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Autore: Lost In Donbass    21/12/2014    2 recensioni
California, 1987.
Questa è l'America della perdizione, della musica, delle libertà negate. E' il tempo di un'epoca giunta al limite, dove non c'è più niente da dire. E' l'America delle urla, delle speranze, dei cuori infranti.
Nella periferia di un'insulsa cittadina si muovono otto ragazzi, otto anime perdute e lasciate a loro stesse. Charlie se ne vuole andare ma gli manca il coraggio di voltare le spalle. Jimmie Sue spera, crede in qualcosa che la possa salvare ma a cui non sa dare un nome. Jake è al limite, soffoca tutto nel fumo, dimentica grazie all'alcol, non ne vuole più sapere. Jasper ha finito di sperare, di pregare, di credere; ha dimenticato cosa vuol dire piangere, cosa vuol dire vivere.
Tirano avanti come possono. Sono le creature di una periferia assassina e di una società fraudolenta e fallace. Sono dei bastardi senza gloria e senza onore.
E questa è la loro storia.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TERZO : THE FIRE BURNS FROM BETTER DAYS
Si consiglia l'ascolto di "Misery" dei Green Day durante la lettura.
Spero vi piaccia ;)



Siccome si stava facendo buio, Charlie decise di salutare i Gentiluomini con la promessa che sarebbe tornato il giorno dopo per “approfondire la loro conoscenza”. I ragazzi lo guardarono un po’strano quando disse che dopo le otto di sera lui non girava ma lo lasciarono andare senza obiezioni. Jake lo accompagnò fino a casa, e Charlie non gli poté più dire niente sul fatto della privacy della sua abitazione siccome aveva giurato un quarto d’ora prima che la banda sarebbe stata la sua seconda famiglia.
-Sai Charles, sono proprio contento che ti sei unito a noi! Sinceramente, hai dimostrato un certo coraggio. Ti avevo classificato più piscia sotto, ragazzo.
Jake si accese l’ennesima sigaretta con un mezzo sorriso.
Charlie lo guardò offeso, anche se un piccolo sorrisino gli increspava le labbra:
-E’ … è strano. Io che sono sempre stato così contrario a tutto ciò mi ritrovo mezzo invischiato in una banda … certo che la vita a volte … - lo disse più a se stesso che all’ altro, ridendo da solo.
-Beh, il bello della vita è che sei libero di cambiare opinione e renderti conto che certi pregiudizi sono ingannevoli- annuì Jake. – Perciò, che ne dici di provare una sigaretta?- aprì il pacchetto e gliene porse una con un ghigno tentatore.
-Ti ho detto che mi da fastidio il fumo!- strillò Charlie ridacchiando.
-Come ti sembrano i ragazzi?
-Uhm … non saprei … simpatici? Anche se non ho capito bene quella cosa dell’essere bravi a fare qualcosa …
Jake si passò una mano tra i capelli e cominciò a spiegare:
-Allora, ognuno di noi, te compreso, ha una capacità brillante ed è quello che ci rende speciali perché siamo un gruppo di gente con delle abilità avanzatissime che ci rendono superiori agli altri.
Il ragazzo assunse un’aria tra il sognante e il divertito.
-Quindi mi sapresti dire le capacità degli altri?
-Non vuoi la sorpresa?!
Charlie scosse il capo: – Meglio di no. Ti prego, dimmelo. Voi sapete che io sono bravo con i videogiochi, ma voi?
-Come vuoi. Io, modestamente, sono uno scassinatore degno di nota.
Jake evitò con una risata lo schiaffetto che Charlie puntualmente gli tirò con uno strillo:
-Ma Jake! Insomma! Non ti vanterai mica di essere un ladro!?
-Anche quella è un arte, caro Charlie. Un’arte molto complessa. E comunque, io scassino soprattutto. Rubo solo se è necessario.
Charlie scosse la testa ma non disse nulla, osservando l’altro severamente.
-Beh, poi ti posso dire che Ash è una mente matematica sopraffina, Frizzy è uno dei migliori atleti che io abbia mai visto ed è un battitore superlativo, Jeremy recita molto bene, Boleslawa ha un’abilità tutta sua nell’addestrare i topolini e i ragni, Jimmie Sue sa tipo … 4 lingue alla perfezione oltre all’inglese, quanto a Jasper … beh, lui ha un’ intelligenza strepitosa, da far impallidire chiunque. E non lo dico perché è il mio migliore amico. E poi disegna; fa dei ritratti tanto somiglianti da far paura. Toh, ti ho detto tutto.
Charlie spalancò gli occhi. Caspita, certo che era gente particolare quella con cui stava entrando in contatto! Jasper … a ben pensarci, ci aveva letto davvero qualcosa di speciale negli occhi.
-Scusa Jake, ma quello, o quella, che vi ha lasciato … si può sapere chi fosse?
Jake gli sorrise e soffiò qualche anello di fumo nell’aria tossicchiando:
-Era un prestigiatore. Davvero bravo con i suoi trucchetti, sai? Poi però l’avevano pestato a sangue perché aveva fregato della gente con i suoi giochi di carte, così, siccome era finito in coma, i suoi l’avevano portato in una clinica nella Georgia e lì poi è rimasto. Si è fatto togliere dalla banda per via del trasferimento, però siamo ancora in contatto con lui. Quando gli diremo che sei entrato con noi sarà di certo contento.
Charlie annuì soprapensiero e una morsa gli strinse lo stomaco. Pestato a sangue … glab, non voleva neanche pensarci.
-Domani mattina a che ora dobbiamo incontrarci?- chiese Charlie, tentando di togliersi dalla mente l’idea del ragazzo picchiato.
-Ma scherzi?!?- Jake rise ancora, genuinamente divertito. – Non si hanno orari, qui! Soprattutto d’estate! Che so, vieni quando vuoi … tanto, più o meno, qualcuno lo becchi. O se proprio non vedi nessuno, puoi sempre chiedere a qualcheduno nei paraggi.
Il ragazzo si rese conto quasi subito dell’espressione scioccata di Charlie, che sbottò con uno stizzito:
-E secondo te, mi metto a chiedere a quelli lì dove siete voi?! Guarda che mi fanno paura! Non si sa mai!
-Ma mica mordono, ragazzo! Va beh, facciamo che alle 9 ti vengo a prendere sotto casa, ok? Almeno le prime volte.
-Lo faresti?! Grazie!!- Charlie sorrise entusiasta. Oramai aveva capito che Jake era un bravo ragazzo e che si sarebbe potuto fidare. Perlomeno un poco.
Arrivati sotto casa Bailey, Jake lasciò Charlie con un sorriso rassicurante e un augurio di buona notte ridacchiato. Charlie lo guardò andarsene lungo la strada silenziosa, i suoi passi che risuonavano sul selciato. Una sorta di primitiva tristezza lo attanagliò, avrebbe voluto che Jake stesse ancora un po’ con lui … perché se ne andava già via? Sospirò aprendo la porta ed entrando nel salotto puzzolente. Vide delle bottiglie vuote per terra e sentì il sordo russare di suo padre, sepolto nel divano. Gemette come un pulcino:
-Mamma, dove sei?
Guardò la foto polverosa di sua madre posata sul tavolino. Era una bella donna, in effetti. Bella e stanca. Tanto stanca da andarsene per sempre lasciandolo da solo in quel degrado. Una lacrima silenziosa gli rigò la guancia, lacrima che lui lasciò cadere sul pavimento. Lacrima che rimbombò nel silenzio, pesante come piombo. Sua madre era stata egoista. Si, terribilmente egoista. Non aveva pensato a lui nel momento in cui aveva chiuso per sempre gli occhi.
-Sei egoista.
Charlie strinse i denti e lasciò il salotto mentre un’altra lacrima sgorgava dai suoi occhi scuri.  Quanto avrebbe voluto avere vicino Jake, affinché lo tirasse un po’ su di morale. Perché aveva letto in un libro che gli amici fanno così. Ma poi, Jake era davvero suo amico? Si buttò sul letto, schiacciandosi il cuscino sulla faccia. Troppe cose a cui pensare; in quel momento la sua testa non reggeva più nulla. Al diavolo quella stramaledetta foto.
Jake nel contempo stava tornando dai suoi amici, formando i soliti cerchi di fumo nell’aria scura della notte.
Pensava a Charlie. Quella sera era impegnato a fare i soliti giochi di fumo con le sigarette davanti al supermercato quando lo aveva visto. Una figura incerta sulle proprie gambe, che ostentava sicurezza; lo aveva ispirato da subito. Forse perché era diverso da tutta la gente che era abituato a frequentare. Aveva un’aria così innocente, così pura, un’aria assolutamente nuova per Jake. Era stufo, in effetti, di quello che vedeva ogni santo giorno. Niente di nuovo, tutto uguale nella sua diversità. Charlie era stato come una scossa elettrica: qualcosa che stonava nell’insieme! Qualcosa che Jake aveva bisogno di vedere e di contemplare. Oh si, qualcosa che interrompesse la sua monotona esistenza. Charlie. Rise al pensiero del candido ragazzo, che lui si era trascinato nel suo mondo, presentandolo come novità esclusiva ai suoi amici. Quasi come un prodotto che non si trova sul mercato. Un mercato di cose assurde e paradossali, dove per miracolo era riuscito a comprare un normalissimo tostapane elettrico. Un acquisto tanto ordinario quanto straordinario.
Rise da solo, scostandosi i capelli dagli occhi e cominciando a correre quando fu nelle vicinanze del Suicide Ghost Old Bridge. Lì ritrovò i suoi amici, esattamente come li aveva lasciati, ovvero a commentare cinicamente la situazione in cui si trovavano.
-Allora, Jake, accompagnato il tostapane a casa?- Jeremy ingollò una sorsata di birra da una lattina.
-Su, non essere maleducato Jerry! Perché lo chiami tostapane?- lo rimproverò Boleslawa, scuotendo la testa.
-Non so. Mi piace l’idea di chiamarlo così. Ha un non so che di originale- il ragazzo sogghignò, arrotolandosi la catena attorno alle mani.
-Sai, Jerry, anche a me era venuto in mente “tostapane” come soprannome- Jake si lasciò cadere stancamente sulla poltrona sfondata.
-E’ strano però. È come se fosse terrorizzato da tutto ciò che lo circonda- commentò Jimmie Sue. Lo aveva notato subito, come tremava al contatto con le loro mani, come impallidiva al sentire le regole, come si guardava nervosamente attorno. Jimmie aveva sentito addosso a quel ragazzino l’odore della paura anche se non riusciva a capacitarsi del perché fosse così.
-Su quello ci si può lavorare. E comunque non è così scemo come vuole sembrare. Finge di essere uno gnorri, ma nasconde un’intelligenza notevole, secondo me. Ma posso sbagliarmi- Ash si pulì gli occhiali, facendo scoppiare la bolla della gomma da masticare.
-Avremmo tempo di giudicarlo, ragazzi, non mettiamogli fretta- disse Frizzy. Esattamente come Jake, anche lui aveva visto in Charlie un qualcosa di nuovo da rimirare e da godere finché si poteva.
-Dove lo hai trovato, Jake?
Il ragazzo dai capelli bronzei sentì le unghie di Jasper accarezzargli il collo e non poté non deglutire rumorosamente. Immediatamente gli altri tacquero e fissarono Jasper con attenzione.
-Davanti al supermercato.
Jasper tacque arrotolando le sue lunghe dita pallide intorno alle collane di Jake. Quest’ultimo rimaneva immobile, sentendo la presenza che incombeva sopra di lui.
Odiava quando Jasper gli stava alle spalle e gli toccava il collo; non poteva soffrire questo comportamento adottato da quello che poi era il suo migliore amico.
-Perché lui?
-Ma che te frega, Jas?- Jake tentò di sottrarsi alla presa delle dita – Piuttosto, ti piace come acquisto?
-Forse. Potrebbe essere. Non saprei.
Jasper smise di solleticare il collo del suo amico e si sedette sul bracciolo della poltrona con un leggero sogghigno stampato sul volto pallido.
-A me piace come tipo- intervenne Jimmie Sue. – E’divertente.
La ragazza sorrise, un sorriso luminoso e splendente. Sì, aveva un fantastico sorriso a parte il fatto che aveva un dente scheggiato. Era caduta dalle scale quando era molto piccola, ma nessuno si era preoccupato di portarla all’ospedale così le era rimasto un dente rovinato. Anche quando si era rotta un polso cadendo dalla bici nessuno si era minimamente preoccupato di lei in lacrime con il polso tutto storto. Si era riaggiustato da solo, con l’aiuto dei suoi amici che avevano provato a steccarglielo, ma da sette undicenni non ci si poteva aspettare un lavoro di alto livello. Ma a Jimmie Sue andava bene così. Almeno aveva qualcuno che si preoccupava per lei e si accorgeva se c’era qualcosa che non andava.
-Anche a me. È un po’diverso dal solito!- esclamò Boleslawa, raccogliendosi i lunghi capelli in una treccia.
-Per  me è okay- disse Frizzy. D’altra parte, uno in più non poteva che giovare.
-Sono d’accordo, a patto che mi aiutate a fortificarlo nello spirito perché non può essere così pavido!- propose Jeremy. A lui non piacevano i pavidi e quelli che fuggivano dalle loro responsabilità. Forse perché lui stesso era fuggito dalla responsabilità di prendersi cura della sua sorellina … un’immagine terribile gli ritornò in mente. Qualche anno prima sua madre gli aveva detto di prestare attenzione a Lucy, la sua sorellina minore. Ma lui aveva altro a cui pensare, non poteva certo perdere tempo dietro a una marmocchia … così l’aveva ignorata e aveva lasciato che un tir la investisse. Tremò. Da quel momento aveva riservato un odio profondo verso tutte le persone che si comportavano come aveva fatto lui. Era affogato nell’alcol per dimenticare il sorriso innocente di Lucy.
La voce di Ash lo riscosse dai suoi cupi pensieri:
-Fate come volete. Se viene mi va bene, se non viene è ok lo stesso.
Tutti rivolsero il proprio sguardo su Jasper. Nonostante Charlie avesse firmato spettava poi al capo decidere se avesse potuto effettivamente stare con loro o no.
-Vedremo come si comporterà in questi giorni. Se verrà reputato degno di nota verrà ammesso. Se no, niente da fare.
Il ragazzo si fece accendere una sigaretta da Jake, soffiò qualche nuvoletta di fumo che si perse nell’aria e poi continuò:
 – Comunque, lo trovo un personaggio singolare. Merita di essere studiato.
-Sentite, che ne dite di andare a fare qualche graffito dal binario morto?- intervenne Jake alzandosi dalla poltrona e raccogliendo da terra una bomboletta verde acido.
Gli altri lo imitarono senza dire nulla e si avviarono tutti in gruppo verso la stazione dei treni poco fuori dalla cittadina. Era stata abbandonata tantissimi anni prima, e rimaneva oramai solo qualche carrozza in disuso e la fine di un binario morto. I binari erano stati mangiati dalla terra, così come il gabbiotto della stazione.
Binario morto … chissà perché ogni volta che lo vedeva, Jake vedeva loro. Un binario, come lo scorrere del tempo. La fine delle rotaie, come il fondo toccato da ognuno di loro. Le carrozze, come la loro anima perduta e soffocata. Eppure andarci gli piaceva, vedere una sorta di metafora delle loro vite. In uno strano modo, provava un certo amaro divertimento nell’andarci.
Balzarono tutti sugli skateboard o sulle biciclette e partirono alla volta del binario.
-Ehi, Jacky.
-Cosa, Jas?
I due rimasero un po’indietro tagliandosi la strada a vicenda, come erano soliti fare da quando erano piccoli.
-Perché ti ostini a voler andare in quel posto?
-Perché è lì che ci siamo conosciuti, io e te?- Jake ridacchiò, rischiando di cadere dallo skate.
-Smettila. E rispondi alla mia domanda. Vuoi che non mi accorga dell’ansia e della malinconia di cui cadi preda ogni maledetta volta che ci andiamo? Sono il tuo migliore amico, Jake. Conosco meglio te di quanto conosca mia madre.
Jake guardò gli occhi di Jasper e sospirò rumorosamente. A volte non riusciva a capire come facesse Jasper, semplicemente guardandolo, a capire tutte quelle cose.
-Dai, Jas. Io … non lo so. Non lo so- scosse la testa velocemente, evitando per un soffio un buco nell’asfalto.
-Non ti credo- Jasper lo guardò, con le pupille talmente dardeggianti che Jake si sentì quasi bruciare.
Il ragazzo sospirò ancora e distolse lo sguardo ma Jasper non insisté. Non insisteva mai. Semplicemente, gli diede una pacca sulla spalla e lo spinse con delicatezza avanti.
Si stava facendo buio, e non avevano nessuna voglia di rimanere troppo indietro rispetto ai  restanti Gentiluomini.
Dietro alla collina la luna si stava facendo avanti, e la cittadina si animava di quelli che Charlie aveva sempre chiamato “rovina della società”. Peccato che, tecnicamente, ora lo fosse anche lui.
 
 
  
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