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Autore: Meahb    13/11/2008    2 recensioni
Fino a che punto si spinge l’amicizia? Qual è la linea di confine tra amicizia e amore? E cosa succede quando il destino è convinto che due persone sono destinate a stare insieme, costi quel che costi?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I SHALL NOT WALK ALONE




“Friend of mine
what can't you spare
I know some times
it gets cold in there,
but you shall not walk alone, babe”*

 

Ben Harper

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Londra. Marzo 1993

 

Era come riuscire a vedere esattamente ogni colore. Come se la sostanza della Natura si stesse palesando ai suoi occhi, rendendola parte di se.
X si sentiva finalmente bene. Si sentiva in grado di vedere quella porzione di cielo che gli déi le avevano assegnato il giorno che era venuta al mondo.
Aveva capito, non senza lottare, che l’amore era il motore principale del mondo. Di ogni mondo. E di ogni vita.
Sia che fosse un amore finito, negato, calpestato, nascosto, sia che si trattasse di un amore  gioioso, palese, pieno.
Era pur sempre amore, anche se in forme diverse.
Si sedette a terra, respirando l’aria fresca del bosco.
Poteva andare avanti, adesso. Poteva tirar fuori il dolore e restituirlo alla Terra in attesa che la Terra lo donasse nuovamente a lei sotto forma di forza.
Chiuse gli occhi e…”

 

“Mmmh Mmmh”.
Orlando alzò la testa di scatto nel sentire qualcuno che tossicchiava davanti a lui.

Era una ragazza.

Non troppo alta, capelli neri fino alle spalle, occhi di un blu intenso e bocca carnosa.
Istintivamente le sorrise.
La ragazza ricambiò, quindi con un dito indicò il taccuino che lui teneva tra le mani.

“Hai qualcosa di mio”, disse.

Imbarazzatissimo, Orlando chiuse il taccuino nero e glielo porse.

“Perdonami”, si scusò, “Pensavo che qualcuno l’avesse perso”.

Lei gli sorrise, quindi prese il taccuino e se lo infilò in borsa.

“Grazie per averlo tenuto”, mormorò, “Probabilmente se non fossi stato così curioso i camerieri lo avrebbero buttato nella spazzatura!”

Lui le sorrise, quindi allungò una mano verso di lei, “Piacere, sono Orlando!”

Lei gli strinse la mano con vigore, “Orlando? Come il nome del mio compositore preferito!”

Incredulo, Orlando la guardò, “Sarebbe?”

“Orlando Gibbons, non so se lo conosci”, si mise seduta accanto a lui, tirando indietro i capelli, “E’ vissuto alla fine del ‘500. Era uno tosto!”, ridacchiò, “Silver Swan è una vera opera d’arte!”

“Sono ufficialmente sconcertato”, le confidò lui, “Non ci crederai ma mio padre mi ha chiamato Orlando proprio per questo motivo. Gibbons era il preferito della mamma!”

La ragazza scoppiò a ridere, “Incredibile!”

“E tu invece sei…?”, domandò Orlando.

“Oh scusami, sono una maleducata”, gli strinse nuovamente la mano, “Abaigeal Gallagher”, sorrise, “Il mio nome si pronuncia in gaelico”, spiegò.

“Irlandese?”

Lei annuì soddisfatta, “Dalla testa ai piedi!”

“Di dove, precisamente?”

“Gailimh…Galway”, rispose Abaigeal, “Mai sentita?”

Orlando ridacchiò, “Ovviamente si! E’ una delle città più belle d’Irlanda!”

Lei sorrise compiaciuta, “Sono d’accordo. Ci sei mai stato?”

Lui scosse la testa.

“Peccato! Dovresti…”, chiamò la cameriera con un cenno e sillabò la parola caffè, “Tu invece sei londinese?”

“No, sono di Canterbury”.

“Adesso capisco perché tua madre adora Gibbons!”, sorrise, “E comunque Canterbury è una fantastica cittadina. E’ come se il tempo si fosse fermato, laggiù!”
Orlando annuì, “Ci sei stata dunque?”

Abaigeal sorrise, “Tesoro, a scuola ho studiato “The Canterbury Tales” fino alla nausea! Era imperativo che capissi come mai questa cavolo di Canterbury era stata così importante da invadere malignamente la mia vita!”

Orlando scoppiò a ridere. Quella ragazza era incredibilmente intelligente e simpatica.
“Sono d’accordo!”, sorseggiò quello che rimaneva del suo caffè, “Studi qui a Londra?”

Abaigeal annuì, quindi sorrise alla cameriera che le aveva lasciato il caffè sul tavolo e le allungò due sterline, “Sono diplomata alla UEL e adesso sto seguendo un corso di due anni di scrittura creativa”, spiegò, “Anche se, diversamente da quello che potresti pensare, credo che buttare i soldi in un corso del genere sia un’enorme stronzata!”

Orlando rise, “Perché mai?”, domandò, incuriosito.

“Perché nessuno può insegnarti ad essere creativo”, disse lei, “O ce l’hai nel sangue o non ce l’hai. E’ una cosa innata!”

“E allora perché lo stai seguendo?”

Abaigeal si strinse nelle spalle, “Perché io il dono ce l’ho, ma alcune volte devono aiutarmi ad indirizzarlo”.

Orlando annuì, “Io invece studio al NYT”

La ragazza s’illuminò, “Un’aspirante attore??”

Lui sorrise imbarazzato, “Bhè si…mi piacerebbe molto diventarlo”

“Sei sulla strada buona, allora!”, lo incoraggiò lei, “Ho sentito dire che il NYT sforna sempre ottimi talenti!”

“Me lo auguro”, mormorò lui.

Abaigeal sorseggiò il suo caffè in silenzio, poi puntò gli occhi blu in quelli di Orlando.

“Perché lo fai?”, domandò a bruciapelo.

Lui inspirò, “Perché penso che sia la mia strada”, si girò le mani impacciato, “Hai presente quando raggiungi un livello di consapevolezza di te che ti permette di capire cosa fare?”

Abaigeal annuì.

“Ecco, è quello. Prima lo consideravo una specie di hobby ma poi, con il tempo ho capito che era qualcosa di più. Mi piace riuscire a comunicare con le persone attraverso le emozioni!”

La ragazza rimase incantata da quelle parole.

“E’ una questione di Passione, credo!”

Tà sin ar fheabhas!”, esclamò lei.

Orlando la guardò senza capire. “Gaelico?”, domandò.

Abaigeal ridacchiò, “Si, scusami! A volte fatico a contenermi!”

“Tu parli gaelico?”, domandò lui.

La ragazza annuì solennemente, “Kevin e Leah Gallagher sono molto legati alla tradizione della loro terra. In casa mia, in famiglia,  si parla solo gaelico”, spiegò.

“E’ una bella cosa”, osservò lui, “L’ho sempre trovata una lingua magica”.

“Lo è”, assentì Abaigeal, “Ma è dura! Quando sono arrivata a Londra ho avuto il mio bel daffare per dare la precedenza all’inglese!”, rise, “All’inizio dicevo le frasi in gaelico e poi le traducevo subito dopo! La gente pensava fossi pazza!”

Orlando rise.

“Ma poi ho imparato a contenermi, anche se a volte mi viene spontaneo”.

“Capisco”.

All’improvviso, senza alcuna ragione, gli venne un’idea bizzarra.

“Me lo insegneresti?”

“Il gaelico?”

Lui annuì.

“E perché mai?”

“Potrebbe essere divertente no?”

Abaigeal ridacchiò. Quel ragazzo era stranissimo.

Smaoineamh maith!”

“Vale a dire?”

“Idea geniale!”

 

 

 

Abaigeal si mise seduta sulla poltrona, sbuffando.
“Andiamo!”, lo incitò, “Non è poi così difficile! Io lo dico sempre!”
Orlando socchiuse le palpebre cercando di concentrarsi.

Erano passate tre settimane dal loro incontro e d’allora avevano cominciato le lezioni di gaelico. In realtà stavano diventando piuttosto amici, soprattutto dal momento in cui trascorrevano quasi ogni minuto libero a studiare quella bizzarra lingua.
Abaigeal era un’insegnante attenta e paziente, ma spesso dimenticava che per lui, il gaelico, era più o meno come l’afrikaans… vale a dire, incomprensibile.
Adesso, martedì ore ventidue e trentacinque, stavano cercando di fare conversazione.

Cercando era la parola chiave.

Orlando aveva come l’impressione di aver completamente resettato tutte le informazioni recepite fino a quel momento.
“Forza ragazzo!”, lo incitò nuovamente Abaigeal, “Taim…”, suggerì.
Orlando alzò la testa di scatto, “Taim go mhaith!”, esclamò.

“Foirfe!”, ridacchiò Abaigeal.

Orlando la guardò di traverso, “Questa non me l’hai insegnata!”
“E allora memorizzala. Foirfe vuol dire perfetto! Ma dubito ti servirà mai come aggettivo per descriverti!”
Lui le fece la linguaccia e la ragazza scoppiò a ridere.

Si era instaurato uno strano legame tra loro due. Entrambi avevano come la sensazione di conoscersi da tempo e questo, senza dubbio, aveva permesso loro di saltare a pié pari la parte dei convenevoli. Già dal terzo giorno, avevano cominciato a sfottersi reciprocamente.

“Per oggi basta”, decretò Abaigeal sospirando, “Non ne posso più!”
“Sono d’accordo!”, assentì Orlando.

“Se tu fossi uno studente più attento adesso saremmo molto più avanti col programma!”, lo rimbeccò ridacchiando.

“Donna maligna!”, sussurrò Orlando divertito, “Despota! Mi tieni chiuso qui, mi riempi la testa di parole stranissime e ti lamenti pure!”

Abaigeal gli tirò il cuscino, “Ingrato!”

“A proposito di ingrato…”, disse lui con un sorrisino malizioso, “Che fine ha fatto il famigerato Clive?”

Abaigeal si coprì la faccia col cuscino, facendo uno strano verso, “Oh Dea! Non parlarmene ti prego”, si mise composta, “Ieri sera mi ha chiamato dicendo di amarmi. Peccato però che la fidanzata non la lascia!”

Orlando alzò un sopracciglio, “E tu cosa gli hai detto?”

Lei fece una faccia buffissima ed Orlando dovette controllarsi per non scoppiare a ridere.

“Vuoi davvero saperlo?”, gli domandò.

Lui annuì.

“Imigh sa diabhal!”

“Fottiti?”, indovinò Orlando.

“Qualcosa del genere…”, ammise lei, “Vuol dire ‘vai all’inferno’”

“E lui?”.

Abaigeal si alzò e andò verso il tavolo a prendere due lattine di Guinnes che aveva portato Orlando.

“Non ha detto niente!”, fece una smorfia, “Lui mica lo capisce il gaelico”.

Orlando scoppiò a ridere, “Sei terribile!”

Lei gli passò una lattina, “Ma smettila! Non vuoi forse imparare la lingua per non farti capire dagli altri?”

“Touché!”, disse lui allargando le braccia.

“Non fare il poliglotta adesso, Monsieur!”

“Non dirmi che conosci pure il francese!”

“Naturale!”

Orlando si accasciò sul divano, “C’è qualcosa che non sai fare Bee?”

Lei rise, “Cosa significa Bee?”

“Accorcio il nome”, spiegò lui.

“Carino”, le concesse lei, “Bee come ape! Mi piace! Ma adesso mi costringi a trovare un abbreviazione anche per te!”

“Accomodati pure!”, disse lui tracannando la sua birra, “E’ l’occupazione preferita di amici e parenti!”

“E sentiamo, allora. Cosa ne è uscito fuori?”

Orlando si accomodò sul divano, “Qualcuno mi chiama Orli”

“Eeewww”, inorridì lei.

Lui le fece una smorfia, “Qualcun altro Gibbo”

“Da Gibbons?”, domandò, “Questo mi piace di più!”

“Oppure il classico OB”, finì lui.

“Questo è scontato. E poi sembra che sto chiamando un’assorbente interno che cammina per la strada!”

Si fissarono in silenzio, visualizzando mentalmente un grosso assorbente interno con la faccia di Orlando che camminava tranquillo per i marciapiedi di Londra.
Dopo due secondi, scoppiarono a ridere senza riuscire a smettere.

“Immaginati che scena…”, tentò di dire lei.

“Oh Dio ti prego!”, disse lui accovacciandosi e tenendo una mano sulla pancia.

Continuarono a ridere, cercando in tutti i modi di darsi un contegno.

“Penso che se diventassi un assorbente interno non avresti problemi a farti scaricare da Julls”, osservò lei.

Orlando sbuffò, “Allora dovrei trasformarmi!”, osservò, “Non so più che fare per levarmela dalle palle!”

“Ma che fiorellino delicato!”, ridacchiò Abaigeal.

“Vorrei vedere te!”, borbottò lui.

“Ignorala”, consigliò la ragazza, “Se la ignori prima o poi demorde”.

“E’ quello che sto facendo…”

“Si, da tre giorni. Non puoi sperare che funzioni in così poco tempo! Devi perseverare!”

“Chissà, magari hai ragione!”

Orlando si alzò in piedi e prese a gironzolare per il salotto. Era una bella casa quella di Abaigeal. Piccola, ma arredata con cura e estro. Il salotto era rettangolare, nel lato destro c’era un piccolo camino con sopra due mensole arancioni piene di libri e oggetti. Davanti Bee aveva sistemato due divani e un tavolo basso. A destra del camino c’era un televisore con un videoregistratore e uno stereo. Vicino, un numero inqualificabile di cd e videocassette.
Dietro alle poltrone, vicino ad una grossa finestra c’era un tavolo da pranzo per sei persone e, alla sinistra del tavolo, una piccola porta che conduceva in cucina.
La camera da letto non l’aveva mai vista.
Si fermò davanti al camino, guardando gli strani oggetti sopra la prima mensola. C’era una candela bianca sempre accesa, un coltello dall’impugnatura nera, una specie di calice, e due statuette, una di donna e una di uomo.

“Perché questa candela è sempre accesa?”, le domandò.

Abaigeal sorrise, “Rappresenta la Dea”, spiegò.

“Chi?”

“Fiorellino”, lo sbeffeggiò, “Sei davanti ad un altare wicca, hai presente?”

“Sei una wicca?”, domandò lui.

Abaigeal annuì, “Fin da bambina. Come ben sai in Irlanda la tradizione wicca, anche se con altri nomi, è molto radicata. Dopotutto discendiamo dai Celti, no? E così mamma Leah mi ha iniziato alla tradizione!”

“E cosa faresti, di preciso?”, s’incuriosì lui.

Abaigeal si strinse nelle spalle, “”Onoro la Dea, apro il cerchio, medito, e cerco di essere sempre sintonizzata con la Natura...niente di oscuro!”

“Sembra bello!”

Abaigeal annuì, “Mia madre sostiene che il mio nome in gaelico glielo ha suggerito la Dea in sogno”, sorrise.

“Cosa vuol dire?”, domandò Orlando tornando verso la poltrona.

“Abaigeal era la moglie di Re David. Penso abbia una tradizione ebraica, se non ricordo male. Comunque, letteralmente in gaelico significa ‘amante degli stranieri’”, ridacchiò, “E non è del tutto sbagliato!”

Orlando rise, “Te la facevi con i marinai del porto, dì la verità”, la canzonò.

La ragazza ridacchiò, “Mi hai beccata!”

“Se non sbaglio anche i cognomi hanno un significato da voi, no?”

“Fiorellino, hanno un significato in tutto il mondo!”, puntualizzò lei, facendogli una smorfia, “Il mio significa ‘che dà gioia’, il tuo significa ‘che sboccia’. A dir la verità anche il tuo nome ha un bel significato, lo sapevi?”

“In gaelico?”, domandò lui.

“Non solo. Orlando vuol dire ‘che ha fama di ardito’ e credo che ti descriva piuttosto bene, non trovi?”, ridacchiò, “Sei un ardito che sboccia!”

“E tu sei un’amante degli stranieri che dà gioia”, si rabbuiò, “Ma preferisco non soffermarmi sull’interpretazione del ‘dare gioia agli stranieri’!”

Abaigeal scoppiò a ridere di gusto.

“Lèim!”, disse lei.

“Scemo…grazie!”, ridacchiò lui.

Lei scosse la testa ridendo.

“Ok, vediamo quanto sei diventato bravo”, sbatté le mani sulle ginocchia rizzandosi a sedere, “An rachaimid amach?”

Orlando si alzò in piedi sorridendo, “Cén fàht nach rachadh!”

Abaigeal batté le mani entusiasta, “Bravo fiorellino, andiamo!”

Ridendo si infilarono le giacche e uscirono nella fredda aria londinese.

 

 

 




NDA

 

Allora, siccome non ho la pretesa che voi conosciate il gaelico, vi posto qui la traduzione delle frasi. La nota a piè di pagina ci sarà ogni volta che questi due pazzi parleranno in gaelico. MA. (Ovviamente c’è un MA, sennò non c’è gusto), se alcune cose non le trovate tradotte pazientate. Evidentemente hanno un fine preciso e il loro significato vi verrà svelato nel corso della storia!

 

Comunque, bando alle ciance:

 

Tà sin ar fheabhas: è una cosa fantastica!

Taim go mhaith: sto bene, grazie

An rachaimid amach?: usciamo a fare un giro?

Cén fàht nach rachadh: perché no? (in realtà sarebbe: perché non dovremmo uscire a fare un giro!)

Altra piccola precisazione. Nel testo originale non troverete l’ultima parte della citazione di apertura poiché, questo tipo di versione, è stata cantata da Ben ad un concerto live a Los Angeles!

 Colgo anche l'occasione per ringraziarvi dei vostri meravigliosi commenti.

E' una storia a cui tengo molto questa e sapere che vi sta intrigando è una delle soddisfazioni più grandi che potessi avere. E ricordatevi...VOI SIETE DIVINE. VOI TUTTE. Senza chi legge, noi che scriviamo non avremmo neanche modo di esistere! Grazie davvero!

Un forte abbraccio

Amaranta

 

 

  
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