Heilà!
Mi scuso per il ritardo con cui giunge questo capitolo,
di solito tento di mantenere un ritmo di almeno "ogni due settimane"
nel weekend. Ma alas, la pigrizia primaverile m'ha ghermita, aggiunta al fatto
che sono sempre stanca! A momenti m'addormento alla fermata dell'autobus alla
mattina! XD
Comunque, eccoci qua, dai, ad un capitolo dalla fine!
Sinceramente, essendo io allergica ai finali, non so come
sia venuto questo capitolo, speriamo bene! In realtà questo non è un finale,
-ale, -ale, l'epilogo spiegherà ciò che qui manca.
Perché? Perché sono dispettosa! ;-P
Avvertimenti!
Capitolo fiume. Sul serio, il Nilo ha straripato! Mettetevi
comodi, con una bella tazza di tea/cioccolata calda / latte / caffè, un cuscino
dietro la schiena e ... enjoy! Questo
per lavarmi le mani, in caso d'errori di battitura! Ihihihi .... XD Un pochino poi
di lemonade, perché siamo in vacanza.
Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.
Il prossimo aggiornamento arriverà dopo Pasqua. Hoel va
in letargo primaverile, eggià!
Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori
e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha
e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite,
ricordate e preferite.
Vi auguro una buona lettura e ...
BUONA
PASQUA 2015!!!
H.
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L'Appuntamento
dalla
testimonianza di Naruko Namikaze
(segue)
Un breve intermezzo
Difficilmente
ci si dimentica del giorno in cui si diventa una coppia a tutti gli effetti. La
gioia sperimentata in quel momento appare tanto intensa, da cicatrizzarsi nella
pelle, nella memoria, in ogni molecola del proprio essere. Anche nel caso di
una rottura, non si può non ricordare con un certo malinconico affetto il
sorriso del rispetto partner quando, alla domanda: "Allora, stiamo sul
serio assieme?", si risponde dementi: "Certo che sì!"
Sasuke ed
io non avevamo programmato fin dall'inizio di metterci insieme, non
ufficialmente almeno. Avevamo preso a frequentarci in maniera discreta, quasi
sospettosa, ognuno valutando le reali intenzioni dell'altro in un subdolo
quanto intrigante gioco di strategia. Il primo passo consistette
nell'accantonare definitivamente quel ridicolo disprezzo ostentato in maniera,
a detta di terzi, invero "pacchiana". Una volta quindi smesso di
comportarci alla stregua di macchiette decerebrate, instaurammo una sorta di
amichevole patto di non aggressione, ben presto seguito da un innocuo
cameratismo che divenne sempre meno neutrale fino a cambiare in un sentimento
più profondo, ambiguo.
Intanto, trascorsero
sei mesi. Per alcuni forse pazzesco, ma per noi necessario affinché i poli
estremi dei nostri mondi s'incontrassero e si congiungessero dopo aver trovato
una solida base comune. Avevamo infatti tacitamente compreso e accordato, che
tra noi due non ci sarebbe mai stato il famoso refrain "è solo
sesso". Da parte mia, giudicavo rapporti simili un chiaro segno d'aridità
di spirito. Ridurre un atto così intimo a della mera ginnastica? Vai piuttosto
in palestra e sfogati con le flessioni! Quanto a Sasuke, appariva sinceramente
disgustato all'idea. Dalle informazioni estrapolate su di lui dalle infermiere
del suo reparto, scoprii come avesse vissuto le sue previe relazioni con grande dedizione. "Tuttavia",
m'aveva fatto l'occhiolino Yuugao-san, la capo-infermiera del dipartimento di
oftalmologia "non l'ho mai visto così sbarellato come con te! L'hai
colpito ed affondato!"
Pertanto,
recandomi nel suo ambulatorio quella sera del 6 febbraio 1997, non mi stupii di vederla salutarmi
maliziosamente raggiante, neanche si fosse trasformata in chissà quale mezzana.
Ciononostante, dovevo a lei la mia presenza nella clinica, giacché se non fosse
stata per quella sua soffiata, non mi sarei decisa a riportare a casa Sasuke se
non tirandolo per le orecchie, perlomeno con l'allettante promessa di camminare
assieme fino alla sua abitazione.
"Dottore
Uchiwa-san, dico alla paziente d'accomodarsi?", s'informò la donna,
bussando leggermente alla porta semichiusa, non appena raggiungemmo il suo
studio.
Sasuke,
impegnato a leggere degli aggiornamenti medici, alzò confuso la testa,
controllando l'orologio. "Alle otto e mezza di sera? Non ho preso
appuntamenti ..." e il suo sguardo assunse una tinta d'indignazione mista
a timida felicità quando mi scorse dietro alle spalle della capo-infermiera.
"Allora?
La faccio entrare o si decide a rincasare?", lo incalzò Yuugao-san,
avanzando verso il suo superiore. "Questi può finirli tranquillamente
domani. Insomma, che razza di fidanzato orribile è lei, da abbandonare la sua
povera gonzesse in sala d'aspetto?"
Udendo
quell'ultima dichiarazione, Sasuke ed io ci affrettammo a chiarire: "Non
siamo una coppia!", esclamammo in coro un poco imbarazzati, l'Uchiwa in
particolare, dal modo in cui riponeva disordinatamente i fogli nel cassetto
della scrivania, ficcando a casaccio della roba nella sua ventiquattrore e
spegnendo malamente il computer. Yuugao-san, ineffabile, s'accertò che si fosse
ben deciso a seguirmi, controllandolo con amorevole severità mentre s'infilava
il cappotto. Pareva quasi una sorta di sorella maggiore. Avevo saputo da fonti
molto indiscrete (l'ospedale, in fin dei conti, è un alveare di pettegolezzi)
come la donna avesse preso il giovane oculista sotto la sua
"protezione", quando questi era entrato nel dipartimento in veste di
kohai di dottori molto più avanti negli anni e nell'esperienza. L'aveva aiutato
ad inserirsi in un ambiente molto rigido e severo e a non scoraggiarsi per
l'iniziale mancanza di fiducia dei pazienti verso il nuovo arrivato.
Similmente, Sasuke a sua volta le era stato di molto conforto, se non proprio
l'unica spalla su cui Yuugao-san avesse potuto piangere, quando le morì il marito Hayate-san di cancro
polmonare. Il mio personale processo di rivalutazione dell'Uchiwa era
incominciato esattamente il giorno in cui lo intravidi al funerale del fu
Hayate-san, il solo partecipante al di fuori della vedova e del suocero di lei.
Eppure, malgrado l'intesa tra i due, non riuscivo a provare alcuna gelosia nei
confronti di Yuugao-san né la consideravo una minaccia. Del resto, lei stessa
si burlava di me, affermando quanto Sasuke "puzzasse troppo di latte"
per avanzargli proposte indecenti. Nondimeno, ero contenta che qualcuno al di
fuori della famiglia vedesse in lui al di là della sua immeritata facciata di
"bello, gelido e stronzo".
Consegnatomi
dunque il mio uomo dalla sua inflessibile capo-infermiera, lo ricondussi a
casa, brontolando giocosamente sulla sua brutta abitudine di rincasare tardi,
in quelle occasioni in cui sia Itachi-san che i suoi genitori si trovavano
altrove. "Che poi", gli chiesi, "dove esattamente sono andati
tutti quanti?"
"A
Nagasaki", rispose lui, aggrottando la fronte dinanzi alla nota
lasciatagli dalla povera donna, che doveva badare al suo pestifero e
ultracentenario nonno quando nessuno era disponibile. "Si sono presi tre
giorni di vacanza. Ieri e oggi per noi corrispondono all'anniversario liturgico
del martirio di Miki Pauro-sama e dei suoi ventisei compagni. Molti dei miei
correligionari si riuniscono lì, sulla collina, a pregare dinanzi al monumento
commemorativo."
Annuii
attenta e, senza rendermene conto, lo seguii dentro casa invece di fare
dietrofront e ritornare dalle mie bande, come da me programmato prima di
dirigermi all'ospedale. "Come mai non ti sei unito a loro? Mi pare di
capire che per voi sia un rito molto importante ..."
Sasuke fece
spallucce. "Qualcuno doveva pure badare ad Hikaku-ojiisan ... Eppoi, ho
preso la Messa delle sette del mattino. Infatti ..."
"Sacchan?
Sacchan sei tu?", lo interruppe una stridula voce assai irritata. "Oh,
finalmente sei arrivato! E' tutto il giorno che cerco di capire come funziona
questo cacchio d'aggeggio, ma nessuno me lo spiega! Quella pazza d'una
pescivendola isterica m'ha detto che telefonare col cellulare m'affatica! Ma
dico, se voglio chiamare quel disgraziato di mio figlio, avrò no il diritto di
scassargli le scatole quando e come mi aggrada, o mi sbaglio?"
L'Uchiwa
più giovane mi sorrise a mo' di scusa e in quel momento realizzai, quanto poco
lo facesse e soltanto in mia presenza. "Piuttosto, Ojiisan, hai cenato? Non
credi che sia ora di coricarsi?"
"Eh? Ma
va' a cagare, poppante! Io a letto non ci vado ...!"
Molti
minuti e moine dopo, in totale disprezzo verso le sue volontà, il nonno fu rifocillato
e spedito senza tanti complimenti a dormire.
Ad operazione terminata, Sasuke ed io ci ritirammo sfiniti e sbuffanti in
cucina, là dove consumammo in silenzio una cena leggera, la quale terminò
tuttavia con una vivace sequela di lamentele da parte mia, ciascuna indirizzata
contro quella vecchiaccia odiosa della mia affittacamere. All'epoca, infatti,
ancora non m'ero trasferita assieme ad Hinata-chan e vivevo da una signora
anziana la quale, nonostante l'aspetto innocuo e affabile, era in realtà una
vipera bell'e finita e tirchia fino all'ossesso. "Un giorno mi verrà un
esaurimento nervoso!", mi sfogai ad un certo punto, nel frattanto che
pulivamo assieme la cucina. "Non posso fare niente, ma proprio niente! Sto
sempre fuori o all'università o con le mie amiche, ma ancora ha di che lagnarsi,
la vacca! Per esempio, sai come ogni tanto mi vengono i crampi, specie se
studio per ore nella stessa posizione. Ecco, per qualche salto che faccio per
aiutare la mia circolazione a ripartire, mi bussa alla porta e mi abbaia dietro
non so che stronzate, aggiungendo poi "E comunque, hai lasciato i fornelli
sporchi", quando invece li pulisco sempre una volta terminato di cucinare
e in ogni modo mai più lerci di come li lascia lei! Anzi, con la scusa che ceno
sempre tardi per via delle lezioni, lascia la cucina apposta sporca, la
bastarda, così da costringermi a pulire al posto suo! Ma non mi permette di
usare i suoi detersivi, devo per forza provvedere da me! Insomma, m'ha preso
per Paris Hilton, che ha anche fin troppi quattrini da spendere? No, perché se
fosse stato il caso, mica andavo a vivere da lei, mi affittavo un monolocale
tutto per me! Oh, ti ho raccontato come mi scotenna, se le sposto qualcosa? No?
Beh, non sai che lavate di capo, se mi porto in stanza una tazza di tea, per
bermela mentre studio! Tutto deve essere esattamente come lo trovato, nella
medesima posizione! Argh!"
Sasuke
m'aveva ascoltata in partecipe silenzio, senza mai interrompermi. "Non ci
pensare, Naruko. Non prendertela. I vecchi sono fatti così: hanno le loro manie
e non c'è nulla, che tu possa fare per persuaderli a cambiare atteggiamento. Fidati, parlo per esperienza diretta. Se la
tua padrona di casa fa la tirchia, stai attenta che non si allarghi troppo,
togliendoti alcune cose che invece sono comprese nel contratto: non sia mai che
ti metta, ad esempio, in conto il riscaldamento come extra, quando invece è già
compreso nel prezzo d'affitto. Ah, e che non te lo alzi prima dello scadere del
contratto. E se la tua locatrice fa la bulla con te, dicendo che non troveresti
altrove un posto migliore e che dovresti essere grata di avere una stanza così,
etc. etc., tu replicale calma che certo, può avere tutti i locatari che vuole,
ma che non tutti sono gente tranquilla e degna di fiducia ..."
"Da
come me la racconti, anche il tuo locatore doveva essere stato uno stronzo
..."
"Non
era una persona molto piacevole con cui trattare", ammise Sasuke. "Piuttosto,
non hai considerato di trasferirti da tuo fratello? O di dividere un appartamento
magari con qualche amica? Se hai bisogno d'un anticipo, te lo posso dare io,
non mi crea alcun fastidio ..."
"Nah,
e sorbirmi lui e Gaara che fanno i piccioncini? Meglio sotto i ponti a questo
punto!", risi imbarazzata dalla sua offerta, sistemando i piatti nella
credenza così da celare il mio rossore. "E a te com'è andata invece la
giornata?", cambiai velocemente discorso, prima d'addentrarci in un campo
minato.
"Bene",
fu la concisa replica di Sasuke, mentre si sistemava in una posizione più
composta, sfogliando distrattamente una rivista abbandonata lì dal nonno.
Mi morsi
frustrata il labbro inferiore, sbuffando intimamente irritata. Ogni cosa a
Sasuke andava "bene", anche quando in realtà si trattava del
contrario. La sua ferrea introversione talvolta m'inquietava. Contrariamente al
giudizio superficiale di chi non lo conosceva bene, Sasuke non era uno stronzo
orgoglioso: possedeva invece un carattere sostanzialmente buono e affettuoso,
talvolta sorprendentemente generosissimo e disponibile verso amici e parenti
stretti. Purtroppo, però, simili qualità venivano distorte dal suo apparire
così selvatico, inavvicinabile. Sebbene ancora non me lo avesse confidato
apertamente, sospettavo che gli fosse accaduto qualcosa di assai grave, da
renderlo poco fiducioso nel suo prossimo. La mia personale teoria era che il
suo aspetto attraente e un notevole
talento sia nello studio che nel suo lavoro, gli avessero creato non poche
antipatie da parte di colleghi e conoscenti. La cosa mi mandava in bestia,
reputandola ingiusta: sicuro, Sasuke eccelleva spesso in qualsiasi cosa si
cimentasse, ma in quanto sgobbone. Durante i suoi anni di studente di medicina,
al posto di gironzolare cogli amici, dedicava al pronto soccorso o in
ambulatorio il suo tempo libero, facendo pratica di quanto appreso durante le
lezioni. Ammetto che all'inizio anch'io lo avevo un pochino invidiato (corso di
studi brillante, famiglia presente e amorevole, ...), per poi cessare quando
realizzai a che punto Sasuke ci soffrisse silenziosamente. Gli dava fastidio
essere invidiato, specie per risultati che anche gli altri, impegnandosi,
avrebbero potuto ottenere. Risultati che poi non gli erano cascati dal cielo,
bensì frutto di duri sacrifici. Sasuke però si teneva caparbiamente dentro
questo suo malessere, celandolo dietro una gelida indifferenza e alterigia. E
col tempo compresi le sue ragioni, giacché anch'io sotto sotto mi nascondevo
dietro una maschera di bugie, sebbene essa apparisse più allegra ed estroversa
rispetto alla sua.
"Bene
per davvero o per finta?", lo provocai, porgendogli una tazza di tisana e
sedendomi accanto a lui.
"Bene
per davvero", rispose con nonchalance, sorseggiando placidamente la
bevanda. "Perché sei venuta a prendermi all'ospedale. M'ha fatto
piacere", mi confessò.
Come tutti
i medici, Sasuke sapeva essere molto pignolo su queste piccolezze (o
carinerie).
"Non prenderci
troppo gusto: lunedì ritorno a Tokyo, lo sai."
L'uomo
annuì col capo, gli occhi offuscati da una lieve malinconia. "Potrei
venire a trovarti qualche finesettimana ...", mi suggerì speranzoso,
provocandomi un piccolo sobbalzo nello stomaco: pur di sottrarlo dalle avances
di Sakura-chan, gli avevo suggerito di non visitarmi a Tokyo a meno che non
fosse strettamente necessario. Mi vergognavo a confessargli questa mia intima
insicurezza, in quanto sospettavo quanto lo avrebbe offeso, indirettamente accusandolo
di essere un potenziale adultero. Nondimeno, non me la sentivo di rischiare,
gettandolo in pasto a quella famelica leonessa.
"E
dove pernotteresti esattamente?", ribattei scettica. "A casa mia con
la vecchia?"
Un lampo
birbante rischiarò le iridi carbone dell'Uchiwa. "Beh, visto che è tanto
dolce e accogliente ... Diamole una vera ragione per lamentarsi, stavolta ..."
"Saltiamo
in due sul futon?", sogghignai perfida, per poi schiaffeggiarmi
imbarazzata la fronte. Mi ero infatti accorta soltanto cinque secondi più tardi
del mio involontario doppio senso.
Arrossii di
nuovo violentemente.
"Non
solo: ci prendiamo pure a cuscinate! E sporchiamo i fornelli di salsa chili
coll'ananas, che s'appiccica peggio della colla e non la levi manco con un
esorcismo! Ovviamente, non puliremo alcunché, adducendo a mo' di scusa che non
avevamo i soldi per comprare né la spugna né il detersivo per piatti e
fornelli!", contenne Sasuke la mia "gaffe", intuendo il motivo
dietro il mio impappinamento. Il quale peggiorò, quando egli m'afferrò la mano,
cullandola tra le sue e baciandone furtivamente le dita, il tutto senza
malizia, anzi, con un giocoso e disarmante candore.
"Allora,
ti dovrò invitare più spesso!", sentenziai in apparenza stando il gioco,
in realtà nervosa da una non ben definita ansia. Mi sciolsi incomoda dalla sua
presa e balzando in piedi. Prontamente, a mo' di specchio, Sasuke m'imitò.
Confusa, sbattei le palpebre: "Perché ti alzi?"
"Non
ti stavi preparando per tornare a casa?", reclinò il capo un altrettanto
disorientato Uchiwa, aggrottando perplesso la fronte. "I tuoi genitori non
ti staranno aspettando? A meno che ..." e lasciò sospesa la frase,
socchiudendo gli occhi e arcuando perentorio il sopracciglio. "Li hai
rifilato la famosa balla dell'amica?"
"Beh,
non è proprio una balla, avevo sul serio intenzione di andare a trovare Ayako-chan
...", presi a rigirare colpevole il bordo del mio maglione. Non desideravo
che misinterpretasse la mia giustificazione: non era perché mi vergognassi di
lui, casomai non volevo complicazioni con mia madre, la quale si sarebbe
agitata peggio d'un tacchino, tampinandomi di domande sui miei spostamenti.
Sasuke
sospirò, massaggiandosi la tempia. "Ti riaccompagno a casa. A quest'ora
non mi garba, che te ne vai a zonzo da sola", dichiarò stancamente,
apprestandosi ad uscire dalla cucina così da pigliare il suo cappotto.
"Mi
cacci via?", gli chiesi senza riflettere, suonando inspiegabilmente
agitata. Sin da quando avevo varcato la soglia di casa Uchiwa, un bizzarro e al
contempo famigliare languore mi aveva gradualmente liquefatto le vene,
ammollendomi le gambe e rendendo leggera la testa, come quando si beve troppo. Sasuke
ed io avevamo trascorso appena due orette assieme; ciononostante, mi sembravano
una vita, quasi avessi sperimentato sprazzi di quotidianità di una me stessa
proveniente da un futuro neanche troppo lontano né chimerico ...
Ero
affascinata e al contempo intimorita dalla naturale complicità con cui mi relazionavo
con Sasuke. E viceversa, sicuro. Quasi c'avessero stampati uno per compensare
l'altro. "Vuoi che me ne vada?"
In un
battibaleno avvertii le mani dell'Uchiwa afferrare le mie, stringendomi in modo
tale da impedirmi la fuga, ma senza tuttavia imporsi su di me. Mani piccole ma
forti. Mani da medico. "Se dipendesse da me ...", sussurrò
leggermente roco, scivolando le agili dita dai miei polsi fino al mio viso,
incorniciandolo. "Non ti permetterei mai di lasciare questa casa ... Però
non sarebbe giusto nei tuoi confronti", aggiunse, scuotendo il capo. Affondai
le mani nei suoi capelli corvini, stavolta io che trattenevo lui , appoggiando
la mia fronte contro la sua. "Se c'è qualcosa che mi auguro (dire
"voglio" è azzardato), sarebbe di poter un giorno riuscire a buttarci
alle spalle quanto avvenuto in passato tra di noi e prima di noi e ricominciare
daccapo, assieme", mi rivelò Sasuke con sincerità disarmante,
solleticandomi l'orecchio col suo respiro. Abbassai languidamente le palpebre,
poggiando la testa sull'incavo della sua spalla, intrecciando ora le nostre
dita, mentre la pelle della mia schiena rabbrividiva ipersensibile alla lieve
pressione della mano dell'Uchiwa. I nostri petti, premuti ora uno contro
l'altro, sincronizzavano il battito sempre più accelerati dei loro cuori.
Timidamente,
m'azzardai a levare lo sguardo, imbattendomi in un paio d'iridi nere,
nerissime, liquide e dilatate, che m'avvolgevano amorevoli, trascinandomi però
al contempo in un abisso da cui non sarei mai più riuscita emergere né loro me
l'avrebbero d'altronde permesso.
Li concessi
di catturarmi, firmando la mia volontaria prigionia in un bacio cauto,
discreto, un lieve contatto più di prova che d'appassionato trasporto. Vedendo
che non rifuggivo al suo tocco e che anzi il mio corpo si rilassava, abbandonandosi,
al tenero abbraccio, Sasuke m'accarezzò dolcemente la guancia col pollice,
congiungendo nuovamente le nostre labbra, stavolta con maggior decisione ma comunque
senza bruciare le tappe. Ci viziammo con una lenta scoperta delle rispettive
bocche, gote, palpebre, fino a scendere giù lungo il collo, scoprendo,
annusando, accarezzando, mordicchiando. Ci riempiemmo l'un l'altro del rispetto
sapore, odore e calore, rubandoceli e mischiandoceli.
Entrambi
perdemmo il giudizio, annegando in un'arcana euforia, permettendo che essa
azzerasse ogni pensiero razionale, accantonandolo, per concederci l'ardente
temerarietà di infrangere le ultime barriere rimaste. Mi lasciai condurre nella
stanza di Sasuke e fu in quel momento che l'entusiasmo iniziale si raffreddò,
sostituendosi ad una paura folle d'apparire ridicola o brutta o goffa, di
sbagliare, di deludere. Arrossii di vereconda anticipazione mentre, baciandoci,
ci spogliavamo a vicenda, imparando a conoscere i nostri corpi nella loro forma
più semplice, intima.
E
nonostante i miei timori, non credo d'aver mai provato tanto amore verso il mio
partner come in quegli istanti. Il mio sentimento per lui mi squarciava il
petto e gli avrei offerto il mondo intero, se solo me l'avesse chiesto. Risi di
cuore, stringendolo al petto, quando lessi negli occhi di Sasuke la mia stessa
appassionata emozione.
O forse
piansi di gioia, chissà, poiché Sasuke - sopra di me, dentro di me - a sua
volta sorridendomi dolcemente mi asciugava piano gli occhi, baciandomi le
palpebre, la fronte, la punta del naso.
Sei il mio
tutto.
Dopodiché
... fu solo il delirio di fare l'amore.
Sfrenato.
Sconvolgente. Tirannico.
Prendemmo e
ricevemmo.
Conquistammo
e capitolammo.
Legandoci
indissolubilmente, come tralci di vite.
"Allora,
adesso siamo sul serio una coppia?"
"Certo
che sì!"
***
Come convenuto via e-mail, Terumi Mei incontrò Tobirama
nel cortile del tempio dedicato a Jizō, il bodhisattva [1] protettore dei
bambini. L'horror writer se ne stava lì, in piena solitudine mattutina, a
contemplare le statuette rappresentanti i feti commemorati durante il Mizuko
kuyō, accarezzando con lo sguardo quelle sciarpine e cappellini rossi, assieme
ai biberon e ad altri oggetti legati ad un neonato, i quali conferivano un che
di malinconico a quella pingue fila di sorridenti e immobili soldatini.
La giornalista, che fino a quel momento aveva nutrito
qualche scetticismo circa la scelta del luogo per l'intervista, dovette
ricredersi, giudicando ora più che mai sensata l'insistenza dell'horror writer.
Non avrebbe potuto indicarle un posto migliore, specie considerando il tema
trattato ne L'Appuntamento. Forse
l'artista peccava un po' d'eccessiva teatralità, ma era anche possibile che si
fosse trattata di una specifica richiesta della protagonista del romanzo, la
quale aveva specificatamente optato per il tempio come rendezvous. In tutta
onestà, Mei fremeva dall'aspettativa sia d'intervistare Tobirama (la cui
riluttanza a certe pratiche pubblicitarie era oramai divenuta leggendaria) sia
di vedere Namikaze Naruko in carne ed ossa. Sebbene convinta elmetto rosa [2] e
attivista, alla donna quella ragazza non era risultata totalmente antipatica,
anzi, in alcuni punti aveva provato una forte empatia nei suoi confronti,
giacché costretta a subire pesanti conflitti interiori frutto di una società
ancora fortemente maschilista. Sotto alcuni aspetti, benché non avesse del
tutto approvato la sua scelta finale, la rispettava. Togliendo poi l'elemento
"horror", andava sottolineato come ciò che Naruko aveva passato,
altre giovani e meno giovani donne lo avevano in antecedenza sperimentato (e ancora lo stavano sperimentando) rendendo
di conseguenza la giovane ancora più umana e vicina ai lettori, senza però idealizzarla
nella sua trasposizione da persona reale a "personaggio".
"Buongiorno, Senju-sensei", fu il cortese
saluto della giornalista, mentre s'inchinava dinanzi all'horror writer, che si
rialzò in piedi, cessando la contemplazione di una particolare statuetta.
"Buongiorno a lei, Terumi-san", ricambiò,
inchinandosi a sua volta. "Ci ha impiegato molto a venire qui? L'autobus
era puntuale?"
"Non si preoccupi, si è trattato di una mezzoretta
assai piacevole!", sorrise incoraggiante la donna, la quale,
effettivamente, ad un certo punto aveva temuto d'essersi sul serio persa tra
quelle stradine strette, sterrate e male indicate della provincia profonda. Non
era stata una saggia decisione quella di affidarsi ai mezzi pubblici ...
"Piuttosto, la volevo ringraziare per la sua disponibilità e per avermi
accettata come sua intervistatrice!"
"Si figuri", si schermì Tobirama.
"Leggendo i suoi articoli, m'è subito risultata simpatica."
Mei arrossì di circostanza. "Lei m'adula,
Senju-sensei ..."
"No, affermavo semplicemente il vero", venne
corretta dall'horror writer, nel frattempo che si dirigeva verso l'uscita del
tempio. La giornalista partì immediatamente e d'istinto al suo inseguimento,
guardandosi però indietro disorientata.
"Mi scusi, ma non dovevano aspettare Namikaze-san
per ...?"
"Non ancora", tagliò corto Tobirama, sedendosi
alla prima panchina e invitando Mei a fare lo stesso. "Quando entreremo in
discorso, ritorneremo al tempio e lì saprà tutto ciò che vuole su Naruko."
La donna convenne lentamente, reclinando il capo e
socchiudendo gli occhi in una linea sottile.
E' dubbiosa, notò
l'artista con una nota di malevola malizia, e
anche molto sospettosa circa una bidonata concepita a sue spese. Meglio,
contraddire gli scettici risultava tra i suoi passatempi preferiti. Non a caso,
come professione, aveva eletto un genere che molti consideravano per default
"assurdo", "impossibile", "fantastico". E non
sbagliavano, il più delle volte. Ma in quelle rare eccezioni, tuttavia, in cui
s'affermava il vero ...
"Dunque", si schiarì la voce la giornalista,
tirando fuori un mini-registratore e un block-notes. Vecchia scuola. Tobirama
sospirò di sollievo. I giornalisti super-tecnologici avevano sempre suscitato
nel suo cervello un'ansia da cataclisma. "Innanzitutto, vorrei scusarmi in
anticipo se non rispetterò una struttura nelle domande. E' il mio metodo: non
..."
"... non vuole che io mi costruisca delle risposte
in anticipo, una volta compreso il "pattern". D'accordo."
La signorina Terumi non si fece di certo intimidire da
quella prontezza nel ribatterle a tono. "Perfetto! Incominciamo, allora,
che ne dice?", proseguì con studiato entusiasmo. E, dinanzi al grave cenno
affermativo dell'horror writer, si schiarì la voce, formulando la prima
domanda: "Non ho potuto evitare di notare un'incongruenza temporale nel
romanzo: Namikaze-san parla infatti di vicende avvenute "sei anni fa", pertanto lei starebbe
in teoria narrando in un ipotetico 2004. Invece, il romanzo è stato pubblicato
solo quest'anno, nel 2008, ergo dieci anni più tardi considerando il 1998 come
data di riferimento. La mia domanda è: Namikaze-san le ha in pratica raccontato
la sua testimonianza nel 2004 e non quest'anno, come dichiarato nel prologo? Se
è così, per quale motivo, l'ha trascritta
adesso e non prima?"
Tobirama incrociò le braccia al petto, roteando gli occhi
in alto quasi cercasse nelle fronde degli alberi le risposte più esaustive.
"Ha ragione, Terumi-san, le date non coincidono. Il fatto è che già nel
2004 avevo gettato giù una prima bozza de L'Appuntamento.
Ma poi l'ho accantonata, in quanto ignoravo se fosse o meno il caso di
pubblicare qualcosa di sì privato e sofferto, offrendolo ad un pubblico magari
non particolarmente ricettivo. Tuttavia, di recente sono successe alcune cose
che mi hanno instillato una lunga e accurata riflessione, circa le potenzialità
di questa storia. Naruko stessa ha insistito a riguardo. Per questo motivo, ho
voluto mantenere la data originale."
"Namikaze-san e lei sembrate possedere un rapporto
molto stretto, quasi esclusivo. Il modo in cui ha descritto i suoi pensieri ...
Talvolta vanno al di là di un semplice resoconto: l'immedesimazione è
straordinaria!", rimarcò Mei. "Il suo partner non ne sarà per caso
geloso?", scherzò, indicando con la testa Izuna, il quale li stava
osservando da lontano, appoggiato col dorso della schiena sulla macchina.
L'horror writer gli aveva chiesto il favore di venire seco all'intervista, a
mo' di sostegno morale. Izuna s'era dimostrato un poco riluttante, non gradendo
infatti frequentare simili luoghi, in particolare dove si posavano le statuette
per i Mizuko. Ma aveva ceduto con la promessa d'aspettare distante e in
disparte. Da lì quel compromesso.
"No, non nutre alcuna gelosia, si fida ciecamente di
me. E comunque, non è soltanto un compagno, lui ed io siamo sposati."
"Davvero? Ma il suo cognome ..."
"Lo esclusivamente per firmare i miei romanzi, anche
se ammetto che, alas, pochi mi chiamano col cognome di mio marito. Abbiamo
condotto ogni cosa discretamente, non ci piace fare pubblicità sulla nostra
vita!"
"Lo trovo assai comprensibile. Essendo voi due
coniugi, come dire, fuori dal comune, avrete sicuramente rotto molti usi e costumi,
no?"
"Dipende dal punto di vista", scrollò le spalle
Tobirama. "Noi ci consideriamo una semplice coppia, né più né meno."
"Quindi lei ha conosciuto quando Namikaze-san? Prima
o dopo il suo matrimonio?"
"A dire il vero, la conosco da una vita ...", e
qui l'horror writer s'interruppe, ridacchiando. "Mi perdoni il tono
melodrammatico. Non ho saputo resistere. No, seriamente, Naruko ed io ci
conosciamo da quando avevo quattordici / quindici anni ..."
***
Venerdì, 6 febbraio 1998
- il giorno dell'Appuntamento -
Che strano rammentare le dinamiche che ci portarono a
divenire una coppia, proprio ora che Sasuke ed io sembravamo destinati a
lasciarci, guarda caso il giorno del nostro anniversario.
Ma ancora più bizzarro era stato il modo assolutamente
particolareggiato, con cui avevo rivissuto quell'evento, neanche fossi stata lì
presente in veste di protagonista attiva, invece di limitarmi all'umile ruolo
di mera spettatrice. Evidentemente, il mio cervello stava tentando d'elargirmi
gli ultimi istanti di felicità condivisa con il mio fidanzato, prima della
rottura definitiva. Oppure, il disgraziato mi stava vilmente tormentando,
presentandomi perfido ciò a cui avevo rinunciato a causa della mia stupidità.
Intontita dai farmaci e dallo spavento preso il giorno
precedente (sì, a giudicare dalle pareti d'un bianco clinico e dalle lunghe e
scure ombre del mobilio spartano dovevo aver trascorso almeno una notte in
ospedale), abbandonai forzatamente ogni riflessione su quanto stesse per
accadermi. Oramai, poco o niente m'importava sul serio, se non la salute del
mio bambino. Il terrore provato durante il mio scontro col Mizuko e la tremenda
consapevolezza, che quella creatura volesse la morte di mio figlio, furono il
brusco risveglio di cui necessitavo. Basta coi consigli, cogli altrui pareri.
Il piccino doveva vivere, il resto non mi toccava più.
Ma - e qui la dolorosa questione - in seguito a quella
caduta giù per le scale, a quale sorte era andato incontro? Era sopravvissuto?
Pregai che fosse così. D'altronde, avevo percepito come l'impatto fosse stato
attutito da qualcosa (o qualcuno, chi però?), ciononostante rimanevo scettica
dell'efficacia di quel gesto. Occorreva un nonnulla per provocare un indesiderato
ed accidentale aborto, bastava
considerare quanto successo a Shisui-san.
Un doloroso groppo in gola mi si formò al pensiero di
come quel davvero banale incidente - uno scivolone! - avesse invece sottratto
alla donna il suo effettivo secondogenito.
Tirai su col naso.
Curioso come io ora desiderassi ardentemente la vita di
un essere, del quale avevo in precedenza progettato la morte.
Era colpa mia. Soltanto mia.
Avevo voluto mio figlio morto e forse ero stata
accontentata. Il Mizuko aveva provveduto prima del medico.
Mi strinsi le braccia al ventre, scorrendovi affranta le
mani all'inutile ricerca della presenza della minuscola creatura che se n'era
rimasta lì indisturbata per quasi due mesi. Guardando il soffitto, permisi a
copiose lacrime d'offuscarmi la mia già poco affidabile vista.
Venni travolta violentemente dalla disperazione più nera,
ancora più tremenda rispetto a quella sperimentata il giorno prima, e digrignai
i denti, mordendomi la lingua pur di non gridare.
Mi sentii talmente persa e devastata, da invocare un
soccorso a me totalmente estraneo, se non proprio incomprensibile. Un mese
addietro mi sarei data della folle, nel vedermi così fiduciosa in un qualcosa
in cui nemmeno credevo né ero mai stata educata a farlo. Ma in quel terribile
momento, non riuscivo a trovare alcuna fonte di consolazione se non quella,
l'ultima e più inaspettata spiaggia.
Maria-sama
... mi rivolgo a Te perché mi ricordo
d'averti sempre vista raffigurata con un Bambino, che se non erro dovrebbe
essere Iesu-sama da piccolo ... In ogni modo, in quanto madre, di sicuro
capirai la mia situazione. Non mi sto giustificando, anzi, ammetto le mie
colpe ... Quel che voglio dire è che
certamente Tu potresti intercedere presso Tuo Figlio per far vivere il mio. Non
oso chiederlo direttamene a Lui, manco m'ascolterebbe. Cosa gliene dovrebbe
importare di una miscredente come la sottoscritta? Si metterebbe a ridere,
dicendomi di andare a rompere le scatole colle mie richieste al Buddha o chi
altro ... Ma forse Tu potresti metterci
una buona parolina, sei Sua madre in fin dei conti, i figli ascoltano sempre i
genitori, no? Ecco ... se il piccino dovesse sopravvivere, prometto d'amarlo
con tutta me stessa, più ancora di quanto già non lo ami adesso, e di crescerlo
da bravo Kirisutokyouto! Sposerò suo padre! E ... e mi convertirò pure! Lo
faccio! Però, per favore Maria-sama, Te lo chiedo da madre a madre (se lo sono
ancora), fai che il mio bambino possa nascere! E se non per me, fallo per
Sasuke! Non merita questa cattiveria, anche se io per prima gliela stavo per
fare, alle sue spalle per giunta! Salva mio figlio! Te lo supplico! Salva mio
figlio!
Farfugliai mentalmente questa preghiera, tappandomi la
bocca singhiozzante e, piangendo forte la mia infinita afflizione, mi
raggomitolai ironicamente proprio in posizione fetale, sperando in una
qualsiasi forma di conforto e soprattutto di conferma, che la mia richiesta
aveva trovato ascolto.
In corridoio, nel frattanto, s'alternavano sussurri e
discussioni soffocate, le quali sortirono il benvenuto effetto di cullarmi poco
a poco in un torpore profondo, senza sogni.
Fu verso la tarda mattinata che, entrando in una sorta di
dormiveglia, riuscii a captarne dei frammenti.
"Ti vedo un po' rattoppato, Sas'ke, però mi consola
che tu stia bene. Ma dimmi un po', Itachi, non è eticamente scorretto operare
uno di famiglia? Non violate il giuramento d'Ippolito?"
"Casomai sarà d'Ippocrate e comunque no, si è soltanto
trattato di un banale scivolone ... Niente di che ... La colpa è tutta di questo
bischero che come al solito ha voluto fare la primadonna, insistendo di
medicarmi di persona! Tzé, se non fossi stato mezzo in deliquio l'avrei fermato
..."
"Primadonna un corno: intanto, hai battuto la testa,
quindi in stato decisamente confusionario; dopodiché, ti sei beccato tre punti
vicino all'occhio destro, roba da dialisi a momenti! Dulcis in fundo, ti sei slogato
il polso con annessi lividi ovunque! Mi
devi dieci anni di vita, stronzetto!"
Era stato lui? Era stato dunque Sasuke ad avermi impedito di ruzzolare giù
per le scale?
Perché avrebbe dovuto farlo dopo quanto udito da mia madre?
Perché?
Non mi odiava? Non mi disprezzava per la mia decisione d'abortire?
"Grazie, Itachi-nii, per questa tua lista esaustiva
ed inutile."
"Dovere, stupido fratello. Insomma, anche se
professionalmente non molto appropriato, t'ho pur sempre ricucito io! E,
modestie a parte, con ottimi risultati: adesso sei più figo di prima, assomigli
alla versione maschile di Sally di "The
Nightmare Before Christmas"! O mi sbaglio, Sacchan bello-bello di
Niisan? Chi t'ha ricucito, eh? Chi t'ha ricucito? Pucci- pucci!"
"Ma tu chi sei? Non ti conosco, razza di pagliaccio
rincoglionito! Pussa via!"
"Eh? Mi vai in mode Pīta-sama ora? Mi rinneghi?"
"Chi ti credi di essere, balengo blasfemo? Iesu
Kirisuto-sama?"
"Ehm, cambiando discorso ... Sas'ke, insomma, come
mai ti trovavi a casa mia?"
Silenzio.
"Menma, sai tu perché Naruko non mi ha chiamato in
questi ultimi giorni?"
"Uhm ... no!"
Bugiardo.
"Perché oggi doveva abortire. Voleva disfarsi di un
bambino avuto da un altro ... Hé, ti ho già detto che oggi è anche il nostro
anniversario?"
No.
Non spargere sale sulle ferite.
Anche se ne avresti ogni diritto.
"Senti, Otōto, guarda che non è vero niente e chi
sostiene il contrario è una gran carogna!"
"E se fosse invece così, Itachi-nii? Chi m'assicura?"
"Ma no, scemo! Quella è una balla di mia madre! E mi
sorprende che tu ci creda! Quella paperotta della mia imōto che ti fa le corna?
Ma quando? Ma dove? Nei film di
fantascienza, forse! Se non ha occhi che per te! Ieri m'ha telefonato
piangendo, mezza matta, alla sola idea che tu la potessi scaricare!"
"E allora, perché tutto questo teatro?! Perché
tacermi del bambino?!"
Perché avevo stupidamente paura, che tu mi volessi solo a causa sua.
Che tu mi legassi a te.
Non sapevo, che ci appartenevamo l'un l'altro prima ancora del suo
concepimento.
"Hé ... la paura ... l'incertezza ... nostra madre
... La povera Nacchan si è trovata a gestire una situazione più grande di lei!
... Senti, Sas'ke, levati un po' d'immondizia
dalla testa e ragioniamo da persone adulte: lei ti ama, ti è sempre stata
fedelissima, il piccino è tuo,
punto!"
"Concordo con Menma-kun: Otōto, assumiti le tue
responsabilità e basta con l'onanismo mentale!"
"Ma se davvero Naruko m'ama così tanto, se davvero
il bambino è mio, perché farmi questo?! Perché non ha voluto confidarsi con me?!"
"Donne, mio caro, donne! Ragionano col mestruo e ...
Ahia! Moglie! Quello faceva male! Ohiohi ..."
"Suvvia, Sasuke-kun! Posso immaginare quanto la
mancanza di fiducia da parte di Naruko-chan ti abbia ferito, perciò sii tu più
maturo e concedile la tua!"
"Ad una che mi evita come la peste? Eh, Shisui-nee?
A lei dovrei concedere fiducia, quando ..."
"Uffa, che testone! Se non c'arrivi, te lo spiego io:
allora, mia sorella ...!"
"No, Menma! No! Che sia Naruko a raccontarmi la
verità! Lei sola! Sono stufo di questa sfilza di balle, mica-balle, mezze-balle
rifilatemi da voialtri! Specialmente tu, Itachi-nii! Sei un infame sporcaccione!"
"Io? E cosa t'avrei fatto io, adesso?! Ciò, ti pigli
tre sberle, sai?"
"Mi tieni nascoste le cose! Omertoso! E io che ti
telefonavo sperando in un tuo aiuto!"
"E te ne accorgi soltanto ora che ti rifilo panzane?"
"Piuttosto, se Naruko-chan ti confessasse ogni cosa,
le crederesti? E, se fosse il caso, la perdoneresti per aver progettato
d'abortire?"
Come mai quell'attimo d'esitazione, Sasuke?
Bruciava troppo la ferita con cui ti avevo straziato il cuore?
Non ti avrei biasimato, in caso m'avresti serbato rancore ...
"Può anche darsi di sì, Shisui-nee, potrei ... No, non potrei ... la perdonerò, come posso non perdonare quella
delinquente? Basta che mi guardi mesta e contrita con quegli occhioni azzurri e
le casco ai piedi peggio d'una pera cotta ..."
Eppure ...
Tu ...
"ARGH!!! Maledizione, lo sapevate tutti ch'era
incinta! Proprio tutti! E mi avete fatto passare per il gonzo di turno! Dannati
cospiratori! Vi odio!"
"Tecnicamente, caro il mio Baka-chan, non lo
sapevano neppure Kaa-san, Ojiisan, i tuoi nipoti, Minato-shi, la coinquilina e le
amiche di Naruko-chan, mezza Konoha, la facoltà di lettere, l'intera Tokyo
..."
"Itachi-anata?"
"Sì, tesoro?"
"Non stai aiutando il tuo otōto."
"Non è neanche mia intenzione farlo. Anzi, ci tengo
pure ad aggiungere che Sas'ke-kun, oltre ad essere un grullo, è pure cieco. O
guercio, viste le sue attuali condizioni. Insomma, pirla! Come hai fatto a non
accorgerti della gravidanza della tua fidanzata? Mi fallisci nella ostetricia
di base? Vergogna!"
"Naruko ha sempre avuto il ciclo irregolare! Eppoi,
mica compare una scritta col neon, sai?"
"Secondo me, non te ne saresti ugualmente reso
conto! Cosa mi posso aspettare, d'altronde, da uno che ha preso
un'insufficienza nella verifica sull'apparato riproduttore e sulla gravidanza?"
Risolini.
"Ancora con quella storia?! Frequentavo le
elementari, dannazione! E tu non mi aiutavi, ridacchiando come un babbuino
mentre ripassavo a voce alta!"
Divertiti grugniti a malapena soffocati.
"Mi biasimi? Avevo tredici anni, gli ormoni a palla,
a Shisui incominciava ad ingrandirsi il seno e tu giravi saltellando per casa
ed elencavi tutti i componenti degli organi genitali con una tale espressione
concentrata, ch'era impossibile non ridere! Chiudevi perfino gli occhi!"
Ruggito di risate.
"Ma tu non puoi andare a cagare, Itachi?!"
"Quando mi verrà lo stimolo, terrò a mente il tuo
consiglio."
"Sempre parole dolci vi riservate voi due, eh?"
"Tutti i giorni della settimana e due volte alla
domenica!"
"Se non avessi il polso destro fasciato, vedi con
che dolcezza ti rifaccio il naso!"
"Suvvia, Sacchan, così si tratta il tuo fratellone
che ti cambiava il pannolino?"
" Certo che la conversazione qui sta raggiungendo
tali livelli di maturità ..."
"Tu hai dei seri problemi mentali ... Se non fosse
per Shisui-nee, t'avrei fatto levare secoli addietro la patria potestà sui tuoi
figli ..."
"Tsk, ne riparleremo quando nascerà il tuo di
figlio, Otōto , anzi, Otōsan ! Ihihihi!!"
"Itachi, mi fai paura ..."
"Fai bene ad averne!"
"Invece, Sasuke-kun, dai retta a tua cognata e chiarisciti
con Naruko-chan. E' imperativo per entrambi, sarebbe stupido da parte
vostra troncare senza neppure una
spiegazione! Altrimenti, al prossimo incontro di Taizé ti costringo a cantare
tutta la sera! E in swahili! Hai capito?"
"Avrei preferito di no ..."
"Pardon?"
Non mi pervenne la replica di Sasuke. Molto
probabilmente, mi ero di nuovo riaddormentata, troppo spossata per dare una
qualsivoglia considerazione a quanto mio malgrado origliato. Sperai soltanto
che Sasuke seguisse il consiglio del fratello, della cognata e di Menma-nii,
concedendomi almeno un'ultima confessione.
Le mie labbra tuttavia s'incurvarono in un tremulo
sorriso e una tiepida sensazione di sicurezza sui prossimi eventi mi riscaldò
nel profondo il cuore, confortandomi che forse non tutto era perduto, che forse
invero la speranza era sempre l'ultima a morire.
~~~
Confesso che, al mio risveglio definitivo, rimasi
leggermente delusa nell'imbattermi in Shisui-san, invece del mio fidanzato. Avevo
in effetti romanticamente sperato di vederlo lì, magari mezzo-addormentato, in
attesa che mi destassi, pronto al confronto. Sua cognata, che se ne stava
placidamente seduta al posto suo accanto al mio letto, ricambiò imperturbabile
il mio poco entusiasta saluto con uno dei suoi usuali sorrisi sibillini.
"Sasuke-kun ti ha vegliato fino adesso", mi
rivelò serafica, neanche m'avesse letto nei pensieri. "S'è soltanto
assentato per andare al gabinetto e ovviamente tuo fratello e mio marito l'hanno
seguito con la scusa d'assisterlo, in realtà per sfotterlo ulteriormente."
Dietro al bicchiere gentilmente offertomi, ridacchiai
impunita.
"Non immaginavo che Itachi-san potesse dimostrarsi
così ... infantile e dispettoso nei confronti di Sasuke ..."
"Oh, non lo è di solito", mi rassicurò
Shisui-san, arrotolandosi leziosamente un ricciolo al dito. "Mio marito si
comporta da totale idiota soltanto quando deve scaricare un grave stress
emotivo. Una valvola di sfogo, ecco, e sempre ai danni di suo fratello,
ovviamente. In ogni modo, non so quanto tu ti rammenti di ieri, ma sia tu che
Sasuke-kun siete venuti all'ospedale in ambulanza. Le tue condizioni non
apparivano molto gravi, invece mio cognato aveva battuto malamente la testa e,
siccome Itachi aveva appena rimesso piede in ospedale, ha insistito per
assisterlo di persona dopo averlo scorto in barella. Non avrebbe dovuto e spero
che il primario non gli scassi le scatole a riguardo, ma tu conosci gli Uchiwa
... hanno il legno al posto del cervello, non li schiodi da un loro proposito
manco a morire!"
Annuii stancamente, appoggiando la schiena sui cuscini.
"Che motivo c'era di ferirsi così per una poco di
buono come me?", commentai infelice. "Sciocco d'un Sasuke-teme
..."
Sua cognata appoggiò la sua mano sulla mia spalla,
scuotendo il capo in diniego. "Ci tiene a te. Può imbastirti un broncio
epico ed interpretare il ruolo dell'acido bastardo, ma sotto-sotto egli ti ha
posto su di un piedistallo d'oro e non avrebbe mai permesso che ti ferissi o
che perdessi il bambino."
"Anche se di un altro?"
"Suvvia, Naruko-chan, non prendiamoci in giro",
mi chetò seccamente Shisui-san.
Mi passai sospirando una mano sulla fronte, massaggiando
in seguito la radice del naso.
"D'altronde", riprese la donna, sistemandosi
meglio sulla sedia, dolendole infatti un poco la schiena per via del pancione,
"adesso che Sasuke-kun sa della tua gravidanza, lo farebbe doppiamente
soffrire la consapevolezza che tu abbia deciso in via definitiva
d'abortire."
"Doppiamente?", inquisii confusa.
Il volto di Shisui-san assunse un'espressione
malinconica, che neanche quel suo mezzo sorriso poté mitigarla. "Quando
persi il mio bambino scivolando, stavo correndo verso la fermata della
corriera. Ricordi?"
Le feci cenno di sì.
"Stavo accompagnando Sasuke-kun a prendere il
pullman. All'epoca era ancora uno studente di medicina. Lui si lanciò
immediatamente in avanti per affermi, mancandomi però di qualche centimetro.
Quando seppe dell'aborto, si biasimò per molto tempo, sostenendo che fosse
colpa sua se avevo perduto il bambino, visto che aveva insistito affinché ci
recassimo assieme a prendere la corriera. Ovviamente, nessuno era da incolpare
se non il ghiaccio e la neve, ma in quel momento eravamo tutti molto scossi
e arrabbiati. Ci dicemmo cose poco
piacevoli e occorse del tempo, prima di perdonarcele. Oramai è acqua passata,
ma sospetto che Sasuke-kun ancora se ne
voglia grandemente ..."
Questo spiegava molte cose, in primis il pallore
cadaverico sul suo viso quando aveva udito da mia madre la mia decisione
d'abortire. Lì per lì avevo creduto trattarsi dello shock dovuto ad una altrui
paternità, ma ora comprendevo che il suo turbamento era riconducibile alla
spiacevole esperienza capitatagli.
E malgrado la sua intrinseca tristezza, non riuscii a
trattenere un sogghigno amaro, ben presto imitato dalla mia interlocutrice.
"Sei davvero una manipolatrice nata, Shisui-san. Stai usando ogni tua
risorsa pur di non farmi abortire?"
"Esatto e aggiungerei pure in maniera spudorata.
Voglio inculcarti quanti più possibili sensi di colpa", dichiarò ella giocosamente
bellicosa. "Ciò che ti ho raccontato corrisponde tuttavia alla realtà. Non
mentirei mai su questo genere di cose", ritornò subito seria,
inchiodandomi coi suoi grandi occhi scuri.
"Non m'azzarderei mai, anzi, penso d'aver finalmente
capito molte cose su di Sasuke", ribadii altrettanto onesta.
"Comunque ti devo ringraziare."
Shisui-san sbatté le ciglia perplessa.
"All'inizio credevo che tu non mi sopportassi ...
Poi però ho compreso la tua apprensione circa la mia scelta, specie se ho
involontariamente rievocato in te dei tristi ricordi ... Mi ha aiutato molto a
riflettere."
In particolare riguardo al Mizuko: giunsi infatti alla
conclusione, che doveva essere appunto quel figlio mai nato d'Itachi-san e
Shisui-san, il quale, per vendetta, aveva deciso di perseguitare lo zio,
l'indiretto responsabile della sua prematura morte. Non potevo spiegarmelo
altrimenti: perché sia io che sua madre riuscivamo a vederlo e non gli altri?
Perché tormentarmi così, arrivando quasi ad uccidermi? A provocare il decesso del
suo "cugino"? Sebbene Shisui-san fosse convinta della pace eterna
ottenuta dall'anima del piccino, questi al contrario era ben lungi dall'aver
perdonato Sasuke, arrivando a colpirlo là dove più gli faceva male, ovvero suo
figlio e me, la cui morte l'avrebbe devastato e al contempo avrebbe pareggiato
i conti tra lui e il nipote.
Questa consapevolezza non mi diede alcuna consolazione, sebbene
non mi provocò lo stesso alcuna forma d'agitazione. Piuttosto, avendo scoperto
infine l'identità del Mizuko, mi sentii doppiamente determinata nel mio
proposito di far nascere il mio bambino.
"Vi disturbo?", bussò Sasuke alla porta,
rimanendo rispettoso mezzo fuori e mezzo dentro alla stanza.
Sua cognata ed io ci voltammo; dopodiché la prima si pose
goffamente in piedi, dirigendosi caracollante verso di lui. "No, figurati.
Sai a proposito dove posso trovare tuo fratello?"
Il mio fidanzato divenne scarlatto. "Lo trovi
assieme a Menma in sala d'aspetto. Minato-shi ci ha appena raggiunti e quei tre
non la smettono di pigliarmi per i fondelli ..."
"Rassegnati, Sasuke-kun: questo è solo l'inizio.
Vedrai a che livelli arriveranno i loro sfottò quando ...", ma qui la
donna s'interruppe, scoccandomi una significativa occhiata. "Vi lascio da
soli. Avvertitemi tramite l'infermiera se necessitate di qualsiasi cosa",
si congedò da noi, uscendo dalla camera e chiudendo saggiamente la porta.
Un incomodo silenzio scese tra Sasuke e me, nel frattanto
che guardavamo ovunque, tranne i nostri visi. Sennonché il mio fidanzato,
sbuffando a mo' di incoraggiamento, si sedette alquanto sgraziatamente sulla
sedia disertata dalla cognata, congiungendo nervoso le mani prima sul grembo,
poi sul letto, a qualche spanna dal mio fianco.
Dal canto mio, lo spiavo avidamente di sottecchi,
sanguinandomi infatti il cuore dinanzi allo stato pietoso in cui versava.
Ciocche disordinate di capelli corvini gli fuoriuscivano dalle strette bende
alla testa e Sasuke teneva l'occhio destro semichiuso, illividito dal colpo e
raggrinzito a causa dei tre cerotti sterili atti a coprire i punti. Si
massaggiava con evidente disagio il polso destro, anch'esso fasciato,
umettandosi il labbro spaccato dal pugno di mia madre; lo sguardo solitamente
fiero era abbassato, colpevole e infelice, come quello d'uno scolaretto
pizzicato mentre marinava la scuola. Pareva assai evidente come avesse preso in
pieno l'impatto della caduta, attenuando la mia fin quasi a non farmi sentire
praticamente nulla. Le macchioline rossicce di sangue sul colletto della
camicia ne fungevano da chiari testimoni.
Allungai di riflesso la mia mano per afferrare e
stringere la sua (quella sana), sussultando di perversa gioia nel sentire
ricambiato quel mio timido gesto.
"Il dottore", si decise a parlare Sasuke,
"mi ha riferito che ... che il bambino ... insomma, che non hai perduto la
creatura."
La sua mano prese a tremare leggermente, inumidendosi
appena appena di un sottile strato di sudore.
Il mio cervello, invece, cantava a squarciagola ringraziamenti
al cielo e sotto le coperte, di nascosto, mi accarezzai rincuorata il ventre,
salutando così quel piccino che già dall'utero dimostrava di possedere la
rinomata testardaggine degli Uchiwa. Mi era stata concessa una seconda chance
per amarlo, per rimediare alla mia avventata e sciocca decisione.
Sorrisi segretamente tra me e me, confondendo di
conseguenza Sasuke, il quale dimostrava al contrario un'aria afflitta da cane
bastonato. Povero caro, temeva che, col
suo gesto, m'avesse fatto un grosso dispetto. e dovetti reprimere a viva forza il
desiderio d'abbracciarlo forte e di baciarlo, rassicurandolo dell'opposto. Tuttavia,
non ebbi il tempo di replicare, che subito egli m'imbastì uno dei discorsi più
sconclusionati che avessi mai ascoltato (almeno provenienti da lui) sbrodolando
agitato dall'inizio alla fine:
"Naruko ... so
che non ne avrei il diritto, sei tu la madre ma ... ecco, io ... quando ti ho
afferrata per le scale, non avevo pensato solo alla salute del bambino, cioè
... sì, forse un poco, ma .... volevo che entrambi non vi feriste e non ... sia
tu che lui (o lei) siete importanti e
... A che ora hai l'appuntamento? ... E' oggi? Ascolta, io vorrei tanto che tu
decidessi di tenere il bambino, per me avere un figlio da te sarebbe come
realizzare un sogno tabù però ... se proprio vuoi andare fino in fondo, permettimi
almeno di restarti accanto!"
Se non avessi avuto la certezza della sua identità, di
certo non avrei mai collegato quel giovane balbettante coll'altero Uchiwa
Sasuke, colui che tutti additavano come una gelida carogna, uno stronzo
patentato. Dinanzi a me si trovava una persona confusa, ferita e ciononostante
disposta ad un pur sofferto compromesso, tutto pur non di perdermi.
Che avevo combinato di tanto onorevole, per meritarmi siffatto
riguardo?
"Sasuke ... io ..."
"Non m'importa, Naruko!", berciò Sasuke a voce
forse eccessivamente alta, più che altro per convincere se stesso e non la
sottoscritta della veridicità di parole decisamente aliene ai precetti della
sua religione. E di fatti, rendendosene conto, tentò goffamente di rimediare alla sua gaffe: "Cioè sì,
m'importerebbe in realtà: se la cosa dipendesse da me, non ti permetterei
d'abortire il piccino. Anche qualora non fosse stato figlio mio. Nondimeno, per
amor tuo, mi sforzerò sia di capire sia d'accettare le tue ragioni. Ti amo,
Naruko, sono disposto ad ingoiare questo rospo pur di non perderti. Al costo di
farmi trattare alla stregua del tuo zerbino!", e vedendo come me ne
rimanessi zitta e muta, s'accalorò ulteriormente, agitandosi sulla sedia.
"Non ti basta?! Che altra prova vuoi da me per convincerti della sincerità
dei miei sentimenti?! Che non t'imporrei niente, che ti rispetto in tutto per e
tutto?!", sbottò esasperato, mulinando con foga la mano destra e ottenendo
di conseguenza la giusta retribuzione da parte del suo polso ferito tramite
un'infida fitta di dolore.
"Sasuke, potresti ...?"
"Ti avevo avvertito che non t'avrei mai abbandonata,
né che avrei rinunciato a te, passasse quel che passasse. Chiamami masochista,
se l'affare ti diverte, ma getterò la spugna soltanto quando tu mi dirai che
non ne puoi più di me! A te la scelta, Naruko!"
Storcendo il viso sofferente per aver sforzato
imprudentemente il polso, il mio fidanzato si vide costretto a calmarsi, attenendo
bellicoso la mia replica e stizzito sì, per quella confessione. S'era
totalmente umiliato per me, accantonando ogni forma d'orgoglio e concedendomi
una libertà assoluta, fino al punto d'annullarsi come seconda metà in un
rapporto a due.
Non l'avrei costretto a tanto. Per quanto allettante, non
desideravo avere una passiva ameba per consorte, bensì il mio compagno di vita,
il mio Sasuke-teme, così com'era sempre stato, con ciascuna delle sue paturnie
e dolcezze.
"Tutto questo è molto carino da parte tua, koibito,
però se mi lasciassi finire il discorso ...", gli ricordai soave,
riuscendo una buona volta a terminare la frase.
Il mio fidanzato si grattò colpevole la testa fasciata.
"Scusa", bofonchiò, giocherellando imbronciato col bordo delle
lenzuola.
Puntellandomi sui gomiti, mi sporsi fino a raggiungerlo, sfiorandogli
leggermente la tempia con le mie labbra. "Ho disdetto
l'appuntamento", gli sussurrai all'orecchio, sogghignando amorevolmente
perfida alla reazione dell'uomo, il quale balzò all'indietro, totalmente
sconvolto.
"Cosa?", ansimò, spalancando la bocca neanche avesse avuto intenzione di mostrarmi
le sue tonsille. Perfino l'occhio sano era divenuto più grande del solito e in
quel momento mi rammaricai di non aver portato con me una macchina fotografica,
onde immortalare la più pura ed esauriente rappresentazione dello stupore, se
non proprio la sua stessa incarnazione.
"Nostro figlio, Sasuke. Lo tengo. Quando ... ",
e tacqui per un istante, sopraffatta da quei ricordi orribili. Il gelo dell'acqua. Di quelle manine
d'acciaio. L'impatto contro il muro. La frizione della carne e il bruciore ai
polmoni, per l'aria che tardava a venire ..."quando stavo per cadere, ho
desiderato ardentemente che sopravvivesse. Tanto da ... Non mi rimangio tale desiderio, ecco!",
dichiarai solenne, sciogliendomi immediatamente in un sorriso più conciliante.
"Diventerai un chichi, Sasuke! Non sei contento?"
Per tutta risposta, il mio fidanzato si gettò su di me,
abbracciandomi talmente forte da levarmi per qualche istante il respiro.
"Mi rendi felice, Naruko! Non sai quanto ...!", gli tremò la voce,
baciandomi ardentemente la bocca e le guance, ridendo assieme a me alla stregua
di due beoti.
"Anche tu mi rendi felice, Sasuke", mormorai,
afferrandogli le spalle. "Ti amo tanto ..."
Rimanemmo così abbracciati per un lasso indefinito di
tempo, dondolandoci in sincronia perfetta, permettendo che i nostri cuori si
sincronizzassero e che i nostri respiri si mischiassero, divenendo un tutt'uno.
Ventiquatt'ore addietro non avrei mai potuto immaginare tale gioioso scenario,
dove Sasuke ed io incominciavamo a camminare sul serio uniti come una coppia e
non a venire di tanto in tanto in contatto,
similmente a quanto accaduto per un anno e mezzo. Finalmente avremmo
vissuto assieme, lui ed io ... e il piccino.
"Mi dispiace di averti fatto perdere la Messa
commemorativa", gli rivelai, scorrendo le mani sulla testa fasciata.
"Ma soprattutto, per averti costretto a questo vaudeville. Sono stata una
sciocca."
"Non finirò all'inferno per questo. Sono sicuro che
Miki Pauro-sama comprenderà il motivo dietro la mia assenza. Insomma, una dobe
come te mica è facile da gestire: l'ho capito fin dal giorno in cui t'ho
conosciuta, che m'avresti fatto vedere i sorci verdi!", mi confessò
Sasuke, indugiando con la sguardo sul mio grembo semi-coperto dalle lenzuola. "Ti
rendi conto che d'ora in avanti la strada sarà tutta in salita?", domandò,
studiando attentamente ogni mia espressione, trovandovi però solo determinatezza
e fiducia.
Sicuro che fuori dall'ospedale, nella vita reale, non
c'attendeva un finale roseo, con uccellini canterini, bolle luccicanti e
l'approvazione universale di amici e parenti. Ci sarebbe al contrario toccato d'affrontare
parecchie magagne famigliari, lavorative e religiose, incominciando
innanzitutto con un giro di scuse, mea culpa, proschinesi e ojigi con la fronte
per terra onde fare ammenda degli insulti lanciatici e vecchi rancori malamente
seppelliti. Tuttavia, per quanto i problemi da sormontare si presentassero
molteplici e insidiosi, essi non mi parevano così minacciosi e impossibili come
prima. Non con Sasuke dalla mia parte, non con la certezza che ci saremmo
sostenuti l'un l'altro.
"Finché potrò averti accanto, va bene così",
gli confermai quanto da me previamente asserito. Non avrei mai più dubitato di
lui, né avrei mai più permesso a chicchessia d'influenzarmi o ancora peggio, di
separarmi dal mio compagno. "A proposito, koibito ..."
"Uhm?"
"Il bambino è tuo. E' sempre stato tuo. Non ti
cornificherei manco a morire! Solo con la forza mi possono costringere ad
andare a letto con un altro!", dichiarai con orgogliosa veemenza,
afferrandogli il viso con ambedue le mani. Non potevo sopportare che Sasuke
accettasse il piccino per partito presto, poiché figlio mio. Questi era anche
sangue suo e doveva considerarlo come tale, fino all'ultima cellula. "Credo
che quella notte, ehm, ti fossi ... ti fossi messo male il ... insomma, hai
capito! O forse si è bucato!", balbettai, affatto a mio agio di parlare a
voce alta delle nostre attività più intime. Specie se sussisteva la possibilità
che quei beceri dei nostri parenti si fossero accampati dietro la porta ad
origliare. In ogni modo, non riuscivo lo stesso a definire con precisione le
dinamiche del mio concepimento. Sasuke ed io non avevamo fatto nulla di strano
in quell'occasione, nel senso, nulla fuori dalla ben conosciuta routine amorosa
... Avevamo gusti semplici, in fin dei conti ...
"Lasciami indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi dispiace!"
? No, perché neanche sotto tortura lo faccio!", reiterò Sasuke, ora
più che mai interessato alla mia pancia, "Non mi pento d'averti messa
incinta! Sicuro, è stato un caso, però ..."
"Teme! Ringrazia Iesu-sama che sei più rattoppato
d'un paio di pantaloni vecchi, sennò ti prenderei a sberle fino ad indurti al
coma profondo! Come sarebbe a dire che non ti penti d'avermi ingravidata?
Maiale sfacciato!"
"... però grazie per avermi confermato la mia
paternità. In ogni modo, ne ero già al corrente."
"Eh?"
"Mentre ti riposavi, Shisui-nee ed io abbiamo avuto
una lunga conversazione a riguardo, in cui m'ha a grandi linee spiegato il
motivo dietro la tua reticenza a confidarti con me; dopodiché Itachi-nii s'è
sentito in dovere d'aggiungere che, in caso non t'avessi creduto, m'avrebbe
incoronato re dei coglioni e sbattuto fuori casa a calci nel deretano.
Concludendo poi con tuo fratello Menma, che m'ha afferrato per il bavero, minacciandomi
di una morte lenta e dolorosa e di darmi in pasto ai maiali, in caso mi fossi
rifiutato di riconoscere il piccino. Ah, e tuo padre ha aggiunto che gli dà
manforte, sebbene ancora non mi sia chiaro se nella prima o seconda fase del
mio omicidio. E mi sarei pure messo a ridere, se quei tre non me avessero avuto
certe facce serie ..."
"Citandoti: Lasciami
indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi
dispiace!"?"
"Dire proprio di sì! Ho davvero temuto per la mia
vita!"
"Teme!", protestai petulante, allontanandomi da
lui ed incrociando offesa le braccia al petto. "Non fare adesso la
vittima! Non è colpa mia se alla tua età non sai metterti bene il ...!"
Avanzando a gattoni su per il letto e riacchiappandomi
altrettanto felino, Sasuke ridacchiò perfido e mi baciò a lungo, euforicamente impetuoso. Assaporammo
ambedue le rispettive intimità boccali, con frenesia, fino a provocarci un
leggero capogiro per la mancanza d'ossigeno. Le nostre fronti s'incontrarono,
similmente alla punta dei nostri nasi. "Allora, mi sposi?", mi
domandò Sasuke a bruciapelo, guardandomi col medesimo entusiasmo del pazzo
furioso e di fatti le sue iridi carbone rilucevano di una fiamma antica, la
medesima che scorgevo quando lui si gettava animo e corpo in una qualsivoglia
impresa, sia fisica che intellettuale. "Ebbene? Il gatto t'ha mangiato la
lingua?"
Sì, un grosso micione nero di nome Uchiwa Sasuke.
"Vuoi divenire la mia tsuma sì o no?"
Sbiancai peggio d'un canovaccio.
"Così? Su due piedi? Senza anello e lunga e
romantica dichiarazione?", farfugliai, tentando una poco onorevole fuga,
sennonché il mio compagno mi teneva saldamente ancorata al letto.
"Al diavolo queste scemenze, donna! Mi hai
letteralmente umiliato oggi, per te ho rinunciato alla mia dignità virile,
riducendomi ad una barzelletta vivente, all'uomo-zerbino! Inoltre, m'hai fatto sadicamente patire due settimane
d'inferno! Questa è la mia giusta vendetta! E comunque, col cazzo che
chiameranno mio figlio bastardo e non
per via d'un eventuale caratteraccio!"
"Ma ... ma ...", m'afflosciai sul materasso,
affondando nel frattempo sotto le coperte. La paternità sul serio sortiva un
brutto effetto sulla psiche degli Uchiwa. Il mio meco si stava dimostrando
troppo ... contento a riguardo, insomma, m'aspettavo che sarebbe sì impazzito
ma dal dolore di "perdere" la libertà, non di acquisire una moglie e
un pupetto in un sol colpo!
Decisamente mi sarei affiliata ad una famiglia di matti.
Ciononostante, chissà come mai, non mi lagnavo dinanzi a quella prospettiva.
"La risposta, Nacchan!
Ora!"
Sorridendo timidamente, annuii infine tra il contento e
l'apprensivo, augurandomi ferventemente che il bambino prendesse tutto da me e
niente da suo padre, almeno per quel che concerneva il carattere.
Ma poi, avvolta nuovamente nelle sue braccia, baciata e
coccolata dal mio tenero e innamorato delinquente, conclusi che forse non
sarebbe esattamente nato un piccolo mostro, in caso nostro figlio avesse deciso
di assomigliare un pochino al suo Tou-san.
Appostati dietro la porta, i nostri famigliari avevano
già incominciato a far scommesse sul suo sesso.
~~~
Mentirei se
ora affermassi, che vivemmo tutti "felici e contenti."
Innanzitutto,
mio padre e Mikoto-san dovettero esibirsi in un'infinita serie d'inchini e
richieste di scusare il loro previo comportamento da vandali, prostrandosi con
tale fervore nel loro ojigi, da ripulire il tatami e provocarsi perfino un
bernoccolo sulla fronte. Otōsan invocava il perdono di Mikoto-san per la
violenta reazione di Okaasan ai danni di Sasuke, sottolineando la mia
estraneità a vizi quali l'adulterio pre-matrimoniale (vizio che s'inventò al
momento) e la mia inattaccabile reputazione di giovane donna virtuosa. La
matriarca Uchiwa si dispiaceva per gli insulti rivolti a me e a mia madre,
nonché per le ciocche strappate a quest'ultima. Entrambi decisero per il bene
dei due futuri sposi di accantonare le divergenze del passato, focalizzandosi
invece nel, per loro, imminente imeneo.
Contrariamente
alle loro aspettative, Sasuke ed io dovemmo attendere marzo prima di sposarci perlomeno
col rito civile, cioè quando finii l'anno universitario.
Durante il
colloquio coi miei professori, mentre li mettevo al corrente del mio proposito di
rimandare di un anno il proseguimento dei miei studi, potei leggerli negli
occhi la loro intima disapprovazione, nonché commiserazione, dandomi in cuor
loro della fallita. Similmente, anche altri miei conoscenti mi additarono come una
scema e una perdente, in particolare Sakura-chan e Ino-chan, ciascuna per
ragioni diverse. Come se non bastasse, la mia decisione finale di tenere il
bambino e di sposarmi con Sasuke m'aveva gravemente allontanato da mia madre e se
non in via definitiva almeno per un lungo periodo, in cui lei si rifiutò di
vedermi e di rivolgermi la parola, usando Otōsan come intermediario. Da qui la
mia scelta di trasferirmi da mio fratello fino al termine degli esami. Inutile
aggiungere come Gaara mi viziò spudoratamente per l'intera durata del mio
"squatting", avvolgendomi in seta e piume ed esaudendo instancabile
ogni mio capriccio. Al weekend Sasuke ci veniva a trovare, o meglio, a
controllare che i suoi cognati si comportassero bene con me, visto che il look
anticonformista di Gaara non gli ispirava molta fiducia circa le sue capacità
di can da guardia. Una volta marito e
moglie, Sasuke ed io vivemmo per un breve periodo da mia suocera.
Anche lì
non fu facile abbattere l'iniziale muro d'imbarazzo, che ancora sussisteva tra
Mikoto-san e me. Primo, perché levarle il suffisso di cortesia suonava alieno
alla mia lingua; secondo, in quanto lei tuttora mi rimproverava velatamente di
averle tenuta nascosta la mia gravidanza, optando inoltre per l'aborto.
Malgrado
ciò, quel periodo d'affollata convivenza a casa Uchiwa si rivelò molto utile
per me.
Grazie a
mia suocera affinai le mie doti di padrona di casa, mentre imparavo il concetto
di pazienza facendo da babysitter ai Tenmaku-kun, Saeko-chan e Kiyoaki-kun,
essendo infatti la loro madre sempre più stanca e indisposta a causa
dell'appropinquarsi della nascita del
bebè. Inoltre, la Prima Comunione di Saeko-chan equivalse per me ad
un'eccellente occasione per mettersi a studiare seriamente il Cristianesimo,
visto che avevo promesso a Maria-sama di convertirmi. Non avevo però
considerato quanto potesse essere dura la strada fino al battesimo, con nozioni
assai complicate d'assimilare, se non proprio astruse. Come le virtù teologiche
e cardinali. O i doni del Seirei-sama. O semplicemente segnarsi correttamente,
nel verso giusto, con la mano giusta e recitando nell'ordine giusto il " Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte"
[3]. E mica la scampavo facilmente:
zelante e implacabile, il prete m'interrogava ogni tot di giorni, valutando i
miei progressi e la mia determinazione di catecumena. Mi vergognai parecchio
quando gli confessai, che non avevo recitato la "Megumi afureru sei
Maria-sama",[4] quando m'ero rivolta per la prima volta alla Kami no Haha.
Gli chiesi preoccupata se si fosse offesa. "Non sapevo che ci fossero
preghiere fisse!", mi ero infatti tirata i capelli allarmata. Ridacchiando
benevolo, Padre Mori mi consolò asserendo che no, di sicuro Lei non se l'era
presa per così poco. In ogni modo, riuscii ad ottenere il battesimo, comunione
e cresima alla Vigilia di Pasqua dell'anno successivo, nel 1999. Ancora oggi
faccio però confusione su alcuni concetti, specie quelli in cui sono previste
parole latine, lingua a me assolutamente simpatica quanto un'orticaria.
Nel
frattanto, prima d'allora e tra una lezione e l'altra di teologia, legai
ulteriormente con Shisui ( fu più facile con lei rivolgermi senza onorifici), divenendo
pressoché inseparabili e coese nel tenere a bada i nostri uomini, ma soprattutto assistendola
negli ultimi mesi della gravidanza e dopo il parto: mi sentii estremamente
onorata di poter tenere per prima in braccio la piccola Sakuya-chan, una copia
in miniatura di Itachi, il quale si beccò una caterva di manate sulle spalle a
mo' di congratulazioni da ciascuno dei suoi colleghi, assieme alla
raccomandazione di sperimentare altri svaghi con sua moglie, pena l'arrivo di
un quinto pupetto. Tanta era la loro contentezza per il lieto evento, che sia
lui che Shisui parvero aver dimenticato momentaneamente l'aggressione subita da
quest'ultima, aggressione che aveva parzialmente oscurato con atroci dubbi
quasi tutto il periodo di gestazione. Sakuya-chan era del resto un vero piccolo
tenshi, una tranquilla dormigliona che dove l'appoggiavi, se ne stava serafica,
suggendo indisturbata il pollice. Inutile elencare le premure con cui la
coprivano Tenmaku-kun e Saeko-chan, contenendosela però ferocemente tra di loro
e riempiendo di conseguenza la casa coi loro strilli imbufaliti. L'unico che ne
se doleva un poco, rimanendosene in disparte, era Kiyoaki-kun, il quale si
vedeva "rubata" l'attenzione dei suoi genitori e della sua obaasan. Più
volte l'avevo scorto correre a piangere da suo zio, chiedendogli disperato se
anche lui avrebbe smesso di giocare assieme, una volta natogli il figlio.
Accarezzandogli la schiena, Sasuke lo rassicurava, consigliandogli di
pazientare.
E così
giunse infine il nostro turno di aggiungere numeri al clan: non programmato,
dapprincipio non desiderato, perseguitato da uno spirito vendicativo e da esso
quasi ucciso ma salvato per il rotto della cuffia grazie al coraggio di suo
padre, il 16 agosto 1998 nasceva il nostro primogenito, Akito-kun, o Acchan
come venne immediatamente ribattezzato dai suoi cugini, ai quali non pareva
vero di trafficare con ben due neonati. Mentre noi adulti rischiavamo un cortocircuito
per via delle esigenze dei due poppanti (al contrario di sua cugina
Sakuya-chan, Acchan strillava petulante voglio-e-pretendo peggio d'un ossesso,
tutto suo padre) quelle tre pesti sembravano trarre energia dal gioioso
bordello, che divenne ben presto casa Uchiwa.
Per fortuna,
dissipando i timori del medico che mi seguiva e dei miei familiari, non soffrii
di maternity blues. Certo, mi venne vietata ogni attività apportatrice di
stress, poiché, per coloro che non sapevano del Mizuko, doveva essere stato
proprio un grave crollo nervoso ad avermi portata a gettarmi a momenti giù dalle
scale. Non avvenne però niente di tutto questo, anzi, l'unico forse ad aver
sofferto di depressione post-parto fu il mio povero marito, completamente
schiavizzato alle mie voglie di donna gravida, e le cui gote ancora diventano
scarlatte al ricordo di come mi si ruppero le acque durante la Messa
dell'Assunzione, fatto che mi aveva portato ad urlare sconvolta fino a
trapanargli le orecchie un isterico: "Oh, Maria-sama! Sta uscendo?!",
interrompendo la funzione e concentrando l'attenzione dell'intera assemblea su
di noi. E dire che quella era la prima Messa cui partecipavo in assoluto,
passando dalla fase 1 di solitario studio teologico alla fase 2, della
partecipazione alla vita collettiva. Beh, collettivamente parlando, dodici ore
più tardi la piccola comunità s'era ritrovata un futuro Kirisutokyouto in più,
il mio adorato piccino dagli occhi ostinatamente blu, altrimenti pure lui
uguale in tutto e per tutto al suo Tou-san, perfino quando mi teneva un regale
e stizzito broncio perché aveva fame. Lo fissavo ipnotizzata e in adorazione
mentre, allattandolo, il mio figlioletto mi ricambiava altrettanto
intensamente, aprendo e schiudendo le manine tra una poppata e l'altra. Manine
che si divertivano a stringere qualsiasi cosa, dalle mie dita ai capelli di suo
zio materno, per la somma goduria di Sasuke, al quale non era affatto garbato
come Menma-nii e Gaara se la fossero quasi fatta addosso dalle risate non
appena li avevo raccontato l'aneddoto riguardante la nascita d'Acchan. Rimasi
inoltre sorpresa nello scoprire quanto quella simpatica carogna del mio niisan sapesse
dimostrarsi tenero coi bambini, che aveva sempre dichiarato di non amare
particolarmente. Molto probabilmente Acchan, sangue del suo sangue,
corrispondeva alla famosa eccezione che confermava la regola.
Ricordo
però che il momento più commuovente in assoluto, più ancora del tardivo
battesimo, fu quando presentammo Acchan per la prima volta al suo bisnonno
Hikaku. L'anziano patriarca, ormai ridotto ad un fragile foglia avvizzita, era
relegato da tempo in sedia a rotelle, uscendo purtroppo raramente di casa.
Tuttavia, i suoi occhi velati s'illuminarono di una gioia indescrivibile alla
vista dei suoi bisnipoti appoggiatigli accanto sul tatami. Il suo dito ossuto e
distorto dall'artrosi sfiorò appena in segno di benedizione la fronte prima di
Sakuya-chan e in seguito di Acchan, ringraziando tra sé e sé Kami-sama per aver
vissuto abbastanza a lungo da assistere alla rinascita della sua famiglia, dopo
lo sfacelo della Seconda Guerra Mondiale. Sapeva che oramai gli rimaneva poco
tempo, ciononostante aveva sempre avuto fiducia in quella "promessa",
che tanto m'aveva turbata a febbraio. Hikaku-ojiisan ringraziò sia Shisui che
me per l'impegno presoci come madri, ritirandosi poi a pregare dinanzi
all'altare di famiglia, là dove oramai trascorreva la maggior parte delle sue
giornate. Il nonno non visse a lungo, purtroppo: se ne andò sereno,
addormentandosi, assistito dalla nuora. A onor del vero, un pronto ricovero
avrebbe ipoteticamente posticipato la sua dipartita, ma l'anziano patriarca
stesso s'era opposto, intimando ad Itachi e a Sasuke d'assisterlo in veste di
nipoti e non di medici. Hikaku-ojiisan ci lasciò l'ultima raccomandazione di
vivere senza rancori né invidie, di perdonare noi stessi e gli altri e al
contempo d'imparare dai nostri errori, senza aver timore d'ammetterli. "Siamo
umani, perciò destinati all'errore. Ma questo non significa che siamo indegni
di perdono", ci disse, guardando in particolare Sasuke e la sottoscritta,
neanche avesse indovinato quanto avvenuto tra noi due.
La morte
del nonno segnò la fine della nostra permanenza nella casa natale di Sasuke.
Infatti, benché a priori il benvenuto, mio marito considerava inappropriato
condividere la medesima abitazione del fratello, la cui famiglia necessitava
dei suoi spazi ma soprattutto, era giunto il momento di stabilirci in via
definitiva e di vivere indipendentemente. Sicché, quando Acchan compì un anno,
m'impegnai a riprendere con vigore gli studi interrotti, laureandomi con buoni
risultati. Dopodiché, Sasuke poté contattare il direttore dell'ospedale di
Kyōto, accettando la sua offerta di trasferirsi nel suo dipartimento.
A Kyōto
nessuno ci conosceva, offrendoci una concreta occasione per ricominciare da
zero. Niente gossip, niente ripicche, disinteresse totale per la nostra vita
privata, l'ideale per lasciarci il passato alle spalle. Comprammo dunque la
nostra casa, stringemmo nuove amicizie e scoprii di possedere un certo talento
per il giornalismo, in particolare per le rubriche letterarie, nuovo interesse
che mi spinse ad approfondire all'università di Kyōto le mie - lo ammetto -
confuse e raffazzonate idee sul quinto potere. Credo che sconvolsi parecchia
gente, i miei professori in primis, alla prima lezione, quando portai con me
Acchan in aula. Li mandai allegramente a
quel paese, non appena m'intimarono di assumere una babysitter, se in casa non
c'era nessuno a vegliarlo. O di aspettare che Acchan andasse all'asilo, prima
di ritornare all'università. Meno male che il direttore della rivista per la
quale tuttora lavoro era di vedute meno rigide, permettendomi spesso di scrivere
in santa pace a casa. Il mio obiettivo,
oltre che a dare un senso di relativa realizzazione alla mia vita, consisteva
nel sollevare dalle spalle di Sasuke l'intero peso finanziario della casa;
conoscevo la sua ambizione di divenire il futuro primario del dipartimento di
oftalmologia, ciononostante non desideravo che mi schiattasse sul lavoro, onde
realizzare quanto prima questo suo progetto. In quel caso, altro che
compiangerlo, avrei sputato sulla sua tomba!
Eh ...
Certo,
riguardando indietro, talvolta rimpiango
di non aver conseguito il mio sogno di divenire professoressa
universitaria. Ma non per questo mi do - né permetto ad altri di farlo - della
fallita. Rimpiangere progetti mai implementati è normale, chi non se ne lamenta
almeno tre volte al giorno? Affermare però che mi sia rovinata la vita? Esagerato
e di poco gusto.
Ho
dirottato altrove il mio destino, acquisendo e smarrendo durante questa
inaspettata sterzata familiari, amici, conoscenti, cose e occasioni. Il
bilancio finale rimane comunque identico, ovvero che alla fine sono
genuinamente contenta e soddisfatta di ciò che possiedo: mio figlio, mio
marito, la mia casa e il mio lavoro, tutti componenti di un unico grande
mosaico, di cui difficilmente di stancherò d'apprezzare.
E forse potrei
terminare qui il mio racconto.
Potrei
terminare asserendo che solo rischiando di perdere le persone che m'amavano sul
serio ho scoperto, quanto esse fossero importanti per me, aiutandomi ad uscire
dal mio guscio d'ottusa cecità e imparando a confrontarmi con chiunque volesse
offrirmi la sua opinione, serbando però l'ultima parola. Divenendo sul serio
una persona adulta, padrona del mio destino e pronta ad accoglierne
serenamente, con responsabilità, il brutto e il bello.
Potrei sì, potrei
davvero concludere così.
Ma non lo
farò.
Infatti,
c'è ancora qualcosa che debbo spiegarvi, prima di congedarci definitivamente.
Il Mizuko.
Se
quest'anno il mio Akito-kun festeggia il suo sesto compleanno, è anche merito
suo. Mi pare quindi giusto lasciargli l'ultima parola e poi ...
E poi
basta, finalmente.
Next chapter, the epilogue ...
**********************************************************************************************************
E meno uno alla conclusione di questa storia!
L'intermezzo iniziale è stata un'aggiunta un po'
last-minute, diciamo per creare una circolarità nella relazione tra Naruko e
Sasuke, ma soprattutto per descrivere meglio il loro rapporto. Ma in sostanza,
l'intero capitolo è stato impostato con un tono sereno, giacché Naruko ha ormai
preso la sua decisione e tutti in coro ci aggiungiamo al "Era dannatamente
ora!"
Ma il Mizuko ritornerà, promesso ... ehehheheheh ...
Il brutto dei finali, è che vorresti scrivere ancora di
più, dire tutto dei personaggi. Ormai, ci stiamo staccando da loro e mi
dispiace, questa allegra famiglia m'era tanto simpatica!
E parlando di famiglia!
Se avete notato l'assenza di Minato e Kushina, è cosa
voluta: ho deciso di lasciare loro posto all'epilogo, così come più spazio
verrà dato a Tobirama & Co.
Inoltre, mi sono rifiutata per amore della musicalità di
chiamare il figlio di Sasuke e Naruko come uno dei loro canonici. Sorry, non
accettiamo lamentele.
Piuttosto, il mio è un piccolo omaggio al personaggio
d'Akito Hayama, il protagonista maschile de "Il giocattolo dei
bambini", o "Rossana"; il mio primo manga. Diciamo che i due
sono accomunati da una storia gestazionale piuttosto movimentata, ecco!
Bien, spero di non aver dimenticato niente!
Per eventuali dubbi e curiosità, contattatemi pure via pm! ^^
Ci si vede all'epilogo, ciao!
Un po' di noticine:
[1] Bodhisattva = "Creatura illuminata"
[2] Elmetto rosa = parola gergale per "femminista". In
Giappone, infatti, le femministe, durante le loro manifestazioni, erano solite
indossare un elmetto rosa.
[3] Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte = Nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo
[4]
Megumi afureru sei Maria-sama / Kami no Haha= Ave Maria / Madre di Dio.