Non avevo mai pensato alle conseguenze a cui tutto quello avrebbe portato.
Mi ero limitato a fuggire, scappare lontano, con lei. Sinceramente, non sapevo nemmeno perché lo avevo fatto. Paura? Risentimento? Senso del dovere? Non lo so.
Sapevo solo di doverla portare lontana da quel mondo fatto di orrori e tristi verità, lontana da tutto e da tutti. Lontana dal dolore. Non sapevo che le conseguenze di quella scelta non avrebbero fatto altro che aumentare lo strazio della verità. Allora era troppo piccola per comprendere, troppo piccola per sapere, troppo piccola anche per soffrire. L’avevo protetta, ma a che scopo? Le avevo mentito per quattordici lunghi anni. E ora?
Il momento della verità è stato più brutale di quanto non avessi preventivato.
“Tu non sei mia sorella” le ho detto.
Lei ha corrugato la fronte, incapace di comprendere quella dura realtà.
Le salde mura della sua vita sono solo un’illusione, destinata a cadere come un castello di carte malamente colpito dal vento.
Io sono quel vento.
Io, che ho cercato di salvarla dal dolore, che l’ho strappata alla sua vera vita, alla sua vera identità; io, che l’ho trascinata in questo mondo fatto di deboli bugie.
Io… Sirius Black.
Mi ha guardato come se fossi impazzito e ha riso a fior di labbra, scuotendo la testa. “Che stai dicendo Sirius?” mi ha domandato, con voce nervosa.
La ruga che le ha solcato lo spazio tra le sopracciglia è dura e ansiosa e non è scomparsa neanche quando ci ho passato sopra un dito.
“Perdonami” ho sussurrato, guardandola negli occhi.
Quegli occhi grandi, sinceri, di smeraldo… così simili a quelli di lei.
Così simili a quelli di Lily Evans.
Ancora una volta, mi ha guardato preoccupata, poi ha sorriso, ha abbassato lo sguardo e si è portata una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio. “Smettila di scherzare, non è divertente” mi ha detto.
Magari fosse stato uno scherzo.
Avrei pagato tutti i Galeoni del mondo, perché fosse così.
Ho deglutito a fatica, nella speranza di cercare le parole migliori per dirle la verità, ma non ci sono riuscito. Allora mi sono avvicinato a lei e l’ho stretta forte tra le mie braccia. È in quell’istante che lei ha compreso. Ha capito che non stavo scherzando e che ciò che l’aspettava sarebbe stato più duro di quanto sarebbe stata in grado di sopportare.
Le ho accarezzato la testa, quindi l’ho allontanata da me e gli ho poggiato le mani sulle spalle. “Tu non sei una Black” ho rivelato. “Il tuo vero nome è Alexis… Alexis Lily Potter.”
Avevo cercato di tenerla lontana dal mondo, in quegli anni, lontana dalle notizie e dalla guerra. Le avevo detto che ci spostavamo così spesso solo per una questione di lavoro e non perché orde di Auror mi erano alle calcagna per un crimine che non avevo commesso e che non avrei mai potuto commettere.
Uccidere i miei migliori amici.
È per questo che non è rimasta particolamente scioccata dalla notizia di essere una Potter. Si è limitata ad annuire, ancora incredula e incapace di comprendere. “Tu chi sei, allora? E perché mi hai portata via alla mia vera famiglia?” mi ha chiesto e la nota di dolore che le ha attraversato gli occhi mi ha stretto il cuore.
Le ho raccontato la verità e ho visto la sua espressione mutare sotto i miei occhi: dapprima si è limitata a corrugare la fronte, accentuando la ruga tra le sopracciglia, poi ha stretto gli occhi e ha cominciato a mordersi il labbro inferiore. Alla fine, lucide gocce d’argento sono scese a rigarle le guance. Non ha detto nulla, si è limitata a fissarmi e a piangere, in un silenzio che è stato più rumoroso di mille grida.
Sapevo solo di doverla portare lontana da quel mondo fatto di orrori e tristi verità, lontana da tutto e da tutti. Lontana dal dolore. Non sapevo che le conseguenze di quella scelta non avrebbero fatto altro che aumentare lo strazio della verità. Allora era troppo piccola per comprendere, troppo piccola per sapere, troppo piccola anche per soffrire. L’avevo protetta, ma a che scopo? Le avevo mentito per quattordici lunghi anni. E ora?
Il momento della verità è stato più brutale di quanto non avessi preventivato.
“Tu non sei mia sorella” le ho detto.
Lei ha corrugato la fronte, incapace di comprendere quella dura realtà.
Le salde mura della sua vita sono solo un’illusione, destinata a cadere come un castello di carte malamente colpito dal vento.
Io sono quel vento.
Io, che ho cercato di salvarla dal dolore, che l’ho strappata alla sua vera vita, alla sua vera identità; io, che l’ho trascinata in questo mondo fatto di deboli bugie.
Io… Sirius Black.
Mi ha guardato come se fossi impazzito e ha riso a fior di labbra, scuotendo la testa. “Che stai dicendo Sirius?” mi ha domandato, con voce nervosa.
La ruga che le ha solcato lo spazio tra le sopracciglia è dura e ansiosa e non è scomparsa neanche quando ci ho passato sopra un dito.
“Perdonami” ho sussurrato, guardandola negli occhi.
Quegli occhi grandi, sinceri, di smeraldo… così simili a quelli di lei.
Così simili a quelli di Lily Evans.
Ancora una volta, mi ha guardato preoccupata, poi ha sorriso, ha abbassato lo sguardo e si è portata una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio. “Smettila di scherzare, non è divertente” mi ha detto.
Magari fosse stato uno scherzo.
Avrei pagato tutti i Galeoni del mondo, perché fosse così.
Ho deglutito a fatica, nella speranza di cercare le parole migliori per dirle la verità, ma non ci sono riuscito. Allora mi sono avvicinato a lei e l’ho stretta forte tra le mie braccia. È in quell’istante che lei ha compreso. Ha capito che non stavo scherzando e che ciò che l’aspettava sarebbe stato più duro di quanto sarebbe stata in grado di sopportare.
Le ho accarezzato la testa, quindi l’ho allontanata da me e gli ho poggiato le mani sulle spalle. “Tu non sei una Black” ho rivelato. “Il tuo vero nome è Alexis… Alexis Lily Potter.”
Avevo cercato di tenerla lontana dal mondo, in quegli anni, lontana dalle notizie e dalla guerra. Le avevo detto che ci spostavamo così spesso solo per una questione di lavoro e non perché orde di Auror mi erano alle calcagna per un crimine che non avevo commesso e che non avrei mai potuto commettere.
Uccidere i miei migliori amici.
È per questo che non è rimasta particolamente scioccata dalla notizia di essere una Potter. Si è limitata ad annuire, ancora incredula e incapace di comprendere. “Tu chi sei, allora? E perché mi hai portata via alla mia vera famiglia?” mi ha chiesto e la nota di dolore che le ha attraversato gli occhi mi ha stretto il cuore.
Le ho raccontato la verità e ho visto la sua espressione mutare sotto i miei occhi: dapprima si è limitata a corrugare la fronte, accentuando la ruga tra le sopracciglia, poi ha stretto gli occhi e ha cominciato a mordersi il labbro inferiore. Alla fine, lucide gocce d’argento sono scese a rigarle le guance. Non ha detto nulla, si è limitata a fissarmi e a piangere, in un silenzio che è stato più rumoroso di mille grida.