I SHALL NOT WALK
ALONE
“Friend of mine
what can't you spare
I know some times
it gets cold in there,
but you shall not walk alone, babe”*
Ben Harper
Londra.
Marzo 1993
“Era come riuscire a vedere esattamente ogni
colore. Come se la sostanza della Natura si stesse palesando ai suoi occhi,
rendendola parte di se.
X si sentiva finalmente bene. Si
sentiva in grado di vedere quella porzione di cielo che gli déi le avevano
assegnato il giorno che era venuta al mondo.
Aveva capito, non senza lottare, che
l’amore era il motore principale del mondo. Di ogni mondo. E di ogni vita.
Sia che fosse un amore finito,
negato, calpestato, nascosto, sia che si trattasse di un amore gioioso, palese, pieno.
Era pur sempre amore, anche se in
forme diverse.
Si sedette a terra, respirando
l’aria fresca del bosco.
Poteva andare avanti, adesso. Poteva
tirar fuori il dolore e restituirlo alla Terra in attesa che
Chiuse gli occhi e…”
“Mmmh
Mmmh”.
Orlando
alzò la testa di scatto nel sentire qualcuno che tossicchiava davanti a lui.
Era una
ragazza.
Non troppo
alta, capelli neri fino alle spalle, occhi di un blu intenso e bocca carnosa.
Istintivamente
le sorrise.
La ragazza
ricambiò, quindi con un dito indicò il taccuino che lui teneva tra le mani.
“Hai
qualcosa di mio”, disse.
Imbarazzatissimo,
Orlando chiuse il taccuino nero e glielo porse.
“Perdonami”,
si scusò, “Pensavo che qualcuno l’avesse perso”.
Lei gli
sorrise, quindi prese il taccuino e se lo infilò in borsa.
“Grazie per
averlo tenuto”, mormorò, “Probabilmente se non fossi stato così curioso i
camerieri lo avrebbero buttato nella spazzatura!”
Lui le
sorrise, quindi allungò una mano verso di lei, “Piacere, sono Orlando!”
Lei gli
strinse la mano con vigore, “Orlando? Come il nome del mio compositore
preferito!”
Incredulo,
Orlando la guardò, “Sarebbe?”
“Orlando
Gibbons, non so se lo conosci”, si mise seduta accanto a lui, tirando indietro
i capelli, “E’ vissuto alla fine del ‘500. Era uno tosto!”, ridacchiò, “Silver
Swan è una vera opera d’arte!”
“Sono
ufficialmente sconcertato”, le confidò lui, “Non ci crederai ma mio padre mi ha
chiamato Orlando proprio per questo motivo. Gibbons era il preferito della
mamma!”
La ragazza
scoppiò a ridere, “Incredibile!”
“E tu
invece sei…?”, domandò Orlando.
“Oh scusami,
sono una maleducata”, gli strinse nuovamente la mano, “Abaigeal Gallagher”,
sorrise, “Il mio nome si pronuncia in gaelico”, spiegò.
“Irlandese?”
Lei annuì
soddisfatta, “Dalla testa ai piedi!”
“Di dove,
precisamente?”
“Gailimh…Galway”,
rispose Abaigeal, “Mai sentita?”
Orlando
ridacchiò, “Ovviamente si! E’ una delle città più belle d’Irlanda!”
Lei sorrise
compiaciuta, “Sono d’accordo. Ci sei mai stato?”
Lui scosse
la testa.
“Peccato!
Dovresti…”, chiamò la cameriera con un cenno e sillabò la parola caffè, “Tu
invece sei londinese?”
“No, sono
di Canterbury”.
“Adesso
capisco perché tua madre adora Gibbons!”, sorrise, “E comunque Canterbury è una
fantastica cittadina. E’ come se il tempo si fosse fermato, laggiù!”
Orlando
annuì, “Ci sei stata dunque?”
Abaigeal
sorrise, “Tesoro, a scuola ho studiato “The Canterbury Tales” fino alla nausea!
Era imperativo che capissi come mai questa cavolo di Canterbury era stata così
importante da invadere malignamente la mia vita!”
Orlando
scoppiò a ridere. Quella ragazza era incredibilmente intelligente e simpatica.
“Sono d’accordo!”,
sorseggiò quello che rimaneva del suo caffè, “Studi qui a Londra?”
Abaigeal
annuì, quindi sorrise alla cameriera che le aveva lasciato il caffè sul tavolo
e le allungò due sterline, “Sono diplomata alla UEL e adesso sto seguendo un
corso di due anni di scrittura creativa”, spiegò, “Anche se, diversamente da
quello che potresti pensare, credo che buttare i soldi in un corso del genere
sia un’enorme stronzata!”
Orlando
rise, “Perché mai?”, domandò, incuriosito.
“Perché
nessuno può insegnarti ad essere creativo”, disse lei, “O ce l’hai nel sangue o
non ce l’hai. E’ una cosa innata!”
“E allora
perché lo stai seguendo?”
Abaigeal si
strinse nelle spalle, “Perché io il dono ce l’ho, ma alcune volte devono
aiutarmi ad indirizzarlo”.
Orlando
annuì, “Io invece studio al NYT”
La ragazza
s’illuminò, “Un’aspirante attore??”
Lui sorrise
imbarazzato, “Bhè si…mi piacerebbe molto diventarlo”
“Sei sulla
strada buona, allora!”, lo incoraggiò lei, “Ho sentito dire che il NYT sforna
sempre ottimi talenti!”
“Me lo
auguro”, mormorò lui.
Abaigeal
sorseggiò il suo caffè in silenzio, poi puntò gli occhi blu in quelli di
Orlando.
“Perché lo
fai?”, domandò a bruciapelo.
Lui
inspirò, “Perché penso che sia la mia strada”, si girò le mani impacciato, “Hai
presente quando raggiungi un livello di consapevolezza di te che ti permette di
capire cosa fare?”
Abaigeal
annuì.
“Ecco, è
quello. Prima lo consideravo una specie di hobby ma poi, con il tempo ho capito
che era qualcosa di più. Mi piace riuscire a comunicare con le persone
attraverso le emozioni!”
La ragazza
rimase incantata da quelle parole.
“E’ una
questione di Passione, credo!”
“Tà sin ar fheabhas!”, esclamò lei.
Orlando la
guardò senza capire. “Gaelico?”, domandò.
Abaigeal
ridacchiò, “Si, scusami! A volte fatico a contenermi!”
“Tu parli
gaelico?”, domandò lui.
La ragazza
annuì solennemente, “Kevin e Leah Gallagher sono molto legati alla tradizione
della loro terra. In casa mia, in famiglia,
si parla solo gaelico”, spiegò.
“E’ una
bella cosa”, osservò lui, “L’ho sempre trovata una lingua magica”.
“Lo è”,
assentì Abaigeal, “Ma è dura! Quando sono arrivata a Londra ho avuto il mio bel
daffare per dare la precedenza all’inglese!”, rise, “All’inizio dicevo le frasi
in gaelico e poi le traducevo subito dopo! La gente pensava fossi pazza!”
Orlando
rise.
“Ma poi ho
imparato a contenermi, anche se a volte mi viene spontaneo”.
“Capisco”.
All’improvviso,
senza alcuna ragione, gli venne un’idea bizzarra.
“Me lo
insegneresti?”
“Il gaelico?”
Lui annuì.
“E perché
mai?”
“Potrebbe
essere divertente no?”
Abaigeal
ridacchiò. Quel ragazzo era stranissimo.
“Smaoineamh maith!”
“Vale a
dire?”
“Idea
geniale!”
Abaigeal si
mise seduta sulla poltrona, sbuffando.
“Andiamo!”,
lo incitò, “Non è poi così difficile! Io lo dico sempre!”
Orlando
socchiuse le palpebre cercando di concentrarsi.
Erano
passate tre settimane dal loro incontro e d’allora avevano cominciato le
lezioni di gaelico. In realtà stavano diventando piuttosto amici, soprattutto
dal momento in cui trascorrevano quasi ogni minuto libero a studiare quella
bizzarra lingua.
Abaigeal
era un’insegnante attenta e paziente, ma spesso dimenticava che per lui, il
gaelico, era più o meno come l’afrikaans… vale a dire, incomprensibile.
Adesso,
martedì ore ventidue e trentacinque, stavano cercando di fare conversazione.
Cercando era la parola chiave.
Orlando
aveva come l’impressione di aver completamente resettato tutte le informazioni
recepite fino a quel momento.
“Forza
ragazzo!”, lo incitò nuovamente Abaigeal, “Taim…”, suggerì.
Orlando
alzò la testa di scatto, “Taim go mhaith!”, esclamò.
“Foirfe!”,
ridacchiò Abaigeal.
Orlando la
guardò di traverso, “Questa non me l’hai insegnata!”
“E allora
memorizzala. Foirfe vuol dire perfetto! Ma dubito ti servirà mai come aggettivo
per descriverti!”
Lui le fece
la linguaccia e la ragazza scoppiò a ridere.
Si era
instaurato uno strano legame tra loro due. Entrambi avevano come la sensazione
di conoscersi da tempo e questo, senza dubbio, aveva permesso loro di saltare a
pié pari la parte dei convenevoli. Già dal terzo giorno, avevano cominciato a
sfottersi reciprocamente.
“Per oggi
basta”, decretò Abaigeal sospirando, “Non ne posso più!”
“Sono
d’accordo!”, assentì Orlando.
“Se tu
fossi uno studente più attento adesso saremmo molto più avanti col programma!”,
lo rimbeccò ridacchiando.
“Donna
maligna!”, sussurrò Orlando divertito, “Despota! Mi tieni chiuso qui, mi riempi
la testa di parole stranissime e ti lamenti pure!”
Abaigeal
gli tirò il cuscino, “Ingrato!”
“A proposito
di ingrato…”, disse lui con un sorrisino malizioso, “Che fine ha fatto il
famigerato Clive?”
Abaigeal si
coprì la faccia col cuscino, facendo uno strano verso, “Oh Dea! Non
parlarmene ti prego”, si mise composta, “Ieri sera mi ha chiamato dicendo di
amarmi. Peccato però che la fidanzata non la lascia!”
Orlando
alzò un sopracciglio, “E tu cosa gli hai detto?”
Lei fece
una faccia buffissima ed Orlando dovette controllarsi per non scoppiare a
ridere.
“Vuoi
davvero saperlo?”, gli domandò.
Lui annuì.
“Imigh sa
diabhal!”
“Fottiti?”,
indovinò Orlando.
“Qualcosa
del genere…”, ammise lei, “Vuol dire ‘vai all’inferno’”
“E lui?”.
Abaigeal si
alzò e andò verso il tavolo a prendere due lattine di Guinnes che aveva portato
Orlando.
“Non ha
detto niente!”, fece una smorfia, “Lui mica lo capisce il gaelico”.
Orlando
scoppiò a ridere, “Sei terribile!”
Lei gli
passò una lattina, “Ma smettila! Non vuoi forse imparare la lingua per non
farti capire dagli altri?”
“Touché!”,
disse lui allargando le braccia.
“Non fare
il poliglotta adesso, Monsieur!”
“Non dirmi
che conosci pure il francese!”
“Naturale!”
Orlando si
accasciò sul divano, “C’è qualcosa che non sai fare Bee?”
Lei rise,
“Cosa significa Bee?”
“Accorcio
il nome”, spiegò lui.
“Carino”,
le concesse lei, “Bee come ape! Mi piace! Ma adesso mi costringi a trovare un
abbreviazione anche per te!”
“Accomodati
pure!”, disse lui tracannando la sua birra, “E’ l’occupazione preferita di
amici e parenti!”
“E
sentiamo, allora. Cosa ne è uscito fuori?”
Orlando si
accomodò sul divano, “Qualcuno mi chiama Orli”
“Eeewww”,
inorridì lei.
Lui le fece
una smorfia, “Qualcun altro Gibbo”
“Da
Gibbons?”, domandò, “Questo mi piace di più!”
“Oppure il
classico OB”, finì lui.
“Questo è
scontato. E poi sembra che sto chiamando un’assorbente interno che cammina per
la strada!”
Si
fissarono in silenzio, visualizzando mentalmente un grosso assorbente interno
con la faccia di Orlando che camminava tranquillo per i marciapiedi di Londra.
Dopo due
secondi, scoppiarono a ridere senza riuscire a smettere.
“Immaginati
che scena…”, tentò di dire lei.
“Oh Dio ti
prego!”, disse lui accovacciandosi e tenendo una mano sulla pancia.
Continuarono
a ridere, cercando in tutti i modi di darsi un contegno.
“Penso che
se diventassi un assorbente interno non avresti problemi a farti scaricare da
Julls”, osservò lei.
Orlando
sbuffò, “Allora dovrei trasformarmi!”, osservò, “Non so più che fare per
levarmela dalle palle!”
“Ma che
fiorellino delicato!”, ridacchiò Abaigeal.
“Vorrei
vedere te!”, borbottò lui.
“Ignorala”,
consigliò la ragazza, “Se la ignori prima o poi demorde”.
“E’ quello
che sto facendo…”
“Si, da tre
giorni. Non puoi sperare che funzioni in così poco tempo! Devi perseverare!”
“Chissà,
magari hai ragione!”
Orlando si
alzò in piedi e prese a gironzolare per il salotto. Era una bella casa quella
di Abaigeal. Piccola, ma arredata con cura e estro. Il salotto era
rettangolare, nel lato destro c’era un piccolo camino con sopra due mensole
arancioni piene di libri e oggetti. Davanti Bee aveva sistemato due divani e un
tavolo basso. A destra del camino c’era un televisore con un videoregistratore
e uno stereo. Vicino, un numero inqualificabile di cd e videocassette.
Dietro alle
poltrone, vicino ad una grossa finestra c’era un tavolo da pranzo per sei
persone e, alla sinistra del tavolo, una piccola porta che conduceva in cucina.
La camera
da letto non l’aveva mai vista.
Si fermò
davanti al camino, guardando gli strani oggetti sopra la prima mensola. C’era
una candela bianca sempre accesa, un coltello dall’impugnatura nera, una specie
di calice, e due statuette, una di donna e una di uomo.
“Perché
questa candela è sempre accesa?”, le domandò.
Abaigeal
sorrise, “Rappresenta
“Chi?”
“Fiorellino”,
lo sbeffeggiò, “Sei davanti ad un altare wicca, hai presente?”
“Sei una
wicca?”, domandò lui.
Abaigeal
annuì, “Fin da bambina. Come ben sai in Irlanda la tradizione wicca, anche se
con altri nomi, è molto radicata. Dopotutto discendiamo dai Celti, no? E così
mamma Leah mi ha iniziato alla tradizione!”
“E cosa
faresti, di preciso?”, s’incuriosì lui.
Abaigeal si
strinse nelle spalle, “”Onoro
“Sembra
bello!”
Abaigeal
annuì, “Mia madre sostiene che il mio nome in gaelico glielo ha suggerito
“Cosa vuol
dire?”, domandò Orlando tornando verso la poltrona.
“Abaigeal
era la moglie di Re David. Penso abbia una tradizione ebraica, se non ricordo
male. Comunque, letteralmente in gaelico significa ‘amante degli stranieri’”,
ridacchiò, “E non è del tutto sbagliato!”
Orlando
rise, “Te la facevi con i marinai del porto, dì la verità”, la canzonò.
La ragazza
ridacchiò, “Mi hai beccata!”
“Se non
sbaglio anche i cognomi hanno un significato da voi, no?”
“Fiorellino,
hanno un significato in tutto il mondo!”, puntualizzò lei, facendogli una
smorfia, “Il mio significa ‘che dà gioia’, il tuo significa ‘che sboccia’. A
dir la verità anche il tuo nome ha un bel significato, lo sapevi?”
“In
gaelico?”, domandò lui.
“Non solo.
Orlando vuol dire ‘che ha fama di ardito’ e credo che ti descriva piuttosto
bene, non trovi?”, ridacchiò, “Sei un ardito che sboccia!”
“E tu sei
un’amante degli stranieri che dà gioia”, si rabbuiò, “Ma preferisco non
soffermarmi sull’interpretazione del ‘dare gioia agli stranieri’!”
Abaigeal
scoppiò a ridere di gusto.
“Lèim!”,
disse lei.
“Scemo…grazie!”, ridacchiò lui.
Lei scosse la testa ridendo.
“Ok,
vediamo quanto sei diventato bravo”, sbatté le mani sulle ginocchia rizzandosi
a sedere, “An rachaimid amach?”
Orlando si
alzò in piedi sorridendo, “Cén fàht nach rachadh!”
Abaigeal
batté le mani entusiasta, “Bravo fiorellino, andiamo!”
Ridendo
si infilarono le giacche e uscirono nella fredda aria londinese.
Allora,
siccome non ho la pretesa che voi conosciate il gaelico, vi posto qui la
traduzione delle frasi. La nota a piè di pagina ci sarà ogni volta che questi
due pazzi parleranno in gaelico. MA. (Ovviamente c’è un MA, sennò non c’è
gusto), se alcune cose non le trovate tradotte pazientate. Evidentemente hanno
un fine preciso e il loro significato vi verrà svelato nel corso della storia!
Comunque,
bando alle ciance:
Tà sin ar fheabhas: è una cosa fantastica!
Taim go mhaith: sto bene, grazie
An rachaimid amach?: usciamo a fare un giro?
Cén fàht nach rachadh: perché no? (in realtà sarebbe: perché non dovremmo uscire a fare un giro!)
Altra
piccola precisazione. Nel testo originale non troverete l’ultima parte della
citazione di apertura poiché, questo tipo di versione, è stata cantata da Ben
ad un concerto live a Los Angeles!