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Autore: EffieSamadhi    05/02/2015    9 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=apvuVPBtiug}
Fingi di non avermi mai incontrato, fingi di non essere mai stato attratto da me, fingi di non avermi mai baciata, fingi che la mia presenza non abbia mai toccato la tua vita. [...] Addio, Daria
28 novembre 2013: a Parigi, in una stanza d'albergo, Shannon sente il proprio cuore cadere a pezzi; a Torino, in camera propria, Daria chiude i ricordi in una scatola e li spinge fuori dalla propria vita.
Due mesi più tardi: a Los Angeles, Shannon sta ancora cercando di ricomporsi; a Torino, Daria si sente pronta per ricominciare.
Ma il passato torna a morderti il didietro proprio quando meno te lo aspetti, e per quanto sia dettagliato il tuo piano, non c'è nulla che il destino non possa sovvertire.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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La lunga strada verso casa - 1
Questa volta non potete lamentarvi per il ritardo con cui posto, ma... beh, avrete comunque di che lamentarvi, perché questo è il capitolo conclusivo di “La lunga strada verso casa”. E già dal titolo del capitolo credo si evinca che non è un capitolo ricco di gioia e felicità – ma non uccidetemi. Non prima di avermi lasciato spiegare, almeno.
Se finora avevo rispettato quasi al minuto il reale corso degli eventi, da questo capitolo le cose cambieranno: non per regalarvi spoiler, ma alcuni eventi verranno anticipati, con certe conseguenze... ma non è questa la notizia bomba. La notizia che vi sconvolgerà è che siccome ormai sono affezionata a tutte voi, alle vostre recensioni e al vostro affetto, ho deciso di allungare ancora un po' il brodo (e di conseguenza la vostra agonia) aggiungendo una stagione all'infinita storia di Daria e Shannon, l'unica coppia al mondo a non conoscere il significato della parola 'tempismo'. La nuova storia sarà presto online, con tanto di trailer e colonna sonora =)
Per ulteriori informazioni, cliccate su Direzioni ostinate e contrarie!
Come al solito, buona lettura,
EffieSamadhi

P.S.: Grazie a tutte voi per il sostegno che continuate a dimostrare, aiutandomi di volta in volta, tramite le vostre recensioni e i vostri commenti, a trovare la strada giusta per continuare i miei insensati racconti. In particolare, un grande abbraccio a katvil, Sayuri_remenissions, Pirilla_Echelon e Love_in_London_night, le quattro irriducibili che non fanno mai mancare il loro appoggio - non sono sempre puntuale e precisa nel rispondere (anzi, non lo sono mai), ma sappiate che vi adoro, e soprattutto adoro il fatto che siate sempre pronte a dire la vostra, nel bene e nel male. Spero veramente con tutto il cuore di non perdervi per strada =)






La lunga strada verso casa






Capitolo diciannovesimo
Eravamo una famiglia. Come ha potuto
rompersi e dividersi e ora siamo uno contro l'altro,
ognuno fa ombra all'altro? Come abbiamo fatto
a perdere il bene che ci era stato dato,
lasciarlo scivolare via,
disperdersi, distruggersi?
Cosa ci impedisce di uscire,
toccare la gloria?.1


Torino, 3 marzo 2014


    La conversazione con Alice mi ha precipitata nel panico e nella confusione, anche più di quanto fosse riuscita a fare la sola visione di Shannon. Ho seguito quasi tutta la cerimonia in streaming, alternando momenti di lucidità a brevi sonnellini, ma la mia proverbiale fortuna non mi ha consentito di perdermi la premiazione di Jared, il suo toccante discorso di ringraziamento e, soprattutto, la tenerezza del bacio che Shannon, seduto in platea, ha stampato sulla guancia della madre. Anche volendo, non potrei mentire a me stessa: ho invidiato Constance Leto, in quel preciso istante. Avrei voluto con tutto il cuore essere io la donna seduta accanto a lui, e avrei voluto con tutto il cuore che fosse la mia guancia a ricevere quel bacio, o meglio ancora le mie labbra. Mi sono stretta nella coperta e ho trascorso il resto della notte a ripensare alle parole di Alice, rendendomi conto che se è la mia migliore amica da una vita un motivo di certo c'è, e il motivo è che lei è la sola persona al mondo in grado di rimettere le cose in prospettiva, l'unica in grado di riportare la verità in prima fila, dissipando le menzogne con le quali cerco continuamente di coprirla. La verità è che io sono scappata da quella meravigliosa fiaba parigina per paura, e non per mancanza d'amore – perché io Shannon lo amo, ormai non posso più concedermi il lusso di negarlo. Lo amo, e l'ho lasciato per paura – paura di non essere abbastanza per lui, paura di non bastargli, paura che il resto del mondo non mi credesse abbastanza per lui. Accettare di stare con lui avrebbe significato accettare di dividerlo con il resto del mondo, uscire allo scoperto e subire il giudizio di un universo intero – e per quanto gli Echelon siano un popolo completamente diverso dal resto del mondo, di certo non avrei mai potuto sperare di piacere a tutti. Avevo paura di tutto questo, avevo paura del giudizio di mio padre, avevo paura di perdere le poche certezze che ho impiegato una vita a costruire. Avevo paura di perdere la mia integrità, avevo paura di perdere la mia identità. Avevo paura di perdere Alice – una paura folle di perdere le nostre confidenze, le nostre conversazioni fatte di scemenze, le pizze divise davanti ad un film strappalacrime, il semplice fatto di esserci, sempre e comunque, l'una per l'altra. Stare con Shannon avrebbe significato sopportare la lontananza, imparare a fidarsi del prossimo – il che, per una che non a malapena si fida di se stessa, sarebbe stata certamente una prova troppo grande. Stare con Shannon avrebbe significato imparare a fidarsi del mondo, abbandonarsi alla buona fede della gente, abbandonarsi completamente ad un amore che persino in un film sarebbe sembrato troppo assurdo, troppo bello per essere vero. E se un giorno mi avesse chiesto di sposarlo? Che cosa sarebbe successo se mi avesse chiesto di metterci di mezzo un anello, di dare un nome a ciò che saremmo stati? In quel caso avrei quasi certamente dovuto scegliere di spostare la mia casa in un Paese straniero – il che, per una che ha sempre creduto fermamente nell'importanza di avere accanto la propria famiglia e i propri amici, sarebbe stato semplicemente impossibile da accettare. E di certo non avrei potuto costringere lui ad abbandonare la sua famiglia, la sua patria, quella vita che ha conosciuto per più tempo di me, e che sicuramente non gli sarebbe mai stata restituita. Mi è costato una notte di sonno, ma finalmente sento di essere riuscita a fare più chiarezza nel mio cuore: non ho lasciato Shannon perché non lo amassi, ma per paura di non riuscire ad amarlo nel modo in cui un uomo straordinario come lui merita di essere amato.


*



Los Angeles, 3 marzo 2014


    Jared aspetta che mamma chiuda la porta di casa dietro di sé, prima di far cenno all'autista di ripartire. «Ti fermi a dormire a casa mia?» mi domanda all'improvviso, voltandosi verso di me. «Non ho voglia di restare solo. Probabilmente non riuscirò nemmeno a chiudere occhio, mi serve qualcuno da tormentare.»
    «Se accetto, intendo dormire» ribatto, slacciando il cravattino che mi sono costretto a sopportare per l'intera serata. «Tu fai quello che vuoi, ma non ti azzardare a rompermi le scatole.»
    «E va bene, prometto che tenterò di non essere troppo molesto» risponde con un mezzo sbadiglio, gesto che mi rassicura: certamente a questo punto l'adrenalina nel suo sangue deve essere scesa, facendogli abbandonare quello stato di eccessiva eccitazione e ansia che lo accompagna da almeno un paio di giorni. Se lo conosco bene, comunque, nonostante l'ora tarda domani mattina salterà giù dal letto alle otto del mattino, in forma come non mai e pronto a perseguire chissà quale strano e impegnativo progetto.
    Nascondo un breve sorriso, tornando a guardare fuori dal finestrino: la notte è scura, ma le mille luci di Hollywood illuminano quasi a giorno il cielo, e di questo ringrazio. La notte è il momento peggiore per me, da qualche settimana a questa parte: è come se l'oscurità cancellasse la realtà dei miei giorni e costringesse le memorie a farsi avanti, ferendomi più a fondo di quanto possa sopportare. Riposare, la notte, si è fatto difficile: spesso me ne sto disteso a letto rigirandomi continuamente tra le lenzuola, come se stessi su un materasso fatto di chiodi, ed è per questo che spesso non rimango a dormire da Christine, quando capita di uscire insieme – so che non farei altro che agitarmi, impedendo anche a lei di dormire e facendola preoccupare inutilmente. E quando anche riesco a prendere sonno, spesso mi capita di fare un certo sogno – sempre lo stesso, sempre ugualmente disturbante e doloroso: continuo a rivedermi scendere da un taxi, muovere un paio di passi e poi fermarmi, come se all'improvviso non riuscissi più a comandare le mie gambe. Ed è a quel punto che arriva la vera pugnalata: in fondo alla strada compare Daria, e appeso al suo braccio c'è quell'uomo al quale l'ho vista dare un bacio, quella ormai famosa e terribile serata. Ridono, scherzano, mi passano accanto senza accorgersi della mia presenza, e tutto ciò che posso fare è restare in silenzio a guardare – in silenzio, perché oltre a non muovermi non riesco nemmeno a parlare. Ogni volta mi sento dannatamente impotente, e ogni volta preferirei morire, piuttosto di rivivere ancora una volta quella scena.


*



Torino, 3 marzo 2014


    Negli ultimi giorni la pioggia sembra aver dato una tregua alla città, e sebbene quello che splende in cielo non si possa proprio definire sole, è caldo abbastanza da invogliare ad uscire e fare due passi al parco del Valentino. Non avendo voglia di rimanere sola, chiedo di accompagnarmi ad una delle ultime persone che mi sarei aspettata di invitare fuori per una passeggiata: mia madre.
    «Come mai questa improvvisa voglia di passare del tempo con me?» domanda dopo un intenso periodo di silenzio, lungo abbastanza da permetterci di coprire metà del parco. «Insomma, è vero che stiamo lentamente recuperando i rapporti, ma la tua telefonata mi ha comunque stupita molto. C'è qualcosa che non va? Se posso permettermi, hai un aspetto che non mi piace per niente. Non è che stai covando un po' di influenza? Questo tempo gioca brutti scherzi.»
    «No, non sono malata» rispondo, scuotendo la testa. «Non ho dormito bene, questa notte. Beh, a dire il vero non mi è capitato solo stanotte.»
    «Hai qualche preoccupazione? Se hai bisogno di qualcosa, lo sai, devi solo chiedere. So che non ci sono mai stata, per te, ma adesso sono qui. Puoi parlarmi di tutto.»
    Alzo per un istante lo sguardo su di lei, chiedendomi se la mia idea sia davvero così geniale, se raccontare dei miei guai sentimentali ad una donna altrettanto incasinata non finirebbe con il confondere ancora di più le acque. Incrocio per un istante il suo sguardo, colmo all'inverosimile di quel misto di preoccupazione e paura che soltanto una madre può provare, e mi convinco che tentare non nuocerà. «Avrei bisogno di un consiglio sentimentale.»
    Ride, coprendosi la bocca con una mano, nello stesso gesto che spesso compio anche io. «Santo cielo, penso proprio di essere la persona meno indicata per dare consigli sentimentali! Guarda che cosa sono stata in grado di fare a tuo padre...»
    «Beh, è proprio per questo che vorrei un consiglio da te» ribatto, sperando di farle capire che si tratta di una cosa seria, e che davvero ho bisogno del suo supporto e della sua esperienza.
    «E va bene, se proprio credi che sia la persona più indicata, dimmi cos'è che ti preoccupa» risponde, recuperando la propria compostezza.
    «Ho conosciuto una persona, lo scorso autunno. Un uomo più grande di me» sento subito il bisogno di puntualizzare, forse per farle inquadrare meglio la situazione. «Un uomo molto più grande di me, in effetti. Ha vent'anni più di me.» Mi fermo per un istante, aspettando un qualunque commento, ma la sua assenza di reazioni mi spinge a continuare. «Anche se è successo tutto molto rapidamente, sono sicura di quello che provavo per lui. È stato come se... non lo so, come se l'avessi guardato e all'improvviso avessi capito di amarlo. E sono abbastanza sicura che per lui fosse lo stesso. Non che abbia questa grande esperienza in fatto di uomini, ma sono abbastanza sicura che mi amasse anche lui.»
    «E allora perché lo hai lasciato?» mi domanda. «Insomma, stai parlando di lui al passato, quindi presumo che sia finita.»
    «Ho avuto paura» ammetto, abbassando il tono della mia voce. «Ho avuto paura di quello che avrebbe potuto pensare la gente, ho avuto paura di quello che avrebbe potuto dire papà, ho avuto paura che la mia vita cambiasse, ho avuto paura di perdere tutte le mie certezze... e poi ho avuto paura di non riuscire ad amarlo come meritava. Di non riuscire ad amarlo abbastanza, diciamo. Ho avuto paura di non essere la donna giusta per lui.»
    Si prende qualche secondo per riflettere sulla risposta, e comprendendo quanto sia importante per lei darmi la risposta più corretta, decido di attendere, nonostante stia morendo dalla voglia di sentire ancora la sua voce. «Non darò giudizi sulla sua età, questo no» esordisce infine. «Il mio secondo marito era più vecchio di me, e guarda i tuoi nonni! C'erano quattordici anni di differenza tra loro, eppure hanno tirato su una famiglia incredibile.» Fa un'altra pausa, raccogliendo le ultime impressioni. «Avere paura è normale, quando si conosce una persona che ci colpisce quanto ti ha colpita quest'uomo. La paura non deve essere per forza negativa, sai? Anzi, a volte un po' di paura può essere una buona cosa. Se ti sei sentita impaurita, significa che non l'hai presa alla leggera, che ti sei posta dei dubbi e che hai ragionato sull'intera faccenda, e questo è un bene. Sarebbe stato peggio se non avessi avuto alcun timore, perché avrebbe significato che ti eri buttata nella storia a testa bassa, e ti assicuro che non è mai un bene essere troppo impulsivi.» Sento il suo sguardo fisso su di me, ma continuo a camminare guardando dritto davanti a me. «Dunque lo hai lasciato. Che cosa è successo poi?»
    «Non l'ho più rivisto. Un paio di mesi più tardi ho iniziato a vedermi con un altro ragazzo, ma ci ho dato un taglio quando ho capito che... beh, quando ho capito che non avevo dimenticato l'altro uomo. Sapevo che non l'avrei mai più rivisto, ma siccome non ero ancora riuscita a sradicarmelo dal cuore... beh, continuare quella relazione sarebbe stato come mentire a me stessa, e soprattutto avrebbe significato mentire ad una persona buona che non meritava di essere presa in giro. Perciò ho chiuso anche con l'altro.»
    «Ma continui a pensare al primo.»
    «Molto più di quanto vorrei.»
    «Hai pensato di chiamarlo, di riprendere i contatti? Sono passati soltanto pochi mesi, forse nemmeno lui ti ha dimenticata.»
    «Sì, in verità mi è passato per la mente, ma... non lo so, ho paura che sia troppo tardi. O forse ho paura di averlo ferito così tanto da non riuscire a perdonarmi nemmeno se tornassi da lui strisciando. O forse ho soltanto paura di andare da lui e scoprire che non mi amava tanto quanto credevo, e che si è già rifatto una vita con un'altra.» Dimenticandomi, aggiungo dentro di me, senza avere il coraggio di esprimere ad alta voce un concetto tanto terribile. Mi sento già abbastanza distrutta così, e credo che scoprendo Shannon già impegnato in una nuova storia con un'altra donna non riuscirei a sopravvivere.
    «Potrebbe averci provato» ribatte lei, facendo spallucce. «In fondo, è la stessa cosa che hai provato a fare anche tu. E come te, forse potrebbe aver fallito. In questo preciso momento potrebbe essere impegnato in una conversazione simile alla nostra, non ti pare?» Non rispondo, troppo impegnata a fissare l'erba che si piega sotto le mie scarpe. «Il solo consiglio che ti posso dare è questo: non aspettare. Se davvero sei pentita della tua decisione, se davvero lo ami ancora e credi di poter costruire qualcosa di serio con lui, non aspettare che arrivi chissà quale momento propizio. E fidati, sto parlando per esperienza. Non esiste il momento giusto per chiedere scusa ad una persona che hai ferito. Esiste soltanto il momento in cui ti alzi e bussi alla sua porta.»


*



Los Angeles, 3 marzo 2014


    Sono appena passate le quattro del mattino, e come avevo previsto non sono ancora riuscito a chiudere occhio. Dopo aver trascorso l'ultima ora a rigirarmi tra le coperte come un'anima in pena, decido di alzarmi per sgranchirmi le gambe e fumare una sigaretta. Conoscendo le restrittive regole di Jared circa il fumo, esco in giardino, portandomi dietro un posacenere immacolato recuperato dal salotto. Mi guardo attorno per qualche secondo, in cerca del posto più adatto, e alla fine trovo il mio rifugio sul muretto di cinta. La casa di Jared sorge su una collinetta dalla quale si gode di un ottimo panorama, e siccome questa sera la mia mente è più affollata che mai, fissare lo sguardo su qualcosa di potenzialmente rilassante, mi sembra una buona idea. Mi siedo a cavalcioni sul muretto e accendo la sigaretta, inspirando a fondo: lo scorso autunno ero quasi riuscito a smettere con questo brutto vizio, ma la separazione da Daria ha riportato in superficie molti dei miei lati oscuri, con sommo dispiace di quel salutista di mio fratello.
    Fisso lo sguardo sulle colline in lontananza, incredibilmente oscure se paragonate all'estrema luminosità della città, che anche in piena notte, come New York, sembra brulicare di vita. Osservo e fumo, portandomi la sigaretta alle labbra con gesto meccanico, esattamente come quando sto suonando e le bacchette sembrano trovare da sole il percorso giusto tra i diversi tamburi. Questa sera mi sono divertito, ho applaudito e gioito per la buona sorte di mio fratello, ma ora che è tutto finito mi sento ancora più vuoto di prima, come se il prezzo da pagare per poche ore di estrema felicità fosse il dover soffrire per il resto della vita. Questa sera ho avuto modo di osservare molte coppie felici, uomini e donne mossi da un puro e sincero amore nei confronti del partner, e questo mi ha fatto giungere alla conclusione che ciò che Christine ed io ci illudiamo di avere non è vero amore – non più. Per questo, poco dopo la fine della cerimonia, le ho inviato un sms per avvertirla che ho bisogno di parlare faccia a faccia con lei. E lei, lo so, non è una donna stupita, perciò deve aver capito che dietro quella richiesta di un appuntamento si cela un unico scopo: lasciarla. Ci ho provato, ho provato davvero con tutte le mie forze a tenere in piedi un rapporto stabile, ma sono abbastanza onesto con me stesso da ammettere che non ci posso riuscire, che stare con lei è una cosa che esula dalle mie possibilità, una missione impossibile che nemmeno in un milione di anni potrei portare a termine. Così desidero essere onesto anche con lei, e lasciarla libera prima che il veleno che mi scorre nelle vene finisca con l'infettare anche lei, portandola sull'orlo di un abisso cui non merita di arrivare. Schiaccio il mozzicone nel posacenere pulito, soffiando via l'ultima boccata di fumo, e resto immobile a guardare il panorama. L'aria della notte è frizzante, ma non mi dispiace: il freddo mi tiene sveglio, mi costringe a ricordare che sono ancora vivo e che faccio ancora parte di questo mondo, per quanto abbia smesso di sentirmi vivo nell'istante in cui ho visto Daria baciare un altro uomo – uno che, ne sono certo, non potrà mai amarla quanto l'ho amata io.
    Scuoto la testa, cercando di scacciare i cattivi pensieri, e nello stesso momento prendo un'altra sigaretta dal pacchetto. Mentre la accendo la mia mano trema, e lo so, non è per il freddo. Non è soltanto quello del fumo il brutto vizio che ho ripreso, e di questo mi vergogno immensamente. Nonostante avessi buttato via ogni forma di alcol per impedirmi di ricadere nel baratro, non sono riuscito a resistere, e alla mia prima visita al supermercato non sono riuscito a trattenermi dall'attraversare il reparto degli alcolici. Ho comprato una bottiglia di scotch, e quella è stata la mia fine: per qualche giorno l'ho ignorata, poi il bisogno di aprirla è stato più forte che mai. Soltanto un goccio, mi sono detto la prima volta, soltanto un sorso prima di andare a letto. Ma poi, come prevedevo, farmi un bicchiere prima di dormire è diventata un'abitudine, e prima che me ne rendessi conto la bottiglia era vuota. Bere è il solo modo che conosca per anestetizzare il dolore, per addormentare le voci che sento dentro la testa, quelle dannate voci che continuano a ripetere che non sarò felice mai più, ora che ho perso Daria. È da vigliacchi nascondersi dietro una bottiglia, ma la vigliaccheria è l'ultimo rifugio di un uomo disperato che sa di aver perso ogni cosa, e che non ha più mezzi per combattere.
    Abbasso la testa, cercando di convincermi che il pizzicorino che mi fa prudere gli occhi siano soltanto lacrime causate dal fumo: avevo promesso a Jared che non sarebbe accaduto di nuovo, che non mi sarei di nuovo perso, ma nonostante tutti i miei sforzi ci sono ricascato, e questo mi fa sentire più in colpa che mai. Lui è sempre stato buono con me, mi ha sempre offerto tutto l'aiuto possibile, e il solo modo in cui sono in grado di ripagare il suo immenso amore è questo: il tradimento.



*



Torino, 4 marzo 2014


    «Ciao, Daria. Andato bene il finesettimana?»
    «Ciao, Marco. Beh, diciamo che non è successo molto» rispondo, sfilandomi il cappotto. «Senti, io avrei un favore da chiederti.»
    «Approfitti del mio buon umore per darmi qualche cattiva notizia, eh?»
    «Più o meno. Sai quelle due settimane di ferie che ti avevo chiesto per l'inizio di maggio? Sarebbe un problema anticiparle alla settimana prossima, o al massimo a quella successiva?»
    Marco strabuzza gli occhi, senza riuscire a credere alle proprie orecchie. «Beh, credo... ma sì, credo che si possa fare. Hai in mente qualche viaggio?»
    «Più o meno» rispondo. «Sempre che riesca a convincere Alice a venire con me, nonostante i mille impegni che ha per via della tesi.»
    «Sono sicuro che accetterà. Quando mai ti lascerebbe partire senza di lei? Dove hai in mente di andare, se posso farmi gli affari tuoi?»
    «Los Angeles. Ho sempre voluto visitarla e ho trovato una buona offerta per l'aereo e l'alloggio» mento, sapendo che Marco non è esattamente la persona più giusta cui rivelare lo scopo del mio viaggio. «Solo che per beneficiarne dovrei partire per forza entro due settimane, quindi...»
    «Non dire altro, hai le ferie. Me la caverò anche senza di te» sorride, tornando a trafficare con la casssa. È in questo momento che mi rendo conto di quanto tenga a me, e di come sia riuscito a perdonarmi anche se gli ho spezzato il cuore. Forse è proprio questo che intendeva mia madre ieri, dicendomi che non esiste un momento giusto per rimettere a posto le cose: deve succedere e basta, e il più presto possibile è l'unico momento davvero adatto per farlo.



*



Los Angeles, 4 marzo 2014


    Sono al parco, lo stesso in cui ho incontrato di nuovo Christine dopo vent'anni di niente, e ce ne stiamo seduti insieme sull'erba baciata dal sole, mentre Bruce corre intorno a noi abbaiando al vento e rotolandosi come un cucciolo. «Il dobbiamo parlare del messaggio significa quello che penso, vero?» mi domanda lei, interrompendo finalmente il silenzio. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi, perciò tengo la testa bassa e annuisco. «Non so perché, ma me lo sentivo che sarebbe arrivato questo momento. Era tutto troppo bello per essere vero.»
    «Mi dispiace.»
    «Non ti devi dispiacere. Preferisco che le cose vadano così, se devo essere sincera. Non avrei sopportato di trascinare avanti troppo a lungo una cosa che non funziona, e magari svegliarmi, una mattina, chiedendomi che fine abbia fatto il resto della mia vita.»
    «Suonerà incredibilmente retorico, ma non è colpa tua. Se ci fossimo incontrati soltanto quattro o cinque mesi prima, forse avrebbe funzionato. È solo che...»
    «Pensi ancora a quella ragazza, vero?»
    «Ogni giorno» ammetto. «Provo con tutte le mie forze a non farlo, ma sembra che sia più forte di me. Non riesco a togliermela dalla testa.»
    «Forse perché è lì che deve stare» suggerisce lei, ravviandosi i capelli con una mano. «Insomma, se dopo tutto questo tempo il suo pensiero condiziona ancora la tua vita, forse... beh, forse è perché non deve essere cancellato.»
    «Con lei è finita, Christine» affermo, quasi stanco di dover continuare a ripetere all'infinito lo stesso concetto – prima a Jared, poi a lei, e infine a me stesso, ancora e ancora. «Lei sta con un altro, non ci sono possibilità che possiamo tornare insieme.»
    «Come vuoi» replica lei. «Certo, se tutto ciò che fai è restare seduto ad aspettare il suo ritorno, di sicuro le cose non cambieranno» aggiunge, alzandosi.
    Stringo il pugno per impedirle di vedere il tremolio della mia mano, che costantemente mi ricorda la mia rapida discesa all'inferno. «Io ci ho provato, a cambiare le cose. Ci ho provato, ma non ha funzionato.»
    «Strano, lo Shannon che conoscevo non si sarebbe arreso così, senza lottare fino alla morte.»
    «Non sono più lo stesso di vent'anni fa, lo hai detto anche tu.»
    «Vero, l'ho detto. E mi dispiace tantissimo che sia così, perché lo Shannon che conoscevo era un uomo straordinario, uno che avrebbe fatto la fortuna di molte donne. È un peccato che tu non sia più quell'uomo, perché avresti potuto essere vergognosamente felice.» Sposta il peso da un piede all'altro, indecisa su che altro dire. «Io adesso devo andare, ho una riunione a cui non posso mancare. Vorrei dire che vederti è stato bello, ma direi una bugia. So che odi sentirti fare la paternale, ma tu non stai bene. Non sei in pace con te stesso, Shannon, e come posso vederlo io sono certa che lo veda anche il resto del mondo. Se hai bisogno di aiuto, io...»
    «Ti chiamerò» taglio corto, alzandomi per salutarla con un abbraccio fraterno. La guardo allontanarsi in silenzio, sapendo che questo segnerà davvero la mia fine. Finché avevo Christine, potevo illudermi di avere un motivo per non lasciarmi andare completamente, ma ora che anche con lei ho tagliato i ponti, non c'è più nulla in grado di trattenermi dal saltare.


*



Torino, 4 marzo 2014


    Quando apre la porta e si trova di fronte il sorriso di Daria, Alice comprende immediatamente che qualcosa sta per cambiare, o che forse è già cambiato. Poi nota la grossa scatola di cioccolatini che l'amica regge in bilico sulle braccia, e le è chiaro che deve essere successo qualcosa di veramente importante. «Hai preso una botta in testa o sei stata rapita dagli alieni?»
    «Nulla di tutto questo» risponde l'altra con un sorriso. «Mi sono accorta di essere stata una stronza intrattabile in questo ultimo periodo, e questo mi sembrava l'unico modo per farmi perdonare.»
    Alice studia con aria sospettosa la confezione di dolciumi, poi si scosta per far passare l'amica. «Nascondi quel ben di Dio in camera mia, prima che lo trovino le mie coinquiline. Ti va una tisana? L'acqua sta bollendo proprio ora.»
    «Volentieri» risponde Daria, dirigendosi a passo sicuro verso la stanza dell'amica.
    Alice la raggiunge un paio di minuti più tardi, reggendo due grosse tazze fumanti. «Siediti dove trovi posto» dice, indicando il letto e le sedie colmi di appunti e vestiti. «Dovrei fare ordine, in effetti.»
    «Mi andrà bene il pavimento» replica l'altra, sedendo a gambe incrociate sul tappeto e accettando una delle tazze. «A dire il vero non sono qui soltanto per chiederti scusa, ma anche per chiederti un favore.»
    «Se è qualcosa che posso fare, ben volentieri» ribatte Alice, appoggiando la tazza poco lontano per iniziare a scartare la confezione. «Di che si tratta?»
    «Di un viaggio. Lo so, so che è il momento meno opportuno, che sei piena fin qui di impegni per via della tesi, che devi studiare e che è tutto organizzato all'ultimo minuto, cosa che entrambe detestiamo, ma... credimi, non c'è un'altra persona a cui vorrei chiederlo.»
    «Un viaggio? Dove?» Daria abbassa la testa, poi la rialza con un breve sorriso, e anche senza parole Alice capisce. «Dimmi che stai scherzando, per favore. Dimmi che è un pesce d'aprile in anticipo, ti prego. Non puoi aver davvero deciso di... santo cielo, vuoi andare da Shannon!» esclama, senza dare all'affermazione il tono di una domanda cui la risposta, lo sa, è affermativa.
    «Beh... ci voglio provare. Ci devo provare. Magari non otterrò nulla, magari scoprirò che mi ha dimenticata o che non gli importa o che non mi ha mai amata, però... io non ho smesso di amarlo, perciò devo sapere
    «Mi sembra ovvio che io verrò con te, a questo punto. Oh, devo avere il passaporto da qualche parte. Sarà scaduto, ma non ci vorrà un secolo per rinnovarlo. Tu invece come sei messa? Avrai un sacco di pratiche da sbrigare, e ci sarà da prenotare l'aereo, e...»
    «Il passaporto lo avrò entro la fine della settimana, e per tutto il resto... beh, ho Emanuele che è un genio dei computer. Mi darà una mano a fare qualche prenotazione, no?»
    Alice si porta entrambe le mani davanti alla bocca, così felice della proposta di Daria da dimenticare tutto il resto: gli esami, la tesi, la laurea... per accompagnare Daria a riprendersi Shannon sarebbe disposta persino a mollare tutto e finire a cuocere hamburger da MacDonald's. E poi, incredibilmente, il suo pensiero corre subito a Jared, che per forza di cose prima o poi dovrà vedere, se davvero riusciranno ad imbarcarsi su un aereo e volare fino a Los Angeles – e incredibilmente, l'idea di incontrare uno dei suoi cantanti preferiti non la spaventa, perché in fondo tutte le telefonate che si sono scambiate nelle ultime sei settimane lo hanno fatto scendere da quel piedistallo, trasformandolo in un amico – un amico famoso in tutto il mondo che non ha mai visto di persona, certo, ma pur sempre un amico. Tornata in sé, infila la mano sotto il letto e tira fuori la scatola con i ricordi di Shannon. «Non dimentichiamoci che hai il numero di Emma. Potresti sempre chiamarla e farti aiutare da lei per organizzare la cosa.»
    «Ammetto di averci pensato, ma non voglio» risponde Daria, sorseggiando la tisana bollente. «Chiedere aiuto ad Emma vorrebbe dire rischiare di far sapere tutto a Shannon, e voglio fargli una sorpresa. O forse non voglio rischiare che mi chiami per dirmi di non andare, nel caso non volesse vedermi. Insomma, se proprio devo essere rifiutata preferirei... preferirei che lo facesse di persona.»
    «Comprensibile» risponde Alice, appoggiando comunque la scatola davanti all'amica, sperando di vederla prendere in mano le memorie dell'autunno precedente e convincersi che, a prescindere da come andranno le cose, stia finalmente facendo la cosa giusta. «Santo cielo, sono così fiera di te» sospira, sedendosi di nuovo sul tappeto insieme a lei. «Hai già pensato a cosa gli dirai, a come... non lo so, a come affronterai l'argomento?»
    «Non ne ho idea, a dire il vero. Ma immagino che le parole verranno fuori da sole, quando sarà il momento.»
    Incurante dell'orologio, indifferente di fronte ai mucchi di carta e inchiostro accumulati sulla scrivania, Alice rimane seduta accanto alla propria migliore amica con un grande sorriso stampato sulle labbra, felice che le cose stiano tornando al loro posto, anche se dopo così tanto tempo. «Cosa dirai alla tua famiglia? Insomma, come glielo spieghi che vai in America?» le chiede dopo almeno un'ora di chiacchiere e risate.
    «Penso che dirò la verità, una volta tanto» replica Daria, alzando le spalle. «In fondo mio padre sa praticamente tutto di Shannon, e da ieri lo sa anche mia madre. Abbiamo fatto una chiacchierata» aggiunge.     «Tu mi avevi quasi convinta, ma avevo bisogno del parere di una persona adulta.»
    «Io non sarei una persona adulta, quindi?» ribatte l'altra, tirandole un cuscino in faccia.
    «Non quando prendi a cuscinate in faccia le persone, questo è poco ma sicuro.»



*



Los Angeles, 5 marzo 2014


    «Come mai tanto silenzioso, oggi?» domanda Emma, stupendosi di essere riuscita ad attraversare la stanza senza essere scelta come bersaglio per una delle mille idee strampalate che affollano la mente di Jared. «Pensavo che non avresti fatto altro che parlare dell'altra sera, invece per tirarti fuori due parole ho praticamente dovuto usare le pinze.»
    Jared si passa una mano tra i capelli, abbassando gli spartiti sui quali sta cercando di lavorare da almeno mezz'ora. «Tu che ne pensi di Shannon?»
    Emma torna indietro di qualche passo, confusa da quell'improvvisa domanda. «Che penso di Shannon in che senso?»
    «Non ti sembra... cambiato
    «Ho capito. Parliamo di Shannon in quel senso» replica lei, attraversando il salotto per sedersi in poltrona, in modo da stare esattamente di fronte a Jared. «Per caso è capitato qualcosa?»
    «Me lo chiedo anch'io» sospira l'uomo, spostando i piedi dal tavolino al tappeto e alzandosi, lasciando cadere i fogli sul divano. «Apparentemente sembra che vada tutto bene. Ha ricominciato ad uscire con Christine, sembra tutto normale, eppure... non lo so, ho la sensazione che stia per esplodere una bomba, e che il mio sesto senso sia guasto. Io di solito lo so, so quando sta per accadere qualcosa, e invece stavolta... niente
    «Hai provato a parlare con lui?»
    «Negherebbe all'infinito di avere un problema, lo conosci.»
    «Ma se c'è qualcuno che ha qualche possibilità di strappargli fuori una parola, quello sei tu. O tua madre, in casi di emergenza.»
    «Lo so, ma non posso fare irruzione a casa sua e chiedergli se per caso abbia...» esclama il cantante, bloccandosi un istante prima di dire quelle parole che, lo sa, cambierebbero definitivamente le cose.
    «Se per caso abbia cosa
    Jared si passa entrambe le mani sul viso, indeciso se parlare o meno. La logica gli suggerisce di tenere per sé certi dubbi, ma l'esperienza gli dice che se al mondo c'è una sola persona riservata su cui fare affidamento, quella è Emma. «Ho paura che si rimetta a bere» confessa infine. «Per non parlare di tutto il resto. L'ultima volta che ha avuto una delusione simile è finito in un brutto giro, ed è mancato poco che ci restasse secco» aggiunge a bassa voce, ripensando a quella terribile e ormai lontana notte in cui lo ha visto sdraiato in un letto d'ospedale, più bianco delle lenzuola che lo avvolgevano, così pallido e inerte da fargli credere che la vita lo avesse già abbandonato. «Il motivo per cui ha abbandonato il tour quando eravamo in Brasile è che aveva paura di ricadere nei vecchi vizi. Per questo è tornato. Solo che non è riuscito a sfuggire al nemico, perché il nemico non è in Brasile, bensì...»
    «...dentro di lui» conclude Emma, abbassando lo sguardo. «Soffre ancora, vero? Per Daria, intendo. Pensa ancora a lei?»
    «Non ne parla, ma io credo... sì, credo che lei faccia ancora parte della sua vita, in qualche modo. Non credo che vederla baciare un altro uomo sia stato sufficiente a levargliela dal cuore. Lui la ama ancora, ed è questo che lo ferisce di più. Nemmeno vedere che lei è andata avanti con la sua vita riesce a placarlo.»
    «E tu hai paura che si rimetta a bere per cancellarla?»
    «Alla festa, l'altra sera, ho incontrato Lupita. Mi ha preso da parte e mi ha detto che qualche sera prima lo aveva visto uscire dal Blue Moon in condizioni che non le piacevano affatto. E Lupita, lo sai, non è una che racconta storie. Se mi dice che l'ha visto piuttosto giù di corda, io le credo.»
    «Intendi fare qualcosa per aiutarlo?»
    Jared ci riflette su per qualche istante, poi punta lo sguardo verso di lei, e in quegli enormi occhi da bambino Emma riesce finalmente a vedere un uomo preoccupato di perdere tutto ciò che gli è più caro. «Come si fa ad aiutare uno che non vuole essere aiutato?»



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Torino, 5 marzo 2014


    Quando annuncio di voler partire per gli Stati Uniti per inginocchiarmi davanti a Shannon implorando perdono per la mia condotta, a mio padre va di traverso un boccone. «Come sarebbe a dire che vai a Los Angeles?» domanda tra un colpo di tosse e un sorso d'acqua, battendosi sul petto per liberarsi la gola.
    «Sarebbe a dire che intendo salire su un aereo e volare dall'altra parte dell'oceano» replico, incrociando lo sguardo sognante di Francesca, che probabilmente pensa sia la cosa più romantica del mondo.
    «Di certo non immaginavo ci saresti andata a nuoto» risponde lui, piccato. «Quello che non riesco a capire è perché tu voglia fare una cosa del genere. Non sarebbe più pratico... che ne so, fare una telefonata?»
    «Sicuramente sarebbe più pratico, ma sarebbe anche incredibilmente impersonale» ribatto, smettendo per un istante di mangiare. «Papà, capisco che tu sia spaventato all'idea che tua figlia vada all'altro capo del mondo senza di te, ma è necessario che lo faccio. Se voglio far capire a Shannon che sono davvero dispiaciuta per come mi sono comportata, è necessario che vada a chiedergli scusa di persona. Al telefono sono tutti bravi a chiedere scusa.»
    Lo vedo appoggiare le posate e passarsi una mano sul viso non rasato con aria pensierosa, come se sapesse che ho ragione e stesse a tutti i costi cercando un argomento valido con il quale smontare la mia tesi. «Almeno dimmi che non ci vai da sola» sospira infine, tornando a guardarmi.
    «Certo che non ci vado sola. Alice verrà con me» rispondo con un sorriso, cacciandomi in bocca un grosso pezzo di bistecca.
    «Santo cielo...» lo sento sussurrare mentre nasconde il viso dietro entrambe le mani. «Si faranno rapire, poco ma sicuro» aggiunge, scatenando in tutti un accesso di risatine isteriche.
    «Allora dopo ti aiuto a fare le prenotazioni online» commenta Emanuele, sezionando la carne come un chirurgo all'opera. Gli sorrido, annuendo, sapendo che dopo avermi aiutata nulla potrà salvarlo dal fare una chiacchierata con me circa il suo rapporto con Luca.


*



Los Angeles, 5 marzo 2014


    Oggi sono così giù di morale da non aver voglia nemmeno di fingere di stare bene, tanto più che non c'è nessuno da ingannare, a parte un cane che sonnecchia ai piedi del mio letto e l'ombra che vedo riflessa nello specchio. Sono le quattro del pomeriggio  e me ne sto seduto a terra nello studio, la schiena appoggiata alle parete e le gambe allungate di fronte a me, ormai indolenzite a causa della prolungata immobilità. Accanto a me un pacchetto di sigarette, un posacenere colo per metà di mozziconi e una bottiglia che va svuotandosi un sorso alla volta. La mia mano ha smesso di tremare, placata dallo scotch, ma in compenso ora è il mio cuore quello incerto, quello che salta da un sentimento all'altro senza darmi tregua. E se avessi sbagliato tutto, quella sera, voltandomi e andando via? Cosa sarebbe successo se avessi aspettato ancora un po', soltanto qualche minuto? Cosa sarebbe potuto accadere se avessi avuto il coraggio di suonare quel campanello e aspettare? Mentre me ne sto seduto nella penombra ad aspettare che l'ennesima sigaretta si consumi, mi chiedo se quella sera non abbia frainteso tutto, se quell'uomo non fosse soltanto un tentativo, per Daria – un tentativo di andare avanti con la propria vita, un tentativo per convincersi di aver fatto la cosa giusta e di avermi dimenticato. In fondo io non ho provato a fare lo stesso con Christine? Bevo ancora, aspettando il momento in cui il mio cervello smetterà di indugiare nei dubbi, trascinandomi in quell'oblio che, ora come ora, mi pare la prospettiva più rosea cui aspirare.
    E poi, chissà come, mi ritrovo in mano il cellulare. Scorro la rubrica, ed eccolo ancora lì: Daria. Lo leggo chiaramente, chiaro come il giorno in cui l'ho salvato tra i miei contatti. Prima di lasciar scemare il coraggio, o forse solo prima di sentirmi troppo stupido per farlo, sfioro l'icona verde, facendo partire la chiamata. Uno squillo, due squilli, tre squilli... «Pronto?» La sua voce arriva forte e chiara al mio orecchio, quasi fosse seduta accanto a lei, ed è ancora identica al ricordo che avevo: il tono basso ed elegante, quella nota d'insicurezza di cui tutta la sua persona è impregnata, quella bizzarra pronuncia della lettera erre... c'è tutto di lei in quella semplice parola, ma stavolta è tutto troppo, per me, che non riesco a far altro che premere una mano sulle labbra per impedirle di sentire il singhiozzo cui mi sono abbandonato. «Pronto?» ripete, e i miei occhi si fanno lucidi. Sto per trovare il coraggio di parlare, quando in sottofondo sento chiaramente la voce di un uomo – e a questo la magia si spezza, l'emozione scompare. Senza nemmeno capire che cosa quell'uomo abbia detto, premo il tasto rosso, ripiombando nella mia solitudine.


*



Torino, 5 marzo 2014


    «Daria, tesoro, puoi venire un attimo qui?»
    Mi allontano il cellulare dall'orecchio, studiando il numero del mittente – è un numero che non ho salvato in rubrica e che non riconosco, ma ho deciso di arrischiarmi a rispondere comunque, nel caso si trattasse di qualcosa di importante – e invece niente, soltanto silenzio. «Arrivo!» rispondo a mio padre, rimettendo il telefono in tasca.
    «Chi era?» domanda Emanuele, senza staccare gli occhi dalla schermata sulla quale sta inserendo i miei dati.
    «Non lo so, forse qualcuno che ha sbagliato numero. Ha riattaccato senza dire niente.»
    «Fa' attenzione quando ti chiamano numeri che non conosci» mi ammonisce, guardandomi per un istante. «Ci sono un sacco di truffatori che spillano soldi alla gente in questo modo. Se vuoi ti scarico un software per filtrare le chiamate.»
    «Grazie, Q, ci penserò» replico, sapendo quanto detesti essere paragonato al marchingegnere dei film di James Bond. «Vado a vedere che vuole papà, torno subito.»
    Tornata in corridoio, vedo che mio padre mi fa segno di andare in camera sua, guardandosi attorno come un ricettatore di strada in procinto di piazzare un pezzo che scotta. Appena varco la soglia mi mette in mano cinque banconote da cento euro. «Tieni questi. Come fondo per le emergenze.»
    «Papà, ti sei dimenticato che ho un lavoro? Non mi serve che...»
    «Portali con te per il viaggio. Un po' di soldi extra non fanno mai male.»
    «Ma papà, sono troppi, non posso...»
    «Mi hanno pagato un sacco di lavori, ultimamente. Tranquilla, non stai togliendo il pane di bocca né a me né ai tuoi fratelli. E anche se ci trovassimo a fare la fame, ci basterebbe attraversare il pianerottolo» mi interrompe, strizzandomi l'occhio. «E se non ti servono per il viaggio, potresti sempre comprarci qualche bel regalo per il tuo vecchio o per i tuoi fratelli, no?»
    Abbasso la testa sul denaro, che piego e ripongo in tasca. Poi, senza aspettare inviti, abbraccio mio padre con tutta la forza che ho in corpo. «Sei il papà migliore del mondo.»
    Ricambia la stretta, accarezzandomi la schiena e baciandomi i capelli, esattamente come faceva quando ero bambina. Forse, in effetti, sono ancora una bambina sotto molti punti di vista. «Questo è il minimo che possa fare, tesoro. Non importa quanti anni tu abbia, o quanto lontano tu viva. Io resto sempre tuo padre, e sai che attraverserei l'inferno per te.»
    Mi stacco da lui, cercando di non piangere. «Papà, se riuscirò a...»
    «Se è l'uomo che ami, lo accetterò senza riserve» mi interrompe, accarezzandomi il viso. «Certo, ci servirà sempre un interprete, e forse quando avrò imparato ad accettare il fatto di avere un genero che potrebbe essere mio fratello saremo entrambi vecchi» aggiunge con un sorriso, «ma se è lui l'uomo che ami, l'unico in grado di renderti felice, allora ti dico solo: vai. Vai a riprendertelo.»


*



Los Angeles, 5 marzo 2014


    Mi stacco la bottiglia dalle labbra, mandando giù il sorso che ho bevuto come se stessi assumendo la dose di veleno che mi spedirà finalmente al creatore. La bottiglia è ancora piena per metà, eppure decido di alzarmi e lasciare la stanza, portando con me soltanto le sigarette. Accendo la prima mentre mi sto infilando il cappotto, le chiavi dell'auto al sicuro in tasca, certo che in questo momento il mio nemico più grande non sia la bottiglia, ma la solitudine.



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Torino, 5 marzo 2014


    «Grazie di tutto, Ema» sorrido, prendendo i fogli appena sputati fuori dalla stampante. «Sapevo che avere un informatico in casa doveva avere una qualche utilità» aggiungo, passandogli una mano tra i capelli spettinati.
    «Scema» risponde, cercando di sottrarsi alla mia carezza. «Ora evapora, dai, che devo studiare» aggiunge, con un tono falsamente autoritario che tradisce il suo divertimento.
    «In realtà speravo che avessi qualche minuto per parlare con me» replico, facendomi seria.
    «Posso indovinare l'argomento?»
    «Mi stupirei se non lo facessi.» Mi appoggio di schiena alla scrivania, incrociando le braccia al petto, mentre lui giocherella con una matita. «Non devi pensare di essere il solo a non sapere che pesci prendere, sai? Anch'io all'inizio ero confusa, non ero sicura di che cosa volessi, però poi...»
    «Daria, io non sono come te» taglia corto lui, interrompendomi. «E non sono nemmeno come Francesca. Io non ci riesco, non riesco ad affezionarmi alle persone come fate voi. Io non... io non sono bravo con le persone, lo sai. Io capisco soltanto i computer, perché sono facili da capire, dicono solo sì e no.»
    «Nemmeno io sono un granché con le persone, lo sai» rispondo, cercando di rassicurarlo. «Credo di sapere che cosa ti spaventa. Tu hai paura di dover parlare con la mamma. È lei il problema, vero?» Improvvisamente si alza, fingendo di cercare un manuale sullo scaffale per potermi dare le spalle. «Ti capisco, sai? Nemmeno io ero entusiasta all'idea di avere di nuovo a che fare con lei, dopo tutto quello che ho passato a causa sua... però Luca è tutto un altro paio di maniche. Non è per causa sua se lei ha lasciato papà. Lui è stato soltanto una conseguenza. Se pensi che ignorare lui sia il modo migliore per punire lei, non...»
    «Io non intendo punire nessuno» mi blocca, voltandosi verso di me.
    «Ma è così che si sente lui. Si sente punito, triste, ferito... esattamente come ti senti tu, credo.» Vinco l'istinto di avvicinarmi, sapendo quanto detesti gesti di consolazionie universalmente amati come le carezze e gli abbracci. «So quello che hai passato, so come ci si sente a crescere senza un genitore. Ci si sente da schifo. Ma volendo trovare un lato positivo, tu ed io avevamo papà, la nonna, gli zii, e soprattutto avevamo l'un l'altra. Alla sua età, tu avevi molto più di quanto abbia lui adesso. Lui ha perso suo padre, lo ha perso per sempre, e tutto ciò che gli resta è una madre che gli ha tenuto nascosta la verità, una madre di cui forse non tornerà a fidarsi mai più.» Faccio una pausa, forse sperando che torni a guardarmi e dica qualcosa – speranza vana, perché tutto ciò che continuo a vedere sono le sue spalle. «Tu, io e Francesca siamo tutto ciò su cui possa contare quel bambino. Non ti posso obbligare a vederlo, o parlargli, questo no. Sei adulto, ed è giusto che tu prenda da te le tue decisioni. Solo, tutte le volte che inizi a pensare a quanto sia vuota la tua vita, pensa anche a quanto sia vuota la sua.» Prendo le mie cose ed esco dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Forse sono stata troppo brutale, troppo cattiva, ma era il momento di mettere alcune cose in chiaro – e se Emanuele non è in grado di farlo da sé, chi meglio di una sorella?
    Mentre cammino verso casa, stringendomi nel cappotto per sentire meno il freddo, improvvisamente Emanuele e Luca scivolano via dalla mia testa, lasciando la mente libera di concentrarmi sui fogli rinchiusi al sicuro nella mia borsa. Mercoledì sta volgendo al termine, e martedì dista solo cinque notti. Tra una settimana al massimo, con un po' di fortuna, riavrò la vita che voglio.



*



Los Angeles, 6 marzo 2014


    Esco dal pub alle tre del mattino, dopo esserci rimasto per quattro buone ore. Ho bevuto molto, sicuramente più del consentito, ma mi sento ancora abbastanza lucido – forse troppo, giacché mi ero ripromesso di fare tutto il necessario per cadere nel totale oblio. Senza pensare alle conseguenze delle mie azioni mi metto al volante, ancora indeciso se tornare subito a casa o vagare senza meta per le strade della città degli angeli, quel magico paradiso che ha concesso a tutti i miei sogni di diventare realtà, ma che ora non riesce più a darmi ciò di cui ho bisogno. Guido e basta, senza badare né alla destinazione né alla strada, affidandomi semplicemente al mio istinto.
    Ma il mio istinto dimostra di essere annebbiato quanto i miei riflessi quando per poco non investo un ragazzo che stava attraversando la strada. Lo scampato incidente mi spinge a premere di più sull'acceleratore, più che mai deciso a lasciarmi alle spalle il malcapitato e i suoi insulti, che ancora una volta mi ricordano che sono ancora presente su questa terra, ancora vivo. Ma la mia fuga non ha vita lunga: pochi metri più avanti una volante della polizia mi affianca, abbagliandomi con la luce rossa dei suoi lampeggianti. Non ho scelta, se non quella di accostare. Tengo le mani sul volante, appoggio la testa al sedile e rimango in silenzio ad ascoltare il rumore sordo del motore in folle. Potrei quasi chiudere gli occhi e addormentarmi, se il poliziotto non bussasse al finestrino con le nocche, facendomi segno di abbassarlo. «Favorisca patente e libretto» mi ammonisce. Frugo stancamente nel vano portaoggetti e nel portafogli, poi gli porgo i documenti. L'agente li studia alla luce della torcia, poi punta la luce verso il mio volto. «Sa a che velocità stava andando?» Di nuovo non dico nulla, sapendomi condannato non appena sentirà l'odore di alcol che impregna l'abitacolo. «Ha bevuto?» domanda, studiandomi con attenzione. «Le dispiace scendere?» Obbedisco, sottoponendomi a tutti i suoi stupidi controlli senza lasciarmi sfuggire una parola. Nemmeno quando fa scattare le manette ai miei polsi e mi fa salire sul sedile posteriore della volante riesco a ribellarmi.
    Ormai non mi importa più di nulla. Sono un uomo a pezzi, e nulla potrà mai rimettermi insieme.



1Eravamo una famiglia. Come ha potuto rompersi e dividersi e ora siamo uno contro l'altro, ognuno fa ombra all'altro? Come abbiamo fatto a perdere il bene che ci era stato dato, lasciarlo scivolare via, disperdersi, distruggersi? Cosa ci impedisce di uscire, toccare la gloria? | Il titolo del capitolo è ispirato ad una battuta pronunciata dal soldato Robert Witt (interpretato da Jim Caviezel) nel film La sottile linea rossa (1998), del regista statunitense Terrence Malick.
   
 
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