tenuto all’oscuro, si convinse Paul, dal momento che proprio John aveva portato la felicità nella sua vita.

"Promettimi che non mi prenderai in giro."

"Perché dovrei prend-"

"Promettilo, John." lo interruppe Paul, portando un dito sulle sue labbra.

"D'accordo.” sospirò John, alzando gli occhi al cielo, “Prometto di non prenderti in giro."

"Bene, allora.” disse Paul, annuendo distrattamente dopo che John si fece una croce sul cuore.

All’improvviso, sotto lo sguardo affettuoso e curioso di John, tutti quei dubbi che avevano tormentato Paul divennero così… ridicoli. Pensava davvero che quello che aveva costruito con John, quello che stavano vivendo insieme fosse davvero solo un’effimera illusione?

“Stanotte ho avuto un incubo." mormorò con un filo di voce, come se fosse appena diventato timido.

"Che tipo di incubo?" chiese John, interessato.

“Mi ero appena trasferito a Londra per il nuovo lavoro, ed ero sul punto di entrare nel tuo negozio…”

“Oh, una specie di déjà-vu.”

Paul annuì tristemente, “Ma nel sogno non sono mai entrato e quindi non ti ho mai conosciuto.”

John aggrottò la fronte, turbato, "Ed era questo l'incubo?"

“Sì. Quando mi sono svegliato, pensavo che fossi troppo felice per poter vivere nella realtà. Pensavo che questo fosse un sogno e quell’incubo la vita vera.”

Paul si morse il labbro, leggermente ansioso mentre aspettava la reazione di John: una risata divertita, forse, oppure, a dispetto della promessa fatta, una bella presa in giro in stile Lennon.

Tuttavia John non fece nulla di tutto questo, anzi, lo attirò a sé, avvolgendo le braccia intorno alla sua vita e sorridendogli dolcemente.

"Ma, Paul, dovresti saperlo bene ormai."

"Cosa?"

"Che eravamo destinati a incontrarci.” rispose John, ridendo debolmente, “Se non fossi entrato quel giorno, l'avresti fatto quello dopo o quello dopo ancora. Che importa? Ciò che conta è che so per certo che ci saremmo incontrati, in qualunque modo."

"Ne sei sicuro?" ribatté Paul, non ancora del tutto convinto, "E se ci fossimo incontrati in modo diverso e non fossimo diventati amici né-"

"Basta, ora." lo mise a tacere John, poggiando un dito sulle sue labbra, "Te l'ho detto. In qualunque epoca, in qualunque universo ci fossimo trovati, io ti avrei scelto comunque e tu mi avresti preso con te, senza alcun dubbio."

Paul si sentì sorridere in modo più rilassato, permettendo a se stesso di godere del tocco caldo di John, delle sue parole dolci, del suo tono che come la più lieve delle carezze sfiorava la sua pelle.

"D'accordo, allora. Dimentichiamo questo incubo."

"È un'ottima idea." mormorò John prima di chinarsi per baciarlo dolcemente.

E fu quel tenero gesto, insieme a quanto John gli avesse appena detto, che convinse infine Paul che fosse proprio quella la realtà. Non era un sogno, non lo era affatto. Anzi, era un sogno, sì, ma divenuto realtà. E quello era davvero tutto ciò che Paul potesse chiedere alla vita.

“Mi dispiace di averti fatto preoccupare, John.”

“Non ci pensare.”

“È solo che sono così felice, con te e Julian, felice come non lo sono mai stato prima d’ora; e nel momento in cui l’ho realizzato, ho pensato che fosse impossibile che proprio a me fosse stato concesso questo dono, che questa immensa felicità fosse vera.”

“È vera, Paul, perché noi siamo veri.”

Paul annuì, nascondendo il volto nel collo di John, lasciando che lui lo tranquillizzasse con le carezze sulla sua schiena e le labbra che sfioravano la sua fronte. Incredibile come con poche, semplici, giuste parole John potesse allontanare le sue paure. Certo che loro erano veri, John era vero e caldo e tra le sue braccia, profumava di buono e di un futuro con Paul.

“Va meglio?” chiese poi John.

“Sì, grazie, John.” rispose Paul, regalandogli un bacio sfiorato sulle labbra.

John sorrise e senza timore, fece scivolare la mano in quella di Paul e intrecciare le loro dita.

“Dai, vieni con me, c’è qualcosa che ti farà dimenticare questo brutto incubo una volta per tutte.”

“Di cosa si tratta?” domandò Paul, curioso, lasciando che John lo conducesse di nuovo in salotto.

John non rispose. Si limitò ad avvicinarsi alla libreria e sfilare dallo scaffale più alto un oggetto che poi porse a Paul. Era una confezione quadrata, leggermente più piccola di uno dei tanti LP che aveva John, ma decisamente più spessa, per non dire pesante. Era avvolta in una carta argentata lucida sopra cui spiccava un bel fiocco blu oltremare.

“E’ un regalo?” domandò Paul.

“Cos’altro potrebbe essere?” rispose John, con una lieve risata.

“Beh…” iniziò a dire Paul, scrollando le spalle, “In realtà, pensavo che il regalo fosse la festa a sorpresa.”

“La festa era solo una festa, piccolo, ma è questo il mio regalo di compleanno per te. O più precisamente, un anticipo del vero regalo.”

Paul aggrottò le sopracciglia perplesso, non riuscendo proprio a capire cosa potesse nascondersi dietro le parole di John: di solito era bravo a realizzare cosa frullasse nella sua mente, ma era anche vero che John sapeva essere così dannatamente misterioso certe volte. Faceva desiderare a Paul di poter leggere nella sua mente. Eppure come qualunque altra relazione che si rispetti, Paul capiva anche che fosse giusto un po’ di mistero. Era ciò che rendeva il rapporto più irresistibile, inebriante, incredibile.

“E’ inutile che ci provi.” disse John, destandolo dalle sue riflessioni.

“A fare cosa?”

“A leggermi nel pensiero, idiota.” rispose John, dandogli una leggera pacca sulla spalla, “Fai prima a scartare il regalo.”

Paul rise e alla fine si decise a seguire il consiglio di John. Si sedette sul divano, impaziente a questo punto di sapere cosa si nascondesse oltre la carta regalo, e cominciò a togliere prima il fiocco blu e poi la carta.

Tra le mani si ritrovò quella che sembrava una scatola di velluto verde smeraldo.

“Aprila.” lo incoraggiò John, accovacciandosi di fronte a lui.

Paul obbedì. Fece scattare l’apertura e sollevò il coperchio. Non sapeva davvero cosa aspettarsi, dentro quella scatola, ma di certo non una scintillante targa di ottone.

“Cosa significa?” chiese titubante.

“Leggi bene cosa c’è scritto.” gli suggerì John con un cenno del capo.

Paul tornò a guardare la targa e il suo cuore fece un piccolo salto all'indietro.

C’era un bellissimo pentagramma inciso: era leggermente ondulato, con una chiave di violino all’inizio, ma al posto delle note musicali c’era scritto…

“Scuola di Musica Lennon/McCartney?”

“Sì, forse preferisci McCartney/Lennon?” chiese John, mordendosi il labbro ansioso.

“Cosa... John, non capisco…”

Cosa significava, voleva chiedere, ma all'improvviso Paul si ritrovò senza parole.

No, in realtà le aveva, le parole, aveva tante domande da fare a John su ciò che era stato inciso sulla targa, che Paul non sapeva da dove cominciare.

John  sospirò e si alzò in piedi, solo per andare a sedersi accanto a Paul.

“Lo sai, Paul..." iniziò a spiegare, appoggiando una mano su quella di Paul, "È da diverso tempo che ci penso. Con il lavoro che hai fatto con me e quello che fai ora, con tutti quei ragazzini, penso che dovremmo proprio aprire una scuola di musica."

"Una scuola di musica?"

John annuì, sorridendo, "All’inizio tu potresti occuparti delle lezioni di chitarra, e quando avremo ingranato un po’, potremmo assumere insegnanti di altri strumenti musicali.”

Paul non poteva credere che John facesse sul serio, ma conosceva quel particolare sorriso che ora gli stava rivolgendo. Era quello che prometteva esperienze elettrizzanti, nonché qualcosa che Paul avrebbe amato moltissimo.

“John, perché stai facendo tutto questo?"

"Perché so quanto ti piaccia lavorare, ma capisco che questa situazione sia troppo traballante. Voglio aiutarti a renderla più sicura. Forse un lavoro che ha a che fare con la musica non sarà ciò che avevi sognato, ma è pur sempre qualcosa."

"No, John, non è quello il problema." si affrettò a dire Paul, scuotendo il capo per rincuorarlo, "Voglio dire, come faremo con tutto il resto? Che ne sarà del tuo negozio?”

“Lo lascerò a George.” rispose prontamente John, "Ne avrà bisogno."

“E i soldi per questa scuola, dove li prenderemo?”

“Li abbiamo, non ti preoccupare." lo rassicurò John, "Sono secoli che metto da parte dei risparmi."

"Non posso lasciare che li usi per me." protestò vivacemente Paul.

"Sì, invece. E comunque non li sto usando per te. Non solo perlomeno. Li userò per noi. Tu sarai l'insegnante e io mi occuperò di tutta la robaccia burocratica." rispose John, cercando di convincerlo, "E poi se non li uso per le persone a cui tengo di più, per chi dovrei usarli?"

John concluse con una dolce risata e un lieve rossore sulle guance, e Paul si ritrovò imitarlo. A quanto pareva John aveva pensato proprio a tutto. Aveva la risposta pronta per ogni domanda di Paul.

“John, sei stupendo, sai." sospirò Paul, "E anche questo sogno è stupendo, ma-"

"Davvero?" esclamò John, senza curarsi molto del fatto che Paul non avesse ancora finito la sentenza, "Significa che accetti?"

"Mi piacerebbe molto, ma abbiamo bisogno di un posto per la scuola, no? Dovremmo cercare un edificio apposta e comprarlo e-”

“Ce l’ho già.”

La risposta di John, l'ennesima risposta pronta, fece battere le palpebre di Paul, preso in contropiede.

"E qual è?"

John trattenne a stento un sorriso che aveva una punta di malizia, e si affrettò a prendere la mano di Paul; lo fece alzare in piedi e lo condusse verso la finestra che dava sulla strada.

"Vedi? È proprio lì, di fronte a noi." spiegò, indicando l'appartamento dall'altra parte della strada.

Paul spalancò gli occhi e si voltò verso l'altro uomo, non sapendo cosa dire. L'unica cosa che sapeva per certo era che gli occhi di John brillassero come Paul non vedeva da un po', ed era qualcosa che riusciva sempre a farlo impazzire.

"John, quella è casa mia."

John annuì e tornò a guardarlo, permettendo a Paul di notare ancor di più quell'entusiasmo che stava muovendo i pensieri e le azioni di John.

"Lo so."

Paul non aveva mai visto John così, come se fosse un bambino alle prese con un nuovo, incredibile giocattolo, e il suo stato d'animo, questa gioia ansiosa, riuscì a contagiare anche Paul, soprattutto perché la proposta di John prevedeva anche una soluzione che giaceva ora lì, fra di loro, come una presenza silenziosa fra John e Paul.

"E quindi..." continuò Paul, sorridendo, "Vorresti sfrattarmi per fare la nostra scuola di musica?"

"Oh no." rispose John, scuotendo il capo, "Pensavo di offrirti una sistemazione più allettante."

"Del tipo?" domandò Paul, e il sussulto del suo cuore gli fece capire che in qualche modo lui conoscesse già la risposta.

Ora era giusto che anche Paul ne venisse a conoscenza. Perciò attese, mentre John prendeva la targa dalle sue mani e la appoggiava di lato, così da far intrecciare le loro dita.

Poi, finalmente, John parlò.

"Vieni a vivere con me e Julian."

A quelle parole un brivido attraversò Paul. Nacque dalle mani strette con amore da quelle di John, per cui Paul pensò che forse lo stesso brivido attraversò anche il suo compagno. Il che lo rese deliziosamente affascinato.

Non poteva certo dire che Paul non ci avesse mai pensato. Era ovvio che quell’ipotesi avesse più volte attraversato la sua mente nelle ultime settimane. Solo che Paul non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con John; era qualcosa che in qualche modo lo spaventava, ma Paul sapeva che in fondo si trattasse di una paura buona, di quelle che si provano quando arriva un cambiamento importante nella propria vita, un cambiamento certamente positivo.

"John, io-" iniziò a dire con voce tremante, ma John quel giorno aveva sviluppato la sorprendente abilità di riuscire sempre a interromperlo prima che finisse di parlare.

"Lo so che forse è un po' affrettato.” spiegò John, gli occhi non avevano mai smesso di brillare con entusiasmo e amore, “Ma perché rimandare ancora? Ormai dormi praticamente ogni sera da me. E poi ho già fatto fare una targhetta simile a questa per la nostra cassetta delle lettere."

"Ah sì?” esclamò Paul, ridendo, “E cosa c'è scritto?"

John infilò una mano nella tasca dei pantaloni per estrarre subito dopo una piccola, lucida, targhetta rettangolare in ottone, sopra cui vi era inciso…

"Casa Lennon/McCartney."

Paul sorrise fra sé, prendendo tra le mani il nuovo oggetto. Sentì che lo stesso calore di John si stava ora impossessando del suo corpo, perché John sapeva essere impetuoso in modo assolutamente adorabile. Ogni cosa tra le sue mani diventava la più speciale ed emozionante, come quella targhetta, come i loro nomi uno accanto all’altro e Paul desiderava solo che fossero stati così per sempre.

"Sembra un’incantevole prospettiva."

"Lo è." concordò John.

"Allora se abbiamo già la targhetta…” continuò Paul, avvolgendo teneramente le braccia intorno al collo di John, “Sono costretto ad accettare, ti pare?"

"Sì, ma solo se lo vuoi davvero.” ribatté John, stringendolo allo stesso modo.

“John, io ti amo.” sospirò Paul, felicemente, “Come potrei non volerlo davvero?”

“Beh, ho scombussolato la tua vita..." disse John, allargando le mani sulla schiena di Paul e avvicinandolo a sé, forse per una sciocca e inconscia paura che potesse perderlo, ancora.

Paul sapeva che quella paura avrebbe accompagnato per sempre John, e la preoccupazione che aveva causato in lui quel giorno ne era la prova. Ma John non doveva avere paura, né del futuro, né di ciò che era accaduto nel loro passato.

“Tu hai scombussolato la mia vita?”

Forse avrebbero dovuto fare i conti ogni giorno della loro esistenza con quelle preoccupazioni, John con la sua paura di perdere Paul, e Paul con la paura di non meritare quella felicità.

“Certo. Io ti sono molto grato, Paul, perché hai portato ordine nella mia vita.”  affermò John, accorato, “Ma guarda cosa ho fatto alla tua. Il completo opposto. Ho portato il disordine. Prima avevi una sicurezza economica, una vita normale e ora-”

“Oh, John, smettila, per favore. Tu non hai portato il disordine.”

Paul sorrise, lasciandosi stringere dalle braccia di John, in modo che i loro petti si sfiorassero, in modo che il cuore dell’uno battesse all’unisono e accanto all’altro, come avrebbero fatto per sempre d’ora in poi.

“Hai portato una cosa molto più importante.”

“Cosa?”

Perché dopotutto, solo questo contava.

Che importanza avevano ora tutte le sofferenze che avevano affrontato, quei dolori, quelle delusioni, quella solitudine che avevano attraversato e gettato ora alle proprie spalle?

Che importanza avevano se ora uno aveva allontanato quelle dell’altro con un soffio?

Niente di tutto questo contava, se ora per Paul non c’era altro che John.

E il suo amore.

E la sua gioia.

E…

 “John, mi hai portato la musica.”

 

Fine

 

Note dell’autrice: infine ci siamo. Questa long che mi sembrava infinita all’inizio è giunta alla fine.

Ho avuto molte difficoltà per l’epilogo. Sapevo cosa dovesse accadere, ma non trovavo le parole. Anya mi ha fatto notare che forse non volevo farla finire a livello inconscio e mi sa che aveva ragione. Ma da quel momento grazie ai suoi incoraggiamenti sono riuscita a sbloccarmi e ora ci siamo. L'inizio del capitolo è preso da quello in cui Paul incontra John per la prima volta, A day in the life. :)

Non sono proprio soddisfatta, non so perché, per cui aspetto le vostre opinioni decisamente più obiettive delle mie. Magari speriamo anche in chi ha seguito e non ha mai recensito, che ne dite? J

Grazie a kiki come sempre per la correzione e il supporto che mi ha dato dall’inizio alla fine.

Grazie ad Anya, ovviamente, che mi ha dato il più grande incoraggiamento.

Grazie a chiunque abbia seguito la storia, solo all’inizio, solo a metà, o solo alla fine.

Grazie grazie grazie.

Speriamo di sentirci presto con una oneshot di Natale, eh? :3

Intanto a presto e buon weekend.

Kia85

   
 
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