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Autore: KikiShadow93    10/01/2015    8 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
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Piccolo avvertimento: tra un paragrafo e l'altro troverete due spazi, e ciò indicherà un cambio di scena e talvolta di tempo (alba, mattina, pomeriggio, sera). Come al solito mi scuso per essere così puntigliosa e rompiballe ma, come ben sapete, è più forte di me!
Buona lettura :*

 

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Ad un primo impatto Helheimr può sembrare un'isola uscita direttamente dal sogno più roseo e splendente; è così luminosa, pulita, non c'è traccia di criminalità. Ma scavando un poco più in profondità si può scoprire che non è così perfetta come si può credere.
Tre livelli sotto La Solitaria, infatti, c'è quello che tutti definiscono “il magazzino”, ovvero quel luogo tetro e umido dove sono situate le celle di contenimento, generalmente vuote, e quelle che invece servono per mantenere in vita gli esseri umani che vengono usati come riserve di sangue. Vengono nutriti con delle flebo, tenuti perfettamente immobili in stato vegetativo, ed ogni giorno viene sottratto loro un litro e mezzo di sangue. Non tutti gli immortali, infatti, sono riusciti ad adattarsi al sangue sintetico, così Fenrir ha escogitato un modo per far felici tutti: prelevare coloro che non hanno famiglia o qualcuno che comunque sentirà la loro mancanza, e usufruirne fino alla fine dei suoi giorni.
Li tengono rinchiusi, immobili e freddi, e li spremono fino all'ultima goccia. Dopo, semplicemente, li scartano, dando i resti a chiunque voglia nutrirsene, come se non fossero mai stati esseri umani -con degli affetti e dei sogni, come se fossero sempre stati solo ed esclusivamente delle sacche di carne piene di dolce nettare scarlatto.
Marshall D. Teach ne ha visti morire parecchi in quei dieci giorni di permanenza forzata nella sua piccola cella di isolamento.
Li ha visti morire, venire staccati dai loro tubi e sostituiti. Ha visto i suoi carcerieri, una coppia di anziani Windigo, nutrirsi di quelle carcasse. Li ha visti farli a pezzi a mani nude e strappare lembi di carne a morsi, divorandoli e dando infine le ossa rotte ai cani zombi che spesso e volentieri bivaccano da quelle parti.
Ha paura, Teach.
Ha paura di essere messo a sua volta in una di quelle cellette, di ricevere una mazzata in testa per essere trasformato in un vegetale, di essere dissanguato lentamente e di essere infine smembrato da quelle enormi mani artigliate e poi digerito nei loro stomaci.
Continua a sperare che il suo ormai ex capitano decida di perdonarlo, che sia così attaccato a lui da volergli dare una seconda possibilità, ma in cuor suo sa che ciò è assolutamente impossibile. Ciò che ha fatto è quanto di più grave possa fare un pirata, e lui ne è pienamente consapevole.
Adesso, nella sua solitudine, non può far altro che domandarsi perché Týr abbia lottato tanto contro gli altri membri del Consiglio per farlo rimanere in vita.
Nella sua mente sono ancora vividi gli occhi fiammeggianti di quella bellissima donna dai capelli color dell'oro, che continuava ad urlare che doveva essere messo al rogo. Ricorda pure il tizio con i lunghi capelli grigi che diceva che il suo è stato un crimine troppo grande per poter chiudere un occhio e lasciarlo vivere.
Ma no, i loro discorsi non sono serviti a niente. Týr aveva già deciso in partenza quale sarebbe stata la sua condanna, e con le sue grandi doti da oratore è riuscito ad imporre il suo volere pure agli altri, facendolo rinchiudere in quella misera celletta da cui mai potrà scappare.
È stato sbattuto in cella con violenza.
Gli hanno legato al collo un collare di metallo per tenerlo legato alla parete.
Lo hanno schernito, gli hanno lanciato addosso oggetti e gli hanno sputato per divertimento.
Quella che ha capito essere la promessa sposa di Satch, Mimì, è andata a trovarlo qualche giorno dopo, e gli ha simpaticamente mostrato cosa fanno i mostri come lei, staccando senza delicatezza alcuna una di quelle povere sacche di sangue disumanizzate e nutrendosene davanti ai suoi occhi. Ha poi dato la carcassa di quella povera donna ad un piccolo grifone, ricordandogli che presto o tardi toccherà anche a lui.
Adesso, stanco e malandato, non può far altro che rimanere in silenzio per non essere deriso da quei mostri... e attendere l'inevitabile fine.


Ci sono delle mattine in cui ci si sveglia e qualcosa non va. A volte sappiamo di cosa si tratta e risolviamo il problema il prima possibile, così da evitare di doversi svegliare altre mattine allo stesso modo. Altre volte, invece, non abbiamo idea di quale sia questo problema, e tutto intorno a noi appare in modo diverso.
Akemi si è svegliata in questo modo, con qualcosa di sbagliato che la agita e non le permette di ragionare lucidamente come sempre, senza sapere di cosa si tratti.
Ha osservato per qualche interminabile minuto l'uomo che giaceva al suo fianco, ascoltando il suo respiro e il battito calmo e regolare del suo cuore, cercando così di allontanare quella sensazione sgradevole che le attorcigliava lo stomaco, ma non è servito a niente. Quella sensazione è rimasta immutata.
Si è quindi alzata e ha cominciato a camminare nervosamente per la stanza immersa nel caos più totale, pensando e ripensando a cosa possa esserci nella sua vita che non va, senza però trovare una risposta.
In suo aiuto, se così si può definire, è arrivato il suo stomaco insopportabilmente vuoto, che l'ha ridestata dai suoi pensieri con una brontolata degna di nota.
Ha sorriso tra sé, ripensando a nove giorni prima, quando il suo stomaco si è messo prepotentemente a borbottare nel momento più sbagliato possibile, ovvero quando stava ricevendo dell'ottimo sesso orale. In quel momento era imbarazzata a morte e Marco rideva, ed era dannatamente bello mentre lo faceva, così spontaneo e felice come forse non lo aveva mai visto.
Quando il suo stomaco ha ripreso a brontolare, Akemi ha dovuto ricacciare violentemente quel pensiero per riuscire a trovare dei vestiti in mezzo al caos che invade la sua stanza e, non appena li ha trovati, si è resa conto di una cosa che per lei ha dell'impossibile: è ingrassata.
I pantaloncini che ha sempre portato e che le sono sempre calzati come una seconda pelle, non si chiudono più. Per dirla tutta, in realtà, arrivano a fatica sul culo!
In quel momento ha pensato, scioccamente, che il brutto risveglio fosse dovuto al fatto che il suo corpo, prima di lei, si fosse reso conto che qualcosa non andava, ma le è bastato sentire un mugolio di Marco, prossimo a svegliarsi, per capire che non era affatto così. Sennò per quale ragione il suo cuore avrebbe cominciato a battere più velocemente?
Adesso, il più silenziosamente possibile, zampetta come uno stambecco su una gamba sola, avvolta nel lenzuolo di seta egiziana per coprirsi, per non farsi vedere agitata e con le sue nuove e poco gradite ciccette al vento.
Ma quando una giornata inizia male, raramente ciò che desideriamo si realizza.
«Ehi...»
La voce di Marco, ancora tranquillamente disteso nel suo enorme letto sfatto, le arriva addosso come una secchiata d'acqua gelida e, tremante, fa emergere giusto la testolina da sotto le lenzuola chiare, sorridendogli in maniera assai imbarazzata. Mentre lo fissa con sguardo colpevole riesce pure ad infilarsi i pantaloni della tuta, rischiando in più di un occasione di sfracellarsi al suolo.
«C- ciao.» balbetta in risposta, cercando di rassicurarlo con un sorriso, che di rassicurante ha ben poco.
Marco fa leva sui gomiti per poterla vedere meglio. È agitata, molto più di lui, e non riesce a capire perché. Sono stati dieci giorni di sesso ininterrotto, ed è stato fantastico. Perché mai essere imbarazzata?
Il secondo giorno c'era stato dell'imbarazzo, ma solo perché alla ragazza brontolava tanto lo stomaco da impedire a Marco di concentrarsi su ciò che doveva fare da quanto rideva. Per loro fortuna, però, la soluzione è stata trovata immediatamente: ogni tot di ore i “domestici” lasciavano davanti alla stanza della ragazza delle assai considerevoli quantità di cibo, che venivano velocemente spazzolati da entrambi.
All'inizio era pure divertente, ma da tre/quattro giorni qualcosa è cambiato pure in quel tranquillo momento: Akemi ha cominciato a volere sempre più cibo, sempre di più, tanto da arrivare a prendere la metà della porzione di Marco.
Questo non gli ha dato minimamente fastidio, no. Lui, in fondo, non è mai stato un tipo particolarmente mangione. È stato strano il suo atteggiamento nei confronti del cibo: ordinazioni sempre più bizzarre e consistenti, il suo modo di buttar giù qualsiasi cosa senza neanche averla vista e, ancor peggio, l'avere sempre più fame.
Uno di quelli che gli porta da mangiare ha provato a tranquillizzarlo, seppur con poco successo, dicendo che la Luna Piena si sta avvicinando e che soprattutto le lupi subiscono spesso questo genere di cambiamenti.
«Tutto bene?» le domanda realmente interessato alla sua salute, alzandosi a sua volta alla ricerca delle mutande perdute.
«Beh-... i- io...» balbetta, è nervosa e non sa esattamente cosa vuole. Non sa se vuole lui, l'uomo per il quale ha pianto fino a terminare le lacrime, o se vuole scappare da quella stanza per andare tra i suoi simili a mangiare tutto quello che il suo stomaco la sta implorando di ingerire.
«Ho una fame da lupi!» butta lì alla fine, infilandosi al contrario una canottiera arancione e ravvivandosi alla meglio i capelli indomabili.
«Dammi cinque minuti e vengo a fare colazione con te.» propone gentilmente il Comandante, sicuro di aver finalmente trovato quei cinque minuti necessari per poter finalmente parlare.
«No!» il suo è un urlo quasi isterico e Marco si blocca di colpo, osservandola come si può osservare un pazzo appena scappato dalla clinica «Tu stai pure qui, riposati! Io vado a mangiare e poi probabilmente ho l'allenamento... comunque ci vediamo dopo!»
Marco rimane immobile, la camicia infilata sono in un braccio e lo sguardo che va dallo scocciato al rassegnato. Ma sa che si dovrà abituare a nuovi cambiamenti, a nuove difficoltà, ed è disposto a provarsi.
C'è solo un piccolo problema nella questione...
«Avevo fame anche io, ma va bene.»
E detto questo, si spoglia di nuovo e si butta a peso morto in quello che, ne è sicuro, è il materasso più comodo mai prodotto al mondo.


Comandanti e immortali, da dieci giorni, fanno tranquillamente colazione tutti insieme nella grande sala da pranzo de La Solitaria. Certo, non tutti i Comandanti: alcuni di loro preferiscono passare tutto il loro tempo nella Villa delle Anime.
C'è chi intraprende interminabili partite a giochi da tavolo e si diverte da morire nel sentir bisticciare come bambini quegli Spiriti che si conoscono da secoli.
C'è chi aiuta nei preparativi delle feste o delle produzioni teatrali che mettono in piedi gli Spiriti.
C'è chi, invece, preferisce trascorrere una cosa come venti ore al giorno a rotolarsi tra le lenzuola assieme a magnifici Spiriti di donne morte secoli prima e che sono rimaste senza il proprio amore.
Quando chiedi a qualcuno dove stia andando o cosa abbia intenzione di fare quel pomeriggio, in ogni caso, risponderà sempre che sarà nella Villa delle Anime.
Sono in pochi, ormai, a bazzicare ancora ne La Solitaria e Barbabianca, Ace, Rakuyo, Namiur e Jaws sono tra questi. In realtà Ace lo vedono solo a colazione e quando rientra per coricarsi, ma poi il resto della giornata lo passa escogitando qualche piano perverso per attirare l'attenzione della bella Silly, che però continua a trattarlo come un qualsiasi amico.
Anche in questa mattinata sorprendentemente tranquilla, dove tutti sono insolitamente calmi, continua a rimuginare su quale tattica adottare per riuscire ad infilarsi nel suo letto, cercando al tempo stesso di ignorare le prese in giro degli amici.
Purtroppo per lui, però, l'arrivo di un più che entusiasta Kakashi rovina i suoi buoni propositi. Perché anche lui ha capito che con uno psicopatico come quel biondino, che si fa venire violente crisi isteriche dal niente e che deve essere costantemente seguito da qualcuno, non deve essere sottovalutato e, soprattutto, ignorato.
Týr, seduto al fianco di Pugno di Fuoco, guarda il figlio prediletto saltellare come un tenero coniglio per tutta la stanza, impaziente di sapere qual è la nuova follia che gli è venuta in mente di primo mattino.
Ricorda ancora bene la volta in cui decise che voleva riportare in vita un morto con la corrente elettrica.
Ricorda come lo dissotterrò, parlando da solo di quanto fosse meraviglioso violare le leggi fondamentali del pudore e della società, di come ridesse e buttasse la terra da tutte le parti. Con un colpo di vanga distrusse anche una lapide!
Ma soprattutto ricorda la sua faccia perplessa e delusa quando, una volta carbonizzato il cadavere di quel povero vecchietto, affermò che era uno strano risultato perché nei nei film, quando un corpo viene colpito dai fulmini, torna sempre in vita.
Adesso non può far altro che sperare che si tratti di un'altra idiozia del genere, pur sapendo che quel guastafeste di Geri non lo permetterebbe mai. Per quanto il mannaro sia squilibrato, infatti, tiene troppo al compagno per permettergli di perdersi così tanto nel vortice della follia.
«Ho deciso di fare qualcosa di significativo nella mia vita, e so anche cos'è!» annuncia di punto in bianco il biondo vampiro, saltando in piedi sul tavolo e guardando tutti con un grande sorriso in volto «Scrivere!»
Týr, delusissimo da questa sua trovata, si sbilancia con la sedia sui gambi posteriori e lo guarda con sguardo scocciato, facendolo accigliare.
«Beh, e io adesso so quello che non vorrò mai fare: leggere!»
Il biondino incrocia le braccia al petto e gonfia le guance, come un bambino a cui sono appena state negate le caramelle, ma non fa in tempo a ribattere contro questa pungente frecciatina che la forte voce di Rakuyo lo interrompe.
«Ehi!»
Akemi sorride ai presenti, allargando le braccia in modo teatrale. Da dieci giorni non vedeva nessuno di loro e Dio solo sa quanto gli erano mancati. Certo, sentiva le loro battute ogni volta che passavano davanti alla sua stanza, ma non è assolutamente la stessa cosa.
«L'HO ROTTO!» urla scherzosa, facendo scoppiare a ridere di gusto Kakashi, che le corre incontro e le salta in braccio.
A lui era mancata forse più che agli altri. Ormai è diventata la sua migliore amica, colei che gli tiene la mano quando gli vengono le crisi, colei che tira su di morale l'amore della sua vita in quei difficili momenti.
«Oddio, spero di no!» urla di rimando Rakuyo, dando così voce alla preoccupazione condivisa anche dai fratelli.
In fondo, quando passavano davanti alla sua porta, dicevano sempre che se avessero continuato con quei ritmi a Marco gli si sarebbe consumato o cose del genere. Sentirle dire una cosa simile adesso, di certo, non può che allarmarli!
Per fortuna, però, quello è solo un modo di dire che usano spesso sull'isola per indicare una specie di sconfitta che hanno inflitto a qualcuno. Che questa inflitta sia fisica o mentale poco importa, l'importante è urlare “l'ho rotto!”.
Akemi, sempre con un sorriso allegro sulle labbra, prende posto in mezzo ad Ace e Jaws, rubando loro i piatti pieni di cibo che hanno davanti.
I due Comandanti provano pure a controbattere e a riprendersi la colazione, ma le mani della ragazza sono più veloci dei loro movimenti e piantano sempre con precisione la forchetta nelle loro mani. Inoltre, come se questo non fosse abbastanza, sentire il ringhio basso di Týr e vedere le sue zanne ben esposte non fa altro che evidenziare la loro evidente sconfitta.
Alla fine, infatti, non possono far altro che incrociare le braccia al petto e mettere il broncio, sperando di poter mettere qualcosa sotto ai denti in un secondo momento.
Questa speranza però diventa sempre più vana quando Akemi si alza e si dirige verso la dispensa e il frigorifero, dai quali estrae tutto quello che trova. E poi mangia. Mangia come se non lo facesse da tutta la vita, come se avesse una voragine infinita al posto dello stomaco.
Pure ad Ace, davanti alla visione della ragazza che mangia un peperone con panna spray e spicchi di pera, si ribalta lo stomaco, ma non si permette di dire assolutamente niente. Non ne ha il tempo più che altro, perché sennò si esprimerebbe anche!
«Fai veramente schifo
Tutti si voltano di scatto verso quella voce fuori luogo, e Akemi per poco non si strozza di fronte ad una visione decisamente inaspettata: un metro e sessantacinque di altezza, muscoli guizzanti sotto la pelle olivastra, occhi vispi e allegri, capelli castani e spettinati che ricadono sulla fronte, incorniciando il viso di un giovane adolescente.
«Floki?!»
Il ragazzino le sorride allegro, assumendo la stessa espressione beffarda del padre, quella che fa capitolare ogni singola donna sulla terra.
Le si avvicina velocemente e le toglie, senza tante cerimonie, un peperone dal piatto, mangiandolo in un boccone.
«Spero che non sia cresciuto anche il tuo livello di stronzaggine...» mormora a mezza bocca la maggiore, pungolandogli la mano con la forchetta pur di evitare che le sottragga qualsiasi altra cosa.
Il ragazzo le sorride allegro, sforzandosi per non mostrare quanto sia felice di rivederla.
Nella sua mente ormai si è insidiato il tarlo di essere un Lothbrook, un futuro capo branco, un Principe immortale, e che per queste ragioni non può sbilanciarsi troppo nell'esternare le emozioni, così come fa il padre, malgrado gli sia stato spiegato in più di un'occasione che Fenrir è sempre stato così di carattere.
Týr passa una mano tra i capelli del prezioso nipote che gli si è appena seduto vicino e lo guarda con orgoglio. È un ragazzo forte, indipendente ed intelligente. Forse è un po' troppo aggressivo ed impulsivo, ma non per questo sarà un pessimo condottiero.
È felice, Týr. È felice come non era da troppo tempo. La sua vita finalmente sembra aver ricominciato a girare nel modo giusto, la fortuna pare sorridergli di nuovo. Con tutto quello che è riuscito a riottenere riesce pure a farsi andar bene la presenza dell'ingombrante ciurma!
La sua attenzione viene improvvisamente attirata dalle urla lontane di Wulfric e Sakura.
Un nuovo litigio, pensa improvvisamente rattristato.
Wulfric non è solo il primo essere umano che ha volutamente vampirizzato, il primo a cui ha lasciato il dono della vita eterna, no: Wulfric è il suo migliore amico, colui a cui affiderebbe la propria vita ad occhi chiusi.
La prima volta che lo incontrò, così piccolo e gracile, sentì dentro al proprio cuore ancora pulsante che avrebbe fatto grandi cose se fosse riuscito a crescere, e fu proprio per questo che gli diede oro e cibo.
Týr gli ha dato la vita per ben due volte, e questa è la cosa di cui va più fiero.
Adesso lo guarda, lontano in fondo al corridoio, mentre litiga con la sua compagna.
Non ha mai nutrito grandi speranze nella loro storia, un po' per lo scarsissimo interesse e un po' perché consapevole della loro incompatibilità, ma vederli litigare è sempre una pugnalata. Perché, nella sua mente contorta e deviata, Wulfric il Mietitore, colui che ha raso al suolo villaggi per capriccio e che per divertimento contaminava i condotti dell'acqua di grandi città con virus mortali, non merita assolutamente di soffrire.
Malgrado questo suo attaccamento nei confronti del vampiro dai lunghi capelli argentei, non può proprio evitare di fare delle battute sarcastiche in determinate occasioni.
«Sembra un ricoverato di una clinica per malattie mentali convinto di essere il presentatore di un gioco a premi.»
I presenti seguono il suo sguardo e ridacchiano nel vedere il freddissimo Wulfric gesticolare come impazzito. Ridacchiano meno nel vedere lo sguardo rattristato di Sakura, ma non si preoccupano quando la vedono lanciargli contro un vaso e andarsene impettita.
«L'ha rotto...» mormora ridacchiando Floki, osservando di sottecchi l'antico vampiro che si dirige verso di loro con passo calmo. Nella sua mente si appunta che, presto o tardi, dovrà chiedergli di insegnargli ad essere così freddo e distaccato, inconsapevole del fatto che il maggiore non ha assolutamente idea di come poterglielo spiegare. Per lui ormai è normale come lo è respirare per un essere umano.
Gli sorridono forzatamente quando entra nella sala, adesso calmo e pacato come al solito.
È un vero attore, Wulfric. Per tutti quanti è strano, emotivamente morto, soprattutto adesso, che sorride ai presenti e si versa una tazza di caldo sangue fresco.
Solo Týr sa quanto la situazione con Sakura lo stia facendo dannare. Non gliene ha parlato, Wulfric non lo farebbe mai, ma semplicemente lo sa.
Wulfric, sentendosi osservato dagli occhi glaciali del suo creatore e grande amico, si appoggia con una mano al tavolo dove tutti stanno facendo colazione e punta gli occhi nei suoi. Certo, Týr non riesce a vederli dietro alla folta frangia grigia, ma li conosce benissimo e questo gli basta per sapere che lo sta fissando con quella scintilla di follia che tanto adora.
«Ho un caso davvero particolare per le mani. Vuoi assistere?» gli propone sorridendo con aria furba, attirando inevitabilmente l'attenzione di Akemi, da sempre attratta dalla medicina.
Lui le ha pure insegnato qualcosa, facendole operare dei maiali anestetizzati a cui aveva appena reciso la gola. Akemi si è impegnata a fondo per apparire migliore agli occhi del freddo padrino, ma senza grandi risultati: quattro li ha mandati accidentalmente in acidosi ed ipotermia e uno, che sembrava essersi ripreso, cominciò a vomitare sangue un paio di ore dopo.
Si è sentita abbattuta, inutile, incapace, ma le parole di incoraggiamento del maggiore le sono servite molto.
«Di che si tratta?» domanda immediatamente la ragazza, sputazzando pezzetti di salmone da tutte le parti.
«Fibrodisplasia ossificante progressiva.» risponde sorridendo cordialmente. Era sicuro che le avrebbe fatto delle domande e che sarebbe stata entusiasta, ma dallo sguardo che gli rivolge Freki sa bene che dovrà spegnere il suo entusiasmo immediatamente.
«Anche chiamata miosite ossificante congenita.» aggiunge Týr, che si sta già pulendo le mani per preparasi a quell'inutile ma interessantissimo intervento. Se gli umani dovessero continuare ad ammalarsi di malattie simile, loro, con tutti i loto mezzi e le loro conoscenze, devono fare tutto ciò che è in loro potere per debellare tali malattie e renderli sani. Sennò, a lungo andare, di chi si nutriranno?
«Cos'è?» domanda Akemi, curiosa come una bambina.
«Non farti strane idee. Tu non assisterai.» la riprende ringhiando Freki, mollandole pure una sonora sberla in testa per sottolineare meglio la cosa. Le ha già concesso dieci giorni di sesso, in cui è magicamente riuscita ad ingrassare, non può proprio lasciarle fare come vuole.
«È una malattia genetica rarissima caratterizzata dalla presenza di focolai di ossificazione ectopici a livello del tessuto connettivo, in particolare tendini e legamenti, e del tessuto muscolare.» risponde Wulfric, distaccato come sempre. Avrebbe potuto dire tranquillamente “il paziente diventerà una statua d'ossa e morirà”, ma sarebbe stato poco carino e poco professionale.
«Volete provare a salvarlo?!» domanda sempre più emozionata Akemi, mentre Floki, con l'aiuto del gemello, le porta via alcune delle pietanze su cui si era lanciata con tanta ingordigia.
«È una malattia incurabile e progressiva, Lilith. Vogliamo solo studiarla.» risponde pacatamente Wulfric, senza mai abbandonare quel fastidioso sorrisetto, lo stesso che si rivolge ai bambini di cinque anni.
«Oh.» è delusa, Akemi. Era convinta che avrebbe assistiti ad un intervento importante, di quelli da ricordare, e invece nulla. «Beh... andiamo, Freki?» Il lupo se la carica immediatamente in braccio, sorridendole allegro.
Questa cosa in realtà preoccupa tutti quanti: che non siano una coppia è chiaro a tutti quanti e per nessuno è un problema... ma adesso di mezzo c'è Marco. Come potranno renderlo calmo e tranquillo, quando quella bestia demoniaca gli porta via la ragazza?
«Ci pensiamo noi!» afferma pimpante Ace, che ha un urgentissimo bisogno di parlare con i suoi più cari amici di un piccolo problema che lo sta mandando fuori di testa. E Marco, per quanto non ne sarà lieto, è un suo amico e dovrà aiutarlo.


Satch, Ace e Rakuyo osservano il caos che invade la stanza della loro adorata sorellina: perizomi lanciati da tutte le parti, fruste improvvisate, corde che sicuramente non erano state create per il bondage, mobili per terra e quell'insopportabile odore di sesso che impregna ogni superficie.
«Buongiorno pelandrone!» il primo a farsi avanti è, senza ombra di dubbio, Ace,che si butta a peso morto sul letto in cui ancora dorme il Primo Comandante.
«Ehi...» biascica in risposta, aprendo a fatica gli occhi. Ha dormito poco, mangiato anche meno. Ha un assolutamente bisogno di dormire per almeno otto ore di fila, così da potersi reggere in piedi e capire cosa gli accade attorno.
«Riesci a stare in piedi o ti ha rotto del tutto?» lo sfotte prontamente Rakuyo, poggiandosi con la spalla contro la porta. Non aveva mai visto Marco così fisicamente provato, neanche dopo quella maledetta notte di terrore generale.
Adesso lo osserva mentre si mette seduto a fatica sul grande e comodo letto della ragazza. Grazie al tempestivo intervento di Ace, è pure riuscito ad evitare di vederlo nudo come mamma l'ha fatto, cosa di cui gli è immensamente grato.
«Eh?» la Fenice si tiene la testa tra le mani, frastornato e confuso. Una parte di lui vorrebbe sapere cosa ha detto la psicopatica con la quale ha condiviso ogni centimetro di quella stanza, ma preferisce di gran lunga scolarsi un lungo caffè doppio senza zucchero, giusto per vedere se riesce a rimettere in moto il cervello in tempo brevi.
«Lasciamo stare, non voglio sapere niente. Comunque sto bene.» mormora confuso, tenendosi la testa ben ferma tra le mani. Vorrebbe pure tenere una mano attorno all'addome, ma ha ben deciso di occuparsi di una cosa alla volta.
«Hai fame, eh?» quando Ace ghigna in quel modo così malandrino, a Marco viene voglia di ucciderlo sul serio, ma adesso non ne ha assolutamente le forze «Sì? Bene! Allora ti conviene vestirti velocemente! Alla Villa delle Anime ci stanno preparano il pranzo!»
«Cosa mi sono perso?» biascica Marco, alzandosi a tentoni.
«Delle pazze che vogliono a tutti i costi prendermi le misure per farmi l'abito, assaggi di torte discutibili, la lista degli invitati...» borbotta Satch, unico tra tutti ad aver davvero qualcosa da fare.
«Te la sei cercata, eh!» lo sfotte prontamente Rakuyo, gongolando ancora al ricordo di averlo visto circondato da vampire intransigenti che gli prendevano le misure per preparargli l'abito perfetto.
«Ti sei perso questo e...» aggiunge con tono esitante Ace, mentre girottola per la stanza. Osserva i perizomi sparsi per terra, i graffi nei mobili ribaltati, e non può che provare un pizzico di invidia nei suoi confronti. Insomma lui, Ace Pugno di Fuoco, che viene mandato in bianco anche se la diretta interessata lo ha definito bello. È nel pallone adesso!
«Ok, ascoltami bene!» ordina deciso, alzandolo di peso dal letto e spingendolo verso la doccia.
«Tu adesso ti lavi e ti rendi presentabile. Dopo andremo alla Villa delle Anime, dove ci stanno preparando un pranzetto da leccarsi i baffi, e poi parliamo del mio problema, ok? Tanto voi due avete risolto alla grande!»
«Ma-»
«DOCCIA!» gli lancia addosso il primo asciugamano che gli capita sotto tiro e lo spinge per le spalle, impaziente di potersi sfogare con i propri amici.
«Noi-» vorrebbe dirglielo, Marco, che non hanno risolto proprio niente, che hanno fatto sesso per dieci giorni ma che niente sta andando bene. Sì, fanno sesso, del grandioso sesso, ma dopo rimangono in silenzio a fissare il vuoto. Si esaltano quando comprendono che stanno per mangiare e poi ricominciano, su qualsiasi superficie disponibile, in qualsiasi posizione, in qualsiasi momento. Però, alla fine...
Non abbiamo risolto niente.
«MUOVITI!»


Dopo tutto quello che è successi negli ultimi tempi, dopo tutto lo stress accumulato, Barbabianca ha sentito il bisogno più che urgente di una doccia calda e rilassante, di quelle che durano un'eternità, con tanto bagnoschiuma profumato a lavare via la stanchezza . Oltre a quello, poi, deve lavare via anche l'inchiostro fosforescente che una Ninfa delle acque ha ben pensato di spalmargli addosso. I suoi discorsi per allontanarla evidentemente non erano serviti a niente, non dal momento che quella pimpante ragazza dai capelli color dell'oceano e la pelle di seta quella mattina era bella comoda nel suo letto.

«Oh, no! Non abbiamo fatto sesso!»
Non sono mai stato un uomo di fede, ma adesso devo ringraziare
chiunque sia lassù, per avermi impedito di andare a letto con questa bambina!
«Ti ho fatto un pompino, eri troppo stanco per il sesso!»

Esce dalla doccia calmo, completamente rilassato.
Tutto nella sua vita sta andando a gonfie vele: è un pirata famoso come voleva essere, ha una famiglia unita e numerosa come ha sempre sognato, e tutti i suoi figli stanno bene, sia fisicamente che emotivamente e quella strana Ninfa assetata di sesso se n'è andata a fare le sue cose, lasciandolo finalmente in pace.
È tutto assolutamente perfetto.
Eccetto, forse, per la non richiesta presenza di Wulfric, seduto in maniera quasi ingessata sul suo letto.
«Sindrome di Marfan.» butta lì con una delicatezza pari a quella di un rinoceronte sbronzo, lasciando il capitano di sasso.
«Cosa?»
Wulfric piega leggermente la testa di lato, osservandolo sorpreso da sotto la spessa frangia grigia. Ha sempre avuto il difetto di dare per scontato che le persone sappiano sempre di cosa sta parlando, quando poi non è praticamente mai così.
Quando finalmente comprende che l'uomo non ha idea di cosa si tratti, gli mostra distrattamente i fascicoli dei vari risultati degli esami a cui lo ha sottoposto il giorno prima dopo un malore, e subito prosegue con la spiegazione.
«È una patologia autosomica dominante che colpisce il tessuto connettivo. Talvolta l'apparato cardiovascolare comprende delle alterazioni molto gravi e una dissecazione dell'aorta non è rara. In genere un paziente diagnosticato viene seguito durante tutta l'evoluzione della malattia e quindi monitorato con ecocardiogramma per le eventuali modifiche delle misure aortiche, quindi ripreso in tempo... ma tu non hai ricevuto le cure necessarie.» non è mai stato delicato Wufric. Lui è freddo, schietto e diretto. Non riesce a girare attorno al problema, non è nella sua natura. È per questo che non si fa problemi a dare una simile notizia a Barbabianca, pur avendo la consapevolezza che la notizia lo stia sconvolgendo.
«Dagli esami è risultata un'insufficienza aortica, che è un reflusso di sangue dall'aorta nel ventricolo sinistro in diastole, dovuto ad un'anomalia che determina un'imperfetta chiusura della valvola aortica.»
L'uomo inspira profondamente, passandosi una mano dietro al collo. I muscoli che fino a pochi minuti prima erano totalmente rilassati, adesso sono tesi e gli fanno quasi male.
«Che devo fare?» domanda con un filo di voce, pensando e ripensando solo ed esclusivamente alla possibile reazione che avranno i suoi figli.
Wulfric si alza velocemente e si dirige verso la finestra, sfiorando con la punta delle dita le superfici lisce dei mobili chiari.
«Il trattamento farmaceutico consiste nella somministrazione di calcio-antagonisti, come la nifedipina o ace-inibitori. Il trattamento chirurgico, invece, avviene tramite sostituzione valvolare, ma è discusso quando sia il periodo migliore per intervenire. Nel tuo caso probabilmente è già troppo tardi.»
Ci pensa attentamente, Newgate, osservandolo di sottecchi. La sua compostezza e il suo innaturale distacco dai sentimenti umani lo urtano parecchio, ma essendo il suo nuovo medico si trattiene dal tirargli un pugno. Certo, le sue infermiere sono eccezionali e questo non lo mette in dubbio, ma adesso ha la possibilità di avere un medico chirurgo assolutamente geniale con più di settemila anni di conoscenza sulle spalle.
«Quando mi opererai?» domanda infine, incrociando le possenti braccia al petto e guardandolo con il suo solito sguardo strafottente.
Wulfric neanche lo guarda, limitandosi ad osservare ciò che lo circonda. Ha sempre adorato il mare, ha imparato prima a nuotare e poi a camminare sul ghiaccio che a parlare, ma proprio non riesce a digerire un'isola tanto calda e soleggiata. Lui è sempre vissuto tra la nebbia, le foreste innevate e il gelo.
«Ne discuterò con Freki e Arista, poi fisseremo la data. Fino a quel momento, non devi fare il minimo sforzo.» risponde pacato, girando sui tacchi e dirigendosi calmo verso la porta, pronto ad informare almeno la vampira. Certo, Arista non avrà il suo quoziente intellettivo, ma se le metti in mano un bisturi è capace di fare miracoli.
Prima che il vampiro abbia il tempo di uscire, però, l'anziano pirata lo afferra per un braccio per bloccarlo, fissandolo duramente.
«Non osare dirlo ai miei figli.»


È una giornata piovosa di Novembre, la gente è rimasta chiusa in casa al calduccio ad ascoltare il ticchettio della pioggia sulle finestre. Il cielo è cupo e in alcuni punti quasi nero. I fulmini e i lampi illuminano il cielo per un secondo, ma dopo ritorna buio come prima.
Ma anche questo per i pirati di Barbabianca è un pomeriggio come un altro.
Stanno per la maggior parte sulla grande veranda della Villa delle Anime a chiacchierare del più e del meno, ad ascoltare disinteressatamente i pettegolezzi dei vari immortali.
Alcuni di loro si sono messi a parlare di ciò che sta accadendo nel suo sottosuolo di un'altra isola, Tuima. Lì è situato il Regno degli Elfi, creature immortali prive di una forza considerevole, dotate però di un intelletto smisurato, amanti dell'arte e delle buone maniere. In diverse occasioni si sono schierate al fianco di Fenrir, ma essendo per natura poco inclini alla violenza e alle guerre hanno deciso di non dare il loro aiuto quando, e tutti lo sanno, il momento di combattere arriverà.
Sono piuttosto sdegnati adesso gli abitanti di Helheimr. Loro in fondo li hanno aiutati nel momento del bisogno, quando i coyote mannari volevano impadronirsi delle loro terre. Ma non è per un motivo simile che serberanno rancore nei loro confronti, non ce n'è bisogno. Semplicemente aspetteranno il momento più propizio per rinfacciarglielo e avere in cambio qualcosa che desiderano, come spesso è già stato fatto.
Marco, da ben tre ore, osserva la pioggia che batte inesorabile sulla spiaggia. Sente in lontananza i tuoni e i fulmini che cominciano a palesarsi, indice che si sta avvicinando una tempesta.
Non ne ha ancora vista una, ad Helhmeir. Ha sentito dire da qualcuno, in quelle sue poche ore di libertà, che ai licantropi non piacciono per niente. Gli odori diversi li confondono, i rumori forti fanno perdere loro la concentrazione, e la pioggia fa perdere le tracce della preda. Sa che hanno paura perché è in momenti come quelli, o come quando scende la bruma, che tutto può accadere, che il nemico si avvicina e non lo vedi.
In un altro momento, Marco sarebbe stato curioso di vedere le loro reazioni, di vedere quei grandi e potenti condottieri millenari rintanarsi nelle loro abitazioni fino al terminare della tempesta, ma adesso ha ben altro a cui pensare.
A poco servono pure le incessanti chiacchiere di Ace.
Il Secondo Comandante non è mai stato tanto il tipo da chiacchierare così tanto. Non è neanche il tipo che si chiude nel mutismo assoluto, certo che no, ma neanche uno che parla come una macchinetta e chiede continuamente consiglio.
Dalle poche parole che Marco ha disinteressatamente ascoltato, è riuscito a capire che il problema principale che assilla il cuore del povero pirata si chiama Silly, ovvero quell'eccentrica lupa mannara che vive in isolamento nel bosco. Una tipa strana, infantile, che però riesce a mostrare, quando la situazione lo richiede, un carattere irremovibile, come in questo caso.
Mimì ha infatti riferito, rigirando il pugnale nella ferita di Ace, che Silly non è il tipo che si concede al proprio che capita. Quando decide di andare a letto con qualcuno, quando decide di lasciarsi totalmente a nudo, indifesa, è perché l'uomo in questione ha dato prova del fatto che non la considera come una botta e via, come una nuova tacca sulla cintura, no: la considera come una possibile compagna con cui passare almeno alcuni anni.
Perché Silly cerca piuttosto quel tipo di amore che ti toglie il cuore e ti fa fare follie. Cerca quel genere di amore in cui il tuo compagno non solo condivide momenti intimi con te, ma diventa anche il tuo migliore amico, quello a cui puoi dire ogni cosa senza la paura di venire rifiutato.
E anche Marco, per quanto sia dura da ammettere pure per lui, cerca in Akemi la stessa cosa: cerca la sua compagna, e non una da scopare quando a lei viene voglia; cerca una donna con cui poter affrontare i problemi, con cui poter litigare e poi far pace. Cerca la sua migliore amica, la sua amante, la sua compagna.
Sconsolato, sposta lo sguardo dalla finestra sottile che da sulla spiaggia e osserva disinteressatamente Halta, intenta a leggere con attenzione un antica tragedia.
«Cosa leggi?» domanda con un filo di voce, lasciando vagare lo sguardo per quell'enorme veranda.
Una parte di lui vorrebbe scappare da quell'isola, riprendere il mare, affrontare nuovi nemici e tornare a vivere, ma è incatenato lì, ad Helheimr, e non può far altro che provare ad affollare la mente con pensieri più positivi.
«Tutti trovano Giulietta e Romeo estremamente romantico. Non capisco del tutto il perché.» risponde stizzita la Comandante, chiudendo con forza il libro e gettandolo con poco garbo sul tavolo posto di fronte a loro.
«Insomma, se Giulietta è stata così stupida da innamorarsi del nemico, bersi una bottiglia di veleno e adagiarsi in un sepolcro... beh ha avuto ciò che si meritava!» sbotta subito dopo, riuscendo miracolosamente a strappare un sorriso al freddo Comandante.
«Uhhh, cattiva!» commenta ridacchiando Geri, raggiungendo il gruppo.
Era stato fino a quel momento ad assistere al massacrante allentamento della piccola principessa, domandandosi ogni santissima volta che veniva brutalmente colpita dove trovasse la forza di rimettersi in piedi.
Dopo una decina di minuti, durante la quale l'antico lupo si è messo a rileggere per l'ennesima volta quella tragedia che trova oltremodo ridicola, per quanto scritta divinamente, altri due mannari arrivano, calpestando la quiete che si era formata.
Uno è enorme e nero, decisamente il più grosso che abbiano mai avuto l'onore di vedere, e pare infinitamente stanco e scocciato, dal momento che si butta a peso morto sulla sabbia bagnata e nasconde il grosso e mostruoso muso tra le enorme zampe artigliate, quasi si volesse isolare in un mondo totalmente suo.
Ma il suo piccolo momento di pace viene brutalmente interrotto da un ammasso pelo biancastro che gli si butta di peso addosso, mordendogli piano l'orecchio e tirandolo di lato per poter giocare.
Tutto sotto la stretta sorveglianza di Marco.
Nella vita, alla fin fine, si arriva sempre ad un punto in cui devi tirarti su, smettere di piagnucolare e iniziare a vivere. E Marco è arrivato a questo punto, e se ne rende conto solo adesso, guardandola mentre si rotola nella sabbia con quel bestione.
“Stanno solo giocando” dicono alcuni.
“Non c'è niente di malizioso in quei gesti.” dicono altri.
Ma come può ascoltarli Marco?
Quella mattina lo ha guardato come un estraneo, quasi avesse paura di dire o fare qualcosa di tremendamente sbagliato, e poi è scappata via.
Adesso, invece, gioca felice alla lotta con il lupo mannaro che se l'è scopata per mesi, che l'ha allenata e cresciuta in un modo diverso dal loro. L'ha fatta integrare, ha asciugato le sue lacrime. E l'ha baciata. L'ha baciata mille volte e forse anche di più. Ma soprattutto l'ha consolata quando era sul punto di crollare, di non potercela più fare da sola, ed è questo che fa impazzire Marco.
In tutto quel dolore e abbandono, in quella nuova vita piena di paura ed incertezze ha trovato qualcuno come lei a cui si è affezionata, e Marco lo sa.
Nella vita tutti abbiamo sentito degli avvertimenti e li abbiamo ignorati.
Sfidiamo la fortuna. È la natura umana. Quando ci dicono di non toccare qualcosa, di solito lo facciamo. Anche se sappiamo che sarebbe meglio non farlo.
Forse perché, in fondo, stiamo solo cercando guai.
E di questo, Marco, ne è totalmente ed incondizionatamente sicuro.
Gli avvertimenti nella sua testa gli dicevano di starle lontana, di non affezionarsi, di lasciarla andare per la sua strada, ma poi faceva totalmente l'inverso, sbattendoci puntualmente la faccia.
Non avrebbe mai dovuto prenderla in braccio la volta che perse tutti i dentini da latte, tanto per cominciare. Ecco, forse per lui è stato proprio quello il momento in cui ha valicato la linea rossa, quella linea che l'ha spinto in un circolo di dolore e dannazione.
Sarebbe stato meglio non farlo perché lei è diversa da lui. Troppo diversa.
Si allontana momentaneamente da tutti quanti, Marco.
Si allontana in cerca di aria fresca, di una ventata di aria gelida dritta in faccia che lo aiuti a capire: continuare e fingere di star bene pur di non lasciarla andare? O lasciarla andare e cancellare ogni traccia della sua esistenza dalla terra e tornare a vivere come prima?
Non ne ha idea, Marco. Non sa cosa vuole fare, ma sa bene che deve trovare una scelta e deve farlo alla svelta.
Ogni volta che crediamo di conoscere il futuro, anche solo per un secondo, questo cambia. All'inizio era convinto che prendersi sulla nave la piccolissima Akemi avrebbe portato solo guai, ma si sbagliava. Certo, di guai ne ha portati sin troppi, ma alla fine ha portato pure gioie, soprattutto per lui.
Uno dei principali problemi in quel momento, almeno per Marco, è che è tutto cambiato rapidamente e totalmente. E adesso non gli resta altro da fare che scegliere la prossima mossa. Le sue due possibilità, però, non gli vanno a genio: sono semplici e al contempo complicate e, soprattutto, troppo dolorose per entrambi.
Rimane sempre però la terza scelta, quella che aveva scartato dall'inizio perché ritenuta troppo banale, scontata e stupida. Ed è proprio quello che ha appena deciso di fare: proseguirà, facendo un passo in avanti, nell'ignoto, con il solo pensiero che quello che accadrà da lì a poche ora, sarà la cosa migliore per entrambi.


Tutti ricordano i racconti della buonanotte dell'infanzia. La scarpetta al piede di Cenerentola, il rospo che si trasforma in un principe, la Bella Addormentata risvegliata da un bacio; c'era una volta e poi vissero felice e contenti.
Favole: sono come i sogni. Il problema è che le favole non si avverano mai. Sono gli altri racconti, quelli che cominciano con notti scure e tempestose e finiscono nell'inenarrabile. Sono gli incubi che sembrano sempre diventare realtà.
«Dobbiamo parlare...»
Non pensava che sarebbe andata così, Marco, eppure adesso sta in piedi nella camera di Akemi e la guarda come se fosse un'estranea. No, proprio non pensava che sarebbe andata così.
Quando l'aveva baciata dieci giorni prima, quando l'aveva stretta di nuovo tra le braccia ed era stato stretto a sua volta, era convinto che sarebbe andato tutto bene. Ok, non del tutto bene, perché sapeva che avrebbero dovuto comunque affrontare il problema, ma non pensava che sarebbe finita così.
Akemi lo guarda a sua volta, il cuore fermo nel petto. Lei sapeva che sarebbe andata così, invece. Lo sapeva, ma non si era preparata.
«Già...» risponde con un filo di voce, rimanendo in piedi in mezzo alla stanza.
Si passa le mani dietro al collo, Marco, sospirando. Si era preparato un discorso, voleva essere freddo e duro per non perdere la faccia, ma adesso è tutto diverso: lei è davvero davanti a lui e lo sta guardando negli occhi.
Prende un respiro profondo e distoglie lo sguardo per un breve istante, il tempo necessario per permettere al nodo che gli si era formato in gola di sciogliersi e lasciarlo parlare.
«Credevo di farcela. Sul serio, ero convinto che ce l'avrei fatta a lasciar correre.» afferma tutto in un fiato, bloccandosi poi di colpo e guardandola dritto negli occhi. Lascia andare le braccia lungo i fianchi, boccheggiando «Ma non ci riesco.»
Akemi abbassa la testa e annuisce piano, buttandosi a sedere sul letto e passandosi una mano tra i capelli, abbattuta.
«Abbiamo sbagliato.» mormora affranta, alzando timidamente gli occhi su di lui.
«Abbiamo sbagliato troppo.» si avvicina lentamente ad Akemi, sedendosi vicino a lei, venendo però allontanato velocemente. Akemi infatti scatta in piedi e cammina nervosamente per la stanza, senza mai avere il coraggio di incrociare i suoi occhi.
«Io sto cercando di amarti, perché non me lo permetti?!» sbotta di colpo la Fenice, gettando nel vento i buoni propositi che si era prefissato assieme al discorso minuziosamente studiato.
La giovane immortale alza di scatto lo sguardo, sorpresa. Era convinta che avrebbe semplicemente deciso di chiudere la storia, di lasciarla andare perché ha fatto un qualcosa di imperdonabile, e invece se ne esce così.
«Pensavo che volessi lasciarmi andare.» ammette con un lieve sorriso commosso e sollevato ad incresparle gli angoli delle labbra.
«Vuoi che lo faccia?» il tono di Marco è duro, gelido. Non può più mostrarsi troppo sdolcinato. Negli ultimi giorni è arrivato a guardarsi allo specchio e a non riconoscersi più, e la cosa non gli è piaciuta per niente.
Akemi gli sorride tranquilla, camminando con passo adesso elegante e tranquillo per quella grande e caotica stanza.
«Tutto questo... tutte le persone, la mia famiglia... hanno preso qualcosa da me, hanno portato via dei pezzetti di me, un pezzetto alla volta, pezzi così piccoli che non me ne sono accorta... e da un giorno all'altro mi sono trasformata in ciò che volevano. Un giorno ero io, Akemi, e all'improvviso sono diventata Lilith Lothbrook, la Principessa dei Morti. Ho perso me stessa per un periodo lunghissimo e ora che finalmente ero riuscita a trovare un equilibrio... riappari tu.»
Non si sente in colpa Marco. E non deve sentirsi in colpa, lo capisce dal sorriso pieno di gratitudine della ragazza e dal fatto che si sia inginocchiata davanti a lui e che gli stia tenendo le mani «Io ti amo Marco e questo mi fa paura da morire... perché ho paura di perdere altri pezzi di me... perché io te lo lascerei fare.»
Non piangerà Marco. Non questa volta.
Ha pianto così tante volte per lei che ancora se ne vergogna immensamente.
Si limita a sorriderle dolcemente e sfiorarle piano lo zigomo sinistro. Si alza poi in piedi e la costringe, stringendola delicatamente per un braccio, a fare altrettanto.
«Diamoci del tempo. Parliamo e... e cerchiamo di tornare amici.» propone convinto, mettendole le braccia forti attorno al corpo freddo e quasi tremante per le mille emozioni che lo percuotono, e la stringe a sé, poggiando la fronte sulla sua.
«Ce la faremo?» pigola la minore, senza mai abbandonare il contatto visivo, pur essendo pienamente consapevole che un giorno, presto o tardi, quei maledetti occhi neri le strapperanno altri pezzettini.
«Non so te, ma io posso fare tutto!» scherza il Comandante, dandole un buffo sulla guancia pallida. Riesce pure a farla sorridere, realmente divertita tra l'altro, e questo non è che un ottimo risultato «Senti: proviamo qualcosa di forte l'uno per l'altra, e questo è certo. Diamoci del tempo per farlo maturare. Non buttiamo tutto via senza neanche lottare.»
Akemi gli sorride grata per la terza possibilità che è disposto a darle e di slancio lo abbraccia con forza.
«Sei il migliore.» mormora vicino al suo orecchio, quasi piangendo quando il maggiore l'abbraccia a sua volta.
«Tienilo sempre a mente, soprattutto quando sei in compagnia di quel coglione!»
Le loro risate si mischiano, creandone un nuova.
Sono felici. Complicati, probabilmente troppo complicati per poter star insieme felici e contenti, ma sono felici.
Adesso si guardano dritto negli occhi: pece contro ghiaccio. Una battaglia che potrebbe durare secondi, anni o secoli, ma che nessuno dei due ha intenzione di abbandonare.
Si sorridono e finalmente, seppur con un lieve dolore ad serpeggiargli nel cuore, si separano da quel caldo abbraccio, indecisi su quale possa essere la prossima mossa.
Akemi, che da un cinque minuti buoni aveva cominciato a pensarci insistentemente, lo guarda con occhi languidi e gli si avvicina lentamente, pronta per sussurrare all'orecchio del suo amico il suo diabolico piano, che consiste semplicemente nello svaligiare le dispense.
Poi, d'un tratto, giungono dall'esterno dei prolungati e lugubri ululati, una specie di coro confuso, di cui però Akemi riesce a comprendere il significato: allarme.
«Ma cosa...?» cammina titubante verso la finestra per cercare di capire, seppur a grande distanza, quale sia il problema, ma è costretta a voltarsi non appena Killian, agitato come mai lo aveva visto, entra nella sua stanza.
«Ricordi la procedura di emergenza che ti ho mostrato tempo fa, vero?!» vomita quelle parole ad una velocità tale che per la ragazza è quasi difficile capirne il significato, ma alla fine capisce ed annuisce piano. Non sa cosa stia succedendo, Akemi, ma dagli occhi pieni di panico dell'amico capisce che è molto grave.
«Perfetto! Adesso prendi i tuoi fratelli e chiudetevi in camera loro!» ordina con tono duro, mettendole una mano sulla bocca per impedirle di dire qualsiasi cosa «Chiudetevi in camera e aspettate! Se senti il mio ululato, sai come procedere!»
Marco si avvicina titubante ai due e Killian lo fulmina con lo sguardo.
Sa bene che il pirata, per quanto forte sia, non potrebbe fare molto contro una minaccia simile, ma considerato cosa c'è in ballo non può tenerlo all'oscuro di tutto.
«Vieni con me!» lo afferra con forza per un polso e se lo trascina dietro a passo svelto, con il cuore che gli martella nelle tempie.
«KILLIAN!» gli urla dietro Akemi, uscendo a sua volta dalla stanza per provare a chiedergli ulteriori informazioni, vedendolo solamente sparire in fondo al corridoio a tutta velocità.
Che diavolo sta succedendo?!, si domanda, spaventata, indietreggiando con passo mal fermo.
La procedura di emergenza...
Ricorda a grandi linee ciò che il lupo le mostrò qualche mese prima, ovvero un sofisticato impianto nascosto nelle pareti che, grazie ad un codice, conduce velocemente nelle catacombe, dove sono stati nascosti dei minisommergibili che, dopo aver aperto le mimetizzate porte stagne, consentiranno una via di fuga molto veloce ed efficace.
Era sicura che fosse una misura estrema creata solo perché tutti troppo paranoici e che mai sarebbe realmente servita, ma, evidentemente, sbagliava.
Entra senza bussare nella stanza dei fratelli, trovandoli appiccicati alla grande finestra, curiosi come sempre. Sente che non hanno paura, neanche un po', e questo è davvero un bene.
«Che succede?» domanda Bjorn, prendendosi pure il disturbo di voltare un poco la testa. Quando incrocia gli occhi smarriti e spaventati della sorella, però, si morde subito la lingua: non vuole che il fratello si preoccupi, non vuole che stia male.
«Non lo so...» ammette con un filo di voce la maggiore, afferrando i fratelli per le spalle e stringendoli a sé «Però so che andrà tutto bene, ok?»
I minori annuiscono con poca convinzione, tornando subito a fissare fuori dalla finestra. Si stanno accendendo così tanti fuochi, si stanno radunando così tante persone.
Il piccolo Filippo, che dalla sua cuccia sotto al letto ha potuto sentire la conversazione, picchietta terrorizzato contro la gamba della sua mamma.
Akemi lo guarda e il cuore le si stringe in una dolorosa morsa, fredda e pungente.
Afferra il piccolo e lo stringe al seno, coccolandolo e sussurrandogli parole dolci, mentre con gli occhi continua a guardare maniacalmente fuori da quella finestra.
«Andrà tutto bene.»
In cuor suo però sa bene che niente andrà bene e che tutto sta per cambiare.


Marco, per quanto intelligente possa essere, proprio non riesce a capire chi o cosa sia riuscito a mobilitare tutti gli abitanti di Helheimr. In quella lunga e dura giornata è riuscito, tra un pensiero e l'altro, ad ascoltare i discorsi dei compagni, ed ha capito che niente entra e niente esce se non su autorizzazione di Fenrir, e che i pericoli al di fuori dell'isola non possono entrare perché non hanno “la chiave”, ovvero il sangue di un Lothbrook. Ha capito anche che Peter, lo psicopatico che li vuole tutti morti, voleva mettere le mani su Akemi proprio per ottenere quel maledettissimo sangue, oltre che per stuprarla ripetutamente fino a riuscire a metterla incinta. Ha pure ridacchiato, Marco, nell'immaginarsi la sua faccia nello scoprire che la ragazza non può avere figli.
Adesso, con una non indifferente angoscia nel cuore, non può far altro che sgomitare tra la folla per raggiungere i suoi fratelli. I primi che ha raggiunto erano in lacrime e furiosi. Ha chiesto immediatamente spiegazioni, ma è stato bellamente ignorato. E questo non gli ha dato fastidio, no: lo ha mandato nel panico. Perché mai non voler dare spiegazioni? Perché mai essere così maledettamente in crisi e non voler dire il perché?
Se lo domanda e ridomanda, arrovellandosi il cervello quasi fino ad impazzire, sempre con la fastidiosa presenza del viso angelico e turbato della donna per la quale ha perso la testa e che ha appena lasciato. Quella stessa donna che adesso è da sola a badare a due ragazzini che, da quanto ha capito, sono ancora mortali. Sola!
Quando finalmente riesce a raggiungere la cima di quella maledetta folla, che si è posizionata in un perfetto semicerchio attorno al corpo martoriato di Mimì, il suo cervello riesce a comprendere il perché delle espressioni dei suoi fratelli.

«Noi andiamo a fare un passeggiata al chiaro di Luna!»
La voce brillante e acuta di Mimì mi sta trapassando il cranio da parte a parte.
Ti prego, Satch: falla stare zitta! Ti ho detto cosa devo fare!
«Volete venire anche tu e Lilith?»
Rispondi tu Satch. Per favore. Non voglio essere sgarbato con lei, non voglio proprio.
Tu sai cosa voglio fare, cosa le dirò a breve... quindi, ti prego, aiutami.
«Lasciamoli scopare in santa pace!»
Satch, per quanto tu sia odioso e dispettoso il più delle volte, adesso ti adoro.
Mi rivolgi pure un sorriso prima di trascinare via quel terremoto con i capelli tinti male.
Mi sorridi, e sei felici.
Mi sorridi, e mi auguri che vada tutto bene.
Mi sorridi, e io ti sorrido a mia volta.
Sei il migliore, amico mio.

«Li ho lasciati soli...» mormora con un filo di voce, mentre Wulfric e Týr sono con le mani dentro la pancia dilaniata di Mimì.
I suoi occhi saettano da una parte all'altra come impazziti. Non sa cosa fare, non è preparato ad una cosa simile.
Vede i suoi fratelli consolare il capitano, e subito capisce che deve andare da lui. Sì, deve consolarlo. Deve alzarsi in piedi, camminare da lui con l'aria più calma possibile, e deve dirgli che andrà tutto bene.
Nel breve tragitto che li separa, sente chiaramente i bisbiglii dei presenti. Bisbiglii carichi di risentimento, e la rabbia comincia a fargli tremare le mani.
«Teach è uscito...» mormora con un filo di voce, cercando di capire come ce l'abbia fatta, e nel frattempo, prima che possa raggiungere il capitano, qualcuno lo afferra per un polso e lo butta a terra, accanto al corpo di Mimì.
Piange e urla.
Urla e piange.
Prova a dimenarsi, ma le stanno somministrando generose dosi di calmanti per riuscire a capire cosa sia successo.
Wulfric, chino sulla vampira, mormora al suo orecchio che la situazione è davvero molto grave e che erano impreparati.
Marco guarda quel sangue nero scorrere sul corpo diafano della ragazza. La stessa ragazza che lo aveva invitato a fare una passeggiata al chiaro di Luna perché considerata una cosa romantica.
Poi, con una buona dose di sorpresa, nota una protuberanza nel suo addome. Una protuberanza che le è stata cucita all'interno del suo corpo e che, evidentemente le sta provocando dei dolori atroci.
«Noi apriamo e tu, Marco, devi essere pronto a togliere quella cosa, chiaro?»
Il pirata annuisce convinto. Sa di potercela fare. Ne è sicuro. Certo, non ha mai assistito ad un intervento chirurgico, ma sa di potercela fare.
«Marco, al mio via, ok? Tre...»
Marco non riesce a respirare. La sua mente è totalmente vuota. Vuole solo che tutta questa follia finisca al più presto per poter constatare di persona che Akemi, la sua amica, sta bene ed è al sicuro.
In più tutti lo fissano, e i loro sguardi non sono dei migliori...
«Due...»
Piange così forte, Mimì, che sulle prime non riescono neanche a capire cosa dice. Si sta sforzando, ma tra i singhiozzi riesce a pronunciare solo versi incomprensibili.
Marco abbassa lo sguardo su di lei, mentre tiene tra le mani tremanti un piccolo involucro di legno e metallo, al cui interno potrebbe tranquillamente esserci un ordigno esplosivo o simili, quasi estratto dal suo addome. Abbassa lo sguardo e la vede sofferente come mai nessuno aveva visto: il volto allegro devastato dalle lacrime scarlatte versate, reti d'argento su polsi e gola in modo che non si dimenasse e un più che possibile trauma cranico a giudicare dal sangue che cola giù dall'attaccatura dei capelli.
«UNO!»
Un movimento deciso, attento, quasi chirurgico, e tutti possono osservare il piccolo scrigno di legno, i cui bordi sono stati ovviamente rinforzati con dell'argento.
Marco non sa cosa fare. Non sa neanche se deve dare lo scrigno a qualcuno, tenerlo per sé, dire ad Ace di bruciarlo.
La cosa peggiore, poi, sta nel fatto che non sa cosa ci sia dentro.
«Dallo a me, vieni...» Sakura, dolce e gentile anche quando la situazione non lo richiede assolutamente, gli sfila l'oggetto dalle mani e lo lascia tornare nel suo stato di shock.
Marco aveva sentito dire di qualche pirata folle che aveva assistito ad un parto avvenuto in condizioni estreme e, beh... adesso è sicuro di poter dire di aver appena assistito al più strano, malato, pericoloso, parto non-parto della storia.
«Restale vicino, ok?» mormora dolcemente la vampira dai lunghi boccoli d'oro e gli occhi di ghiaccio, quasi trascinandolo di fianco all'amica che ancora non si muove.
Sta bene, questo lo sanno benissimo, ma non sanno come sia potuta succedere una cosa simile.
Mentre Marco regge debolmente la mano di Mimì, che sarà capace di rimettersi in piedi dopo diverse ore e molti litri di sangue, non riesce a fare a meno di osservare l'animata discussione tra Freki e Fenrir. Il primo gli urla di aumentare le difese, di barricarci dentro l'isola fino al momento in cui non capiranno come e quando attaccherà. Il secondo che la situazione è diventata troppo instabile e che i loro rimedi non serviranno a niente.
Sono spaventati a morte, e questo lo preoccupa. Quando mai quei due si preoccupano?
«Sat-»
Marco scatta sull'attenti in un batter d'occhio e subito porta il volto anche troppo vicino a quello della vittima, poggiandole una mano sulla guancia e l'altra sulla spalla.
«er... v-vo-... eva-... atch-»
«Mimì, ascoltami: ripetilo un'altra volta, lentamente, ok? Parla con me, solo con me. Sono uno dei testimoni, ricordi?» usa quella scusa per il semplice motivo che deve ricordarle che se non lo aiuta in quel preciso momento, il bel matrimonio che sta preparando con tanta energia non si terrà mai.
Mimì sorride appena. Un sorriso carico di speranza e paura, che poi si trasforma inevitabilmente in un urlo pieno di odio e furia.
«PETER VOLEVA SATCH!»
Per una manciata di minuti c'è il silenzio più assoluto, ma poi lo scontento e la paura esplodono, e poco ci manca che si arrivi ad uno scontro diretto.
Vogliono sapere come è entrato, dove si è nascosto e, soprattutto, vogliono sapere cosa diavolo vuole da loro.
Tutti urlano.
Le tiepide amicizie che si erano formate si sgretolano velocemente, le minacce si perdono come gli insulti.
«CHE COSA?!»
Tutti si immobilizzano di colpo, che siano esseri umani, fatine, Windigo, morti-vivente o quant'altro. Tutti loro sono completamente immobili, con gli occhi puntati su un più che adirato e sorpreso Týr Lothbrook.
Lo avevano visto una volta in quello stato, così fuori dalla grazia di Dio, ed è stato quando gli dichiararono guerra a causa della nascita dell'adorata figlia.
Adesso tutti lo seguono con lo sguardo, timorosi, cercando di capire come il pezzetto di carta, estratto dalla scatoletta, che stringe tanto gelosamente in mano abbia scatenato tutta questa rabbia.
Rabbia che sorprendentemente viene riversata sul fratello maggiore.
Gli si avvicina velocemente con passo di carica. Le zanne esposte, gli occhi iniettati di sangue.
Freki ha capito. Gli è bastato guardare l'espressione stravolta del suo adorato Sovrano per capire.
In fondo ha sempre saputo e sempre taciuto, come si chiede di fare ad un buon Beta.
Gli si chiede pure di difendere a costo della vita il proprio Sire, ma questa volta Fenrir glielo impedisce, portando un braccio teso all'altezza del suo petto.
Non lo guarda neanche, non ce la fa.
Non ci aveva mai pensato davvero, ma adesso capisce che quando le cose brutte arrivano, quelle brutte davvero, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Scegliamo strategie sempre vincenti per nasconderci, cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano sbucano dal nulla, senza avvertire. E questa volta è toccato a lui, il grande Imperatore immortale.

«È TUO FIGLIO!»



Angolo dell'autrice:
Eccomi di nuovo qui! Perdonatemi per il grande ritardo, ma proprio non sono riuscita a fare più velocemente. Le vacanze mi hanno completamente prosciugata. Impegni su impegni, costantemente fuori casa... poi problemi! Tanti, tanti, tanti problemi.
Dire che l'anno è iniziato male è dire poco. (E qui ci starebbe un bel bestemmione, ma evito)
Passiamo al capitolo, che probabilmente è meglio!
Ora spieghiamo un secondino l'uscita di Akemi. Il “l'ho rotto” viene detto a ripetizione da noi quattro imbecilli per indicare una sconfitta in qualsiasi campo. Il ragazzo della mia amica la zittisce con una frecciatina? T'ha rotto. Io faccio perdere il mio ragazzo con una particolare minaccia? T'ha rotto. Chiaro, no? Ovviamente io, da brava scema quale sono, dovevo metterla in quel frangente.
Poi... beh, nulla. Marco ha lasciato Akemi! Sì, perché ormai c'è così poca fiducia tra loro che è inutile provare a rimettere le cose insieme con lo sputo, no? Come ha detto Marco, avranno bisogno di tempo.
Ma la cosa più grande di questo capitolo, quella che probabilmente è la bomba delle bombe di questa storia, è proprio la fine. L'avreste mai pensato? :3

Beh, è meglio se vado!
Grazie di cuore a Okami D Anima, KURAMA DI SAGITTER, Monkey_D_Alyce, Chie_Haruka, Aliaaara, Keyea Hanako D Hono, Yellow Canadair e ankoku per le magnifiche recensioni! Troppo gentili!

Un bacione
Kiki♥ 

  
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