XV
Era
passato un po’ di tempo dalla piccola avventura sulla Terra.
Definirla piccola
era scontato, cosa potevano essere un anno e pochi mesi per chi vive da
millenni o da miliardi di anni? Nonostante tutto, la maggior parte di
loro la
ricordava come un’esperienza unica, di cui avere quasi
nostalgia, sottolineando
il “quasi”. Kosmos non era fra coloro che avevano
nostalgia della Terra, di
quello era certo. Aveva aiutato i suoi studenti con la tesi usando i
sogni,
così come aveva parlato con Hannaliz e con chiunque lo
avesse aiutato. Alcune
costellazioni ed alcuni animali Orientali avevano espresso il desiderio
di
tornare sulla Terra, ogni tanto, ed erano stati accontentati. Una sorta
di
“vacanza premio” di qualche giorno terrestre per
divertirsi come meglio
credevano. Fra questi non rientrava il nome di Rukbat, che preferiva
evitare di
pensare ad ogni cosa riguardante il passato, ignorando i costanti
rimproveri
che si doveva sorbire dall’intera compagnia. Non mandava
nemmeno a salutare
Astrea, quando Bilancia andava a trovarla. I rapporti fra Orientali ed
Occidentali era di molto migliorato e passavano parecchio tempo nei
saloni
principali, ridacchiando e passando i giorni come volevano. Hamal,
Ariete, era
sempre più legata a Long, Drago, ed amava volare assieme a
lui a spasso per il
cielo. Aldebaran, Toro, aveva ripreso a disegnare, trovando negli
Orientali
degli ottimi ammiratori. Mekbuda, Gemelli, non litigava troppo con se
stesso,
cosa che il resto del gruppo gradiva parecchio, ad aveva insegnato agli
altri a
giocare d’azzardo. Acubens, Cancro, scoperta la sua nuova
passione per i leoni,
aveva approfondito l’amicizia con Adhafera, Leone, che le
stava insegnando a
combattere senza usare il fucile. Zubenelgenubi, la nuova Vergine, non
ci aveva
messo molto per ambientarsi e stringere amicizia con buona parte della
compagnia, anche se non con tutti. Zubeneschamali, Bilancia, ed
Antares,
Scorpione, avevano deciso di pensare seriamente alla loro strana
relazione, decidendo
di comportarsi in modo più serio. Insomma, si erano
ufficialmente fidanzati,
come direbbe facebook. Rukbat, Sagittario, la pigna del gruppo, fra una
rissa
ed un’altra con Antares, girellava per il palazzo con il
cappottone nero che
aveva voluto tenere ed aveva trovato in Shè, Serpente, una
nuova e valida
avversaria per i suoi allenamenti pressoché inutili, che
però svolgeva sempre
più raramente, divenendo sempre più una specie di
topo di biblioteca
perennemente rinchiuso nella sua stanza. Deneb Algiedi, Capricorno, non
aveva
abbandonato la sua dipendenza dalla nicotina ed aveva scoperto un
inaspettato
talento nel bricolage, riempiendo il palazzo di strane costruzioni
fatte con
ciò che trovava. Sadalmelik, Acquario, ormai profondamente
legata a Tigre, si
occupava dello scettro delle Ere con diligenza quasi maniacale. Al
Risha,
abbandonati i trip da droga, si era dato alla scrittura,
così da dare sempre
nuovo materiale assurdo al suo capo per passare il tempo quando il
tedio
prendeva il sopravvento. Shu, Topo, era l’unica che riusciva
a conversare con
Rukbat senza farsi mandare a fanculo, potendo permettersi di discutere
di libri
che la costellazione riteneva “alla sua altezza”.
Niu, Bue, ormai il migliore
amico di Aldebaran, aiutava volentieri Capricorno nei suoi lavori,
specie
quelli più pesanti. Insieme avevano costruito un magnifico
tavolo intagliato,
che era stato messo al centro della nuova sala voluta da Kosmos e
Kuruma: una
stanza immensa, in comune fra i due lati dell’edificio. Hu,
Tigre, oltre ad
amoreggiare costantemente con Sadalmelik, litigava con Rukbat, cosa
strana
avendo i due lo stesso insopportabile carattere, e si allenava con
Adhafera:
fra gatti giganti si capivano. Tù, Lepre, era la
più grande fan dei libri di Al
Risha e si era messa a scrivere a sua volta, rivelando un lato che
nessuno del
palazzo si sarebbe aspettato. Long, Drago, era quello che
più spesso tornava
sulla Terra, assieme ad Hamal, principalmente per far festa e scoprire
posti
che fin ora non aveva mai visto. Shè, Serpente, dopo essere
stata punita da
Kuruma con l’obbligo di ripulire l’intero palazzo,
lasciato un po’ andare in
malora nel periodo in cui la Signora Orientale era rimasta da sola,
aveva fatto
amicizia con Mekbuda, trovando interessante la sua doppia
personalità, ed aveva
iniziato a sfogare la propria rabbia repressa con la danza. Ma,
Cavallo, fra
una corsa ed un’altra per l’universo, amava giovare
d’azzardo con gli
Occidentali e sfidare Rukbat, l’unico con cui si sentiva
libero di nitrire in
libertà, facendo Sagittario lo stesso. Yang, Capra, aveva
ricominciato a
collezionare stupidaggini, inclusi i modellini di Deneb Algiedi,
apprezzandoli
molto, principalmente perché erano senza senso.
Hòu, Scimmia, anche lei punita
rimanendo rinchiusa nella sua stanza per un bel pezzo, aveva deciso che
la
ginnastica era l’unico modo per non impazzire in quel posto.
Ji, Gallo, era
divenuto un ottimo assistente di Aldebaran, essendo molto creativo ed
amando
l’arte, mostrando che dopotutto aveva un buon motivo per
tirarsela tanto. Gou,
Cane, si divertiva a cucinare assieme a Zubeneschamali e Zubenelgenubi,
riscuotendo molto successo, soprattutto da parte di Zhu, Maiale, che
passava le
intere giornate mangiando e dormendo.
“Non
lo trovate strano il capo, ultimamente?” domandò
Antares, controllando le
quattro carte che aveva in mano e storcendo la bocca, dubbioso.
“Mi
sembra che sia sempre stato strano” rispose Deneb Algiedi,
poco convinto ma
decisamente più felice di Scorpione delle carte che aveva
fra le mani.
“Ma
ultimamente lo è di più…”
insistette Antares, notandolo con la coda dell’occhio
sul terrazzino.
Stava
camminando incessantemente su e giù, con scintille di
energia fra le mani che
guizzavano come impazzite.
“In
effetti…è più, come
dire…carico, del solito” commentò
Mekbuda.
“Sì,
ed è più blu” aggiunse Gallo, ghignando
per la scala reale.
“Vero.
Gli si è scurita la pelle” confermò
Antares.
“Si
sarà abbronzato!” sbottò Deneb Algiedi.
“Ma
dai, non lo vedi? Ultimamente è più nervoso di
Rukbat, il che è tutto dire!”
esclamò Cavallo.
“Non
avrà mica ricominciato a litigare con Kuruma?” si
preoccupò Aldebaran,
chiamando due carte e gettandone altrettante.
“Ora
che mi ci fai pensare…quei graffi che ha sulla schiena non
sono recenti” storse
il naso Antares.
“E
questo cosa c’entra? Direi che è
un’ottima cosa se lei non lo graffia!”
sbottò
Toro.
“Quelli,
mio caro, fidati dell’esperto, non sono graffi
d’odio” sorrise Antares,
maliziosamente “Quei due sono peggio dei conigli, senza
offesa Tù!”.
“Nessuna
offesa, io sono una Lepre” rispose Tù.
“Però
lei è da un po’ che non si
vede…” mormorò Sadalmelik.
“Tranquilli!
Sta bene” sorrise Shu.
“L’hai
vista di recente?” domandò Hu.
“No,
ma le ho parlato, dalla porta della torre. È felice, e sta
preparando una
sorpresa per noi, per quello non esce dalle sue stanze. Sta
lavorando”.
“Di
che parlate?” domandò Kosmos, entrato nella stanza
silenziosamente e
spaventando, con la sua voce, i presenti che non se lo aspettavano.
“Di
niente in particolare, come va?” si affrettò a
dire Antares.
“Che
fate?” fu la riposta del Signore Occidentale, segno che pure
lui aveva imparato
a rispondere ad una domanda con un’altra domanda, come suo
padre.
“Giochiamo
a poker. Vuole unirsi alla compagnia? Ci siamo tutti, tranne quella
pigna in
culo di Rukbat!” propose Scorpione.
“No,
grazie. Non ho la concentrazione mentale necessaria per fare una cosa
del
genere”.
“Nemmeno
noi!”.
Kosmos
era molto agitato, lo si vedeva chiaramente, ma ostentava indifferenza.
Con le
mani dietro la schiena, forse per nascondere le scariche di magia che
emanava,
quasi saltellava sul posto.
“Tutto
bene, capo?” domandò Aldebaran.
“Sì,
certo. Perché?”.
“Vi
vediamo un po’ più agitato del solito”.
“Colpa
della mia magia. Ancora non sono abituato a non avere
l’armatura di
contenimento e a volte va fuori dal mio controllo. La cosa mi
infastidisce e mi
rende nervoso”.
“Niente
di negativo, insomma…”.
“Assolutamente
nulla. Ragazzi, non vi preoccupate!”.
“Ehilà!”
esclamò Omega, entrando di volata ed afferrando il figlio
alle spalle.
Kosmos
sobbalzò e lanciò un piccolo grido.
“Non
farlo mai più!” ringhiò, mentre il
padre ridacchiava.
“Sei
troppo nervoso, piccolo mio! Vieni, andiamo a fare un giro”.
“Non
ora papà. Un’altra volta”.
“Non
è un invito, è un ordine!”.
“Ho
detto di no”.
“Vuoi
che ti prenda per i capelli? Non farmi diventare
violento…”.
“Vale
lo stesso con me. Se divento cattivo, non sono piacevole e, credimi, se
insiti
ancora, ci metterò un attimo a diventare cattivo”.
“Credi
di spaventarmi?”.
“Credi
che non possa riuscirci?”.
“Assolutamente
no”.
Kosmos
non disse più nulla, muovendosi per andarsene, con il lungo
mantello e la veste
che si trascinavano per un pezzo dietro ai suoi piedi, come uno
strascico, che
il padre calpestò per fermare il suo bambino in fuga.
“Tu
ora vieni con me, Kosmos. Abbiamo una cosa importante da fare, tu sai
di cosa
parlo”.
“Proprio
adesso? Non domani?”.
“Deve
essere proprio adesso. Muoviti”.
Il
Signore Occidentale provò a protestare ancora, ma
capì che era tutto inutile.
“Resta
tua madre qui a palazzo, rilassati, e seguimi”
sbottò il padre, sollevandosi da
terra.
Appena
i due furono usciti, l’intera compagnia si fissò
negli occhi, sorridendo.
Perfino Rukbat, riemerso dalla sua stanza sentendo il baccano prodotto
dalla
discussione padre-figlio.
“Quei
due hanno in mente qualcosa di spettacolare, ne sono sicuro. Voglio
seguirli!”
esclamò Antares, alzandosi dal tavolo.
“Sono
con te” si unì Drago, seguito da Ariete, Leone e
Cavallo.
“Perché?”
domandò Rukbat, con le mani in tasca e la barba incolta.
“Non
ti incuriosisce la cosa? Potrebbe succedere qualcosa di
straordinario!”.
“Non
mi incuriosisce, non mi interessa”.
“Ma…potrebbero
essere andati a creare qualcosa. Potremmo assistere alla nascita di una
nuova
galassia, una stella o che ne so che altro!”.
“In
effetti…non ho ma assistito ad una cosa del genere. Ma, come
facciamo a
seguirli? Sono già lontani, data la velocità con
cui volano!”.
“Ci
aiuterà il procacciatore. Vero, Squeak?”.
La
creatura di Kosmos spalancò le ali con entusiasmo e
mostrò tutto la sua
disponibilità. Grazie a lui, l’intero gruppo di
Orientali ed Occidentali si
ritrovò a volare per lo spazio, inseguendo padre e figlio,
curiosi come dei
bambini.
“Dove
mi hai portato? Io ora dovrei essere a palazzo, accanto a Kuruma, non
qui ai
confini del mio universo!” protestò Kosmos.
“Sei
qui a fare il tuo lavoro. Tutta l’energia che hai dentro di
te non è lì per
farti il solletico e le luci dalle mani” sbottò
Omega.
“Ma
perché oggi? Perché adesso?”.
“Perché
la materia a cui darai vita esploderà nel momento stesso in
cui i tuoi figli
verranno alla luce, che ti piaccia oppure no!”.
“Com’è
possibile? Sono due gemelli, non possono nascere nello stesso
istante!”.
“Non
fare il puntiglioso, non lo sopporto. Diventi troppo simile a tua
nonna!”.
“Ma
io voglio essere accanto a Kuruma quando nasceranno!”.
“Non
puoi. Il ruolo di Kuruma è quello di far nascere i gemelli
ed il tuo fornire la
materia per l’universo che un giorno loro
controlleranno”.
“Io
non voglio separarmi da loro. Voglio che i miei figli rimangano a
palazzo con
me”.
“Non
si può”.
“Così
poco tempo resteranno con me…”.
“Finché
non impareranno a volare”.
“Ma
noi impariamo a volare prima ancora di gattonare!”.
“Esatto.
E questo avverrà fra qualche migliaio di anni,
perciò rilassati e crea sta
materia”.
“Non
so se…”.
“Vedila
così: stai per dar vita al parco giochi in cui si
divertiranno gli eredi”.
“Beh…io…”.
“Senti,
ragazzino…”.
“Smettila
di chiamarmi ragazzino! Sono un uomo!”.
“Dimostramelo.
Crea la materia per il nuovo universo. In questo momento Kuruma sta
partorendo
le tue creature e tu Kosmos devi dar il via al nuovo big
bang!”.
Kosmos,
decisamente agitato, respirò a fondo e chiuse gli occhi.
“Convoglia
tutta la tua energia” ordinò Omega.
“Tutta?”.
“Tutta.
Ci sono io qui con te, non ti preoccupare. E non pensare a Kuruma.
C’è tua
madre con lei, andrà tutto bene”.
Il
Signore Occidentale sorrise, avvertendo la magia formicolare lungo
tutto il suo
corpo. Era una sensazione molto strana, a volte dolorosa. Non voleva
confessare
al padre di essere spaventato ma, evidentemente, anche Omega aveva
provato le
stesse sensazioni perché lo rassicurava. Nel frattempo, il
gruppo di curiosi si
era fermato a debita distanza e osservava il tutto senza capire bene
cosa
stesse succedendo. Kosmos si stava illuminando di luce sempre
più intensa, gridando
a volte perché la magia gli mandava scosse sempre
più intense. Puoi tutto
divenne buio, perfino le stelle si spensero per un istante. Silenzio
totale,
immobilità e nessuna luce.
“Che
succede?” mormorò Sadalmelik, afferrando per il
braccio Tigre.
Il
silenzio divenne un assordante boato e la luce si espanse con un lampo
accecante. La compagnia si coprì il viso. Quando
riaprì gli occhi, Kosmos e suo
padre erano fluttuanti uno accanto all’altro, con lo sguardo
rivolto verso una
specie di palla sospesa aldilà dell’universo. Si
espandeva, mandando scintille.
“Carino.
Mi piace” commentò Omega.
“Non
credevo di riuscirci. Pensavo fosse troppo
presto…” ammise Kosmos.
“Quando
sarà abbastanza ampio, darai vita al palazzo dove vivranno e
loro sapranno come
plasmare ciò che hai fatto”.
“Da
soli. Non sentiranno la mancanza di mamma e papà?”.
“Tu
hai sentito la mancanza di me e mamma?”.
“No”.
“Bene.
Ti sei risposto da solo. Ora torniamo…”.
“Kuruma!
Devo andare da Kuruma!” esclamò Kosmos e,
sfruttando gli ultimi attimi di
energia che gli erano rimasti, si girò e sfrecciò
verso il palazzo.
“Fermati,
stupido! Sei senza forze!” lo rimproverò il padre,
sapendo che era tutto
inutile.
Il
Signore Occidentale ansimava per la fatica, con la pelle imperlata di
sudore, e
a volte aveva l’impressione di stare per svenire ma non si
fermò nemmeno un
secondo. Omega, le costellazioni e gli Orientali non ne seguirono il
passo ed
arrivarono a palazzo molto dopo di lui.
“Questo
è il pianto di un bambino!” sorrise Yang, quando
entrò nell’edificio.
“Se
è un bambino ciò a cui Kuruma stava lavorando,
è giustificata la sua assenza!”
ridacchiò Niu.
Tutti,
capitanati da Omega, salirono le scale della torre Orientale. La porta
era
socchiusa ed all’interno si intravedeva una lieve luce
soffusa. Cercarono di
sbirciare all’interno senza farsi notare, in silenzio per
sentire ogni rumore
sospetto.
“Com’è
stato creare un universo, tesoro?” mormorava Kuruma
“Hai un’aria stravolta, più
della mia…”.
“Questo
perché non ti sei vista allo specchio, amore”
rispose lui, disteso di pancia
sul letto accanto a lei, che gli accarezzava la testa.
Kuruma
sorrideva, appoggiata e sorretta da diversi cuscini. I due Signori del
palazzo
si guardavano con tenerezza, anche se entrambi erano sfiniti. I gemelli
neonati
non piangevano più, cullati da nonna Alfa.
“Sono
bellissimi!” esclamò Hamal, spingendo Omega dentro
la stanza e avvicinandosi ai
piccoli.
“Son
arrivati. Evviva la privacy” mormorò Kosmos,
chiudendo gli occhi grazie ai
grattini di Kuruma sul suo capo.
“Sembri
un gatto così” rise Kuruma.
“Ron
Ron” commentò lui, senza aprire gli occhi.
“Posso
prenderli in braccio?” domandò Sadalmelik.
Alfa
porse le creature ad Acquario e l’intero gruppo si
accalcò attorno ai nuovi
arrivati per poterli ammirare da vicino. La femmina aveva i capelli
neri, come
sua madre, ma erano molto mossi, come quelli del padre, e aveva anche
gli occhi
di lui. La piccola bocca già si tingeva di nero e lungo
tutto il corpicino si
intravedevano le prime sferette dorate incastonate.
L’armatura, che lentamente
si stava formando grazie alla magia della piccola, era argento come
quella che
aveva del padre. Il maschio aveva lo sguardo della madre, rosso vivo,
ed i
capelli blu di Kosmos, dritti come quelli di Kuruma. Anche in lui le
sferette
iniziavano a intravedersi, di colore argento, mentre
l’armatura che si stava
creando era d’oro.
“Qual
è il maschio?” domandò Rukbat.
“Verificalo.
Anatomicamente, io e te siamo uguali lì sotto,
genio” mormorò Kosmos “Comunque
è quello con gli occhi di sua madre”.
“Bellissimi”
continuava a ripetere Sadalmelik, cullandoli.
Alfa
ed Omega si erano seduti uno accanto all’altro, sorridendosi
orgogliosi.
“I
padroni di casa devono riposare adesso” mormorò la
nuova nonna, vedendo che
Kuruma, come Kosmos, aveva chiuso gli occhi.
“Come
li chiamerete?” domandò Long.
“Non
lo so. Non ci ho pensato” ammise Kuruma “Kosmos,
tesoro, come li chiamiamo?”.
Kosmos
non parlò, lanciò un lungo gemito che significava
“Non ho voglia di usare il
cervello adesso, fatemi dormire”.
“Passameli
mamma, un momento” sussurrò la Signora Orientale,
allungando le mani.
Con
i gemelli fra le braccia, lei li guardò in viso per un
po’, sorridendo felice.
“Astar”
disse, dopo un po’ “La mia bimba si chiama Astar. E
lui…” guardò il maschio,
cullandolo “…lui è Algar. Cosa ne pensi
Kosmos?”.
Kosmos
sorrise, senza aprire gli occhi, segno che era soddisfatto
dall’idea.
“Allora
è deciso” esclamò Alfa, mettendo i
bimbi nella stessa culla.
La
compagnia dei sottoposti lasciò la stanza, il più
silenziosamente possibile, e
Alfa tornò alla propria casa assieme ad Omega. Kuruma e
Kosmos si fissarono,
per qualche istante, prima di addormentarsi. Erano rimasti da soli,
loro due,
assieme ai loro gemelli, che già si guardavano male.