Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: theprophetlemonade    20/03/2015    2 recensioni
Jean Kirschtein non sa esattamente perché ci sia bisogno di qualcuno per pulire la piscina, dato che nessuno sembra mai nuotarci dentro, ma, quando vede sua madre che proprio non riesce a smettere di fare gli occhi dolci al nuovo inserviente, Jean capisce che potrebbe non essere l’unica.
A quanto pare, cercare di instaurare una relazione con quel ragazzo della piscina coperto di lentiggini è più complicato di quanto sembra, se aggiungi una situazione familiare più che disastrosa, uno stronzo infedele come padre e un’esistenza seriamente solitaria.
Un’AU fluff e angst in egual misura, dove vedrete alcuni ragazzi che puliscono piscine, altri che fumano sui tetti, tanti problemi con i genitori e soprattutto Marco a petto nudo.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Jean Kirshtein, Marco Bodt, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa è una traduzione di http://archiveofourown.org/works/1454983/chapters/3064105

 

Chapter 1: Baby Blue



Droplets, droplets: We are all identical drips and drops of people, hovering, waiting to be tipped, waiting for someone to show us the way, to pour us down a path.

– Lauren Oliver, Pandemonium

A dire il vero, non so nemmeno perché abbiamo la piscina. Io non ci nuoto. Mio padre non ci nuota (o non può nuotarci, data la paura di mamma che i vicini vedano quant’è ingrassato invecchiando). E potrei contare sulle dita di una mano il numero di volte in cui ho visto mia madre usare la piscina nelle ultime estati - casualmente ogni volta coincideva con il momento in cui il nostro vicino di venti-qualcosa anni decideva di potare la siepe che divide il loro cortile dal nostro.

Quindi, a maggior ragione non capisco perché, esattamente, secondo mia madre sia necessario assumere un inserviente per pulire la suddetta piscina-mai-usata.

A quanto pare è perché la siepe continua a perdere foglie, e le foglie bloccano il tubo di scarico. Sì, okay. Sono abbastanza sicuro di aver visto un totale di tre foglie galleggiare sull’acqua, dall’alto dello sgabello da bar in cucina. Tamburello le dita sulla tempia mentre guardo una foglia che si lascia trasportare sulla superficie dell’acqua, per poi arenarsi sulle piastrelle azzurre degli scalini. È maggio. Le foglie non dovrebbero neanche cadere in questo periodo dell’anno. Dio mio.

Apparentemente, quando si hanno molti soldi la cosa più logica da fare è spenderli tutti in beni di cui probabilmente – senza dubbio – non si ha alcun bisogno. Mia madre è parecchio brava in questo.

Okay, forse è bello essere viziati ogni tanto. Non cercherò certo di nasconderlo – soprattutto quando papà mi ha portato la nuova Xbox One qualche settimana fa, per sdebitarsi per non aver cenato nemmeno una  volta a casa negli ultimi dieci giorni. Non che me ne fossi accorto, comunque. Non potrebbe fregarsene di meno della vita qui in famiglia; so per certo che si scopa la sua segretaria ogni notte in ufficio. Quella bionda svampita è stata così stupida da chiamarlo al telefono di casa più di una volta quando c’ero io.

“Jean,” sento mia madre chiamarmi a mezza voce mentre entra in cucina con i suoi tacchi neri vertiginosamente alti e le ginocchia vacillanti. Sembra ridicola come al solito, la quintessenza di quella che una volta era la moglie perfetta, con le labbra e la fronte tirate dal Botox. “Jeeaaan, tesoro, hai venti dollari? Ho dimenticato di andare al bancomat stamattina.”

Le rivolgo uno sguardo esasperato e tiro fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans; la pelle screziata puzza ancora di conce chimiche, nonostante ce l’abbia quasi da un mese ormai. Non c’era niente che non andasse nel mio vecchio portafogli, ovviamente – ma mamma ha insistito dicendo che quello vecchio fosse brutto. O è Hugo Boss o niente, in questa famiglia.

Ho due banconote da dieci stropicciate in bella vista; le porgo a mia madre, che le preleva cautamente dalle mie mani con i suoi artigli rosso scuro appena smaltati.

“Grazie, tesoro – avevo completamente dimenticato di prelevare dei contanti da dare all’inserviente della piscina” mi dice, accentuando drammaticamente le vocali. Tira fuori una semplicissima busta dal cassetto adiacente allo sgabello su cui sono accasciato, vi ripone il denaro e la richiude prontamente. Nella sua grafia quasi illeggibile scrive qualcosa del tipo: Servizi di Manutenzione e Riparazione Piscine di Trost.

Le estati a Trost sono dannatamente calde e iniziano più o meno verso la metà di aprile. Sono certo che molte case in questo quartiere abbiano la piscina – un’attività niente male in questo periodo dell’anno, questo è poco ma sicuro. Ciononostante, non ricordo esattamente a che punto dell’estate scorsa il ragazzo della piscina abbia semplicemente smesso di venire. Probabilmente aveva qualcosa a che fare con le occhiatine dolci che mia madre continuava a lanciargli, e mio padre – quel grandissimo, maledetto ipocrita – doveva essersene reso conto.

Non riesco neanche a ricordare le fattezze di quel ragazzo, a dire il vero. L’estate scorsa è stata un po’ incasinata, tra tutto lo studio per gli esami alla fine delle superiori, e poi lo spegnimento totale del cervello dopo aver memorizzato tutto quel materiale, che è durato più o meno per tutto il mese di luglio e agosto. Mi ricordo di aver guardato un bel po’ di TV quell’estate – principalmente perché, ehi, il divano era assolutamente troppo comodo e proprio non riuscivo a lasciarlo, ma anche perché era il posto migliore per evitare di assistere ai ridicoli tentativi di mia madre di abbordare il suddetto ragazzo della piscina. Sì, è stato piuttosto imbarazzante. E con “piuttosto” sto sminuendo.

Ma ehi, sono riuscito a guardare le prime quattro stagioni di Breaking Bad in, tipo…tre settimane, in quel modo. La cosa ha avuto i suoi lati positivi, in fondo.

Inizio a fantasticare su quanto sia stato epico il finale della quinta stagione mentre mia madre gironzola su e giù per la cucina, posando la busta sul bancone di marmo vicino a me. Cerca il suo volto riflesso nella finestra e inizia a ravviarsi i boccoli con le mani – tiro un sospiro molto evidente, di proposito.

“Che c’è?” borbotta lei, “Perché mi stai guardando così?”

Ruoto sullo sgabello fino a trovarmi di fronte a lei, con un gomito appoggiato sul bancone e il mento sulle mani.

Mamma”, sbotto seccamente. Forse è per questo che abbiamo la piscina. È una scusa per mia madre per macchinare una sottile forma di vendetta sul marito che forse-ma-non-sicuramente la sta tradendo, sbattendo le ciglia finte a qualsiasi ragazzo abbronzato in slip da bagno che ha appena mollato il college e si trova a sturare il tubo di scarico della nostra piscina da foglie inesistenti. Certo.

“Oh, ma dai, Jean” mi risponde lei, altrettanto esasperata, mentre sistema una ciocca di capelli biondo cenere dietro l’orecchio, guardandomi con la coda dell’occhio. I suoi capelli sono dello stesso colore dei miei (o, per lo meno, la parte superiore dei miei), ma non sono naturali. Suppongo che li tinga sempre di quel colore per il semplice fatto che non somiglio per niente a mio padre. Lui è tarchiato e tondeggiante, con pochi capelli scuri. Io sono piuttosto slanciato, e credo che il mio viso sia più ovale di quello di mio padre, poi ho gli occhio molto più chiari. Mia madre vuole far credere che io abbia preso almeno da uno di loro.

Soddisfatta con il suo riflesso, mamma muove qualche passo fuori e io torno a guardare l’acqua immobile della piscina, mentre il clip-clip dei suoi tacchi mi rimbomba nelle orecchie. Il cancello del cortile si apre con uno scricchiolio quando una serie di grandi retini, spazzole e tubi barcolla nel giardino (accompagnata, ovviamente, dalla persona che lotta per tenere tutta quella roba in un paio di braccia impacciate, coperte di lentiggini e una leggera abbronzatura, e per metà nascoste dall’orrenda polo bluette dell’uniforme).

“Il ragazzo della piscina è arrivato” affermo categoricamente, allontanandomi immediatamente dal bancone. È anche in anticipo di un quarto d’ora. È arrivato il momento per una rapida uscita di scena. Potrei riguardare il finale di Breaking Bad, in effetti.

“Oh no, Jean, aspetta un attimo”, mia madre mi chiama, posizionando un paio di bicchieri cilindrici sulla superficie marmorea. “Puoi prendere la limonata dal frigo e versarci due bicchieri?” Ondeggia nuovamente verso la porta sul retro, afferrando attentamente il pomello come se cercasse di non spezzare una delle sue stupide unghie. “E non dimenticare di mettere il ghiaccio, okay?”

Fisso la porta con sguardo assente e la guardo accogliere una nuova vittima nel suo gioco da predatrice, incredulo. Grazie, mamma. Lo apprezzo molto, davvero.

A quanto pare Walter White dovrà aspettare.

Mi trascino verso il frigorifero – come mi aspettavo, una brocca piena della limonata di mamma mi aspetta proprio lì in uno scomparto dello sportello. Prendo anche una lattina di Coca-Cola per me e chiudo il frigo con il piede, probabilmente con più violenza di quella necessaria.

Mentre verso la limonata nei due bicchieri, provo ad aprire la lattina di Coca con una mano sola – ovviamente la limonata straborda dal limite del bicchiere mentre rivolgo la mia attenzione altrove. Cazzo, mi lascio scappare una o due imprecazioni sottovoce e mi precipito a prendere dei tovaglioli.

A questo punto vi starete chiedendo: Jean, perché un ragazzo così bello, carismatico, fantastico come te gira per casa sbrigando faccende per quella disperata di sua madre, mentre dovrebbe essere fuori a fare quello che fanno normalmente gli studenti universitari di diciannove anni nel weekend (ovvero non studiare)?

Ebbene, lasciatemi dire due cose. Innanzitutto, sono piuttosto sicuro che la maggior parte degli studenti universitari preferisca gironzolare per casa senza fare nulla per tutto il giorno.

In secondo luogo, e mi vergogno un po’ ad ammetterlo,  non parlo più a nessuno dei miei “amici” da circa metà dell’ultimo anno delle superiori. Forse potrebbe avere qualcosa a che fare con quella volta in cui ho dato libero sfogo ai miei pugni piazzandoli dritti nella faccia di un certo Eren Jaeger. È uno stronzo, okay? Se l’è meritato.

Preferirei di gran lunga passare tutta la giornata con mia madre piuttosto che ricevere sguardi torvi da lui e la sua combriccola. (Anche se Mikasa rimane comunque incredibilmente sexy. Già.)

Aggrotto le sopracciglia in un’espressione più cupa del solito quando poso gli occhi sulle fotografie che ricoprono il frigorifero – quella con me, Connie e  Sasha è ancora lì, risale a quando abbiamo fatto quel viaggio in macchina giù al sud, due estati fa. È stato divertente. È abbastanza triste che adesso anche loro mi evitino, anche se andiamo alla stessa università e ho tre corsi in comune con Connie. Ma mi sono abituato a questa solitudine, ormai.

Bevo un altro sorso di Coca-Cola, amareggiato, mentre getto il tovagliolo imbevuto di limonata nel cestino. Va bene così. Sono sopravvissuto per quasi un intero anno di università senza parlargli. E sto bene. Anzi, benissimo.

Con la coda dell’occhio scorgo mia madre, impegnata in una conversazione animata con il nuovo inserviente; fa quella stupida risatina, nascondendo timidamente i denti dietro una mano ben curata. Nascondo il mio disappunto e prendo ciascun bicchiere di limonata in una mano.

“Oh, Jean, eccoti qui!” cinguetta mia madre, facendomi cenno dall’altra parte del prato non appena emergo dalla sicurezza della cucina, con le spalle curve. “Vieni, così ti presento Marco!”

Già si chiamano per nome. Wow, vacci piano, mamma.

Quando la raggiungo, mi toglie di mano entrambi I bicchieri, porgendone uno al ragazzo della piscina e tenendo l’altro per sé.

“Avrai sete, immagino, fa così caaaldo oggi!” sorride sbattendo le ciglia, che le toccano le guance. “Ho fatto della limonata, ne vuoi un po’?”

“Oh…sì, grazie” risponde il ragazzo, passandosi timidamente una mano fra i capelli corti e neri sulla nuca, “È incredibilmente gentile da parte sua, Signora Kirschtein.”

Affondo le mani nelle tasche dei jeans, annoiato, sperando di svignarmela il più presto possibile. Voglio lasciare a mia madre tutto il tempo per flirtare ampiamente come desidera, ovviamente. Per non parlare di quanto sia pungente oggi il sole, cazzo.

“Chiamami pure Céline, per favore” ridacchia lei, piazzando una mano sulla mia spalla per avvicinarmi a lei “E lui è mio figlio, Jean.” Ormai sono abituato allo sguardo che mi rivolge. Digrignando i denti allungo una mano, rigida. Devo farlo per forza? Non potrebbe importarmi di meno di conoscere il nuovo giocattolo di mia madre.

“Marco, giusto?” domando con aria assente, spostando lo sguardo verso il volto del ragazzo, più alto di me. I miei occhi vengono catturati immediatamente dalla fitta trama di lentiggini che ricoprono il suo viso abbronzato dal sole, in particolare da quattro di esse, che formano una linea retta sul suo naso.

Troppo tempo al sole, decisamente.

Marco mi rivolge un sorriso accecante, posso praticamente vedere una scintilla tra i denti bianchissimi. Mi stringe la mano con una presa salda.

“Sì, esattamente”, sorride. “È un piacere, Jean.” Ha un tono di voce fin troppo allegro per i miei gusti. Scomparirà presto, credimi. Ancora non sa in che guaio si è cacciato.

Mia madre rafforza leggermente la presa sulla mia spalla quando ritiro la mano.

“Jean non esce spesso, quindi probabilmente lo troverai qui per la maggior parte del tempo, soprattutto quando inizieranno le vacanze estive.” Grazie, mamma. Davvero un gran bel modo di presentare tuo figlio. “Quindi se hai bisogno di qualcosa e io non ci sono, probabilmente potrai chiedere a lui.”

Abbasso lo sguardo sull’erba, riesco praticamente a perforare il terreno con i miei occhi infuocati. Ordino mentalmente a mia madre di lasciarmi andare a fare l’eremita in salotto per il resto del pomeriggio. Forse coglie qualcosa dalla mia postura rigida, perché ritira il braccio.

“Bene, torna pure a fare quello che fai sempre, qualsiasi cosa sia.” Grandioso. Walter White, sto arrivando.

I miei passi esitano impercettibilmente quando Marco alza il bicchiere davanti a sé e grida alle mie spalle: “Ehi, grazie della limonata, Jean!”

Probabilmente borbotto un “non c’è di che” sottovoce, ma non mi volto a guardare, finché non sento la superficie fresca del pavimento della cucina sotto ai piedi. Mi riprendo la lattina di Coca-Cola lasciata a metà e ne bevo un lungo sorso, guardando mia madre barcollare verso il capanno della piscina, mentre apparentemente gli indica la combinazione per aprire il lucchetto che tiene chiuse le porte di legno.

Alzo la lattina in direzione della finestra, in un finto brindisi. Buona fortuna a te, Marco.
 


 

Guardo l’episodio finale di Breaking Bad comodamente steso sul divano, con l’aria condizionata al massimo. È esattamente epico come lo ricordavo. Non posso fare a meno di picchiettare con le dita sui cuscini del divano, seguendo il ritmo di Baby Blue dei Badfinger mentre alla fine Walt soccombe alla ferita da arma da fuoco. Una gran bella colonna sonora.

Ho dovuto chiudere le finestre più o meno a metà episodio perché l’incessante chiacchiericcio di mia madre era riuscito ad attraversare tutto il vialetto e non so ancora quante delle risatine imbarazzate di Marco sarei riuscito a sopportare.

Quasi quando stanno per comparire i titoli di coda squilla il telefono, la suoneria stridula mi fa fare un salto di circa sei metri per la paura, facendo attraversare mezza stanza alla lattina di Coca-Cola ormai vuota che un tempo si trovava sul mio petto. Totalmente privo di grazia, rotolo (leggi: cado) giù dal divano e afferro il cordless dal tavolino, portandolo all’orecchio rimanendo steso, faccia a terra, sul pavimento di legno.

“Pronto?” rispondo goffamente, contorcendomi per liberare l’altro braccio dal peso del mio corpo.

“Saaalveee, c’è il Signor Kirschtein?”, ecco qui il trillo della voce acuta che so già essere la causa delle mie emicranie. “Sono Charlotte, dall’ufficio.”

“Sai, sei fortunata che non risponda mai mia madre quando chiami qui” rispondo, impassibile. Inizio a tirare le fibre del tappeto peloso bianco che si trova sotto al tavolino. “Mio padre non ti ha ancora detto di smetterla di chiamarlo qui?”

Penso che la rabbia si sia placata da tempo; quello che sento adesso principalmente è un misto di irritazione nei confronti di mio padre per essere un idiota tanto distratto e insensibile, e il senso di colpa perché non sto facendo nulla per aiutare mia madre a scoprire che suo marito è un gran pezzo di stronzo infedele.

“Chiamalo al cellulare se hai così tanta voglia di scopare” aggiungo immediatamente, e senza aspettare una risposta  ripongo bruscamente il telefono sul suo supporto. Rimango per qualche minuto così, steso, a fissare le venature del pavimento. Riesco solo a pensare a quanto devo sembrare ridicolo.

“Chi era?” la voce di mia madre riecheggia in tutta la casa, accompagnata dallo scalpiccio dei tacchi sul pavimento della cucina. Con un lamento mi sollevo sulle ginocchia e uso il bordo del divano come leva per rialzarmi completamente. Stiracchio le braccia sulla testa e le mie giunture scrocchiano.

“Ancora quei bastardi dei doppi vetri” rispondo subito, mentendo con facilità. Le dico sempre le stesse cose, venditori di finestre o  di termosifoni. E, accidenti, non dovrebbe essere così facile mentirle guardandola negli occhi. Non posso che sentire il dolore pulsante dei sensi di colpa attanagliarmi lo stomaco.

“Ah, quando impareranno” sospira mia madre, mentre io torno in cucina, muovendo ancora le spalle per allentare la tensione accumulata stando steso per tanto tempo senza muovere un muscolo. Lei mi dà le spalle mentre mette i due bicchieri di cristallo ormai vuoti nella lavastoviglie. “Comunque penso che tutti lascino le finestre aperte, con questo caldo! Perché mai dovremmo volere i doppi vetri?”

Torno ancora una volta ad appollaiarmi sul solito sgabello alto, girando distrattamente sul posto. Noto che la busta bianca è scomparsa dal bancone.

“Il ragazzo della piscina ha già finito?”

“Oh, sì, non si è trattenuto molto” mi risponde mamma, chiudendo la lavastoviglie con un movimento del bacino. “A quanto pare abbiamo uno…sbilancio del livello di cloro? Credo che abbia detto qualcosa del genere. Comunque, ha detto che tornerà domani e sistemerà tutto. Domani però ho la lezione di aerobica con le ragazze, quindi dovrai tenerlo d’occhio tu e occuparti del pagamento quando avrà finito, okay? Non potrai dormire fino alle tre come tuo solito.”

Veramente grandioso, cazzo.

“L’hai già stufato così tanto da mollarlo a me?” ribatto con sarcasmo, incrociando le braccia al petto. “Qual è il problema, non è abbastanza giovane per te, mamma?”

Mia madre sbuffa esasperata, mimando la mia postura a braccia incrociate mentre si appoggia al bancone.

“Jean, ti prego, ti ho detto di smetterla di dire cose del genere.” Per tutta risposta mi stringo nelle spalle senza darle troppo peso.

 


 


Trascorro il resto della giornata nella mia stanza a scorrere qualcosa come due chilometri di novità sul mio portatile, pregando affinché la temperatura si abbassi abbastanza perché non mi senta come se mi fossi incollato permanentemente a questi jeans con il mio stesso sudore. (Mi rifiuto di indossare pantaloncini corti, okay? Mi farebbero sembrare un idiota.)

Di tanto in tanto mi cade lo sguardo sulla pila disordinata di libri e appunti che barcolla sul bordo della scrivania, ricordandomi costantemente dell’incombenza degli esami che dovrò sostenere fra un mese e mezzo.

Dio, quanto non vedo l’ora che questi esami diventino solo acqua passata. Sono passati mesi e ancora non capisco quasi nulla del corso di filosofia (ancora non so esattamente cosa mi abbia convinto a frequentarlo, a dire il vero). Probabilmente è solo colpa mia, per il semplice fatto che proprio non riuscivo a decidere quale materia scegliere per la specializzazione. E tuttora non ci riesco, per dirla tutta. Prima arrivano le vacanze estive e meglio è.  Almeno potrò sguazzare nella mia esistenza miserabile al di fuori dell’università. Perfetto.

Rovisto nel cassetto della scrivania in cerca del pacchetto di Marlboro che sicuramente è sotterrato lì da qualche parte. Per fortuna mia madre non pulisce qui. Si incazzerebbe a morte se trovasse delle sigarette. (Ad ogni modo, neanche la signora delle pulizie tende a ficcare troppo il naso tra le mie cose.)

Non posso fumare in camera, quindi allungo una gamba verso la finestra e mi arrampico sul tetto, facendo leva sulle tegole grigio ardesia per poi accomodarmi in cima al timpano. È un posto accettabile per sedersi – anche se in effetti stare seduto lì per troppo tempo è una tortura per i miei testicoli – si può vedere quasi tutta Trost da qui. Un mare di tetti suburbani, tutti identici, che si estende isolato dopo isolato, ma in lontananza vanta anche di grattacieli e blocchi di uffici del centro, posti dove probabilmente mio padre sta scopando con la sua segretaria bionda su qualche scrivania.

Il mio Zippo ha bisogno di un paio di tentativi prima di funzionare – ecco, probabilmente l’accendino è una cosa che avrei bisogno di ricomprare – ma basta poco tempo perché senta il dolce rilascio di nicotina bruciarmi sul fondo della gola. Inspiro ed espiro profondamente diverse volte, lasciando che il fumo scavi a fondo nei miei polmoni per poi uscire nuovamente. La cenere cade dalle mie dita e rotola giù per il tetto e poi dentro la grondaia.

Mi chiamo Jean Kirschtein. Ho diciannove anni. Studio all’Università di Trost e rischio di essere bocciato in filosofia. Al momento non ho amici e mi piace angosciarmi mentre fumo sigarette sul tetto di casa mia. Mio padre si scopa la sua segretaria e mia madre probabilmente vorrebbe scoparsi il nuovo ragazzo che pulisce la piscina, ma nessuno dei due sa dell’altro. Solo io so di entrambi.

Benvenuti nella mia vita.


Note dell’autrice:
È da un po’ che non provavo a scrivere una long, ma questi coniglietti ispiratori di nuove trame mi saltellavano in testa durante tutte le vacanze di Pasqua. Quindi eccoci qui. Non ricordo nemmeno come sia iniziata quest’idea. Probabimente pensando a Jean che è sempre più distratto da come le lentiggini di Marco sembrano tuffarsi nel fondo della sua schiena. O qualcosa del genere. Forse volevo solo torturare il povero Jean con il pensiero costante del suo lentigginoso angelo semi-nudo la maggior parte del tempo.

Dovevo per forza buttare giù qualcosa. Spero che vada a buon fine…dovrei avere una direzione generale per il resto della storia. Spero che l’inizio vi sia piaciuto. Jean è un personaggio divertente da scrivere (o almeno provarci).

Nel prossimo capitolo: Jean è costretto a mandare avanti una conversazione con un’altra persona della sua età. E forse il ragazzo della piscina non è così male come sembrava?

Sarei felicissima di sentire i vostri pareri.

Su tumblr seguo la tag “fic: droplets”, non vedo l’ora di parlare con voi lettori!

 

Note della traduttrice:
Salve a tutti! Non immaginate quanto mi senta onorata a tradurre la mia fanfiction preferita. Spero di poter tradurre  e pubblicare presto gli altri capitoli. Intanto fatemi sapere cosa ne pensate, e se avete consigli o errori da segnalare non esitate a dirmelo!
Un saluto
bebouska

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: theprophetlemonade