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Autore: Iurin    29/04/2015    6 recensioni
La guerra è finita. Voldemort è morto, i defunti vengono sepolti, i feriti vengono curati.
E, a differenza di quanto accade nel settimo libro, Piton sopravvive.
Però è stato comunque morso da Nagini, quindi non se la passa per niente bene, infatti deve essere costantemente seguito da una guaritrice, Serena O'Dampand, che andrà a stabilirsi a Spinner's End insieme al professore.
E Piton, ovviamente, non ne è affatto contento. Ma tanto non sembra soddisfatto di niente, ormai: a cosa gli serve vivere?
Questa storia narra la riabilitazione di Piton, i suoi pensieri, la sua malattia. E chissà che lui non guarisca davvero - da tutto, però.

______
«Basta. La tua vita si è conclusa alla Stamberga Strillante. Quello che vivresti d’ora in poi sarebbe solo un… riflesso. Un fantasticare costantemente – e penosamente – su quello che avrebbe potuto essere e che invece non sarà mai.» (Cap. 3)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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Capitolo Venti
 
 
Sono passati giorni. Anzi, intere settimane. Quattro, cinque, sei… alla fine hai totalmente perso il conto. Settimane durante le quali, ovviamente, non hai potuto mettere neanche un piede fuori dalla porta di casa.
Eppure, ad essere preciso, in realtà sei uscito, qualche volta. È stata un’idea di O’Dampand.
“Sa cosa?” ti ha detto, guardandoti e rimanendo in piedi, mentre tu eri seduto sul divano a… far nulla, fondamentalmente. “Ho proposto al professor Sherman di richiedere al Ministero un permesso per delle visite in ospedale.”
“Come, prego? Quando gliel’avrebbe chiesto?”
“L’ultima volta che è stato qui per visitarla, prima che uscisse di casa. Lei era ancora in camera.”
“E mettermene a conoscenza lo reputava un gesto troppo insensato, per una mente brillante come la sua? Deve sempre fare così, lei.”
“Volevo fosse… una sorta di sorpresa, se così si può chiamare. È appena arrivato il modulo, e…”
“No, così non si può chiamare. Lei ha semplicemente voluto agire di testa sua, come sempre.”
“Invece lei, da quando deve stare per forza in casa, non fa che diventare sempre più scontroso!”
“Io sono scontroso. E poi non uscivo neanche prima. Perché adesso dovrebbe essere diverso, mh?”
“Perché prima era lei che decideva di rimanersene chiuso qui, adesso gliel’hanno imposto. E la cosa la sta facendo uscire di testa.”
“O’Dampand, non si permetta di—”
Lei ti ha interrotto, ma non con le parole: semplicemente si è messa una mano in tasca e ne ha tirato fuori un foglio di pergamena piegato in quattro, piuttosto spiegazzato. Te l’ha bruscamente tirato addosso, ed è stato questo a farti smettere di parlare.
E anche il fatto che lei se ne sia andata nell’istante immediatamente successivo, devi ammetterlo.
All’inizio non è stato difficile abituarti agli arresti domiciliari: come ti eri già detto, sei una persona piuttosto sedentaria, piuttosto… casalinga, se così ti puoi definire senza troppo strane accezioni.
Non sai cosa è scattato nella tua testa, però. Da un giorno all’altro, dal momento in cui ti sei svegliato, una mattina, hai sentito le pareti della casa farsi… più strette. Più ingombranti. Come se ti risucchiassero l’aria. Scempiaggini - ti sei detto - le pareti di certo non respirano e nulla era cambiato dalla sera precedente.
Eppure quella fastidiosa sensazione continuava ad essere presente, tanto che una volta ti sei sentito costretto ad allargare il colletto del tuo maglione con un dito. E no, non ce n’era bisogno, non indossavi la veste da mago e sicuramente, se fosse stato troppo stretto, lo avresti percepito per il fastidio che avrebbe causato alle tue ferite.
Quindi no. Era una sensazione tanto spiacevole quanto puramente… irrazionale. Te ne sei reso conto da solo.
Ma non hai subito attribuito tutto ciò al dover rimanere in casa. Stare al chiuso non ti dà fastidio. Mai te ne ha dato e mai te ne darà, ne sei certo: a Hogwarts passavi la maggior parte del tempo nel tuo ufficio o nelle tue stanze; a Spinner’s End prediligevi il salotto, ma il concetto rimane praticamente il medesimo; perché a casa di O’Dampand dovrebbe essere diverso?
Perché ora?
Forse in realtà la risposta la conoscevi, e forse era la stessa che anche O’Dampand ti ha sciorinato con tanta semplicità, come se tutto fosse così ovvio.
Beh, non è ovvio per nulla.
Come conseguenza sei sì diventato scontroso - o meglio: più scontroso. Come se il processo non ci fosse mai stato, come se ancora tu fossi oppresso da quell’ansia tanto lieve quanto subdola. Ecco: oppresso, è questa la parola. Schiacciato.
E O’Dampand è stata la naturale destinataria del tuo improvviso mutamento. E se lei, all’inizio, avrebbe anche potuto spiegare i tuoi commenti troppo pungenti come un ‘essersi alzato dal letto con il piede sbagliato’ - che battuta triste, tra l’altro - dopo una settimana non ha potuto più darsi una simile… giustificazione.
Che poi… Non devi nulla a nessuno, men che meno giustificazioni. È stata solo una mera scelta lessicale.
Il traballante equilibrio della vostra… convivenza è venuto meno più e più volte, in quel periodo.
Nonostante tutto lì eri comunque, a discutere sulla discutibile quanto spontanea iniziativa di O’Dampand.
Il triste gioco di parole serve proprio a rimarcare la tristezza di tutta la questione.
Anche se, in effetti, ben poco c’era da aggiungere al tutto, dato che O’Dampand se n’era appena andata, stizzita.
Quella ragazza cerca sempre di fare la superiore, quella che non se la prende mai, quella che risponde sempre a tono, e poi, invece, è permalosa come tutte le donne.
I geni femminili saranno anche caratterizzati da una maggiore sensibilità - perlomeno nella maggior parte dei casi - ma con loro portano l’impossibilità per gli uomini di poter essere completamente schietti e privi di freno, pena l’eterno femmineo rancore.
Comunque.
Discussione chiusa per cause di forza maggiore - ovvero il fatto che O’Dampand si muovesse ancora più velocemente di te; ma poco importava, perché O’Dampand il modulo appositamente richiesto, compilato e firmato da Sherman, nonché approvato con tanto di timbro dal Ministero… lei l’aveva ricevuto lo stesso.
Per questo, qualche giorno dopo, invece di attendere l’arrivo di Sherman comodamente seduto sul divano, ti sei dovuto preparare - sia fisicamente che psicologicamente - per uscire e dirigervi al San Mungo. Mann, ovviamente, è stato costretto a venire con voi.
“Tutto ciò è un enorme controsenso e basta,” hai commentato, in ogni caso, prima dell’arrivo dell’Auror.
“Che lei esca nonostante si sia impuntato di non farlo? Forse,” ha risposto O’Dampand, seduta sull’altro divano.
No. A quello sono semplicemente costretto,” hai ribattuto, “mi riferisco a io che esco, sì, quando non dovrei. E soprattutto mi riferisco al fatto che ci stiamo dirigendo al San Mungo quando, tempo fa, avevamo appurato che non fosse abbastanza sicuro farlo.”
“E’ perché lei non vuole leggere i giornali.” È vero, non vuoi. Le continue notizie sul dopoguerra ti hanno stancato presto - non perché poco importanti, ma perché di guerra hai sentito parlare a sufficienza. “I… Mangiamorte che ancora si nascondevano sono stati catturati. Quasi tutti, perlomeno. I rimanenti non la attaccheranno, paura come hanno di uscire allo scoperto e… beh, il signor Mann ci accompagna, no?”
“Ah, se ci-- mi affido al signor Mann in qualità di guardia del corpo, sono molto più tranquillo. Crede che mi spingerà tra le braccia dell’eventuale aggressore di peso o che, semplicemente, farà finta di difendermi - senza riuscirci?”
“Oh, la smetta, signor Piton. Lo sa anche lei che il signor Mann è abile nel suo lavoro. Altrimenti non gli avrebbero assegnato quest’incarico, no?”
“Secondo lei chiunque ha a che fare con me deve essere un esperto nel proprio campo. Prima lei stessa, poi Mann. Deve considerarmi proprio l’apoteosi della sfida professionale, O’Dampand. Non so se considerarlo un insulto o un complimento.”
O’Dampand ti ha guardato, rimanendo in silenzio e sbattendo le palpebre un numero di volte più elevato di quello che - supponi - sarebbe stato umanamente necessario.
“E’ solo…” risponde, allora, “E’ solo... beh, non volevo di certo insultarla!”
“Ne è fermamente convinta?”
“Ma perché, qualsiasi cosa io faccia o dica, secondo lei deve sempre essere a suo discapito?”
“Forza della consuetudine, O’Dampand. L’ho sempre detto, io, di essere un uomo piuttosto abitudinario.”
O’Dampand ha fatto per ribattere, e sei sicuro che la vostra conversazione sarebbe potuta durare anche all’infinito, ma, proprio in quel momento, è arrivato Mann.
Il caro signor Mann, l’Auror esperto e sprezzante del pericolo.
Certo.
No, ‘approfondire’ la conoscenza con Mann non te l’ha reso più gradito, sei sicuro che anche un imbecille se ne accorgerebbe.
O’Dampand, invece, non sembra della stessa opinione: dopo il processo neanche lei nutriva una gran simpatia nei confronti di Mann, l’atteggiamento freddo e distaccato che assumeva quando c’era lui assomigliava spesso e volentieri proprio al tuo. Poi, però, lui ha cominciato a portavi la colazione, dato che doveva passare tutte le mattine.
Chi è che ha detto che sono gli uomini quelli che è facile prendere per la gola? Di sicuro non conosceva O’Dampand.
Poi sua moglie è rimasta incinta e solo Salazar sa a quali discorsi tra lui e O’Dampand hai dovuto assistere. O ascoltare da lontano.
Prendervi parte? Neanche per sogno. Più volte hai avuto l’istinto di strozzarti con le tue stesse mani, ma hai preferito, pensandoci più razionalmente, posticipare la tua data di morte. Specie dopo tutto quello che hai passato.
Alla fine O’Dampand ha cominciato a chiamare Mann semplicemente ‘Artorius’, anche mentre parlava con te. Non sai esattamente che faccia hai fatto tu, a sentirlo chiamare per nome come se fosse diventato qualcuno degno di nota, ma, da quel momento in poi, O’Dampand ha ricominciato a chiamarlo ‘signor Mann’. Davanti a te, perlomeno.
No, decisamente non ti è ancora simpatico.
Ma tornando al punto.
Modulo-Sherman-Ministero-Mann-Fuori di casa.
Ti sei ritrovato fuori casa, di mattina, sotto un cielo che ormai possiede tutte le sfumature dell’inverno.
Il sentire un leggero venticello che ti pizzica le guance e il naso ti è quasi sembrato… strano, all’inizio. Ti ha dato fastidio, ma ti sei coperto meglio con la sciarpa, senza dire nulla.
 
Il fatto che siate stati accompagnati da Mann, perlomeno, ha fatto sì che abbiate potuto usare un’entrata secondaria del San Mungo. Nessun incantesimo di Disillusione è stato necessario. Siete passati attraverso corridoi praticamente deserti, avete salito una rampa di scale - lentamente, come il tuo corpo ti ha imposto - e vi siete ritrovati direttamente al primo piano del San Mungo, proprio vicino all’ascensore, che, fortunatamente, in quel momento era anche vuoto. Così siete arrivati al Reparto Janus Thickey praticamente senza che nessuno si accorgesse della vostra presenza.
“Ora che si fa, solitamente?” ha chiesto, dunque, Mann.
“Adesso andiamo a cercare il professor Sherman,” ha risposto O’Dampand.
“Sperando che sia semplicemente nel suo ufficio,” hai commentato tu, “Farei decisamente a meno di un’improvvisata caccia al tesoro.”
“Volete che vada a cercarlo io, mentre voi aspettate qui?”
No,” tu e Mann avete risposto in sincrono.
Così vi siete incamminati tutti e tre assieme. Avete imboccato il corridoio che conduce all’insolito ufficio di Sherman, quando, però, qualcosa ve lo ha impedito: una voce, proveniente proprio da dietro le vostre spalle:
“Ehi, ehi, voi.” Vi siete girati e hai visto Witherington camminare verso di voi e raggiungervi con lunghe falcate - un po’ come, un tempo, avresti fatto tu. “Siete arrivati in anticipo, stavo scendendo per venirvi a prendere.”
“Forse un pochino in anticipo, sì,” ha confermato Mann.
“Ma come vede, Witherington, siamo riusciti a trovare comunque la strada,” hai aggiunto tu, “Lo so che in realtà sperava che ci perdessimo e che rimanessimo intrappolati in qualche reparto abbandonato.”
“E rischiare che lei muoia e che cominci a perseguitarmi sottoforma di fantasma? No, grazie. Comunque salve anche a lei, signor Piton.”
“Witherington, ha quasi fatto una battuta degna di nota, per quanto semplicistica. Potrei commuovermi.”
“Oh, no, non credo che lei ne sia semplicemente capace.”
Ara assodato: Witherington si stava allenando per avere la risposta pronta. L’hai immaginato fare le prove di fronte a uno specchio. Disarmante.
“Grazie della considerazione…” aggiunge allora O’Dampand, al che l’assistente di Sherman si rivolge direttamente a lei, come se davvero si fosse accorto di lei solo in quel momento.
“Oh, sì, giusto… Ciao, Serena. Allora,” ha aggiunto quasi subito, “il professor Sherman è in laboratorio, ci starà aspettando, per cui conviene andare.”
Detto fatto: vi muovete tutti quanti, seguendo Witherington.
Naturalmente con ‘laboratorio’ si stava riferendo alla stanza in cui sei stato visitato più di una volta.
Così vi siete diretti lì, lungo il corridoio. Camminando sei passato di fronte alla camera che hai occupato per qualche tempo; una volta davanti alla porta, hai sentito un vociare, che sicuramente proveniva da una radio, e anche due altre voci, più vicine, più vive e vere: quella del Vecchio e quella dell’Altro. Ma non ti fermi, non entri nella camera, continui a camminare.
Così come questa, da quel momento in poi ogni visita medica l’hai potuta effettuare direttamente al San Mungo. Ma la tua ‘ora d’aria’ non ti era concessa ogni due settimane, come nei mesi passati, ma ogni quattro. D’altronde la tua situazione era… migliorata.
Dovevi ammetterlo.
Durante una di queste visite hai anche incontrato il solito esuberante e pazzo Allock, che è riuscito finalmente a rifilarti una sua foto autografata.
Salazar.
Ma almeno, una volta fuori dal San Mungo, l’hai gettata nel primo bidone della spazzatura disponibile.
“Perché l’ha fatto?” ti ha chiesto Mann.
“Perché non mi interessa e non sono un accumulatore,” hai risposto.
 
Sono passati giorni, durante i quali, stranamente, le cose sono andate… meglio. O, comunque, non sembrava che fossi infuriato con il mondo come nei giorni addietro.
Infuriato con il mondo. Espressione un po’ troppo enfatizzata, probabilmente, ma funziona bene per esprimere il concetto.
Così i tuoi commenti - piano, non tutti assieme, naturalmente - sono diventati via via meno acidi; tu stesso sei diventato meno acido. Se non altro, lo sembri.
Perché sì, tu lo sai di avere un caratteraccio. A volte le persone si comportano in una determinata maniera senza rendersene conto, pensando che il loro atteggiamento sia normale e ‘buono’. O qualsiasi altro aggettivo che potrebbe essere usato per esprimere incoscienza e finte buone intenzioni.
Non che il tuo atteggiamento non sia normale, in realtà: sarebbe anormale se tu ti mettessi a spargere petali di rosa, ma questo ancora non accade, per cui - sì - sei normale.
Eppure ti rendi conto che i tuoi commenti hanno sempre - o, comunque, la maggior parte delle volte - fatto imbestialire il prossimo, e - devi ammetterlo - la cosa ti ha sempre divertito enormemente. Persino quando tali commenti erano rivolti ai tuoi stessi studenti. Oh, lì il divertimento era infinito. La tua soddisfazione era - è ancora, forse - direttamente proporzionale all’arrabbiatura e al dispiacere altrui. Ed era anche meglio, con i tuoi studenti, perché, essendo tu un superiore, non potevano ribattere come avrebbe fatto un tuo pari. E se ci provavano: punizioni e punti in meno.
Pensandoci a mente lucida e anche solo appena distaccata, dovresti considerarti un sadico. Godi nello sminuire gli altri.
Mh.
Potrebbe anche darsi e, se non come sadico, chi era intorno a te ti ha appellato con altri pseudo-sinonimi non troppo amichevoli, ma, d’altronde, non ribattevi mai. Al massimo contrattaccavi, ma non ti preoccupavi di smentire. Sai che chi ti definisce un ‘bastardo’ ha ragione nell’ottanta per cento dei casi.
Perché non cambiare, dunque, si chiederebbe qualcuno?
E perché farlo, invece, ribatti tu?
Dal tuo punto di vista, in fin dei conti, anche il tuo è un comportamento prettamente normale. Te la prendi con chi non è degno della tua stima. Perché fingere di apprezzare una persona assumendo atteggiamenti gentili e finti quando invece non è assolutamente così? Se stimi una persona, se le sei… affezionato, riservarle appellativi poco lusinghieri può capitare quando sei arrabbiato - cosa che fanno tutti, che nessuno venga a dire il contrario - ma per il resto… tratti quella persona in maniera del tutto rispettabile. Al massimo la prendi ‘bonariamente’ in giro. Sempre secondo il tuo personale senso dell’umorismo, ma le intenzioni non sono nocive o sadiche, no di certo.
Quindi, in realtà, si può dire che tu sia più sincero di tante altre persone.
Già, sincero. Non parli alle spalle della gente come fanno tanti; se hai qualcosa da dire, la dici semplicemente.
… Non sempre, non quando la cosa da dire è… troppo positiva, ma questo lo sai solo tu.
Dovrebbero apprezzarti, in fin dei conti, invece che darti costantemente del bastardo.
Ebbene… tutto ciò per dire che, nei giorni seguenti, le cose sono parse andare un po’ meglio. Quando parlavi, dalla tua bocca non uscivano soltanto cattiverie: neanche tanti complimenti, questo sia chiaro, ma perlomeno riuscivi di nuovo a portare avanti una normale - a modo tuo - conversazione.
Più precisamente, durante una di queste giornate, vi trovavate, tu e O’Dampand, nella sua cucina, seduti attorno al suo tavolo; a mangiare - a fare cos’altro, altrimenti?
Sì, era lo stesso tavolo su cui ti sei ritrovato a meditare settimane prima, quando ti sei trasferito in quell’appartamento - sono passate settimane, per Salazar. Quello stesso tavolo pieno di tagli e taglietti, dei quali ancora non avevi chiesto spiegazione. Non che ti fosse dovuta, questo è ovvio, ma, come si dice anche tra i Babbani, ‘domandare è lecito’.
“E rispondere è cortesia,” ti sei detto a mente, facendoti presente che, appellandoti a questo detto, a molte domande non avevi risposto tu stesso.
“O’Dampand,” hai cominciato, dunque, interrompendo il breve, momentaneo silenzio.
Lei ha alzato la testa dal suo piatto di carne, guardandoti con la sua solita espressione di attesa.
“Mi dica.”
Non ti sei potuto esimere dal fare uno dei tuoi commenti, ma stavolta non avevi l’intento sadico che ti contraddistingue. Probabilmente è la forza dell’abitudine.
“Ci sono delle strane specie di tarli, in casa sua, o lei tende a lasciare la sua mobilia succube del deterioramento del tempo, solitamente?”
Lei ha sbattuto un paio di volte le palpebre, evidentemente senza capire. Così tu hai puntato un dito sul tavolo, in particolare su uno dei tanti tagli presenti sulla superficie.
“Cosa è successo a questo povero tavolo?” hai chiesto direttamente.
“Oh, è vero,” ha risposto, allora, “Strano che lei non me l’abbia chiesto prima, in effetti.”
“Ho avuto… altro a cui pensare.”
“Giustissimo,” ha annuito, “Beh, c’è poco da dire, in realtà. Il mio ex era un fanatico dei coltelli.”
“Il suo ex…?” ti è venuto da dire, ma poi un’altra parola ha attirato  la tua attenzione: “Coltelli?”
O’Dampand ha annuito come fosse la cosa più naturale del mondo.
“Un suo hobby, diciamo. E il tavolo era suo, così, fondamentalmente, lo usava per farci un po’ quello che voleva.”
“Le piaceva proprio questo tavolo, eh…” hai osservato, ironicamente, ma O’Dampand ha preferito continuare la propria frase:
“Quando lui poi se n’è andato, il tavolo mi è rimasto.”
“E non ha pensato a… disfarsene? Se lo tiene per ricordo o cosa?”
“Me lo tengo perché è un bel tavolo di legno massiccio. Mi sono abituata a tutti questi sfregi. Sono imperfezioni che non lo rendono brutto, in fin dei conti.”
Quando lei ti ha parlato del tavolo, dei graffi e del suo ex fidanzato barbaramente appassionato nel lancio dei coltelli – o quasi – sei rimasto perplesso. In primo luogo per il fatto che O’Dampand avesse avuto una relazione con una persona, che, anche solo per quel poco che ne sai, deve per forza essere stata molto diversa da lei. E poi perché, a pensarci, ti sei reso conto che di lei sai veramente poco.
Hai saputo del fatto che lei avesse qualche amico solo quando ci hai sbattuto il naso contro – quasi letteralmente parlando; e ora il fatto che lei fosse fidanzata, che addirittura convivesse… ne sei venuto a conoscenza praticamente per caso.
Quando poco sai di quella giovane donna?
Oh, ti ricordi che ti ha detto che sua madre è stata Corvonero, a Hogwarts, e che lei, invece, non ha frequentato nessuna scuola magica. Ma ha fratelli o sorelle? E suo padre? Perché i suoi genitori non sono mai venuti a trovarla? È per il fatto che sarebbero costretti a incrociarsi con te? Perché non si sono mai scritti? Perché O’Dampand non scrive mai nulla a nessuno?
Perché vive costantemente nel suo bozzolo?
In questo ti assomiglia, te ne sei reso conto con un lieve moto di sorpresa.
Sì, sai molto poco di lei, non conosci il suo passato, il suo futuro, quali sono i suoi dubbi, se ha passato esperienze traumatizzanti, se ha ancora dei sogni o se li ha mai avuti, se lavorare per il San Mungo era la sua massima aspirazione o se invece no. Non sai nulla neanche del suo presente, a parte ciò che concerne te stesso. Pare quasi che il suo presente sia tu e basta, in questo preciso momento della sua vita.
Forse fa così con tutti i pazienti. Forse, ogni volta, si dedica completamente a loro per non trascurarli. Oh, la dedizione è encomiabile, nel lavoro, fin quando non diventa un’ossessione. Ma ancora per O’Dampand non lo è, sebbene, sì… sembra non fare altro, nella vita.
Dovresti porle qualche domanda? Dovresti smettere di essere l’uomo burbero – o troppo burbero – di sempre e iniziare una civile conversazione che non duri più di un minuto e mezzo scarso e farle qualche domanda su di lei?
Ma perché dovresti farlo, invece? Sei davvero così curioso? Non puoi vivere, per caso, senza sapere che diamine di vita abbia O’Dampand?
No, ovvio che puoi vivere anche senza. Così come sai che la tua curiosità in merito non sia neanche così enorme. Forse è la noia. Forse è il voler cercare una nuova materia di studio, ora che le pozioni sembrano così lontane.
Sì, di lei sai molto poco. Eppure… Eppure l’essertene reso conto, stranamente, non ha intaccato quella fiducia che sei riuscito a costruirti nei suoi confronti.
Sì, ti fidi di O’Dampand, lo sai da tempo, è inutile rimarcarlo o dirlo addirittura a lei in maniera anche solo vagamente esplicita, perché sai che anche lei, ormai, l’ha capito. Anche perché, altrimenti, di sicuro non l’avresti tenuta accanto a te, per assisterti, tutto questo tempo. L’avresti mandata via quando avresti potuto, quando l’avevi ritenuto opportuno, quando ti aveva fatto saltare prepotentemente i nervi, cosa che è accaduta in più di un’occasione.
Sul momento ti eri detto che acconsentivi a non fare alcun reclamo al San Mungo solo perché ti avrebbero, poi, mandato qualcun altro. E non eri sicuro che questo qualcun altro sarebbe stato meglio di O’Dampand.
Adesso ti rendi conto che anche se battibeccate, in fondo hai fatto bene a non lamentarti con il professor Sherman o con Witherington – che, di sicuro, sarebbe stato assai felice di ascoltare tale lamentela, anche se questo avrebbe voluto dire darti retta.
No, di O’Dampand non sai molto, sai poco e niente.
Ma capisci di saperne quanto basta.
E anche lei, in fin dei conti, sembra… fidarsi di te. Non sai se ‘fiducia’ possa essere la parola giusta, se usata nei tuoi confronti, ma…  Perlomeno, a quanto sembra, non ha mai temuto che tu potessi ucciderla nel sonno, neanche ora che hai riacquisito la facoltà di camminare, in un modo o nell’altro.
Non ha messo barriere, non noti timore nel suo sguardo verde chiaro.
A dire il vero, non ti ha neanche chiesto nulla. Dopo il processo, intendi.
Non ti ha fatto domande su Lily – supponeva che le saresti saltato al collo, in caso? – né su tutto il resto. Neanche sul fatto che non sei mai stato un Mangiamorte…
Ah, ma perché ti fai queste domande, in fondo? Lei già sapeva. Sherman – a cui, a sua volta, aveva bene o male detto tutto Potter – gliel’aveva raccontato, ai tempi. Lei stessa te l’ha confermato proprio nell’Aula Dieci. Se avesse dovuto o voluto chiederti qualcosa, l’avrebbe già fatto mesi e mesi prima. Se non l’ha fatto allora, non lo farà di certo adesso.
Difatti così è stato, nessuna domanda, nessun commento. Il processo è servito solo a darle conferma di quanto già conosceva, quale parere avrebbe mai dovuto esprimere? L’esito dello stesso avrebbe potuto farle dire, al massimo: ‘Signor Piton, accidenti, e io che pensavo di liberarmi prima di lei, invece adesso devo addirittura averla obbligatoriamente in casa.’.
Sì, avrebbe potuto, ma non l’ha fatto, e a te va bene così.
… Il che è anche strano – che non abbia espresso tale pensiero, non che a te stia bene così – dato il modo in cui hai preso a trattarla un paio di settimane dopo la tua ‘visita’ al Ministero.
Ah, beh. Dettagli. Non stai ammettendo niente.
Forse ciò che le ha dato quel motivo in più – o quell’unico motivo, non puoi saperlo – per non mandarti al diavolo è che… ebbene, forse è il fatto che, fisicamente parlando, l’ansia sia andata via, forse è il fatto che hai cominciato a fare più ‘attività motoria’ – per quanto il semplice camminare possa essere considerato tale – ma comunque… E’ un fatto che la pozione quotidiana sembra continuare a sortire i suoi effetti.
Beh, non ‘sembra’, a dirla tutta, perché i suoi effetti li ha concretamente sortiti. Non cammini più come un fenomeno da baraccone, adesso. Sì, perché tutta la parte della gamba destra che era rimasta bloccata – dal ginocchio fino all’anca – ha finalmente deciso di darsi una svegliata. E non solo per modo di dire.
“Può smettere di usare la stampella, allora, che ne dice?” ha proposto O’Dampand, suggerimento che tu hai accolto con piacere.
Per cui hai cominciato a camminare con le tue sole gambe, e… Salazar. Ti sei sentito uno stupido a provare una tale sensazione. L’attorcigliamento di budella, il formicolio allo stomaco e tutte quelle altre stupidaggini che di solito si provano quando… Ah, non riesci neanche a dirlo tra te e te. Tutte cose che hai cominciato a sentire non appena ti sei reso conto che – sì – le tue gambe funzionano, e forse anche il braccio si sveglierà, prima o poi, ma – per Merlino – riesci a camminare come prima, e...
All’inizio i tuoi passi erano incerti, come se dovessi imparare nuovamente come si fa, ma è stata solo questione di pochi trascurabili minuti.
Sei stato… contento. Puoi dirlo. O puoi limitarti a pensarlo, ma sì, lo sei stato.
Il problema si è presentato dopo qualche ora.
Eri, infatti, in piedi, nel salotto, a guardare fuori dalla finestra, giù in strada, ed era come se non ti fossi mai sentito più alto di così, a guardarti in giro. Schiena dritta, mani intrecciate dietro di essa – non hai fatto naturalmente vedere a O’Dampand come hai fatto per portare anche il braccio paralitico in quella posizione, ovvio.
Ti senti tu.
O’Dampand era da qualche altra parte a fare chissà cosa, ma non ci stavi neanche pensando, sul momento.
Poi ti sei mosso, di poco, senza fare un salto o chissà cosa, non ce n’era bisogno e non sei una ragazzina che saltella in giro, hai semplicemente fatto un passo. Ecco, forse due. Hai compiuto due passi girandoti verso destra, hai solamente messo un piede davanti all’altro. E poi il ginocchio ti ha ceduto.
Ritrovarsi di colpo a terra quando non si erano avuti sentori di doverci finire è leggermente scioccante, all’inizio. Quando si inciampa, perlomeno, si intuisce, nella frazione di secondo successiva, che si finirà a terra. Se non si è inciampati, se non si è presa una storta, se non si è scivolati o qualsiasi altra cosa, quando poi si vede il pavimento di fronte al proprio naso si rimane quantomeno perplessi, tanto che all’inizio neanche si sente il dolore provocato dalla caduta stessa.
O’Dampand è arrivata, chiedendo ad alta voce cosa fosse successo, proprio mentre tu ti stavi rialzando da terra aggrappandoti con la mano sinistra al davanzale della finestra.
“E’ abbastanza evidente, O’Dampand,” hai risposto, rimettendoti in piedi ma senza poggiare sulla gamba incriminata, “sono caduto.”
“Come ha fatto?”
“Bella domanda.”
“Ehm… Signor Piton.”
“Sì.”
“Le sta uscendo del sangue dal naso.”
Ti sei portato la mano al naso, allora, toccandoti appena la parte sottostante le narici e sì, hai sentito qualcosa di bagnato. Quando ti sei guardato il dito, l’hai trovato cosparso di rosso. E dire che neanche senti tanto male.
“Beh, lei è una guaritrice o cosa?” hai detto tu, ma senza cattiveria.
Siete subito giunti a una conclusione plausibile: la gamba è guarita, questo è palese, anche seduto sul divano riesci a muoverla perfettamente. Ma non devi affaticarti, tutto lì. Non puoi stare troppo tempo in piedi.
Temevi di peggio, ma non hai potuto evitare di fare una smorfia. È sempre, costantemente, questione di tempo. E di una buona dose di fortuna, supponi – e dire che non ti sei mai reputato una persona fortunata. Forse la Dea Bendata ha deciso che è tempo di rimediare alle proprie mancanze.
O forse sono solo gli eventi.
Eventi che si susseguono, sempre più ordinari, e fanno sì che giorni si sommino a giorni, e che diventino settimane, e poi mesi.
Arriva il nuovo anno, il 1999. Il freddo è pungente, la neve ricopre ogni cosa; per un paio di giorni ha anche imperversato una violenta tempesta di neve, tanto che O’Dampand ti ha detto che il governo babbano ha persino chiuso le sue scuole fino alla fine di quella settimana.
Il privilegio dei collegi come Hogwarts è che rinchiudersi nella propria casa corrisponde esattamente a rinchiudersi a scuola. Che disdetta.
La cosa ti ha toccato ben poco, dato che devi comunque rimanere in casa, che ci sia neve, vento, pioggia o un sole da fare invidia ai Paesi sull’equatore. Comunque. È arrivato il nuovo anno, non puoi ignorare il calendario. E con il passare dei giorni la situazione alla gamba si è stabilizzata. Non puoi stare in piedi troppo a lungo, ma quanto ti è sufficiente per non sembrare comunque un invalido. Stai meglio, sotto quel punto di vista.
Hai anche chiesto a O’Dampand di farti nuovamente vedere come sta la ferita al collo, dato che continui comunque a portare le bende - e stai cominciando a chiederti seriamente se mai potrai togliertele. E lei ti ha assecondato. Ha preso uno specchio, come sempre, e una sera, prima di cospargerti il collo di quella specie di crema vischiosa, ti ha mostrato la situazione. Prima hai guardato nello specchio, poi hai alzato gli occhi su di lei, senza dire nulla. O’Dampand stava sorridendo.
“Non c’è la carne viva,” hai commentato, con semplicità.
Ed era vero: la forma della ferita, le sue nervature, la linea delle lacerazioni provocate dalle zanne di Nagini… Tutto era ben visibile. Ma non c’era pus - non ce n’era più da un bel po’ - e, al posto del rosso della carne viva del tuo collo, c’era il marrone delle croste. Una visione, secondo te, altrettanto sgradevole, ma il medicinale che ti veniva applicato faceva meno male, e la stessa carne del collo tirava meno, durante i tuoi movimenti.
“Allora, che ne dice?” ti ha chiesto O’Dampand, ancora con lo specchio in mano.
“Sembra la classica domanda che si fa in un museo.”
Dalla sua bocca è uscita una piccola risata, brevissima come sempre.
“Beh, per un certo periodo di tempo lei ha assomigliato parecchio a una mummia, no?” ha commentato, continuando a ridacchiare.
Tu l’hai guardata male, all’inizio, poi malissimo quando lei ha ripreso a ridere. Ma hai lasciato perdere quando hai capito di non averla intimorita, e lei è andata avanti con il proprio lavoro. Beh, dato che effettivamente ha smesso di ridere… Forse le tue occhiate hanno comunque sortito il loro effetto, anche se in modo non così palese come avveniva con gli studenti di Hogwarts.
Tutto considerato era ora di fare il punto della situazione. Ancora non si sa, effettivamente, se guarirai mai del tutto oppure no, ma, al momento, puoi muovere il braccio sinistro ed entrambe le gambe, nonché quasi tutta la schiena e il bacino. Solo la spalla e il braccio destri hanno ancora dei problemi.
E Sherman non ha potuto non pronunciarsi, in proposito: nonostante l’ancora presente paralisi parziale, la situazione - ha detto - è ‘fantastica’, a detta sua. Molte persone, così nel Regno Unito come nel resto del mondo - ha continuato - subiscono menomazioni; lui stesso conosce un uomo che ha perso interamente il proprio braccio, eppure sta continuando ad andare avanti con la propria vita.
Per te non è la stessa cosa?
“Io il braccio l’ho ancora,” ci hai tenuto a precisare, ma tu stesso sapevi che non cambiava poi molto.
Se un uomo senza un braccio e con - magari - una protesi, può comportarsi più o meno normalmente, allora puoi farlo anche tu. Non hai bisogno che qualcuno ti assista per compiere i gesti più elementari. Cammini e riesci a compiere quasi tutto quello che vuoi. Considerando, poi, che neanche puoi uscire di casa, le cose da fare sono anche più limitate, così come i problemi che ne deriverebbero.
“Per cui ritengo possibile annunciare,” ha dunque detto il professore, durante la stessa visita al San Mungo in cui avete parlato di braccia mancanti, “che la signorina O’Dampand può considerare concluso il suo lavoro. Può ricominciare a gestire la sua vita come meglio crede, signor Piton, senza interferenze.”
Vi trovavate nello studio di Sherman, e oltre a voi due c’erano anche, ovviamente, O’Dampand e il silenzioso Witherington. Per qualche istante nessuno ha parlato, nemmeno tu, al che Sherman ha preso a guardarsi intorno perplesso, da sotto le sue sopracciglia cespugliose.
… Non ti danno fastidio le interferenze. Non sempre, almeno. O, comunque, non adesso.
Bah, hai sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, e di certo l’hai atteso con una certa impazienza, durante tutto quel lungo periodo di forzata convivenza. Dovresti esserne contento. O, se non contento, dovresti esserne quantomeno sollevato.
E lo sei, certo che lo sei. … Lo sei? Ma ovvio che sì.
“Quindi…” hai chiesto, allora, “Suppongo di dover tornare a Spinner’s End.”
“Sì, esatto,” ha confermato Sherman. “D’altronde il pericolo di un ipotetico attacco è caduto, ormai. Potrà tornare a casa sua quanto prima.”
L’avevi capito, non c’era bisogno che te lo ripetesse.
“Ha già programmato il mio… trasferimento o posso almeno avere facoltà di decisione sui tempi?”
Sherman ha fatto una breve pausa, prima di rispondere, ma non ha mai distolto gli occhi dai tuoi; sei sicuro che, dietro le tue spalle, Witherington abbia alzato gli occhi al cielo.
“No, non c’è una data precisa,” ha risposto, poi, “Può prendersi il tempo che le occorre per sistemare i suoi bagagli. Ovviamente che sia questione di pochi giorni, insomma.”
“Per chi mi ha preso? È ovvio che sarà questione di un paio di giorni.”
In realtà avresti potuto fare tutto già il giorno stesso. Ma almeno hai potuto prendertela con calma. Abituarti al fatto che, fondamentalmente, tornerai a passare le tue giornate nella totale solitudine. Sì, è vero, vedrai Mann, ogni tanto, ma la cosa non è che sia di qualche sollievo, anzi. Preferisci non pensarci affatto.
E tutto ciò non può fare altro che stupirti, in realtà: sei sempre stato solo, in vita tua. Ti sentivi solo persino nei momenti in cui eri circondato da persone. Hai sempre preferito stare solo, e sai benissimo di preferirlo anche ora. Perché dunque percepisci quasi… malinconia? O una cosa che vagamente le somiglia?
Supponi sia la consapevolezza di dover cambiare nuovamente le tue abitudini, non può essere altrimenti. Con O’Dampand in giro per casa, alla fine, non puoi non ammettere che, per quanto tu abbia sempre detto di non averne bisogno, oltre che guaritrice è stata anche un po’ la tua… cameriera. Abituarti di nuovo a fare tutto per conto tuo… deve essere questa la cosa che ti destabilizza un po’.
E così ora sei di nuovo a Spinner’s End, in piedi sulla porta di casa. O poco più in là: in realtà sei praticamente in casa, in piedi, con il tuo bagaglio posato sul pavimento, accanto a te. Di fronte a te c’è O’Dampand, invece. Ti ha accompagnato e ora, una volta che sarà uscita da casa tua, tornerà alla sua vita di prima, o forse verrà assegnata ad un altro paziente critico.
“Vuole che le porti la borsa di sopra?” ti chiede lei.
“No, O’Dampand. Adesso sono autosufficiente, no?”
Proprio in questo momento ti rendi improvvisamente conto di non essere granché capace a salutare definitivamente una persona.
In realtà più di qualcuno ti ha fatto spesso notare che non sei capace di dialogare e basta.
“Beh…” cominci dunque a dire, “Arrivederci, allora. Addio, anzi, con molta più probabilità. Stranamente è riuscita a non provocare la mia dipartita, in fin dei conti; dovrebbe esserne soddisfatta.”
“A dire il vero ci sono stati un paio di momenti in cui l’ho desiderato ardentemente.”
Ti ritrovi a incurvare appena un angolo delle labbra verso l’alto, prima di tenderle la mano sinistra. Lei, però, ancora non la stringe, limitandosi a guardarla. Allora tu abbassi il braccio.
“Si ricorda cosa le ho detto uno dei primi giorni, quando sono venuta qui?”
“Vuole dire quando si è piantata a forza in casa mia? No, non ricordo, a dire il vero.”
Lei ti lancia un’occhiataccia, ma questo rimane l’unico tentativo di… rimprovero nei tuoi confronti. Piuttosto, continua il suo discorso:
“Beh, le ho detto che quando sarei andata via le avrei detto cosa ne penso di lei.”
Sì… Questo ti dice qualcosa, anche se non ricordi esattamente il momento in cui ti ha fatto una tale promessa.
Pensandoci bene, ti ritrovi a provare un misto di curiosità e preoccupazione.
“Ah, O’Dampand, se lo risparmi, non credo che ce ne sia bisogno, ormai.”
“Quindi presume di sapere cosa io penso di lei.”
“Posso immaginare.”
“Spero che quanto immagina corrisponda a verità.”
“Lei pensa a ciò che io penso che lei pensi di me… Vogliamo aggiungere qualche altro tassello a questo discorso? Già sembra un’astratta matrioska.”
“No, no. Direi di no,” conclude, sorridendo appena.
A questo punto è lei a tenderti la mano. Avete fatto un discorso inutile, ma forse neanche lei, nonostante l’esperienza, è tanto brava a salutare le persone. Anche se sono solo pazienti.
Tu stringi la sua mano, ed entrambi scuotete l’uno quella dell’altra, per un breve istante.
“Stia bene,” è la sua frase di congedo.
Tu ti limiti a fare un cenno con il capo.
Dopodiché lei esce, chiudendosi la porta alle spalle. La casa diventa silenziosa.













Angolo Autrice:

Salve a tutti, eccomi qua! Finalmente il capitolo venti è giunto!

Come avete appena letto da voi, la nostra Serena O'Dampand ha finito il suo compito, per cui la sua strada e quella di Piton prendono adesso direzioni differenti. Detta così semplicemente, mi sembra una sorta di Tata Matilda xD Ma Piton non è un ragazzino, e, se lo definissi tale, si arrabbierebbe senz'altro, quindi mi fermo qui.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, in ogni caso, e, dato che comunque accadono un paio di cose importanti (... giusto? XD) aspetto le vostre impressioni! E poi sapere che ne pensate di tutto... questo non può che farmi piacere, sia nel bene che nel male! :)

Ringrazio come sempre
dierrevi per aver betato il capitolo con la sua solita, fantastica precisione :D

E... beh, il prossimo sarà il penultimo capitolo, spero di poter aggiornare presto, considerati gli impegni.

Un saluto grande grande grande,
Iurin
   
 
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