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Autore: Carlos Olivera    04/02/2015    1 recensioni
Sequel de "La Mano della Dea" di Ely79
Un viaggiatore solitario, una guerra secolare in procinto di finire, una minaccia oscura che travalica lo spazio ed il tempo.
Arthur Del Sole Nero viaggia senza sosta alla ricerca di vendetta, in un continente devastato dalla guerra. La sua strada si incrocerà con quella di un giovane soldato, e per entrambi sarà l'inizio di un lungo viaggio della speranza volto a salvare l'unica cosa degna di valore in un mondo in procinto di sgretolarsi, ma su cui pende una minaccia infinitamente più pericolosa delle sorti di un conflitto.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2

 

 

Nella capitale del regno, la vita scorreva tranquilla.

Da tempo la gente aveva smesso di interessarsi alle faccende relative alla guerra con l’Impero, nonostante le voci circa la perdita di tutti i domini e i territori conquistati al di là dei confini che avevano costretto molti coloni a tornare indietro.

Abbarbicato sulla collina più alta, il Tempio della Dea svettava su ogni altra cosa, incluso il palazzo del re, etereo ed al tempo stesso imponente occhio della divinità spalancato sui suoi sudditi.

Per l’Impero quella della Dea era una religione eretica, come del resto lo era il culto degli spiriti e degli elementi per gli abitanti del Regno, e forse era anche per questo che persino il Tempio, nonostante la sua apparente estraneità alle questioni politiche, fosse tanto interessato all’andamento della guerra.

Per questo, nessuno si stupì dell’arrivo in città di un messaggero diretto all’acropoli; a stupire ormai era la sua fretta, la sua espressione sconvolta, e le misere condizioni del suo cavallo, che sembrava aver attraversato di corsa tutto il regno e ormai prossimo alla morte tanto appariva stremato.

I Guardiani lo fermarono al cancello, ed il loro nerboruto capitano, Roland, detto Barbarossa per il colore cremisi della folta peluria che gli scendeva fino al petto, si fece avanti per interrogarlo.

«Fermo, in nome della dèa!» ordinò. «Come osi entrare in modo tanto irrispettoso in questo luogo sacro? Cosa vuoi?»

«Vengo da Barenheim! Devo conferire subito con la Venerabile!»

«Sei impazzito? La Venerabile non riceve nessuno. Dai a me il tuo messaggio, e se lo riterrò opportuno farò in modo che giunga alle sue orecchie.»

 

Agli uomini, fossero essi pellegrini, devoti o persino gli stessi Guardiani, era proibito nel modo più assoluto di avere accesso al tempio principale.

Nonostante ciò pochi minuti dopo Roland sfondò letteralmente le porte che immettevano nell’anticamera, la soglia massima entro cui persino lui non poteva andare, ma nelle condizioni in cui appariva era difficile dire se sarebbe stato in grado di non procedere oltre qualora la Veneranda Esther, Prima Sacerdotessa e consigliera fidata della Venerabile Chana, non si fosse trovata casualmente lì per altre faccende.

«Spero che questa mancanza di rispetto sia giustificata, Capitano Roland.»

«Mia Signora, una notizia gravissima. Dovete chiedere subito udienza alla Venerabile! Barenheim è stata conquistata dall’Impero!»

Anche l’anziana badessa, a quel punto, si pietrificò, facendosi più bianca della veste che portava.

«Come avete detto!?»

A quel punto non era davvero possibile non informare la Chana, e difatti la Veneranda Esther, congedato il Capitano e tutte le altre sacerdotesse, entrò da sola nel cuore del tempio, raggiungendo a passi svelti l’altro capo della navata dove, inginocchiata al suolo apparentemente in preghiera, stava la Venerabile Alimad, ultima Chana della Dea, i capelli lunghi impreziositi da filamenti dorati, la veste candida e innumerevoli gioielli, alcuni dei quali sembravano letteralmente incastonati nella pelle olivastra, liscia come il tessuto.

«Mia Signora» disse la badessa. «Porto notizie gravi.»

«Talmente gravi da disturbarmi durante le mie preghiere?» domandò seccata Alimad alzandosi e fulminandola con i suoi occhi di ghiaccio.

«Sono terribilmente desolata per l’accaduto, ma le circostanze lo richiedevano.

Giungono notizie terribili dal fronte. La città di Barenheim è stata conquistata, e quasi tutte le truppe che la difendevano sono state uccise.»

Stranamente, la Chana non si scompose più di tanto; non che vi fosse da esserne sorpresi, per qualcuno che della vita e del mondo al di fuori della capitale sapeva poco e niente.

«Sua maestà ha convocato il Consiglio di Guerra, e i nobili stanno discutendo le prossime azioni da compiere. Sembra che l’intenzione sia quella di organizzare una nuova linea del fronte all’altezza di Olon, lungo le Alture Radiose, anche se significherà abbandonare a loro stesse numerose città e regioni d’oriente.»

«E tu interrompi le mie meditazioni solo per dirmi questo?»

«Veramente, no» deglutì l’anziana. «Il problema è che, stando ai primi resoconti, Barenheim non sarebbe caduta per opera degli imperiali. Non solo, almeno.

I pochi superstiti parlano di strane creature, sbucate dal nulla, che hanno assalito la guarnigione direttamente dall’interno, dando così modo all’esercito imperiale di penetrare indisturbato in città.»

«Forse alcuni di quegli uomini hanno esagerato con il vino. O forse sono scappati, inventando questa scusa assurda per giustificare la loro codardia.»

«Il fatto è che i racconti coincidono mia signora. Prego la Dea di sbagliarmi, ma il mio timore è che gli imperiali abbiano fatto ricorso alle loro arti malefiche per evocare in questo mondo i loro falsi dèi e potersene servire in battaglia.»

«Se sono falsi, come avrebbero fatto ad evocarli?» domandò la Chana quasi con sfida

«Perché non sono dèi, Mia Signora. Sono demoni. Creature infernali, le stesse che la nostra Santa Madre ricacciò nelle profondità oscure quando scese in mezzo a noi per purificarci dalle false dottrine e spingerci a riconoscere la Vera Fede.

Ma l’Impero non ha mai rinnegato le proprie credenze eretiche, e ora se ne serve contro di noi.»

«Secondo me voi viaggiate un po’ troppo con la fantasia, Esther. Io non credo ai demoni.»

«Nemmeno io, mia signora. Mi risulta difficile credere a tutta questa voi tanto quanto a voi.

Però non possiamo ignorare un tale pericolo, senza contare che avendo ora la strada spianata all’interno del regno gli eretici imperiali potranno diffondere liberamente la loro fede pagana tra le popolazioni conquistate, infangando e minando la sacra parola e la reputazione di Vostra Magnificenza.

Il mio umile suggerimento è di autorizzare l’invio ad oriente della Santa Inquisizione e delle sue truppe.»

«Fai quello che ti pare» fu la risposta piccata della Chana. «Sei tu quella esperta di certe questioni.»

«Come desiderate, mia signora.»

La badessa a quel punto fece per andarsene, ma fatti due passi si voltò nuovamente verso la sua Chana.

«Un’altra cosa, e spero mi perdonerete.»

«Che altro c’è?»

«Se voleste umilmente seguirmi nell’anticamera, c’è qualcuno che vorrei farle conoscere.»

«Non voglio vedere nessuno. Sono stufa di pellegrini morti di fame che vengono qui in cerca di preghiere e monete d’oro.»

«No, nulla di tutto questo. Fidatevi di me.»

Chiedere ad Alimad di fidarsi di qualcuno era come chiedere alle sfere celesti di girare in senso opposto, e solo la badessa sapeva come avere ragione del suo carattere a volte davvero impossibile.

Alla fine, ancora una volta, la convinse.

«Ora che l’Impero è penetrato nel regno» spiegò la badessa mentre percorrevano la navata. «Il pericolo rappresentato dalle spie e dagli assassini che potrebbero attentare alla vostra vita è indubbiamente aumentato, poiché la vostra morte demoralizzerebbe senza dubbio le nostre truppe.

Così, dando seguito alla richiesta che mi avevate fatto, ho cercato in ogni angolo del regno, alla ricerca dei più valenti ed esperti cavalieri, cui affidare il compito di proteggere in ogni quando e in ogni dove la vostra persona.»

Come le porte dell’anticamera si aprirono, dinnanzi alle due chieriche si palesarono tre giovani in abiti bianchissimi, tanto da farli rassomigliare a loro volta a dei sacerdoti, belli come la luna, due uomini e una donna; i primi due avevano dei tratti molto gentili, quasi femminei, lunghi capelli argentei, quasi azzurrini, l’uno e una corta chioma paglierina l’altro, la donna invece sfoggiava una lunga e fluente chioma nera raccolta in due ampie code lasciate cadere all’indietro.

Tutti e tre avevano gli occhi di un insolito colore rosso, quasi una tonalità sangue, e vi era un che di enigmatico nel loro sguardo: sembrava quasi di potervi leggere molte, forse persino troppe cose.

«Mia signora, vi presento i vostri fidati custodi» e li presentò uno per uno, a cominciare dal giovane dai capelli d’argento. «Zante, il silenzioso esecutore. Costui è Galinin, l’uccisore di giganti. Lei invece è Celia, l’occhio della fede.

Loro tre insieme valgono più di un intero esercito.»

I tre fecero un inchino, salutati però dalla solita, fredda indifferenza.

«Per me uno vale l’altro, purché tengano lontani quei bifolchi di imperiali. E ora, con tutto il rispetto, vorrei starmene un po’ da sola.» e detto questo se ne andò rinchiudendosi nuovamente nel tempio.

 

Niza, Arthur e Gora continuarono per giorni ad avanzare verso occidente, valicando i Confini di Arthal che con le loro valli e basse pianure ricoperte di foreste costituivano una preda facile per l’Impero, il quale infatti aveva già iniziato una decisa avanzata incontrando una resistenza molto scarsa, per non dire quasi nulla.

Situata lungo  la via reale che collegava la capitale con le province orientali, abbarbicata su di una montagna che dominava la strada, Uppenhal era un passaggio obbligato per l’esercito nemico, nonché l’unico vero ostacolo tra i Confini di Arthal e Altura Radiosa, la cordigliera montana che da tempo immemore costituiva la più importante barriera naturale a difesa della capitale contro le incursioni da oriente.

Niza non dubitava di aver fatto la scelta giusta fidandosi di quello strano individuo e del suo ancor più strano, per non dire strambo, partner di viaggio, ma dato che la prudenza non era mai troppa cercava di non dormire troppo sugli allori e restare vigile: dopotutto si trattava pur sempre di potenziali nemici. Durante il viaggio aveva anche cercato di scoprire qualcosa di più sul conto di quei due, se non altro per capire meglio le ragioni che li avevano condotti fin lì, ma ogni volta le sue domande si erano scontrate su di un imperturbabile, quasi minaccioso, silenzio indifferente.

Dal giorno della partenza i tre non avevano incontrato altre avanguardie imperiali, scegliendo però malgrado tutto di seguitare a procedere lungo strade secondarie; probabilmente l’impero, prima di procedere ulteriormente nell’interno, intendeva consolidare le proprie conquiste lungo il confine ricostruendo i ponti sul fiume per facilitare lo spostamento di truppe, il che se non altro avrebbe dato al regno il tempo sufficiente per organizzare una nuova linea difensiva.

Definire enigmatico Arthur era poco.

Il suo accento imperiale era strano, quasi forzato, tanto da far sospettare a Niza che quella non doveva essere la sua vera lingua madre; stesso discorso per il suo compare, Gora, una via di mezzo tra una scimmia insofferente e un docile cagnolino, che sopportava l’indifferenza e la presenza di Arthur più per apparente timore che per vera e propria fedeltà.

Lasciatisi alle spalle Arthal i tre erano infine giunti alle Basse Pianure, una regione di vaste praterie, occasionali foreste e bassi altipiani, uno dei serbatoi alimentari più importanti dell’impero, e per questo, secondo Niza, da difendere a tutti i costi.

Eppure, c’era qualcosa di strano.

Passando in prossimità degli sterminati campi di riso e di cereali, malgrado la stazione del raccolto fosse ormai alle porte, questi apparivano stranamente poco frequentati, per non dire abbandonati, ettari ed ettari di terreni traboccanti di cibo abbandonati a sé stessi senza nessuno a curarli.

Ovviamente le notizie giunte dai confini dovevano aver spaventato i contadini, spingendone alcuni a cercare rifugio oltre le Alture Radiose, ma quando, raggiunta la contea di Uppenhal, il giovane e i suoi compagni seguitarono a non incontrare o quasi anima viva, un pensiero sinistro iniziò a farsi strada nella sua mente.

Ma non voleva crederci.

Non poteva crederci.

Poi, sul fare del tramonto del decimo giorno di cammino, giunsero in vista della fortezza, e già da lontano fu possibile comprendere che c’era qualcosa di molto, molto strano.

Benché ormai fosse quasi sera non vi era traccia di fuochi, né di alcun’altra luce, e sui camminamenti o tutto intorno non c’era nessuno a montare la guardia; ma soprattutto, le mura apparivano nere, e cupe fumarole si levavano da più parti, riempiendo l’aria di un acre odore di bruciato.

«Non è possibile!» esclamò Niza, che raccolte le poche forze rimastegli dopo quella interminabile marcia si arrampicò su per la collina, seguito pochi passi indietro dai suoi compagni di viaggio.

Raggiunta la cima, il giovane soldato trovò il cancello aperto, il cortile deserto, e segni evidenti di un incendio che solo da poco doveva essersi estinto, e che aveva completamente distrutto buona parte delle strutture in legno minando l’integrità stessa della struttura.

«No!» gridò cadendo in ginocchio. «Perché? Come hanno fatto ad arrivare prima di noi?»

Nella foga e nella disperazione del momento Niza non aveva notato una pergamena infilzata su uno dei battenti principali, in un punto protetto dal fuoco, marchiato a cera col sigillo reale.

Raccoltolo, Arthur lo mostrò al giovane, che lo lesse sgomento.

 

In nome di Sua Maestà il Re

Al fine di salvaguardare l’integrità e la sovranità del Regno dalla barbara incursione dell’esercito imperiale a seguito della fortezza di Rubinhaim, per ordine di Sua Maestà e del Supremo Consiglio di Guerra tutte le unità militari ancora operative devono ripiegare immediatamente verso la fortezza di Olon, oltre le Alture Radiose.

Tutto ciò che non può essere trasportato o messo in sicurezza deve essere immediatamente distrutto, fattorie, campi e granai devono essere svuotati di tutto ciò che è possibile recuperare e poi abbandonati o distrutti.

La sicurezza delle truppe e dei rifornimenti è da considerarsi prioritaria rispetto alla salvaguardia dei civili.

Il Passo di Mezzombra sarà sbarrato l’ultima notte di luna piena; chiunque non risponderà al richiamo alle armi e seguiterà a rimanere in queste terre dopo tale giorno sarà considerato un disertore.

Che la Dea vegli su di noi.

Lunga Vita al Re

 

«Non può essere» disse Niza con le lacrime agli occhi. «Hanno abbandonato l’oriente. Hanno abbandonato la popolazione alla mercé del nemico.»

«Niza» lo chiamò Arthur dal camminamento su cui era salito. «Vieni a vedere.»

Il rosso del tramonto e la fitta nebbia in cui avevano camminato in quegli ultimi giorni aveva nascosto la verità, e quel poco che restava della baldanza che aveva caratterizzato il giovane soldato per tutto quel tempo venne spazzato via dinnanzi allo spettacolo che, affacciatosi dal bastione, gli si parò dinnanzi.

Il cielo era rosso.

Ma non per il tramonto, ancora per buona parte nascosto dalla foschia. A brillare erano campi, piantagioni e interi villaggi, tramutati dai loro stessi abitanti in giganteschi roghi, si da non lasciare nulla nelle mani degli invasori. Ovunque, a perdita d’occhio, niente altro che incendi, piccoli e grandi, che illuminavano più del sole, tingendo di un rosso vermiglio le pendici delle Alture Radiose che si intravedevano in lontananza.

Per un attimo sembrò che la disperazione dovesse impossessarsi completamente di lui da un momento all’altro, ma nel momento in cui Arthur lo guardò negl’occhi in essi vide accendersi una nuova fiamma.

«Dobbiamo andare subito a casa mia!» esclamò facendo brandelli del messaggio. «I miei genitori e i miei fratelli vivono al di qua delle Alture Radiose, e il loro villaggio è troppo isolato perché possano aver ricevuto l’ordine di evacuazione.»

«Non erano questi gli accordi.» mormorò gelido Arthur

«Ti prego! Mio padre è stato una guardia del tempio! Se lo trovano lo uccideranno!

Giuro al cospetto della dèa che questo è l’ultimo favore che ti chiedo. Ludgored non è lontano dal mio villaggio. Ci basterà fare una piccola deviazione. Aiutami a raggiungere la mia famiglia e ti prometto che ti condurrò dove vuoi andare.»

Arthur temporeggiò, guardando ora i fuochi all’orizzonte ora la fredda pietra sotto i suoi piedi, a sua volta osservato da un ancor più pensieroso Gora.

«Fai come credi.»

A quel punto Niza non riuscì a trattenersi dal sorridere di gioia.

«Ti ringrazio. Grazie infinite.»

«Ora però sarà meglio muoversi. Quando gli esploratori imperiali riferiranno di questa ritirata il resto dell’esercito inizierà ad avanzare in massa, sempre che non stia già accadendo.»

«Sì, naturalmente. Vado a dare un’occhiata in giro. Forse nella fretta di andarsene hanno lasciato qualcosa di utile.»

Il giovane si avventurò quindi all’interno del forte, lasciando Arthur e Gora da soli nel cortile.

Pochi minuti dopo, casualmente, passò di lì una coppia di cavalli bradi, forse fuggiti da qualche fattoria dei dintorni, e Gora fu lesto a raggiungerli e portarli indietro pronti per essere sellati, ma quando tornò dal suo padrone si avvide che questi appariva stranamente in ansia, quasi nervoso.

Il silenzio tutto attorno era assoluto, eppure, a tendere l’orecchio, sembrava quasi di sentire qualcosa, come un tremore che scoteva impercettibilmente il terreno, ed entrambi impiegarono solo pochi attimi a percepirlo in modo nitido.

Arthur si inginocchiò, poggiando una mano sulla sabbia umida, mentre sul suo volto compariva un’espressione preoccupata.

«Mio signore…» balbettò Gora quasi spaventato mentre il suo compagno, rialzatosi in piedi, sembrava tendere al massimo ogni fibra del suo corpo, gettando da un lato il pesante mantello e mettendo a nudo la propria spada

«Arrivano.»

Il tremore si fece sempre più intenso, tanto da far tremare i sassi e vibrare le pareti; poi, come per qualche strano sortilegio, strane ed inquietanti bolle nere simili a catrame cominciarono a formarsi in terra subito oltre il muro di cinta, emettendo un fumo maleodorante e facendosi, di secondo in secondo, sempre più grosse, fino a tramutarsi in un centinaio di esseri mostruosi che di umano avevano solo la struttura.

Erano orrendi; simili a rettili, presentavano una pelle squamosa, il muso schiacciato con le ossa praticamente messe a nudo, denti aguzzi da predatori, occhi piccoli e gialli e una testa innaturalmente rotonda, come quella di un neonato. Erano tutti armati, chi con spade, chi con asce, chi persino solo con bastoni e pietre, e molti indossavano scampoli di armature arrugginite, quasi le avessero recuperate depredando cadaveri sui campi di battaglia.

Gora, come spaventato, fece qualche passo indietro, ma forse contagiato dall’apparente imperturbabilità del suo padrone quasi subito parve riscuotersi, assumendo a sua volta un tono di sfida nei confronti di quelle creature, che come mosche attirate da una carcassa cominciarono subito ad avvicinarsi, minacciose, emettendo latrati e stridii sommessi che raggelavano il sangue.

Fatti solo pochi passi, la loro avanzata sospettosa si tramutò invece in una carica furibonda, un vero e proprio assalto; fortunatamente il portone non era completamente spalancato, e i suoi battenti erano davvero troppo pesanti perché quell’orda, per quanto imponente, potesse riuscire ad aprirli completamente, così il loro ingresso nel cortile risultò alquanto complicato, dando modo ad Arthur di poterne fare scempio con relativa facilità.

A dar man forte al giovane intervenne il suo compagno, che preso messosi in bocca un pendente simile a quello di Arthur puntò il dito contro una coppia di statue ornamentali che sorreggevano le colonne del porticato, e che come per incanto si animarono di vita propria, prendendo a muoversi e unendosi a loro volta alla battaglia schiacciando quelle creature sotto le loro mani di pietra.

Niza, che nel mentre aveva trovato un po’ di cibo, delle selle e una balestra, attirato dal rumore tornò nel cortile, e fu solo per la sua prontezza di riflessi se uno dei mostri non gli mozzò di netto la testa appena varcata la porta dei sotterranei.

Pur atterrito dalla mostruosità di quelle creature il giovane non si fece prendere dal panico, e sguainata la spada si gettò nella mischia dopo aver ucciso il primo aggressore, ma nel mentre la situazione, invece che migliorare, si era aggravata: comprendendo le difficoltà di attaccare dal portone, infatti, i mostri avevano puntato invece ai bastioni, riuscendo a scalarli con le loro mani artigliate e sciamando così all’interno in gran numero, giacché i tre guerrieri si ritrovarono ben presto attaccati da tutte le direzioni.

Ucciso l’ennesimo mostro Arthur si guardò un momento attorno, e comprendendo di essere ormai circondato parve quasi gettare la spugna, inginocchiandosi a terra e piantando con moderata forza la spada nel terreno.

«Che sta facendo?» gridò Niza.

Gora, accorgendosene, si fece bianco come un lenzuolo.

«Mio signore, non fatelo!»

Tuttavia, nel momento in cui sentì il suo compagno iniziare a salmodiare in una strana lingua, Gora prese subito l’iniziativa, richiamando le due statue sotto il suo controllo e mettendole a difesa di Arthur perché nessuno di quei mostri potesse toccarlo.

«Svelto, allontaniamoci!» urlò afferrando Niza per un braccio e portandolo con sé in uno stretto pertugio, di cui sbarrò immediatamente l’accesso animando una terza statua ed erigendola a proprio scudo. «Chiudi gli occhi!»

Niza, pur sempre più confuso, obbedì, lasciando Arthur da solo nel mezzo del cortile; questi, imperterrito, continuò a salmodiare, le mani ben strette attorno all’elsa, e d’improvviso il gioiello che portava al collo esplose in un accecante bagliore di luce, che accompagnato da una violenta raffica di vento si propagò in ogni direzione con la potenza di un tornado.

Le creature cercarono a loro volta di proteggersi, ma come il bagliore, potentissimo, le investì, i loro corpi si mutarono nuovamente in quella sorta di catrame putrescente che rapidamente si dissolse, e così pure quelli che erano già morti; anche le statue evocate da Gora caddero in pezzi, private da un istante all’altro dell’energia che permetteva loro di muoversi, fino a che nella fortezza non tornarono la quiete ed il silenzio.

Quando Niza aprì gli occhi, di quei mostri non vi era più traccia, e nei suoi occhi si stampò uno sguardo di incredulità mista a sgomento.

«Mio signore…» disse Gora avvicinandosi, impassibile, ad Arthur, che rialzatosi rinfoderò la spada

«Ormai non ci sono più dubbi.»

«Se è in atto un’orda» disse Gora guardando verso il cielo. «Presto manderanno qualcuno. E sicuramente avranno percepito anche l’incantesimo.»

«Dobbiamo fare presto.»

I loro pensieri però vennero bloccati dal rumore, alle loro spalle, di un’arma sguainata; voltatisi, video Niza che, tremante, teneva la spada puntata contro di loro.

«Chi… che cosa diavolo siete voi?» domandò a denti stretti.

 

  
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