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Autore: __iriis    22/01/2015    4 recensioni
Era ormai arrivata a metà bicchiere nel giro di poco quando alzò lo sguardo su addominali scolpiti e tatuati, spalle larghe e bicipiti muscolosi che le si erano improvvisamente parati davanti.
La stava fissando insistentemente e si sentì quasi minuscola sotto il suo sguardo da inquisitore.
«E tu chi sei?» domandò con sorpresa, senza smettere di squadrarla da capo a piedi.
«Annabeth» sussurrò, deglutendo a fatica quell'improvviso groppo che le si era formato in gola.
«Annabeth...?» il suo nome pronunciato da lui, con quel particolare timbro di voce, le fece letteralmente accapponare la pelle.
«Annabeth Howard.» precisò.
«Anna ed io ci siamo conosciute stamattina! Non è adorabile, Harry?» Camila si intrufolò nel discorso, mettendo un braccio attorno alle spalle dell'amica.
Dal canto suo Annabeth non riusciva a trovare il coraggio di staccare i suoi occhi da quelli quasi ipnotizzanti di Harry. Erano di una particolare sfumatura di verde con qualche spruzzo di grigio qua e là, come nuvole temporalesche; belli ma minacciosi, come se stesse studiando il modo migliore di metterti al tappeto.
«Già, adorabile».
-
SOSPESA.
Genere: Erotico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Harry». Il suo corpo venne delicatamente scosso da un tocco morbido e quella voce dolce gli si insinuò nelle orecchie come una melodia «E' tardi Harry, svegliati».
Costrinse i suoi occhi ancora stanchi ad aprirsi, uno per volta, venendo immediatamente investito in pieno volto dalla luce del sole, ormai già alto nel cielo da un pezzo.
Mugugnò qualcosa, coprendosi di più con il suo piumino leggero e si voltò dal lato opposto a quello dove si trovava la donna. La sveglia sul comodino segnava appena le 12 pm.
«Ti ho lasciato la colazione in cucina, riscaldala se ti va. Io sto per uscire a fare la spesa» gli scompigliò ancora di più i capelli e poi Harry sentì il rumore dei suoi passi farsi sempre più tenue, fino a sparire del tutto.
Lui sbuffò, gettando via il cuscino che aveva sotto la testa. Ormai era sveglio, e difficilmente avrebbe ripreso sonno. Così si alzò, di malavoglia, e andò diritto in bagno, barcollando lievemente.
La doccia fredda che aveva fatto aveva decisamente migliorato il suo stato, anche se il mal di testa era sempre lì. Per quello avrebbe preso una compressa dopo aver mangiato la sua colazione che trovò, come promesso da Felicity, sul ripiano di marmo del bancone in cucina.
Trangugiò tutto, non sicuro del fatto di aver assaporato realmente i diversi sapori, e buttò giù per la gola anche un antidolorifico. Gli addominali gli dolevano ad ogni minimo movimento. Il ragazzo che aveva affrontato la sera prima era stato davvero una bella sfida, un vero osso duro. Ma aveva vinto lui e questo ricompensava tutti gli sforzi.
«Buongiorno» Si voltò leggermente alla sua destra, dove apparì la figura di suo padre, avvolto in un elegante completo, di Armani molto probabilmente.
Automaticamente una smorfia di disgusto gli si disegnò sul volto. «Dormito bene?» chiese, versandosi una tazza di caffè, che bevve in fretta, guardando il figlio ancora mezzo stordito.
«Ti interessa davvero?» replicò con acidità Harry, spostandosi i capelli all'indietro. Erano cresciuti troppo, ma gli piacevano.
«Sei mio figlio, è logico che mi interessi» Des poggiò la tazza sul marmo, mentre guardava suo figlio accigliato.
«Okay -rise il ragazzo con sarcasmo- ho dormito benissimo, papà» gli rispose ironico, enfatizzando l'ultima parola.
«Non cambierai mai, vero?» Harry si alzò dallo sgabello, dando le spalle all'uomo.
«Perché dovrei?» afferrò il telecomando del televisore a sessanta pollici, nuovo di zecca «Mi basta essere me stesso per farmi odiare da te. E' perfetto!» disse, senza staccare lo sguardo dalla tv.
Tra loro due non c'era mai stato un vero e proprio rapporto tra padre e figlio. Troppo diversi, incompatibili. E tutti i giorni Harry non perdeva occasione per ricordare a suo padre che nella sua misera vita aveva sbagliato tutto. Con lui, con sua madre.
«Io non ti odio Harry!» esclamò, battendo un pugno sul tavolo «Sei mio figlio, dannazione! E mi fa male-»
«Cosa ti fa male papà?» gridò, alzandosi. «Ti fa male il fatto di aver divorziato da mamma e di averla allontanata da me per un tuo fottuto capriccio? Se è per questo allora mi dispiace dirti che sei in ritardo. Avresti dovuto rendertene conto vent'anni fa!» lo fulminò con i suoi occhi rossi dalla rabbia e lo lasciò in cucina senza aggiungere altro.
Si chiuse la porta della sua camera alle spalle con forza, facendo vibrare tutta la parete.
Nonostante suo padre avesse sempre cercato di dargli il meglio, fin dal primo giorno, vestiti firmati, una bella casa, soldi in tasca ed un istruzione che lui aveva rifiutato di proposito, non sarebbe mai cambiato nulla tra loro. Il rispetto ed il perdono non avrebbe potuto comprarli con i suoi fottuti soldi. Erano ormai solo due estranei che condividevano la stessa casa e che di tanto in tanto si gridavano cose orribili.
Nulla di più.

 

 
«Ciao mamma. Come va?» Le temperature agli inizi di ottobre a New York erano abbastanza piacevoli. Il sole non picchiava in testa troppo forte ed il leggero venticello che si alzava di tanto in tanto non era un problema, non ancora almeno. «Sono appena uscita dall'università, adesso mangio qualcosa per strada e poi torno a casa a studiare» Attraversò velocemente sulle strisce pedonali, non appena il semaforo era passato al verde. «Si, è tutto okay. Perché non dovrebbe essere così?» sbuffò, senza farsi sentire dall'altro capo del telefono, «Non ti sto nascondendo nulla, mamma» afferrò una caramella dalla borsa. Se le portava sempre dietro. «Ti richiamo stasera, va bene? Sono appena arrivata alla caffetteria» Spinse la porta dell'entrata, sentendo poi il campanellino suonare sopra la sua testa. «Ti voglio bene anch'io» chiuse finalmente la chiamata, sospirando.
Si sentiva alquanto irritata quella mattina, e non volle dare la colpa agli avvenimenti della sera precedente per il semplice fatto che non voleva affatto ripensarci.
Si era svegliata di malumore ed aveva cominciato la giornata con il piede sbagliato. Punto.
«Ciao Amy!» salutò la simpatica signora «Cos'hai per me?» le chiese, allungando il collo per sbirciare tra le vetrine. Si sedette sul solito sgabello, al suo solito posto.
«Una sfilza di sandwich appena preparati, di tutti i gusti» disse fiera l'altra, con un raggiante sorriso sul volto.
«Portami quello più buono che hai» Annabeth tirò fuori dalla tasca dei jeans un elastico nero e si legò velocemente i capelli in una crocchia disfatta.
Prese il suo libro di filosofia dalla borsa e lo aprì alla pagina segnata con un orecchietta. Era pieno di post-it di ogni dimensione e colore. Era sempre così precisa ed ordinata. Una fissazione che si portava dietro dai tempi delle elementari.
«Ecco a te!» Amy le poggiò sotto il naso un piatto bianco con al centro un enorme sandwich a triangolo, ripieno di pollo, insalata e pomodori ed anche un bicchiere di coca cola.
«Grazie mille» le allungò i soldi e riportò quasi subito lo sguardo sul libro. Sembrava strano ammetterlo, ma lei non vedeva l'ora di poter dare il primo esame.
Mentre era quasi alla fine del suo pranzo ed il bicchiere di cola era stato riempito per la seconda volta da Amy, notò Camila e Liam entrare nel bar.
Erano molto concentrati sulla loro conversazione che si accorsero di Annabeth solo una volta che si furono accomodati al suo fianco. Sorrisero a trentadue denti, entrambi, ed iniziarono subito a tempestarla di chiacchiere.
«Aspettate un attimo!» esclamò, sorpresa «Voi due andate all'università?» Sperò di non essere apparsa troppo sorpresa, per evitare che i due ragazzi si potessero offendere in qualche modo, ma la verità era che davvero non l'avrebbe mai immaginato.
«Io sto a psicologia -sorrise soddisfatta- e Liam ad ingegneria aerospaziale» contorse le labbra in una smorfia e alzò gli occhi al cielo come a voler insinuare quanto fosse noiosa la facoltà che il ragazzo aveva scelto.
«Tu stai a filosofia, di sicuro» affermò Liam, bevendo dalla cannuccia.
«Come hai fatto a capirlo?»
«Ce l'hai letteralmente scritto in faccia!» Annabeth scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
Era praticamente un libro aperto per tutti, non solo per chi la conosceva da anni.
«Anche gli altri sono iscritti all'università?» chiese poi, curiosa di saperne di più.
«Louis e Niall no, che io sappia» iniziò Camila, chiedendo conferma con lo sguardo a Liam, il quale annuì «Zayn lavora in un autofficina poco lontano da qui da quando aveva diciassette anni, tipo, ed Harry ha mollato al secondo anno di Economia» Camila scrollò le spalle, e lo stupore sul viso di Annabeth crebbe a dismisura a quell'ultima affermazione.
Harry Styles, che fa a botte in uno squallido locale nella periferia di New York, frequentava i corsi di Economia all'università?
«Che figata, eh?» Liam alzò entrambe le sopracciglia, sorridendo «Credevi che fossimo tutti dei cazzoni senza cervello. Dì la verità» disse, guardandola malandrino. Annabeth arrossì.
«Ma no! Certo che no!» sbottò, alzando un po' la voce «Non mi sarei mai permessa. Siete tutti dei bravi ragazzi e mi siete anche simpatici» ammise, poi.
«Scherzavo, Anna!» Liam la spintonò leggermente, concentrandosi poi solo sul suo panino appena arrivato.
Non aveva mai pensato che fossero tutti dei cazzoni senza cervello, -okay, forse un po'- ma restava comunque il fatto che lei non aveva mai frequentato quel tipo di persone ed i primi giudizi sparati a caso non potevano non mancare. Avrebbe aspettato ancora un po' prima di trarre qualche altra conclusione e nel frattempo si sarebbe concessa un po' di selvaggio divertimento con i suoi nuovi amici di New York.
«Stasera mi passi a prendere tu o viene Niall?» Aveva chiesto Camila ad un tratto, rivolgendosi a Liam che aveva appena finito di masticare e mandare giù l'ultimo boccone del suo panino. Prese un sorso di coca cola e poi scosse la testa.
«Passo io. Niall ha da fare e credo anche che ci raggiunga più tardi direttamente da Potts» rispose, pulendosi le mani con un tovagliolo.
Presa dalla curiosità, Annabeth ficcò il naso tra i due per capirci qualcosa. «Andate ad un altra festa?»
«Il termine più adatto sarebbe ci “imbuchiamo” ad un altra festa, ma comunque sì» disse Liam, «Vuoi venire?» azzardò poi.
«Sì che verrà! Glielo stavo giusto per chiedere» rispose Camila «E ci prepareremo insieme, a casa mia!» sbatté le mani entusiasta, proprio come una bambina.
Con quale coraggio avrebbe potuto rifiutare e rovinarle l'umore?
 
 

 
 
«Non mi sento a mio agio!» si lamentò Annabeth non appena misero piede fuori dall'auto di Liam. Erano appena le undici di sera, i piedi già le facevano male per via di quegli stivaletti con il tacco che Camila le aveva obbligato a mettere ed il vestito che le aveva prestato era troppo corto per i suoi standard.
«Ripeto. Non mi sento assolutamente a disagio!» borbottò ancora, facendo ridere Liam che, dopo aver chiuso la macchina, si avviò verso quella villetta situata appena fuori i confini del quartiere.
«Non devi tenerlo addosso per tutta la tua vita Anna! E' solo per qualche ora» disse Cami, alzando gli occhi al cielo «Non lamentarti e cerca di divertirti» la prese sottobraccio ed insieme seguirono il ragazzo «Sei troppo tesa, e forse so cosa può farti sciogliere un po'» la guardò con malizia, ma Annabeth non rispose. Si limitò a guardare davanti a se, per evitare una qualsiasi caduta sul vialetto fatto di ciottoli.
Avanzarono lentamente all'interno della casa, e per un istante anche Camila stessa si sentì disorientata.
Si erano già imbucati prima a molte feste, ma quasi nessuna sarebbe riuscita ad uguagliare quello che i suoi occhi stavano osservando estasiati.
«E' bellissima» sentì mormorare da Annabeth che ancora le stringeva la mano. Restarono lì per qualche istante ancora, a guardarsi attorno affascinate.
Era una casa di grande lusso quella lì, arredata con gusto e soprattutto con soldi, tanti soldi.
«Con un po' di pressione riuscirei a convincere anche mia madre ad arredarla così la nostra casa a San Diego» diede voce ai suoi pensieri senza rendersene conto. Camila scosse la testa sbalordita.
«Bingo!» esclamò la mora «L'avevo capito fin da subito che i tuoi sono ricchi!»
«Siamo una famiglia benestante» si difese l'altra, portandosi alcune ciocche ondeggianti dietro le orecchie.
Camila aveva fatto davvero un gran bel lavoro con la piastra per capelli ed il suo armadio stracolmo di vestiti. Al trucco aveva pensato da sola, essendone capace.
Alla fine l'unica pecca era la comodità, alla quale lei era da sempre abituata. Ma avrebbe potuto fare un eccezione per quella sera e si sarebbe tenuta addosso l'abito e le scarpe.
In due giorni quell'estranea l'aveva completamente trasformata, pensò seguendola mentre si avviavano dove Liam le aveva fatto cenno di raggiungerlo.
Erano giunte praticamente dall'altro lato dell'enorme salone che adesso era diventato una pista da ballo stracolma, solo che avevano preso la via più lunga, evitando di passare tra quella massa sudata e appiccicaticcia.
Salutò Louis e Niall, qualcuno avvertì che l'arrivo di Zayn sarebbe avvenuto a momenti, ma di Harry non c'era nessuna traccia, il che non poté che farle piacere.
Si rilassò visibilmente, accettando di buon grado quel drink che le stavano offrendo. Mandò giù due sorsi carichi di Red Bull e Vodka, infilandosi poi in una discussione che era nata dal nulla.
Louis rideva a crepapelle insieme a Camila che si teneva la pancia, Liam era al quinto o forse al sesto bicchiere e ormai aveva il cervello completamente andato, ed infine erano rimasti solo lei e Zayn, unitosi da poco al gruppo, che non smetteva di guardarla famelico.
«Che c'è?» gli chiese, resa un po' più sfacciata e coraggiosa da quei tre drink che aveva bevuto. Lo reggeva abbastanza, se non per altro, aveva solo delle lievi vertigini.
«Nulla» rise lui «Ti va di ballare?» posò la bottiglia di birra per terra e si alzò, porgendo una mano alla ragazza che accettò volentieri. 'Al diavolo tutte le paranoie mentali'.
Avanzavano mano nella mano tra tutti quei ragazzi che si stavano scatenando sulle note di una qualche canzone house remixata dal dj alla consolle, e Zayn si fermava di tanto in tanto per stringere la mano a qualcuno.
«C'è qualcuno che non conosci?» urlò Annabeth, avvicinandosi al suo orecchio.
Zayn si limitò a sorridere e non rispose. Era davvero un ragazzo di pochissime parole.
Arrivati dove al ragazzo faceva più comodo con un movimento molto rapido Anna finì per spiaccicarsi contro il petto di Zayn, a pochi centimetri di distanza dal suo volto.
Era molto più alto di lei anche se i tacchi le davano qualche centimetro di altezza in più ed il suo sguardo era talmente penetrante da caricarla di soggezione.
«S-scusa» balbettò, scostandosi appena. Zayn la fece lentamente voltare, così che adesso potesse darle le spalle. Annullò le distanze tra i loro corpi leggermente accaldati, sfiorandole l'orecchio con la punta del naso.
«Non scusarti, lasciati semplicemente andare» rispose sussurrando, e Annabeth si meravigliò di come era riuscita a sentirlo nonostante tutto quel baccano. Era ancora rossa in viso ed iniziava a sentire maggiormente caldo, ma seguì il consiglio del ragazzo, lasciando che le pulsazioni della musica le penetrassero sotto la pelle.
Socchiuse gli occhi, poggiandosi delicatamente contro il petto caldo che sentiva premere dietro la sua schiena. Zayn le mostrava come ondeggiare, come muovere il resto del corpo in sintonia al suo bacino.
«Ci sai fare» lo sentì dire, e sorridere poi contro la pelle del suo collo, dandole una bellissima scarica di brividi.
Adesso, per la prima volta, sapeva come ci si sentiva ad essere perfettamente brilli ma consapevoli. Le piaceva, le piaceva dannatamente quella nuova ed intensa sensazione di libertà.
Aveva da sempre tenuto in gabbia quel suo lato che aveva appena scoperto e si chiedeva come avesse potuto nasconderlo tanto a lungo. Così selvaggio, incontrollato, indipendente.
Sorrise, mordendosi il labbro. Scivolò lentamente giù per il corpo di Zayn, poggiando le mani sulle sue gambe fasciate dalla stoffa del jeans per tenersi in equilibrio.
«Cosa si prova ad essere liberi per la prima volta?» chiese Zayn, stringendosi ancora di più ad Annabeth. Era come se le avesse letto nella mente, pensò, ma forse era stato semplicemente bravo a saper interpretare il suo comportamento, i suoi gesti, i suoi movimenti.
«E' meraviglioso» soffiò, sicura che il ragazzo non avrebbe potuto sentirla. Aprì gli occhi, sorridendo involontariamente e finalmente si voltò verso di Zayn. Lo trovò a guardarla sorridente, con un espressione furba e maliziosa. Aveva capito che quello era il suo marchio di fabbrica e non si sarebbe meravigliata se lo avesse scoperto a letto con tre o quattro ragazze. Sembrava che tutte lo guardassero con la bava alla bocca tanto era bello.
«Grazie, davvero» si fermarono per qualche momento, dando fine a quel magico momento.
«Per averti chiesto di ballare?»
«Sì, ma anche per avermi fatto provare qualcosa che non sapevo avrei mai avuto il piacere di provare prima» disse, ritornando ad essere la timida Annabeth.
«Di niente, allora» lui le baciò il dorso della mano con fare galante ma che era in netto contrasto con il contesto circostante. Sparì subito tra la folla, diretto forse al tavolo degli alcolici.
Annabeth riusciò a ritornare a fatica a quell'enorme divano dove aveva lasciato Camila e gli altri, ritrovandovi solo Louis che era quasi sul punto di addormentarsi. Lo scosse lievemente, sedendosi poi accanto a lui. Gli sfilò il bicchiere tra le mani e finì la sua birra calda in un sorso.
«Dove sono gli altri?»
«Non ne ho idea» borbottò, strofinandosi gli occhi. Si mise a sedere più composto, cercando di riacquistare un po' del contegno perso.
«Vado a prendere da bere, aspettami» Annabeth lo vide alzarsi barcollante e forse pensò che avrebbe dovuto dirgli di stare seduto per evitare che potesse collassare o qualcosa del genere. Ma poi si ricordò che loro erano abituati a tutto quello, e che lei era l'extra-terreste della situazione.
Sbuffò, cercando di coprirsi il più possibile le cosce con la stoffa di quel misero vestito che lei odiava tanto -ma che gli altri sembravano aver apprezzato-, senza ottenere un grande successo.
Lou ritornò con due bottiglie di birra fredda tra le mani e ne porse una ad Anna. Nello stesso momento, all'altro capo del divano ad angolo, vide accomodarsi in modo molto poco consono Harry Styles ed una ragazza dai capelli rossi.
Deglutì, sentendo subito il suo umore mutare in peggio.
Louis sprofondò nuovamente al suo fianco, riassumendo la precedente posizione, mentre lei teneva i suoi occhi blu fissi su quei due che avevano iniziato a baciarsi in modo osceno. Cercò di spostare il suo sguardo altrove, ma non riusciva a capire perché fosse così difficile farlo. Era diventata improvvisamente incapace di comandare il suo stesso corpo? In quel momento i dubbi la stavano assalendo, e non si era resa conto che adesso anche Harry ricambiava le sue occhiate.
Era ubriaco, marcio, e forse aveva anche fatto uso di qualche droga da come la sua espressione suggeriva. Le fece l'occhiolino, mentre la ragazza seduta sulle sue gambe aveva infilato lentamente una mano nei suoi pantaloni scuri.
Annabeth respinse l'impulso di alzarsi e correre via. Non meritava l'ennesima soddisfazione, non quella volta. Avrebbe resistito e sarebbe rimasta a guardare, proprio come lui desiderava.
Si mise comoda, quindi, poggiando un gomito sullo schienale del divano e tenne la bottiglia di birra vicina alle sue labbra. Accavallò le gambe nude, e avrebbe anche potuto allungare la scollatura verso il basso se avesse aiutato a rendere il tutto un po' più piccante, ma decise di indugiare su quel punto. Bevve piano, un sorso per volta, cercando con tutta se stessa di apparire tranquilla e per nulla toccata, ma la verità era che guardare Harry Styles gettare il capo all'indietro, dischiudere le labbra e contorcersi dal piacere le stava facendo letteralmente attorcigliare le interiora.
«Ti stai godendo lo spettacolo, eh?» Annabeth sussultò al suono della voce di Louis che le sussurrava nell'orecchio. Si voltò velocemente verso di lui, tossicchiando.
«N-no, è che lui lo fa di proposito, per mettermi in imbarazzo» spiegò, chinando lo sguardo «E' meschino e crudele da parte sua. Crede di potersi prendersi gioco di me solo perché sembro una verginella innocente!» disse, incrociando le braccia al petto «Così cerco di tenergli testa, ma l'unica cosa che riesco a fare mentre lo guardo fare quelle cose è cercare di non vomitare!» finì in una smorfia.
Louis al suo fianco ridacchiò divertito e le pizzicò la punta del naso. «Davvero, non perderci troppo tempo. Harry è sempre stato così. Goditi le serate con Camila e tutti noi senza dare peso a lui. E' un cazzone!» spiegò con sincerità.
Forse aveva ragione lui. Avrebbe dovuto comportarsi con indifferenza nei confronti di Harry, e ci avrebbe provato.
 
 

 
«Quindi mi stai dicendo che adesso è questo il tuo cazzo di problema, Nì?» Nel giro di poco quella casa stava diventando man mano sempre più deserta e lei aveva anche perso di vista Louis dopo che si era alzata per andare al bagno.
Adesso avanzava verso Camila e Niall che stavano nel bel mezzo del giardino a gridarsi frasi che per lei erano senza senso.
«Cami» azzardò, con voce molto bassa, facendosi più vicina. Aveva paura di star interrompendo qualcosa di troppo grande in cui lei non voleva entrarci.
«No, ma sai che c'è? Mi avete rotto i coglioni, tu e le tue fottutissime scuse» gridò Camila, facendo qualche passo indietro. Niall se ne stavo zitto in silenzio, con le mani infilate nelle tasche.
Era una di quelle tipiche scene da film in cui lui ha torto marcio e non può far altro che subire l'ira di lei. Abbastanza divertente, a dire la verità.
«Vai a farti fottere, asqueroso!» Non aggiunse nient'altro. Si limitò a lasciarlo lì impalato, con una mano strisciante sul viso stanco.
«Cam-» si bloccò dal chiamarla per la seconda volta, vedendola sparire dietro ad una porta. «Magnifico!» alzò le braccia al cielo e le lasciò poi cadere svogliatamente lungo i fianchi.
Era da sola , in una casa di cui non conosceva nemmeno il proprietario, i suoi amici sembravano come essersi vaporizzati e lei non aveva la più pallida idea di come tornare a casa.
Provò ad accendere il suo cellulare per poter chiamare un taxi, ma l'apparecchio scarico non ne voleva proprio sapere.
Raccolse le sue cose dal divano ed uscì in strada, nella speranza di ritrovare Camila. Si infilò il giacchetto nero che si era portata dietro, stringendosi di più in se stessa.
Quel leggero vento freddo iniziava a darle i brividi lungo tutte le gambe scoperte.
Da lontano notò una grossa macchina nera avanzare lentamente nella sua direzione. Si fece indietro istintivamente, restando sull'attenti. L'auto accostò al marciapiede, ed il finestrino dal lato del passeggero si abbassò.
«Cosa ci fai qui fuori sola soletta?» esclamò l'ultima persona sulla faccia della terra che avrebbe voluto incontrare in quel momento.
«Non sono affari tuoi» replicò acida, ignorandolo.
«Okay. Allora quant'è per un pompino?» chiese, nascondendo la sua voglia di scoppiare a ridere.
«Sei disgustoso!» Annabeth si lasciò andare ad un espressione totalmente riluttante, cominciando a camminare barcollante lungo il marciapiede.
«Vuoi un passaggio a casa?» continuò lui imperterrito, seguendola. «Scommetto che hai il cellulare scarico, altrimenti avresti già chiamato i rinforzi. E in più, mi sembri abbastanza brilla...».
«Puoi... puoi lasciarmi in pace per favore?» si fermò di botto, facendo frenare anche Harry.
«Ti sto offrendo un passaggio, non mi pare che stia facendo qualcosa di brutto».
 
 

 
 
«Da quanto tempo sei a New York?» chiese Harry, interrompendo finalmente quel silenzio assordante. Odiava il silenzio lui.
«Un mese più o meno» Annabeth se ne stava seduta composta al suo posto, con le mani in grembo che di tanto in tanto cercavano di allungare ancora quel vestito. Era incredibile quante volte ci avesse provato, senza risolvere nulla, ma continuava imperterrita.
«Sei vergine?» parlò ancora lui, con lo sguardo rivolto alla strada. Un incidente era l'ultima cosa che gli serviva per chiudere al meglio quella serata. Cos'altro poteva fare se non continuare a stuzzicarla?
«Ti piace così tanto fare lo stronzo con me?» sbottò, con la guance rosse dalla vergogna. Sentiva il sangue pulsare nelle tempie e le orecchie le fischiavano ancora a causa della musica.
«Non immagini quanto» E quel suo sorriso arrogante da tentatore non tardò a spuntargli sulle labbra. Vi fece poi scivolare la lingua per inumidirle.
«A me invece da abbastanza fastidio!» continuò lei, cercando di controllare le sue reazioni che erano piuttosto evidenti «Non ti conosco nemmeno ed i tuoi modi invadenti mi danno ai nervi!» si meravigliò di quante parole era riuscita a tirare fuori rispetto al giorno prima. Stava migliorando, o forse era solo l'alcol in circolo a renderla più tenace.
«Calmati, piccola tigre» ridacchiò lui «Sto solo cercando di intrattenere una conversazione per non addormentarmi» spiegò, scalando la marcia. Si fermarono al semaforo rosso, ed il silenzio ripiombò tra i due.
Annabeth spostò il suo sguardo fuori dal finestrino, notando che New York davvero non dormiva mai. C'erano luci accese dovunque, persone che ancora camminavano per le strade e persino fast food e ristoranti aperti.
«Quanto dovrò aspettare?»
«Per cosa?»
«Per quel pompino» Harry ingranò la marcia e ripartì non appena il semaforo passò al verde. «Ti sto accompagnando a casa, sarebbe un modo carino per ringraziarmi» fece un mezzo sorrisetto e si strinse nelle spalle.
Annabeth non rispose, avendo davvero esaurito tutte le risposte possibili che avrebbe potuto dargli. Era una causa persa e lei stava perdendo il suo tempo con lui.
«Sai almeno di cosa si tratta?» continuò «Bene, posso spiegartelo in pochissime parole» si schiarì la voce e Annabeth chiuse gli occhi, stringendo le mani in due pugni. Stava perdendo la pazienza. «Vedi, quando si parla di pompino, si intende il sesso orale. Ci sei fin qua?»
«Sul serio?» si voltò verso di lui, così che potesse meglio vedere quanto ribrezzo stesse provando in quel momento. «Ma davvero credi che sia nata ieri?» inveì contro di lui, iniziando a gesticolare. E lei, non gesticolava, mai. «So cos'è un pompino!»
«Meglio così» Harry accostò l'auto al marciapiede e senza accorgersene erano già arrivati. Arricciò le labbra e fischiò in segno di approvazione alla vista dell'edificio in cui Annabeth viveva. «Carino» disse poi, allungando il collo per guardare meglio.
«Grazie!» disse bruscamente con il cuore che ancora batteva forte, spostandosi alcune ciocche dietro l'orecchio. Poggiò la mano sulla maniglia della portiera, pronta a sfrecciare fuori da quell'auto.
«E te ne vai così?» disse lui, con un espressione quasi offesa «Mi lasceresti tornare da solo a casa in questo stato, -si indicò con un dito- guidando per lo più?»
Annabeth alzò le spalle e si guardò intorno, non sapendo cosa rispondergli. «Cosa vuoi che faccia? Ti chiamo un taxi?» tentò, consapevole che non era quello che lui intendeva.
«Mi ospiti da te per la notte, semplice» disse con un sorriso.
«Non ho dove farti dormire, mi spiace» Sperava con tutta se stessa che quella conversazione sarebbe finita lì e che lei sarebbe potuta tornare a casa, togliersi quella roba di dosso e mettersi a letto. Ne aveva avuto abbastanza.
«Qualsiasi cosa andrà più che bene, piuttosto che andarmi a schiantare da qualche parte» le fece l'occhiolino e prima che potesse dirgli qualcosa, Harry era già fuori dalla vettura.
«Fantastico!» borbottò, facendo lo stesso anche lei. Sbatté forte la portiera di proposito, beccandosi anche un occhiataccia.
«Sii più gentile con la mia auto. Ti ricordo che ti ha riportata a casa» Annabeth ignorò, ancora una volta, i commenti di Harry ed aprì il portone scuotendo la testa.
Quella giornata sembrava proprio non voler finire più.
Non appena entrarono nel piccolo appartamentino Harry si volatizzò nel giro di un batter d'occhio, lasciando Annabeth completamente di stucco.
Lo seguì più velocemente che poté, inciampando in quei tacchi di cui si sbarazzò appena arrivò nella sua camera, dove trovò Harry disteso sul suo letto, senza scarpe e senza vestiti.
«Cosa diavolo stai facendo?» Si impugnò le mani sui fianchi, iniziando a battere nervosamente un piede sul pavimento. Lo guardò torva, ed era sicura che da un momento all'altro le sarebbe uscito il fumo dalle orecchie.
«Cosa sto facendo? Sono stanchissimo ed anche ubriaco, lasciami almeno riposare in pace» si difese, voltandosi dal lato opposto.
«Quello è il mio letto! Non ho detto che ci avresti dormito tu!» disse più forte, trattenendo l'impulso di lanciargli oggetti a caso.
Harry mugugnò qualcosa e le lanciò un cuscino che Annabeth afferrò prontamente. «Prendi e sta' zitta» borbottò, cadendo poi in un sonno profondo.
Sconfitta, la ragazza prese una coperta dall'armadio ed un pigiama pulito, andando poi in soggiorno dove aveva l'intenzione di restarci per tutta la notte.
In un modo o nell'altro avrebbe trovato il modo di fargliela pagare, di vincere almeno per una volta.

 

 
Il mal di testa era allucinante e quel fastidiosissimo profumo per ambienti non aveva fatto altro che aumentarlo a dismisura facendogli venire voglia di imprecare.
Non aveva dormito per niente bene nonostante quel letto fosse così comodo e tanto caldo. Si strofinò la punta del naso che aveva iniziato a prudergli e con poca finezza si passò una mano sul volto cercando di rendersi un po' più lucido.
Ogni qualvolta si ripeteva che alla festa successiva avrebbe bevuto di meno, pareva accadere sempre il contrario ed Harry ne risentiva le conseguenze ai postumi. Nausea, capogiri e la mancata voglia di levarsi le coperte di dosso e alzarsi dal letto.
Si voltò di lato ed alzò un sopracciglio, non ricordandosi nemmeno di essersi addormentato con lei accanto. Forse, dopo tutto, il pavimento del salotto ancora da arredare era scomodo e freddo ed il letto era l'unica soluzione, sebbene avesse dovuto condividerlo con un perfetto sconosciuto.
Harry ridacchiò tra sé e sé notando la posizione di Annabeth. La ragazza era così vicina al bordo del letto che se si fosse mossa di un minimo per cambiare posizione, sicuramente si sarebbe ritrovata col fondoschiena sul pavimento.
Incredibile come facesse di tutto pur di non sfiorarlo neppure. Certe ragazze facevano quasi a cazzotti pur di avere un saluto da lui. No che ne andasse fiero, ma doveva ammettere che gli faceva molto piacere.
Si stiracchiò, il riccio, e trovò la forza di disfarsi delle coperte venendo subito investito dal freddo autunnale Newyorkese. Solo in quel momento si ricordò di essere fasciato soltanto dai suoi boxer neri firmati, mentre sicuramente i suoi vestiti erano sparsi per terra, nella stanza ancora in penombra. Ma di una cosa era sicuro, quella non era di certo la luce dell'alba; il sole era già alto in cielo e avrebbe messo una mano sul fuoco che il suo Rolex vintage, appoggiato sul comodino, segnasse le undici e ventiquattro del mattino.
Si portò i capelli lunghi dietro le orecchie e rivolse ancora una volta lo sguardo verso la ragazza. Non si era mossa e in quel momento gli venne il dubbio se stesse respirando. Si accarezzò lo stomaco tatuato che aveva iniziato a brontolare per la fame e successivamente le si avvicinò scuotendola un po'.
«Hey!» la mosse. Si schiarì la voce troppo roca, troppo bassa. Tossicchiò portandosi la mano davanti la bocca e si avvicinò nuovamente con un sorriso furbo sul suo volto.
«Hey!» ripeté ancora una volta e notò come gli occhi di Annabeth si fossero strizzati, segno che era sul punto di svegliarsi completamente. Harry allora si sedette sul tappeto al lato del letto ed incrociò le gambe, si grattò la nuca e scosse la testa pensando che non appena avrebbe avuto il tempo di capire cosa fosse accaduto, Annabeth sarebbe diventata così rossa tanto da esplodere, letteralmente, per la vergogna e l'imbarazzo.
La mano di Harry afferrò quella della ragazza e lentamente fece scorrere le sue lunghe dita sul braccio. Il riccio, a quel punto, si mise in ginocchio, trovando davvero divertente quella situazione. Era così genuina ed innocente che, dannazione, lo provocava da morire. Più volte, la sera prima, aveva anche desiderato di strapparle di dosso quel vestito che Camila le aveva sicuramente prestato e farle perdere quell'aria da santarellina e pudica che aveva.
Anna, ancora un po' addormentata, gli diede le spalle credendo di essere ancora nella sua enorme villa a San Diego e che il suo labrador le stesse dando il solito caloroso buongiorno.
Il riccio scosse la testa e si alzò nuovamente da terra sedendosi lentamente sul bordo del letto. La fissò, e subito sentì il sangue ribollirgli nelle vene.
«Che ti farei» mormorò in un sussurro, cosciente che comunque Annabeth non lo avrebbe sentito. Deglutì e le scostò l'unica ciocca di capelli che era scivolata via dalla coda che aveva fatto la sera prima, probabilmente, e la sistemò dietro l'orecchio mostrando un collo candido e ben definito.
La sua pelle era così bianca che le si potevano perfino vedere alcune piccole venuzze, ed era così dannatamente invitante che Harry non ci pensò due volte.
Prima si inumidì le labbra secche e poi, lentamente, le mosse sulla pelle del collo morbida e dannatamente saporita della ragazza, lasciandole piccole tracce di saliva.
Anna, inspiegabilmente, nel sonno, sorrise come se fosse tutto normale. Ma improvvisamente sbarrò gli occhi.
Lei non era a San Diego da tempo, non era nella sua villa e quello non era il suo labrador. Iniziò a tremare quando si ritrovò una massa di capelli boccolosi davanti ai suoi occhi blu e deglutì, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito incontrollato.
A quel punto, Harry si staccò soddisfatto del suo lavoro. Le poggiò un braccio di lato e le fece l'occhiolino, si alzò dal letto e fece come se fosse a casa sua: scostò le tende lasciando entrare un intenso fascio di luce ed aprì la finestra permettendo all'aria di cambiare.
C'erano troppi odori che gli stavano fottendo il cervello.
«Buongiorno, dolcezza» disse ancora il riccio. «Se per svegliarti avevi bisogno del bacio, bastava dirmelo» ammiccò con quella sua faccia da schiaffi appoggiandosi con la mano piena di anelli al comò ancora un po' spoglio.
Annabeth sbatté le palpebre e sentì il suo collo dolere. Non sapeva cosa Harry ci facesse lì, aveva anche lei mal di testa e non ricordava molto della sera precedente. Forse aveva esagerato, ma Zayn era stato così gentile da offrirle da bere che...
«C-Cosa ci fai in casa mia?» balbettò lei coprendosi fino alla punta del naso. Aveva ancora alcune fitte alla testa causate dal post-sbornia che le facevano strizzare gli occhi ad ogni minimo movimento.
Harry, dopo tutto, era abbastanza tranquillo e il freddo pareva non dargli più fastidio dato che non aveva fatto nulla per coprirsi. Sorrise con un po' di malizia negli occhi e si portò il pollice della mano libera sulle labbra accarezzandole appena, poi le morse.
Scrollò le spalle. «Ma come? Non ti ricordi?» roteò gli occhi fintamente offeso.
Annabeth sbarrò ancora di più i suoi e sperò che non fosse accaduto nulla di cui se ne sarebbe amaramente pentita. Guardò ancora il ragazzo e poi sotto le coperte. Era vestita, lei, ma lui parzialmente nudo. Il suo collo le faceva piacevolmente male ed Harry aveva delle piccole macchie rosse sul suo stesso punto.
«I-Io no, non ricordo» disse alzandosi di scatto. «Quindi – prese fiato – Potresti dirmi che ci fai nudo in camera mia? E soprattutto – gli puntò il dito contro il petto – che ci fai in casa mia?».
Era parecchio bassa rispetto al riccio che la guardava dall'alto abbastanza divertito.
Scrollò nuovamente le spalle lui e aprì la porta «Vado a fare colazione» disse per poi farle l'occhiolino e lasciarla lì, ancora incerta sulla notte trascorsa.
Harry si muoveva in quell'appartamento come se ci fosse stato più volte. Ma, in fin dei conti, non ci voleva chissà quanto per abituarsi ad una casa dove mancavano ancora la maggior parte dei mobili e dove la cucina si vedeva dalla stessa camera da letto da cui era uscito. Aprì il frigo e prese le uniche due uova, il cartone nuovo del latte e cercò del bacon. Sistemò tutto sul ripiano accanto ai fornelli e aprì un po' gli sportelli alla ricerca di una padella e delle stoviglie.
Ovviamente, non era così poco gentile da preparare la colazione solo per lui. Aveva la faccia tosta, ma non fino al punto da essere insolente.
Con pochi movimenti, la colazione era pronta e l'aveva servita a tavola aspettando solo che lei lo raggiungesse.
Ritornò in camera e la ritrovò indaffarata a rifare il letto.
«Ho preparato la colazione anche per te, dolcezza» le disse, ma lei non si voltò. Era piuttosto arrabbiata e lo notò dal suo volto accigliato mentre sistemava meglio la federa del cuscino.
«Non ho fame, grazie mille per aver comunque usato il mio cibo» sbottò nervosa prima di stendere il piumino, sopra il lenzuolo.
Harry si portò le mani sui fianchi ed inarcò un sopracciglio. «Di niente...?» disse sorpreso da quella reazione.
Annabeth raccolse i vestiti sparsi per terra che avevano un fastidioso odore di alcol e sudore. Si avvicinò ad Harry e con poca gentilezza li lasciò cadere ai suoi piedi.
«Non ho ancora capito cosa vuoi da me» disse lei nervosa. Forse era dovuto al mal di testa, ma se fosse stata abbastanza lucida da capire che davanti a sé aveva quell'Harry che aveva visto combattere dentro quella gabbia per animali, non sarebbe stata così irruenta nel parlargli. Il riccio si incupì e si chinò a prendere i vestiti da terra.
«Cosa mai vorrei volere da una verginella come te?» disse ironico e serrò la mascella. «Cazzo, eri brilla e tutta sola fuori da quella casa. Avevi addosso quel vestitino striminzito e ti ho letteralmente salvato il culo da qualche pazzo che non ci avrebbe pensato due volte a darti il colpo di grazia, facendoti sicuramente piangere – la guardò con il verde profondo dei suoi occhi – Bel modo di ringraziare, ragazzina». Scosse la testa e le diede le spalle decidendo di andare a rivestirsi in salotto, lasciandola sbigottita davanti la porta.
Poggiò i suoi skinny jeans e la maglia su uno degli scatoloni presenti; si infilò i calzini e poi i pantaloni tirando su la zip, allacciò la cintura marrone in pelle e si infilò nuovamente la maglia bianca che quasi non gli fece venire il vomito tanto che puzzava. Si diede una ravvivata ai capelli ricci e dopo aver infilato i suoi stivaletti di camoscio color senape, ritornò in cucina con la speranza che almeno la colazione l'avrebbe zittita.
Annabeth era seduta con lo sguardo fisso sul piatto che aveva un bell'aspetto ed anche un buon profumo. Harry strisciò la sedia e si gettò a sedere come se fosse un peso morto.
Prese la forchetta e mise a tacere la sua pancia che continuava a brontolare per la fame, quando la ragazza parlò ancora una volta.
«Ti sei offerto tu, di accompagnarmi».
Non aveva toccato cibo, lei. Harry alzò il volto dal suo piatto ormai vuoto e mandò giù il boccone che ormai aveva perso il suo gusto. Davvero aveva voglia di farlo incazzare?
Il riccio strinse la mano attorno alla forchetta.
«Se la mettiamo così, la mia intenzione era un'altra» le rispose a tono, questa volta, veramente indignato. Possibile che fosse realmente irriconoscente?
Annabeth scosse la testa e si alzò dal posto per poi andare a gettare nella spazzatura il cibo che Harry le aveva preparato.
«Sei così viscido, cavolo!» esclamò lei, dandogli le spalle.
«E tu così ingrata. - si alzò anche lui facendo tintinnare la forchetta nel piatto – Sai cosa, mia cara Annabeth? Mi sarei anche fatto bastare un “grazie Harry”».
«Grazie per cosa?» alzò il tono lei. «Per avermi trattato come una stupida? Per aver dormito nel mio letto o per avermi lasciato questo? – si scoprì il collo dove poco prima Harry le aveva lasciato un succhiotto – No, ma forse tu intendevi: “grazie Harry per aver usato la mia cucina e invaso i miei spazi come se fossero i tuoi”».
Harry la fissò incredulo e strizzò gli occhi cercando di mantenere la calma.
«Invadere i tuoi spazi? - rise con una punta di ironia nel tono – Non ho mai avuto l'intenzione di “invadere i tuoi spazi”, miss» mimò le virgolette. «Ero semplicemente troppo ubriaco, troppo poco lucido per guidare fino all'altra parte della città. E visto che casa tua era a nemmeno dieci minuti di strada dalla festa, credevo che un'amica avrebbe potuto ospitarmi per la notte» disse penetrandola con lo sguardo cupo. Annabeth sentì improvvisamente freddo.
«Non sono tua amica. - disse forse troppo duramente – Non so chi sei e di certo la mia voglia di condividere il mio tempo con te non è alta tanto quanto mi piacerebbe farlo con Camila, Liam e il resto dei ragazzi. Quindi, mio caro Harry Styles, nessuno ha chiesto il tuo aiuto, nessuno ti sta reputando un amico, ed io ti voglio fuori da casa mia. - indicò la porta – Adesso» scandì per bene le parole prima di dargli le spalle e lasciare un Harry totalmente disorientato.
Mai nessuno aveva osato rivolgersi a lui con tanta rabbia, quando alla fine non aveva fatto assolutamente nulla di male. Si era semplicemente assicurato che Annabeth ritornasse a casa sana e salva, e sperava che quel gesto potesse venire apprezzato.
«Dio mio, sarebbe stato meglio scoparti e basta. Almeno adesso saresti a letto a lamentarti perché non avresti potuto muoverti» sbatté il pugno sul tavolo afferrando le chiavi della sua auto e scaricando la sua rabbia sul piatto che arrivò contro il mobiletto basso della cucina, frantumandosi.
La guardò e la vide con gli occhi colmi di lacrime, forse per la paura.
«C-Cosa?» disse lei incredula.
«Lascia perdere» disse quasi arrendendosi. Strinse il mazzo di chiavi tra le mani ancora di più, sentendo il metallo conficcarsi nella pelle.
«Tu mi avresti...» non finì nemmeno la frase, era terribilmente rossa in volto ed Harry rise con malizia.
«Sai, è la cosa che faccio meglio – le si avvicinò – Dovresti provare» le sfiorò le guance accaldate.
Annabeth abbassò lo sguardo ed Harry le alzò nuovamente il viso verso il suo, facendo scontrare i loro occhi.
«I-Io...» sembrava come abbindolata da quelle iridi luminose. «Non volevo essere scortese» si scusò quasi. Adesso non era più nervosa, non era più agitata ed Harry si morse il labbro soddisfatto.
«Cazzo» mormorò lui prima di allontanarsi e prendere anche il portafogli e il cellulare che dovevano essergli caduti dal pantalone. Anna lo guardò ancora una volta, confusa, percorrere il corridoio di casa sua. Lo vide aprire la porta e una volta sull'uscio si voltò nuovamente verso di lei.
«Si dice cazzo, non cavolo» rise, sfottendola palesemente. «Te lo farò conoscere prima o poi».
Un altro occhiolino, quel sorriso malizioso e quelle dannate fossette ai lati della bocca. Poi la porta si chiuse alle sue spalle.
Aveva vinto. Harry aveva vinto per l'ennesima volta.
 




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writer's corner.
Buonasera fatine!
Non so da dove mi sia saltata fuori l'idea di postare il capitolo visto che non l'avevo programmato.
Ma vabè, per chi lo stava aspettando è stata una cosa positiva (:
so, da dove comincio?
Sono mancata parecchio per via di diversi motivi che mi hanno portata ad allontanarmi per un po' sia da facebook ed anche da EFP.
Non volevo abbandonare la mia fanfiction (non ci avevo nemmeno pensato) quindi mi son detta che avrei ripreso a postare una volta che avessi ricominciato a scrivere. L'ho fatto, ho scritto qualcosa (non molto) e non volevo che passasse troppo tempo prima di pubblicare il secondo capitolo. Quindi, eccomi qua.
Non so che aspettarmi, lo ripeto sempre hahah ma è la verità.
Spero solo di leggere tante recensioni perchè adoro sapere cosa ne pensa la gente di ciò che scrivo (:
see ya soon babes!
Iriis
  
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