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Autore: difficileignorarti    23/05/2015    2 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La sua stanza d’ospedale era stata riempita da fiori, palloncini, bigliettini vari e cioccolatini. Tutto quel profumo di fiori, di tanto in tanto, la faceva starnutire. Sorrise, mangiando un altro cioccolatino: ne aveva quasi finita una scatola, ma non gliene importava niente. Non aveva toccato cibo per giorni, così s’ingozzava come se non ci fosse stato un domani. Riportò lo sguardo sul computer portatile che aveva sulle gambe: stava guardando Dirty Dancing. Era uno dei suoi film preferiti, lo aveva visto almeno un centinaio di volte, sapeva tutte le battute a memoria, ogni cosa. Lo amava dall’inizio alla fine. Amava la storia che era nata tra Baby e Jonny. E doveva ammetterlo, all’inizio della sua relazione con Tom si sentiva esattamente come Baby: piccola e ingenua, mentre Tom era così esperto, sapeva così tanto.

Ridacchiò divertita, dimenticandosi del film: quanto lo amava. Era fortunata ad averlo al suo fianco, come ragazzo e, presto, forse, con un po’ di fortuna, sarebbe diventata sua moglie. E, Dio, non vedeva l’ora.

Tom entrò con molta disinvoltura nella stanza. Aveva un sorriso assurdo sulle labbra. Era fresco di doccia ed era, palesemente, riposato. Si avvicinò a lei, baciandola dolcemente sulle labbra, stringendola tra le sue braccia.

«Ciao, amore mio» mormorò, sfiorandole il naso con il suo. Emmeline sorrise intenerita, cercando nuovamente le sue labbra, trovandole e approfondendo il bacio. «Ehi» soffiò sulle sue labbra, aprendo gli occhi, osservando quelli della ragazza: erano felici e giocosi, non li aveva mai visti così. Lanciò uno sguardo al laptop e sorrise ironicamente. «Ancora Dirty Dancing?» le chiese, ridacchiando appena. Emmeline annuì energicamente, chiudendo il computer. «L’ultima volta che l’abbiamo visto insieme, non siamo arrivati a nemmeno metà film, troppo concentrati in altro» le ricordò, con un sorriso malizioso sulle labbra. Emmeline arrossì violentemente, alzandosi dal letto, allontanandosi da lui e dalle sue mani vaganti. «Dove vai!» rise divertito, ma non era una domanda.

«Ti piace imbarazzarmi, non è vero?» gli chiese, incrociando le braccia al petto. Non era arrabbiata, proprio per niente. Tom si avvicinò a lei, passando le braccia dietro la sua schiena, stringendola. Emmeline fu costretta a posare le mani sul suo petto per non cadere. Dio, quello era il suo posto preferito in assoluto. Stretta tra le sue braccia, avvolta dalla sua protezione, dal suo profumo: odore di casa, odore del suo uomo. «Sappi, Kaulitz, che con te guarderei ogni film, solo se poi ci concentriamo su altro» mormorò, passando le mani sulle sue spalle, scendendo lungo le braccia, ritornando sul suo petto.

«Come faccio a dirti di no?» le chiese retoricamente, abbassandosi di poco per poterla baciare di nuovo. «Mi eccita da morire quando mi chiami per cognome» sussurrò, facendola ridacchiare come una scolaretta. «Una volta mi sarei preoccupato» continuò alzando le spalle. «Vorresti ballare con il tuo uomo?» le chiese, cominciando a muovere qualche passo, mentre la mora cominciò a ridere come una matta, gettando la testa indietro. Come faceva a non divertirsi con un ragazzo così? Tom la osservò ridere e si sentì estasiato. Dio, quanto la amava. Si sedette sul letto, facendola accomodare sulle sue ginocchia.

«Voglio uscire da qui, Tom» si lamentò, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. «Voglio tornare a casa, voglio vivere la nostra vita, con la nostra bambina e voglio sposarti» sorrise, baciandogli una scapola, attraverso il tessuto della maglia scura che indossava. Anche se non poteva vederlo, pure il moro si ritrovò a sorridere come un idiota. Le baciò la nuca dolcemente.

«Arriverà presto quel giorno, te lo prometto» sussurrò, baciandole nuovamente la nuca.


 
***


Tom era in cucina, con un ridicolo grembiule addosso, mentre Georg, seduto al tavolo in cucina, stava tentando di non scoppiare a ridere istericamente. Era ridicolo vedere il suo migliore amico conciato così, ma sapeva bene che per la propria donna si fa di tutto e di più.

«Mi stupisco che i genitori di Emmeline ti lascino usare la cucina» mormorò, trattenendo a stento le risate. «Sono proprio sicuri che non brucerai la casa?» chiese e si liberò, cominciando a ridere davvero.

Tom si voltò, con una padella in una mano e un mestolo nell’altra: la perfetta casalinga disperata. Aveva gli occhi ridotti a due fessure e no, non metteva nessuna paura. Il ramato vedendo la reazione dell’amico, decise di darsi un contegno, sistemandosi le maniche della maglia.

«Emmeline sta tornando a casa, voglio fare qualcosa per lei» mormorò, appoggiando la padella con il composto dei pancake completamente bruciato. «Ma come vedi, non sono capace nemmeno di fare questi cosi, nonostante Em mi abbia insegnato» sorrise, togliendosi il grembiule della madre della sua donna, appendendolo al muro, per poi sedersi di fronte all’amico. «Come hai passato il Natale?» chiese, tracciando un disegno astratto sul tavolo con il dito.

«A casa di Ellen con i suoi genitori, una cosa tranquilla» rispose, sorridendo appena. Non voleva porre la stessa domanda a Tom, quindi decise di cambiare argomento. «Abbiamo deciso una data per il matrimonio» ammise orgoglioso e Tom gli lanciò uno sguardo curioso ma felice. «Il giorno di San Valentino» disse.

«Schifosamente romantico» mormorò Tom, ridacchiando. Lanciò un’occhiata al salone, dove Ellen si muoveva leggermente a destra e a sinistra, ballando su una musica leggera a lui sconosciuta, con Arabella tra le braccia, addormentata profondamente. «Ci sta prendendo gusto» soffiò, indicandola col dito. Georg sorrise intenerito osservando quella scena. «È una sensazione bellissima sapere che dentro il ventre della donna che ami, cresce il frutto di una notte d’amore, vederlo crescere, vederlo nascere, stringerlo tra le braccia» commentò, sorridendo dolcemente.

«Dovresti vederti» commentò il ramato. «Ne abbiamo parlato, e abbiamo deciso di provarci, di avere un bambino» ammise felice, e Tom ridacchiò, scuotendo la testa. «Senti, ma Bill che fine ha fatto?» chiese, prendendo il moro in contropiede. Non ci aveva pensato, ma il biondo era sparito da un po’. Se n’era, probabilmente, andato senza dire niente a nessuno, non aveva lasciato messaggi, non aveva chiamato. Si era affezionato a lui, tutti si erano affezionati a lui, gli era dispiaciuto.

Alzò le spalle, scrollandole. Non sapeva cosa rispondergli a dir la verità.

La serratura della porta di casa scattò, rivelando una famiglia: Emmeline accompagnata dai suoi genitori. Tom si alzò frettolosamente, correndo ad abbracciarla, stringendola tra le sue braccia, baciandole affettuosamente i capelli e la fronte, sotto gli sguardi contenti e dolci dei genitori della ragazza.

Emmeline sorrise, poggiando le mani sulla schiena di Tom, lasciandosi stringere, coccolare. Lanciò uno sguardo in giro, vedendo un cartellone con scritto “Bentornata a casa”, fiori ovunque e palloncini. Nascose il viso nell’incavo del collo del ragazzo, lasciando il via libera alle lacrime. Ma erano lacrime di gioia.


 
***


Era tornato a Fairfield senza dire niente a nessuno. Non l’aveva fatto per cattiveria, ma un po’ si sentiva fuori luogo. Era Natale, voleva stare con la persona che amava anche lui: si sentiva solo e vedere Tom e Georg in compagnia della loro donna. Anche lui ne aveva una, o forse gli piaceva semplicemente pensarla così. L’aveva abbandonata per aiutare Emmeline e sua figlia.

Se ne stava in macchina, fuori da casa di Beth: si erano conosciuti in un bar, in quello dove lei lavorava e tra loro era nata subito un’alchimia particolare. E quello che gli piaceva di più era stare con il figlio della ragazza, avuto da una precedente relazione. Non era scappato appena l’aveva saputo, era sorpreso, ma si era affezionato a quel bambino come se fosse suo. Gli aveva persino preso un regalo per Natale, ma aveva paura. Ma quella paura doveva essere affrontata, così scese dalla sua auto, avvicinandosi all’entrata dell’appartamento.

Suonò due volte il campanello e il piccolo Alex aprì la porta, abbracciandolo sorpreso. Bill si piegò sulle ginocchia, stringendolo a sé, sorridendo dolcemente.

«Ciao, scheggia» lo salutò amorevolmente, scompigliandogli i capelli affettuosamente.

«Alex, chi è? Lo sai che non mi piace che tu vada ad aprire la porta» la voce di Beth gli arrivò dritta alle orecchie e il suo cuore cominciò a battere forte, come impazzito, come se volesse uscire fuori dalla gabbia toracica da un momento all’altro. E quando la vide apparire sulla porta, con un semplice maglione rosso e i jeans, struccata, pensò che fosse la ragazza più bella del mondo. «Bill» soffiò piano.

«Ciao, Beth» rispose imbarazzato. «Posso entrare?» chiese e la ragazza negò con la testa, lasciandolo deluso, ma, infondo, se lo aspettava.

«Alex, tesoro, entra in casa intanto che Bill ed io facciamo due chiacchiere, okay?» mormorò al bambino che annuì e salutò il biondo con un sorriso enorme sulle labbra. «Sei tornato?» gli chiese la bruna, accostando la porta alle sue spalle, avvicinandosi al biondo di qualche passo, incrociando le braccia al petto.

«Mi dispiace di essermene andato così, ma la mia migliore amica aveva bisogno di me, mi dispiace» disse, ripetendo le scuse, abbassando lo sguardo imbarazzato. «Io ci tengo a te, lo sai, e adoro Alex, amo quello che c’è tra di noi, il rapporto e la complicità che abbiamo, e non voglio buttare tutto all’aria, non voglio farlo, Beth» le disse piano, osservandola attentamente.

«Anche noi ci teniamo a te, Alex non ha fatto altro che chiedermi di te in questo mese ed io non sapevo mai cosa rispondergli» gli disse, sospirando appena. «Lo so che Emmeline è importante per te, ma ci siamo anche noi ora, no?» gli chiese e Bill annuì velocemente.

«Voglio che tu la conosca, assieme alla sua famiglia» ammise. «Voglio te e voglio Alex nella mia vita, nessun’altro» le prese il viso tra le mani, riscaldandoglielo appena, sfiorando la sua pelle arrossata. «Ti concedo tutto il tempo che vuoi, tutto lo spazio che ti serve, sappi che quello che provo per te, non lo proverò per nessun’altra, tu sei l’unica, Beth» le sorrise dolcemente e quello che successe dopo proprio non se lo aspettava: la ragazza si avvicinò ulteriormente a lui, appendendosi alle sue labbra, stringendolo.

«Conoscerò i tuoi amici quanto tu imparerai a comunicare con me» soffiò sulle labbra, aprendo gli occhi, perdendosi in quelli color cioccolato del biondo: quanto li amava. «Non ho bisogno di tempo, nemmeno di spazio, ho bisogno di te, dell’uomo di cui mi sono innamorata, Bill» il ragazzo sorrise, sfiorando il naso della ragazza con il suo, felice di sentirsi dire quelle parole. «Ad Alex sei mancato molto» disse piano la giovane.

«Solo a lui?» chiese il ragazzo, provocandola. Beth scosse la testa ridacchiando. «Entriamo? Comincio a sentire freddo»  mormorò, rabbrividendo, e la giovane annuì, prendendolo per mano. «Buon Natale, piccola» le disse, poggiando nuovamente le labbra sulle sue, in un bacio dolce e soffice, cogliendola di sorpresa.

«Bleah!» il piccolo Alex si coprì gli occhi con le manine, mentre i due ragazzi ridacchiarono divertiti.

Bill si liberò del lungo cappotto nero e della sciarpa, piegandosi sulle ginocchia, invitando il bambino ad avvicinarsi, sotto gli sguardi attenti della madre. Il piccolo ridacchiò, correndo tra le braccia del biondo che, dalla tasca posteriore dei jeans, tirò fuori un piccolo pacchetto, che porse al bambino, rendendolo felice. Anche Beth era felice: guardarli insieme era sempre un piacere per gli occhi e lei non poteva proprio chiedere di meglio.


 
***


Tom stava pigramente imboccando la sua compagna: era appoggiato alla testiera del letto, Emmeline era tra le sue braccia, con un sorriso pigro e stanco sulle labbra, mentre Arabella dormiva placidamente sul petto della ragazza. Ogni tanto, appunto, Tom imboccava la giovane con un tipico dolce di Natale a lui sconosciuto, ma era buono.

«Hai intenzione di farmi ingrassare?» chiese divertita, rifiutando un’ennesima cucchiaiata di dolce. «Ho ancora diversi chili in più dalla gravidanza» si lamentò, prima di baciare delicatamente la testolina di sua figlia.

Tom sorrise dolcemente, baciandole la nuca, appoggiando la ciotola, vuota, sul comodino, stringendo affettuosamente le donne della sua vita in un abbraccio.

«Sei perfetta così come sei, non m’interessano i chili in più, lo sai» le disse. «Sei pronta per tornare alla nostra vita?» le chiese, cambiando discorso, osservando il soffitto. «Intendo a com’era prima che succedesse quello che è successo» mormorò, sovrappensiero. «Io sto cercando di lasciarmelo alle spalle, ho sofferto come un cane e non voglio più pensarci» le confessò piano.

Emmeline sospirò, scuotendo appena la testa.

«Io sono pronta ad andare avanti con la nostra vita, da qui, senza lasciarmi niente alle spalle» soffiò la mora. «È doloroso, il solo ricordo mi fa soffrire, soffro goni giorno se lo vuoi sapere» confessò. «Tutte le notti sogno quello che è successo, ma non intendo lasciarmelo alle spalle, perché fa parte di me, di noi» mormorò, sfiorando attentamente la mano del ragazzo, giocando con le sue dita. «Spero solo che Arabella non si ricordi di questa esperienza negativa, un’esperienza che le ha segnato la vita, come è successo con le nostre» voltò appena la testa per incontrare il viso di Tom, che la osservava, non capendo, ma allo stesso tempo curioso. «Non puoi dimenticare, amore» aggiunse.

Tom aggrottò le sopracciglia: Emmeline non aveva tutti i torti, infondo.

«Lo so, ma non voglio più ricordare, non voglio più parlarne» mormorò lui, sospirando pesantemente. «Io mi sento in colpa, piccola» confessò chiudendo gli occhi.

Emmeline sbarrò gli occhi, preoccupata. Non poteva credere alle sue orecchie. Non poteva credere che Tom si sentisse colpevole. Prese Arabella tra le braccia, profondamente addormentata e si alzò, solamente per sistemarla nella sua culla. Si voltò quasi subito verso il moro, che la guardava attentamente, in attesa di una sua reazione. Non capiva perché si fosse allontanata da lui in quel modo. La vide scuotere la testa, passandosi una mano tra i capelli, ravvivandoli.

«Non capisco» mormorò la mora, scrollando le spalle. «Tu non c’entri niente, non hai fatto niente» disse stranita, come se fosse ovvio.

«Appunto!» sbottò alzando la voce, spaventando la ragazza, che si voltò immediatamente verso la bambina, che continuava a dormire. «Scusami» mormorò subito dopo, alzandosi per raggiungerla. Posò le mani sulle spalle della ragazza, scendendo lungo le braccia, finendo per stringerle le mani dolcemente, baciandone i dorsi con affetto. «Io non ti ho protetto, non ho protetto nemmeno nostra figlia, ho permesso che quel porco vi facesse soffrire e per me è difficile» sospirò. «Per questo voglio dimenticare, per questo voglio andare avanti da dove la nostra vita è stata brutalmente interrotta, Emmeline» scosse la testa e la ragazza poté vedere le lacrime cominciare a scivolargli sulle guance.

La ragazza rimase immobile, interdetta e sconvolta dalle sue parole.

Si liberò delle sue mani e le portò sul suo viso, asciugandogli le lacrime, pregandolo di smettere: non sopportava di vederlo soffrire. Aveva un mal di testa assurdo, gli faceva male la spalla, ma in quel momento non gliene importava niente: voleva che Tom smettesse di piangere, che smettesse di soffrire, che smettesse di pensarci. Quello che era successo era il passato, e non sarebbe stato dimenticato, ma loro due dovevano pensare al futuro.
«Tom» mormorò, sentendolo singhiozzare. «Tom, per favore» continuò, preoccupata: avrebbe cominciato a piangere pure lei. «Tom, amore, per favore, guardami» lo pregò, costringendolo a guardarla. «Basta, ti prego, non piangere» soffiò e sentì la sua voce incrinarsi: sentiva quel magone tipico bloccarle la gola. «Noi due dobbiamo andare avanti, lasciarci alle spalle quello che è successo, ma non dimenticarlo, okay?» mormorò, mentre il moro continuava a piangere. «Abbiamo un matrimonio da organizzare» provò a cambiare discorso e vide un piccolo, piccolissimo, sorriso comparire sulle sue labbra carnose. «E poi, sai, ti ho sentito in ospedale» soffiò, mordendosi il labbro inferiore, incuriosendo il ragazzo che smise di singhiozzare, ma non di piangere. «Lo so che vuoi un altro bambino» mormorò, e lo vide scuotere la testa, sorridendole, poi, apertamente. «Il futuro, Tom, è l’unica cosa cui dobbiamo pensare, per noi, per Arabella, e chissà, magari per un altro piccolo Kaulitz» sorrise tiratamente, mentre lui portò le mani sulla schiena della ragazza, avvicinandola al suo corpo.

Scosse nuovamente la testa, poggiando la fronte su quella della ragazza, baciandola dolcemente.

«Sei la migliore delle medicine» soffiò, sedendosi sul letto e portandosela dietro: la fece sedere sulle sue gambe, baciandole affettuosamente il suo viso, la guancia, la mascella. «Riesci a farmi sorridere, a farmi stare meglio» mormorò, stringendole una mano, osservando le sue dita affusolate. «Devo rifarti la proposta» mormorò pensieroso, facendola ridacchiare.

«La risposta sarebbe sempre sì, lo sai» rispose lei, poggiando la fronte sulla sua spalla. «Basterebbe ridarmi l’anello» aggiunse.

Tom sorrise e si asciugò il viso bagnato, baciandole la nuca.

«Sei stanca?» chiese piano, lanciando uno sguardo alla culla. Emmeline annuì, accoccolandosi meglio su di lui. «Vieni, andiamo a dormire» suggerì, prendendola in braccio per poi depositarla sotto il piumone, baciandole la fronte, sfiorandole il naso con il suo, baciandola sulle labbra. Si coricò al suo fianco, spegnendo la luce e sospirò, portando le braccia dietro la testa, osservando il buio.

La mora si voltò, poggiando la testa sul petto del ragazzo che, istintivamente, portò una mano sulla sua schiena, stringendosela al petto affettuosamente.

«Tom?» chiamò Emmeline.

«Uhm?» rispose lui distrattamente.

«Buon Natale» mormorò lei, prima di crollare in un sonno profondo.

Tom sorrise, voltando il viso verso di lei, trovandola addormentata. Le baciò la fronte, inalando il suo profumo.

«Ti amo, piccola mia» sussurrò.


 
***


L’ultimo dell’anno era arrivato. La fine di quello precedente, lo stesso anno che aveva portato gioia, la nascita di Arabella, e tanto dolore e sofferenza. Ma quello nuovo sarebbe stato fantastico: si sarebbero sposati, Georg ed Ellen si sarebbero sposati, sarebbero, forse, diventati genitori, e chissà, forse pure loro avrebbero avuto un altro bambino.

Emmeline aveva ragione: non poteva dimenticare, non poteva lasciarsi tutto alle spalle, ma poteva andare avanti. E non appena sentì le braccia della ragazza stringerlo da dietro, si ritrovò a sorridere, mentre cercava di farsi il nodo alla cravatta, senza risultato.

«Non è necessaria la cravatta, amore» mormorò, prendendolo per un gomito, costringendolo gentilmente a girarsi. «La giacca e la camicia andavano benissimo» continuò, concentrata nel fare il nodo alla cravatta nera che il ragazzo portava intorno al collo, senza stringere troppo.

«Volevo essere elegante» rispose, mentre la ragazza gli lanciò uno sguardo curioso e divertito. Spostò lo sguardo lungo il corpo della ragazza, trovandola elegante e sexy allo stesso tempo: aveva un vestito bianco, non eccessivamente corto, nemmeno troppo scavato e scollato, una giacca bianca, lasciata aperta, le gambe fasciate da delle calze lavorate color carne e i tacchi. «Sei favolosa» soffiò, posandole le mani sui fianchi, avvicinandola a lui, baciandola dolcemente.

«Non devi fare colpo su nessuno» sussurrò e lui annuì, sorridendole.

«Sì, sulla mia donna» confermò serio. «La conosci?» chiese, facendola ridere, prima di tirargli un pugno scherzoso nello stomaco. «Ow» soffiò, divertito. «Come ti senti?» le chiese premuroso, scostandole una ciocca di capelli dal viso: non vedeva l’ora che si allungassero di nuovo, la preferiva di gran lunga con i capelli lunghi.

«Meglio» confessò Emmeline, sincera, con un sorriso dolce sulle labbra. «La ferita alla spalla ancora mi fa un po’ male, ma è buon segno» mormorò, scrollando appena le spalle, facendo ridacchiare Tom. «Comunque tu non me la racconti giusta» disse, prendendolo per la cravatta, costringendolo ad abbassarsi alla sua altezza. «Hai prenotato un ristorante elegante, hai invitato i miei genitori, tua madre, sei tutto in tiro ed è l’ultimo dell’anno» mormorò sulle sue labbra, provocandolo appena. «Cos’hai architettato?» gli chiese curiosa. Tom la osservava dolcemente, ma con lo sguardo malizioso: quella sera sarebbe stata speciale.

«Ti amo, piccola» rispose, baciandola di sfuggita, allontanandosi da lei ridendo appena, lasciandola interdetta.


 
***


Tom le stava accarezzando una spalla distrattamente, mentre parlava con suo padre di qualcosa a lei sconosciuto: non stava ascoltando. Le piaceva quell’atmosfera, c’era gioia nell’aria, erano in famiglia e stavano bene. Persino Arabella si guardava in giro, tra le braccia della madre, curiosa: tutti ridevano, tutti parlavano, eccetto loro due che guardavano, ma contente di essere lì. Sentì le labbra di Tom baciarle la spalla, cogliendola di sorpresa, ma non fece in tempo a dire nulla, perché la sua attenzione fu catturata da sua figlia, che strinse il dito del padre: era una scena bellissima, e non appena lo vide prenderla in braccia, baciandole il viso paffuto, pensò di sciogliersi e di piangere di gioia.

«Aww, guardate come le piace stare tra le braccia del padre» commentò emozionata la madre di Emmeline, Gemma. La mora sorrise, sorseggiando un po’ di acqua: voleva bere dello champagne, ma era ancora in fase di allattamento e non le era consentito. Anche Simone, la madre di Tom, sorrideva contenta nel vedere il figlio così felice, nel vederlo padre, nel vederlo innamorato.

Quella sera, tutti i presenti erano al corrente di quello che sarebbe successo. Tutti tranne Emmeline, ovviamente. Anche se in realtà, nessuno di loro sapeva come Tom avrebbe proceduto. Quell’anno sarebbe finito col botto, in tutti i sensi.

Il cameriere portò loro il dolce, ma Tom la bloccò prima che ne prendesse una cucchiaiata, lasciandola interdetta: voleva ingerire più cioccolata possibile. Il moro lasciò la bambina tra le braccia di sua madre e prese Emmeline per mano, dopo averle detto di indossare la giacca.

«Che succede?» chiese la ragazza, mentre uscivano dal ristorante. Le loro dita erano intrecciate, mentre passeggiavano, l’uno affianco all’altro. «Volevo il dolce» si lamentò, facendo ridacchiare il moro, che le lasciò la mano solo per posarle il braccio sulle spalle, stringendosela addosso.

«Dopo ti lascerò ingrassare» mormorò, posandole un bacio sui capelli.

Era una bella serata a parte il freddo s’intende: il panorama da quella collina era bellissimo, si vedevano tutte le luci della città. Si fermò improvvisamente, facendola girare dolcemente verso di lui, prima di baciarla dolcemente sulle labbra. Erano così morbide quella sera, sapevano di ciliegia e di quello che aveva mangiato. Le passò una mano tra i capelli, approfondendo il bacio, mentre Emmeline portò le mani sulla sua schiena, sotto la giacca, sentendo i suoi muscoli.

«Ti amo» sussurrò il ragazzo sulle labbra della giovane, facendola sorridere. Nello sguardo del ragazzo c’era tanta gioia, tanta speranza e, sì, c’era anche tanta voglia. «Ho pensato a una cosa formale questa volta» mormorò, staccandosi di poco da lei, ancora vogliosa delle sue labbra. «L’altra volta ho fatto le cose in grande, Malibu, una bella casa, una buona cena, tanti fiori, tante candele» continuò, voltandosi di poco per ammirare il panorama. La mano destra era nella tasca dei pantaloni, stringeva convulsamente la stessa scatolina in cui era chiuso lo stesso anello di fidanzamento. Indicò le luci della città, della loro città e sorrise, voltandosi verso una Emmeline piuttosto curiosa, sconcertata e innamorata. Forse aveva capito. «Abbiamo parlato di matrimonio, abbiamo deciso qualcosa, ma non siamo fidanzati» sussurrò, scuotendo appena la testa.

«Sì che lo siamo» rispose la ragazza, aggrottando le sopracciglia.

«No, non porti l’anello» rispose, tirando fuori la scatolina dalla tasca dei pantaloni, per poi riportare lo sguardo sulla ragazza che, commossa ed emozionata, si era portata entrambe le mani alla bocca. Un conto era immaginarsi una cosa, l’altro era vederla realizzarsi. «Non m’inginocchio questa volta» disse per sdrammatizzare, facendola ridacchiare tra le lacrime. «Ho pensato tanto a questa nuova proposta e non mi è venuto in mente niente di particolare» commentò Tom. «Quindi ho pensato di chiederti di nuovo di sposarmi nella nostra città» soffiò guardandola negli occhi, sorridendo. La gente che era lì fuori si era fermata a guardarli, curiosa probabilmente. «È la città che ci ha fatto incontrare, la città che ha visto nascere la nostra amicizia, il nostro amore, la città che l’ha consolidato, reso più forte, la città in cui siamo nati e cresciuti, la stessa città in cui abbiamo concepito nostra figlia» le disse, ormai anche lui con le lacrime agli occhi. «Quindi…» soffiò, aprendo la scatolina e prendendo l’anello. «… Emmeline Evans, vuoi sposarmi?» le chiese.

Tutto intorno a loro si fece improvvisamente silenzioso. Emmeline stava cercando di trattenere le lacrime: voleva rispondere, accidenti, non era nemmeno difficile farlo, l’aveva già fatto precedentemente. Si passò una mano sotto agli occhi, asciugandosi le lacrime e cominciò ad annuire, sorridendo come un’ebete, mentre Tom riprendeva a respirare. Sorrise emozionato anche lui, infilandole l’anello al dito, prima di stringerla tra le braccia. La gente intorno a loro scoppiò in un applauso, facendo aumentare i loro sorrisi.

Si scambiarono un bacio dolce, senza smettere un secondo di abbracciarsi.

«Sì, lo voglio» rispose piano al suo orecchio, chiudendo gli occhi felice.
 

 
I always be invaded by you

***********


Haloooo! Scusate se non ho postato prima!
Avrei dovuto postare domani, ma visto che sono buona, ho deciso di postare prima di uscire (a dir la verità sono ancora in pigiama ma è tutto normale!).
Non voglio dire molto, anche perchè sono di fretta, comunque voglio sperare che questo capitolo vi sia piaciuto! Voglio ringraziare tutte i lettori silenziosi e quelli che mi lasciano una piccola recensione ogni volta. Mi fa molto piacere!
Questo non è il capitolo finale, ma ci siamo quasi, uno o due capitoli ancora.
Da lunedì non so ogni quanto riuscirò a postare perchè (finalmente la ruota gira pure per me, daje) inizio a lavorare: fortunatamente ho degli orari piuttosto normali e decenti, quindi alla sera, forse, potrei buttare giù qualche cosa.

Comunque, ora vi saluto, buona lettura, buona serata e buon fine settimana!

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti.


 







 
   
 
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