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Autore: Mary P_Stark    07/06/2015    2 recensioni
Stheta mac Lir è il principe ereditario della casata dei mac Lir, prossimo re di Mag Mell e valente condottiero fomoriano. Il suo essere primogenito è stato spesso fonte di drammi interiori, così come di conflitti con il padre e la madre. L'aver tradito, seppur inconsapevole, il fratello minore Rohnyn, ha causato in lui ulteriori dubbi e ulteriori sofferenze, portandolo a rivalutare concretamente tutta la sua esistenza. E' giusto che il suo popolo sia così chiuso in se stesso, che i sentimenti vengano banditi dalla vita quotidiana? Perché, l'essere come gli umani, è visto come un difetto, quando la vita sulla terraferma pare, ai suoi occhi curiosi, piena di meraviglie? Ciara, suo capitano delle guardie e fidata amica di una vita, è preoccupata dalla svolta pericolosa presa dai pensieri del suo principe, soprattutto quando scorge in lui un interesse sempre crescente per l'umana Eithe, amica di Sheridan. In questo triangolo di interessi sovrapposti, Stheta scopre anche una nuova realtà, creature ancor più mistiche di quanto già loro non siano e che, per ironia della sorte, lo aiuteranno a scoprire le verità che cercava. - 2° RACCONTO SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"- Riferimenti presenti nel racconto precedente. Crossover con ALL'OMBRA DELL'ECLISSI
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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13.
 
 
 
 
 
 
Raccontare tutta la verità a Krilash e Lithar fu un parto piuttosto difficile e, più volte, mi ritrovai addosso i loro occhi colmi di ilarità a stento trattenuta.

Paradossalmente, Ciara fu più calma di me.

Da quando si era aperta ai suoi sentimenti, non aveva più mostrato segni di cedimento.

L’incontro con la wicca di Matlock, in particolar modo, le aveva dato nuove certezze e una forza nuova, che scorgevo ogni giorno più brillanti nei suoi occhi.

Le sue parole, le storie sul suo passato di solitaria, l'ammissione di aver trovato la vera forza negli amici e nella famiglia, l'avevano rasserenata non poco.

Ora credeva veramente nel nostro futuro assieme.

Quando riuscimmo a terminare il nostro racconto – spesso interrotto dalle domande capziose di Krilash – sospirai e, allargando le braccia, domandai loro: «Che ne dite? Ci aiuterete?»

«Non devi neppure chiederlo, fratello. Ovvio che saremo dalla tua... dalla vostra parte

Lithar scese d'un balzo dal mio letto, dove si era accomodata durante tutta la nostra lunga dissertazione e, allungata una mano nella mia direzione, aggiunse: «Non abbiamo potuto fare nulla per Rohnyn, ma non cederemo di un passo, stavolta. Ciara merita a buon diritto di essere la tua sposa. E non solo per la faccenda della parvhein

Krilash annuì, ammiccando all’indirizzo di Ciara, che gli sorrise grata.

«Spaccherò la faccia al primo che dice una sola parola contro di voi, poco ma sicuro!»

«Spero non si arrivi a tanto, ma sicuramente nostro padre addurrà una marea di scuse in proposito. Per quel che riguarda i Saggi, non so davvero come andrà a finire, ma non voglio attendere oltre. E’ tempo.»

Sospirai, raccogliendo le mie ultime forze e aggiunsi: «La mia unica speranza è che, avendo dalla nostra parte Savarhne, anche gli altri possano convincersi della nostra unione, specialmente dopo quanto abbiamo detto loro.»

L'incontro con il Grande Occhio aveva sorpreso non poco non solo me, ma anche Ciara.

Dapprima mi era indecisa, all’idea di presentarsi dal Saggio, dopo la reazione dubbia di Mimir e Hœnir.

Non appena egli ci aveva accolto nella sua abitazione, però, la sua ritrosia era scemata.

Il Saggio le aveva stretto una mano con le proprie, l'aveva scossa con comprensione e infine le aveva detto quanto capisse le sue ansie.

Ciara aveva ascoltato assorta le sue parole di conforto, e questo mi aveva dato coraggio, rafforzando così i miei intenti.

Presentarmi da mio padre, per ottenere il permesso di sposare la donna del mio cuore, era ormai divenuto un imperativo morale.

Savarhne ci aveva rassicurati, aveva sorriso confortante a Ciara e l'aveva pregata di credere nelle sue possibilità, nel suo amore per me e nella benevolenza dei Saggi.

Con quelle parole ci aveva congedato, e ora ce ne stavamo lì, dinanzi ai miei fratelli, ad ascoltare le loro parole di appoggio e conforto.

Mi resi conto di aver davvero bisogno di sentirli al mio fianco, non solo fisicamente, ma anche con il cuore.

Rohnyn e Sheridan non avrebbero potuto essere presenti – anche se avere al fianco mia cognata mi sarebbe servito molto – ma contavo che, col pensiero, vi fossero.

Così come Eithe e il suo branco che, stando a quello che mi aveva detto lei, avrebbero pensato a noi per darci il loro coraggio.

Se proprio mi fossi visto costretto, avrei accennato anche a mio padre dell'alleanza stretta con Fenrir stesso, ma speravo non si arrivasse a tanto.

Con Thetra mac Lir, non dovevi scoprire troppe carte contemporaneamente.

Krilash mi strappò a quella miriade di pensieri erranti e, ora serio in viso, mi domandò: «Quando pensi di affrontare Thetra e Muath?»

«Questa sera. Ho chiesto un incontro formale con i nostri genitori, e pregato loro di far intervenire anche i tre Saggi, perché l'evento avesse una valenza ufficiale.»

«E hai spiegato loro perché?» esalò Lithar, turbata.

Scossi il capo, torvo in viso.

Rammentavamo cosa fosse successo a Rohnyn, quando aveva accennato ai nostri genitori i motivi della sua richiesta di un incontro ufficiale.

Non era servito a nulla spiegare a entrambi della presenza della parvhein.

Il solo fatto che Sheridan fosse umana, li ha aveva chiusi a qualsiasi tipo di lettura del caso, e Rohnyn era stato imprigionato senza giusta causa.

No, non avrei commesso lo stesso errore e, soprattutto, non mi sarei fatto prendere con facilità dalle mie stesse guardie.

Avendo al mio fianco il loro capitano, contavo sul fatto che, almeno per qualche istante, avrebbero avuto delle remore, ad attaccarci.

Questo ci avrebbe permesso un'eventuale fuga in grande stile.

Speravo comunque non si dovesse mai giungere a tanto.

Ciara amava Mag Mell esattamente come me.

L'idea di condurla in un Protettorato o, peggio, sulla terraferma per sfuggire alle ire di mio padre, mi ripugnava.

Dovevamo risolvere tutto quella sera stessa, o non avremmo mai potuto avere una vita felice, anche se assieme.

«Sai già come scappare, se si dovesse rendere necessaria una fuga dell'ultimo minuto?» intervenne Krilash, comprendendo al volo la mia preoccupazione maggiore.

«Gli uomini non obbediranno mai immediatamente a un eventuale ordine di nostro padre. Sono troppo leali a Ciara, per attaccare subito. Questo ci permetterà di sfruttare l'effetto sorpresa. Inoltre, tra le fila dei soldati presenti stasera, ci sarà anche Konag, che potrà offrire a entrambi una valida spalla.»

«Lo condannerai alla prigione, se non peggio, a questo modo» sottolineò Lithar, aggrottando la fronte.

Sorrisi mesto, e replicai: «Konag non rimarrà qui in ogni caso. Ha deciso di andare sulla terraferma.»

Krilash e Lithar mi fissarono sorpresi, ma io annuii con maggiore convincimento.

Spiegai loro di Megan, l'amica di Eithe, e di come si fossero trovati sulla stessa lunghezza d'onda, dopo aver superato le reciproche differenze culturali.

«Ma... si conoscono da quanto? Tre mesi? Non è un po' poco?» borbottò poco convinta Lithar, passandosi una mano tra i folti capelli neri, ora stretti in una coda di cavallo.

Era una delle poche donne, a Mag Mell, a non portarli rigidamente legati in intricate pettinature, se non durante i combattimenti.

«Se li vedessi insieme, capiresti» la rassicurai, sorridendole.

«Non mi opporrei mai a una decisione altrui, per quanto riguarda la sfera affettiva. Spero soltanto non se ne debba pentire in futuro. Lasciare Mag Mell, vuol dire perdere per sempre la possibilità di tornare.»

La sola idea parve spaventare Lithar, che rabbrividì alle sue stesse parole.

«Credimi, quando ne abbiamo parlato, sembrava assolutamente tranquillo. Anzi, mi pareva addirittura sereno.»

Forse, le vicende che avevano sconvolto la sua famiglia lo avevano convinto che il suo posto non fosse più qui, tra i fomoriani.

Trovare Megan e il suo branco, con le loro leggi e la loro cultura così diversa e, al tempo stesso, così simile alla nostra, gli aveva dato speranza.

Quella speranza che, fino a questo momento, non aveva scorto per sé e per il suo futuro.

Non me la sentivo di biasimarlo. Vicende simili avrebbero sconvolto anche tempre più forti. Io, di sicuro, ne ero rimasto davvero turbato.

«Saremo pronti, fratello. Te lo prometto.»

Krilash mi diede una pacca sulla spalla e, serio in volto non meno di Lithar, annuì. Era chiaro; non avrebbe lasciato nulla di intentato.

Era questo che aveva inteso Brianna Ann, la custode di Fenrir.

L'amore e l'appoggio della famiglia e degli amici, possono tutto.

 
***

Convocare un incontro formale con i Reali non significava soltanto far intervenire questi ultimi, ma anche i Saggi... e tutto il resto della Corte.

Gli alti colonnati di marmo bianco, che accerchiavano la sala del trono, non erano solo simili a imponenti lance puntate verso il soffitto a volta.

Quella sera, mi diedero l’idea di inquietanti quanto pericolose sbarre di una prigione, a cui io avrei dovuto sfuggire a tutti i costi assieme a Ciara.

Le due navate laterali, già gremite di folla curiosa e attenta, erano in fermento, pronte a essere testimoni di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.

Della Corte, facevano parte i più alti dignitari del regno.

Molte famiglie erano giunte direttamente dai Protettorati vicini, per assistere a quell'incontro.

Quando un principe si rivolgeva ai propri genitori col tono ufficiale quale io avevo usato, valeva la pena di sobbarcarsi un viaggio per esserne testimoni.

Nel momento in cui mi presentai innanzi alle porte della sala, Ciara al mio fianco nella sua divisa da ufficiale, ma con i capelli sciolti sulle spalle, la folla si azzittì.

Il cerimoniere di corte ci annunciò con voce tonante, che rimbalzò contro le pareti fino a giungere al palco in fondo al salone ovale, dove si trovava la coppia reale.

I tre Saggi, assisi sui loro modesti scranni, si trovavano alle spalle dei Reali, bianche figure incappucciate che tutto ascoltavano e tutto vedevano.

Sperai davvero che tutti e tre fossero d'accordo con la decisione mia e di Ciara, o sarebbe stato un incontro davvero breve quanto infruttuoso.

E, forse, davvero pericoloso per entrambi.

Lanciai uno sguardo a Ciara, ritta al mio fianco, la mano poggiata sul pomo della sua spada ricurva, che sempre sfoggiava quando era in divisa.

Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, e lei l'aveva sempre usata con saggezza e bravura.

Sperai davvero non dovesse snudarla, quella notte.

«Insieme» sussurrò, annuendo al mio sorriso.

Ripetei la stessa cosa e, all'unisono, ci muovemmo per raggiungere il palco, le due ali di folla a scrutarci con curiosità e dubbio crescenti.

Lithar e Krilash si trovavano ai piedi del palco, alle sue due estremità, anche loro in armi e cupi in viso come poche altre volte li avevo visti.

Saperli lì mi diede fiducia, oltre alla forza necessaria per prendere per mano Ciara, scatenando così i primi chiacchiericci impertinenti.

Scorsi subito la confusione comparire sul volto di mio padre, mentre il viso di Muath rimase gelido e impassibile.

Ma non gli occhi.

Quegli occhi bruciarono come fuoco, su di me, quasi volessero spingermi a lasciare la presa su quella mano.

Rifiutai di cedere a quel muto pensiero e Ciara, con forza, accentuò la stretta, ripetendo: «Insieme.»

Ora, il brusio divenne quasi fastidioso e, nell'avvicinarci sempre più al palco, scorsi tra la folla i volti di diverse nobildonne farsi sempre più cupi e sospettosi.

Che cominciassero a comprendere da che parte stesse girando l'aria? Probabile.

La famiglia di Ciara, in compenso, era silenziosa e preoccupata, immobile nell'angolo in cui si era rintanata per osservare quello spettacolo imprevisto.

Pareva non essere del tutto certa delle intenzioni della figlia.

O ne avesse paura.

Quando infine raggiungemmo i piedi del palco, riuscii a scorgere l'enorme energia a stento trattenuta da mio padre, che appariva fiero e indomito sul suo trono di corallo.

Imponente come pochi fomoriani, non mi sembrò però così grandioso come altre volte lo avevo visto.

Ora che conoscevo la vera grandezza, non mi parve così imbattibile.

Incontrare un dio ridimensionava, e di molto, l'importanza e la grandiosità degli altri.

Questo mi diede la forza per esclamare stentoreo: «Giungo a voi come postulante, padre, per perorare la causa mia e di questa donna, che io mi pregio di chiamare selhin. Lei è la Prescelta della parvhein, e intendo prenderla in moglie in virtù di questa verità inoppugnabile.»

Ovviamente, questa confessione scatenò una bailamme indescrivibile all’interno della Corte tutta.

Si gridò immediatamente allo scandalo, al tradimento, all'assurdità.

Nessun principe ereditario, prima di allora, si era presentato dinanzi al proprio re per un simile annuncio.

Diecimila anni perdurava il potere sulla corona di ogni Re, e mio padre sarebbe giunto al termine dei suoi nel corso di pochi anni terrestri.

Sapere che io, in spregio alle regole, desideravo prendere in moglie una donna di basso rango, andava contro tutte le antiche leggi, gli usi e i costumi dei fomoriani.

E poneva le basi per un precedente pericoloso, che in pochi desideravano rendere reale.

La parvhein passava in secondo piano, in questo caso. A nessuno di loro interessava veramente quel particolare.

I figli si potevano avere lo stesso, anche senza selhin, la Prescelta, ma sarebbe nato un solo bambino dalla Coppia Reale.

Concubine sarebbero state affiancate al re, affinché la sua discendenza fosse stata ritenuta al sicuro.

Se per qualche motivo qualcosa fosse andato storto, invece, la linea dinastica si sarebbe interrotta, dando la possibilità a un'altra famiglia di regnare.

Fino a quel momento, i mac Lir erano stati baciati da sorte benevola, ma tutto poteva succedere.

Il fatto stesso che la parvhein fosse comparsa al di fuori della cerchia ristretta dell’alta nobiltà, faceva vacillare le basi stesse della legge su cui si basava.

Non contava più che per decine, centinaia di millenni, la parvhein fosse sempre comparsa nelle alte schiere di nobili fomoriani.

Non contava più che per decine, centinaia di millenni, i Saggi non avessero mai sbagliato previsione.

Quella notte, tutto sarebbe cambiato.

«Non ti è concesso chiedere, e lo sai benissimo, figlio. Il fatto che tu abbia disonorato te stesso con questa donna, e il capitano della guardia si sia piegato ai tuoi più bassi istinti pur di compiacerti, non rende merito a nessuno di voi due. La sua famiglia è alla base della scala sociale, non ai suoi vertici. Non può essere tua sposa!»

Il brusio aumentò, i sorrisi floridi di molte nobildonne sorsero come nubi minacciose in un cielo terso, ma io non mi diedi per vinto.

«Non vi importa di avere la certezza di una prolifica dinastia, dopo di voi? Senza Ciara, ciò sarebbe impossibile, e io non mi abbasserò mai a prendere per me schiere di concubine reali con cui riprodurmi.»

Detestavo dover parlare di Ciara a quel modo, come se lei non fosse importante come persona, ma solo come potenziale madre dei miei figli.

Sapevo, però, che era l'unico argomento che interessava alla nobiltà, e ai miei genitori.

Lo vidi aggrottare la fonte, farsi dubbioso, e Muath intervenne a riempire i silenzi del marito.

Era evidente quanto, a nessuno dei due, fosse piaciuto il mio modo di parlare così schietto, e davvero poco consono per un fomoriano d’alto rango.

Scrutai mia madre mentre, furiosa quanto contenuta, si levava dallo scranno per scrutarci imperiosa.

Scese dal palco, maestosa e fiera – non era imponente come il marito, ma superava i due metri di altezza – e, senza dare alcun preavviso, schiaffeggiò Ciara.

Mi mossi per allontanarla da lei, ma Ciara mi lanciò un'occhiata gelida prima di tornare a fissare con aria di sfida la regina.

Nessuna osava mai guardarla negli occhi. A stento noi figli riuscivamo in quest'impresa.

Questo avrebbe voluto dire essere alla completa mercé del suo potere, della sua abilità di leggere forzosamente nella mente.

Un silenzio di tomba cadde nella sala, di fronte a un simile evento.

Muath, subito sorpresa dalla sua sfida, aggrottò le sopracciglia quando, a sorpresa, non riuscì a compiere ciò per cui era famosa.

In qualche modo, da quello che riuscii a percepire, Ciara la stava tenendo fuori dalla sua mente, dimostrando non solo coraggio da vendere, ma anche una forza non da poco.

«Cedi, sciocca ragazza» sibilò la regina, accigliandosi.

«Se cedessi, perderei Stheta» replicò calma Ciara, accennando un sorriso.

«Desideri così tanto la corona, ragazzetta?» la irrise allora mia madre, cercando di far leva sul suo orgoglio di donna e soldato.

Chiamarla 'ragazzetta' era un insulto bello e buono e, in quel momento, la odiai.

Ciara, però, non diede adito di aver udito l'ingiuria, e si limitò a replicare: «Desidero lui. Questo è ciò che conta.»

Muath levò nuovamente la mano per colpirla, ma stavolta la bloccai per tempo, afferrando il suo polso con tutta la forza che avevo.

Contrastarla non era mai stato facile – noi figli eravamo minuti, rispetto a lei – ma, messo di fronte a quel potenziale pericolo per Ciara, non badai al dolore.

Mi interposi fra loro e, sfidandola con lo sguardo come aveva fatto la mia compagna, replicai al suo cipiglio sibilando: «Non è colpendola, che risolverete le cose.»

«Sua Altezza ha ragione, Maestà, se mi è concesso parlare» intervenne a quel punto Savarhne, levandosi dal suo scranno.

Un nuovo coro di voci scoordinate si levò tra la folla presente e, con occhi speranzosi, seguii le movenze del Saggio nel suo lento avvicinamento alla regina.

Muath lo fissò arcigna, ma disse sommessamente: «Il vostro parere è sempre ben accetto, Saggio Savarhne. Parlate, dunque, e rendeteci edotti.»

«Sono umile servitore dei fomoriani, mia regina, e per i fomoriani io desidero il meglio. Di fronte alla forza di questi due giovani, non posso che essere lieto che il principe sia l'erede delle Vostre Grazie, poiché in esso vedo una forza pari alla vostra.»

Sorrise mellifluo, forse lieto che il brusio si fosse attenuato, e aggiunse: «In questa giovane scorgo la vostra forza, Maestà. Solo una donna di pari valore a voi, avrebbe potuto reggere il confronto con il vostro dono, non ne convenite?»

Sogghignai, notando la sottile astuzia di Savarhne. Adulare e circuire.

Paragonare noi a loro, equilibrando le nostre forze alle loro, così che ciò che stavamo facendo non apparisse come spregio, ma come una qualità, un dono.

Ciara aveva vinto la battaglia contro la regina, ma questo Savarhne non avrebbe mai potuto dirlo ad alta voce.

Adulare la regina per la sua forza e mettere Ciara alla pari, ma mai sopra di lei, era un buon modo per calmarla.

Allo stesso modo, Savarhne si rivolse agli altri Saggi, spingendoli a parlare.

Mimir e Hœnir si levarono quindi a loro volta, affiancando il compagno e, dopo aver lanciato svariate occhiate a noi e alla Coppia Reale, esposero infine la loro opinione.

«Ciò che Savarhne ha fatto notare è vero, mio re» iniziò col dire Mimir, lasciando poi la parola all'altro Saggio.

«Inoltre, la parvhein è importante, specialmente ora che viviamo su un nuovo mondo, un mondo così diverso dal nostro, in cui abitano creature tra le più disparate.»

«Una discendenza numerosa porterà forza alla Corona, mio re, non la indebolirà di sicuro» aggiunse a sua volta Savarhne.

«Gli Oracoli cosa dicono?» si informò a quel punto mio padre, restio a darmi ragione solo per partito preso.

«Nessun Oracolo è stato consultato in tal senso, sire, poiché nessuno di noi era al corrente dei motivi per cui ci siamo riuniti qui oggi» asserì spiacente Mimir.

«Senza la voce degli Oracoli, non posso...»

Interruppi mio padre prima che terminasse la frase e, in spregio a un'altra regola, mossi i miei passi sul palco per raggiungerlo.

Sguainata la spada di fronte a un pubblico più che incredulo, dichiarai: «Vi sfido a duello, padre, per ottenere il permesso di sposare Ciara. Se vi batterò, dimostrerò a tutti che sono degno di questo trono, oltre che di scegliere la sposa a me più congeniale.»

Il boato che si levò tra i presenti quasi fece tremare le pareti del salone.

Ero consapevole degli sguardi tesi e preoccupati di Lithar e Krilash, ma ormai avevo lanciato la sfida.

E, in tutta onestà, non me ne pentivo.

Volevo quello scontro, per un sacco di buoni motivi.

Primo tra tutti, vendicare mio fratello Rohnyn, secondariamente, far capire una volta per tutte a mio padre quanto fossi pronto per quel ruolo.

Ciara non fu da meno.

Slacciò il fodero della spada, che teneva legata in vita, e la consegnò infoderata alla regina, dichiarando stentorea: «Vi sfido a duello, mia signora, per ottenere il permesso di sposare Stheta. Se vi batterò, dimostrerò a tutti che sono degna di questo trono, e di essere la sposa del principe.»

Le sorrisi da sopra la spalla, lieto che avesse scelto le mie stesse parole, quasi fossero una nuova formula di rito, quasi stessimo dando inizio alla nostra personale legge di investitura.

Una nuova via, con nuove regole.

La risata reboante di mio padre, però, ci colse tutti di sorpresa.

Si levò dal trono, scostandomi senza neppure troppa educazione e, dopo essere sceso dai gradini del palco, andò a portarsi proprio di fronte a Ciara.

Appariva piccola e indifesa, di fronte a lui, eppure non cedette il passo, levò lo sguardo a sfidare anche il suo re e, da ultimo, sorrise.

Fu un sorriso spavaldo, coraggioso, o forse del tutto folle, ma lo fece.

E mio padre agì in risposta.

Sogghignò, e capii subito che in quel sogghigno era compresa anche una sottile vendetta – non seppi dire se rivolta a noi, o a chi altro – e dichiarò: «Se fossi io ad accettare la tua sfida, combatteresti?»

«Per Stheta, combatterei contro i vostri eserciti, sire. Ne vale la pena» replicò, serena in volto.

Non v'era traccia di paura, in lei. Credeva in noi due, e questo le dava la forza necessaria per lottare contro il re.

Tethra rise ancora, più forte di prima e, dando una sonora pacca sulla spalla a Ciara, che rischiò di cadere per il contraccolpo, esclamò: «La voglio! Nessun'altra donna avrebbe avuto il coraggio di sfidarmi, e nessun'altra donna merita un posto sul trono di regina, se non lei.»

Muath lo fissò accigliata, forse indispettita dal fatto che suo marito fosse così affascinato da una donna che non fosse lei, ma si guardò bene dal dire qualcosa.

Dopotutto, quando il re parlava, anche lei doveva cedere il passo.

Mi padre si volse infine verso di me, l'ilarità ormai svanita dal suo volto, e dichiarò: «Accetterò la tua scelta, figlio, ma solo perché questa donna si è dimostrata all'altezza del compitò che le spetterà come tua regina. Non pensare neppure per un istante che sia per un motivo diverso da questo.»

Non volli dirgli che, il suo spregio nei confronti dei nostri sentimenti, suonava come un insulto bello e buono.

Avevo ottenuto quello che volevo, ma non ne fui orgoglioso.

Reclinai il viso per accettare la sua decisione e, quando mi passò a fianco, non aprii bocca.

Fu lui a farlo, e solo per le mie orecchie.

«Non pensare che questo costituisca un precedente. Il fatto che lei abbia risvegliato in te la parvhein, l'ha salvata dal cappio del boia, ragazzo. Non avrei mai accettato, diversamente. Inoltre, il fatto che resista a tua madre, la rende un'ottima regina potenziale. Potrà trasmettere una simile forza ai vostri figli.»

Sprezzante, poi, aggiunse: «Forza che tu, evidentemente, hai lasciato da qualche altra parte. Ora vattene, e vedi di non sfidarmi mai più.»

Assentii, preferendo non fargli notare l'ovvio, cioè che il solo fatto di sfidarlo era stata la mia, la nostra forza.

Tenni per me quei pensieri e, quando presi nella mia la mano di Ciara, mi allontanai dal palco sotto gli occhi sconvolti di tutti.

Feci solo in tempo a udire un borbottio di mio padre, prima di venire attirato dalle occhiate torve della Corte.

Si udì qualche timido applauso, e alcuni dei soldati si arrischiarono a dare confortanti pacche sulle spalle a me e Ciara.

Non vi fu altro, perché nessuno – neppure io – sapeva cosa realmente stesse pensando il re, tanto meno la regina.

Certo, la proposta era stata accettata, e Tethra aveva dato il suo personale benestare, acconsentendo a prendere Ciara sotto la sua ala.

Tutto poteva succedere, però, da quel momento in poi.

Quel sogghigno ancora mi tormentava. E lo avrebbe fatto per molto tempo ancora, temetti.

Non avrebbero potuto rimangiarsi la parola, essendo stata data dinanzi alla Corte e ai Saggi, ma le nostre sicurezze finivano lì.

Avremmo dovuto tenere un profilo basso, almeno per un po', giusto per non incorrere in qualche problema.

Ma il più sembrava essere stato fatto.

Quando, però, raggiungemmo le mie stanze e ci fummo chiusi la porta alle spalle, Ciara vi si lasciò scivolare contro fino a sedersi a terra.

In silenzio, poggiò la fronte contro le ginocchia e singhiozzò, esalando: «Sono persone orribili

«Se intendi i miei genitori, ne sono pienamente consapevole, ma...» cominciai col dire, inginocchiandomi accanto a lei per darle una pacca sulla spalla.

Lei mi interruppe, sollevando due liquidi occhi di zaffiro per replicare stizzita: «Quelle... donne! Le cortigiane! Non ci ho mai fatto molto caso, perché mi sono sempre occupata della sicurezza del palazzo, e con loro non ho mai parlato. Ma mi hanno guardata in un modo...»

Le lacrime si asciugarono, sostituite dalla rabbia.

«Finché le proteggevo, andava tutto bene. Ma, quando ho messo le mie manacce su di te, mi si sono rivoltate subito contro! Devono davvero odiarmi, per averle defraudate del piacere di averti!»

Da quelle parole, capii una volta di più quanto Sheridan l’avesse plasmata, rendendola non solo più spontanea, ma anche più… sboccata.

L’idea stessa mi fece sorridere, ma non per molto. Non mi piaceva vedere Ciara così nervosa.

A quel punto rise isterica e io compresi appieno quanto, quello scontro, l'avesse provata.

La sollevai da terra, stringendola per cullarla contro di me e lei, senza protestare, si lasciò condurre verso il divano, dove si accomodò al mio fianco.

Era troppo alta perché potesse accoccolarsi nel mio abbraccio, ma trovai il modo di farla sentire comunque protetta e al sicuro.

La feci sdraiare, così che il suo capo fosse poggiato sulle mie cosce e, con gesti teneri, presi a carezzarle la chioma fulva e ribelle.

Le sue onde d'oro rosso scivolarono tra le mie dita, mentre lievi parole di conforto uscirono dalla mia bocca.

Poco alla volta, Ciara parve chetarsi e, quando tornò a levare lo sguardo per incrociare i miei occhi, borbottò: «Scusa. Sono esplosa senza motivo.»

«Ne hai a centinaia, di motivi per esplodere, Ciara. Hai dovuto affrontare l'intera Corte, i miei genitori, i Saggi, ben sapendo di partire in posizione di svantaggio. Hai dimostrato una forza immensa.»

Lei allora mi sorrise, e replicò: «Sei sempre stato tu la mia forza, fin da bambini. Non avevo timore di stare nelle senturion, perché c'eri tu. Certo, anche i tuoi fratelli erano importanti. Ma io guardavo a te, per ispirarmi.»

Le sorrisi, sfiorando le sue labbra con il pollice. Volevo baciarla ma, al tempo stesso, anche ascoltare ciò che aveva da dirmi.

Le senturion, i campi di addestramento e indottrinamento che, per millenni, avevano svezzato e formato i fomoriani, sia qui che su Vanaheimr, non erano un ricordo piacevole per nessuno.

Ci eravamo sempre ispirati ai Vani, nostri amati dèi protettori, nel crescere e addestrare i nostri figli.

Figli noi stessi di dèi guerrieri, – grazie al sangue di Freya e Freyr che scorreva nelle nostre vene – avevamo sempre vissuto cercando di onorarli al meglio.

Le senturion erano servite a crescere guerrieri sempre più forti, così che loro fossero compiaciuti dai nostri successi.

Essi ci avevano donato lunga vita e prosperità, prima di svanire nelle braccia di Yggdrasil per salvare le nostre esistenze.

Doveva essere stato tremendo, per loro, rinunciare a tutto pur di salvare i propri figli.

In uno dei suoi pochi slanci di apertura, nostra madre ci aveva detto di aver avvertito come un pugno nel petto quando, come un ultimo respiro collettivo, i Vani erano scomparsi da Vanaheimr morente.

Essendo nato sulla Terra, avevo accettato come un dato di fatto quel particolare ma, dopo aver parlato con Fenrir, ero più propenso a crederle.

Giungendo sulla Terra, molto era cambiato, ma diversi nostri usi erano rimasti, nonostante non fossimo più su Vanaheimr.

Le senturion, nostro antico retaggio, erano infatti rimaste.

Avevo detestato non meno di Ciara e dei miei fratelli, quei luoghi privi di umanità, dove la competizione era feroce, e solo i più forti predominavano.

Lì, non esistevano distinzioni di rango, e molti avevano approfittato di quella sorta di liberatoria per prendersela con noi e con i figli dei nobili più titolati.

Lithar, in particolare, era stata presa di mira più di noi tutti messi assieme.

Anche per questo, l'avevo sempre protetta più degli altri miei fratelli.

Ciara si era unita a noi quasi subito, diventando spalla e amica di Lithar e, anche a causa di ciò, aveva passato un vero inferno, nelle senturion.

Ma questo, l'aveva anche fatta diventare la migliore combattente che io avessi mai conosciuto.

Come se avesse seguito l'andirivieni dei miei pensieri – e forse era stato davvero così – Ciara mi sorrise e mormorò: «Eri così forte, così coraggioso, mentre proteggevi tua sorella. Volevo essere come te, impadronirmi del tuo stesso coraggio. E avere degli amici da poter chiamare tali.»

«Nelle senturion, non è facile farseli» annuii, cosciente di questa verità indiscutibile.

Gli spartani, a suo tempo, si erano ispirati a noi, per ideare l'agoghé, anche se avevano risparmiato da un simile fato le classi più elevate della società.

Così non era mai stato per i fomoriani. Tutti dovevano sottostarvi, uomini e donne, reali o semplice popolino.

Ogni fomoriano doveva essere addestrato per diventare perfetto, sia nelle arti della guerra che nella cultura generale.

Chi non primeggiava... beh, rammentavo fin troppo bene cos'era avvenuto in passato, per volermici soffermare.

Ciara fu d'accordo con me, preferendo sorvolare su quel particolare atroce delle senturion.

Sollevò il braccio destro e si tolse il bracciale dell'armatura, mostrandomi il polso.

Sapevo di quella ferita liscia e bianca, all’altezza dell’attaccatura della mano, ma non ne avevo mai conosciuto la storia.

Ciara la accarezzò come persa nei ricordi, e mormorò: «Mi tagliarono il polso per farmi morire dissanguata. Mi tennero a terra in quattro, due sulle braccia, due sulle gambe... e risero, risero fino alle lacrime.»

La guardai, ansando sconvolto.

«Fu Lithar a liberarmi. Si lanciò contro uno di loro con tutta la forza che aveva, così che io potessi riappropriarmi dell'uso di una delle gambe. Scalciai come un'ossessa, mentre Lithar cercava come meglio poteva di difendersi. Era così piccola

Tolse anche l'altro bracciale, e proseguì, incurante della mia espressione scioccata.

«Mi liberai degli assalitori, afferrai lo spadino che avevano usato per ferirmi e li uccisi, dopodiché corsi da Lithar ed eliminai anche il ragazzo che la stava picchiando.»

Lo disse con calma, senza mettere nulla nella sua voce. Non la disturbava averli uccisi, non era per questo che mi stava raccontando quella storia.

«Lithar era conciata male, così la presi in braccio per portarla in infermeria, ma non ci arrivai mai. Le ferite mi avevano debilitata a tal punto che svenni a metà del tragitto.»

«Cosa successe, dopo?»

«Mi ritrovai in infermeria. Era vuota, con l'eccezione di Lithar... e di tua madre.»

Sospirai, sorpreso da questo risvolto imprevisto della storia.

Nessun genitore poteva presentarsi nei campi delle senturion, neppure i Reali.

Solo i dottori e gli infermieri potevano prendersi cura degli infanti, mentre gli istitutori e gli addestratori pensavano alla nostra cultura.

«La stava curando personalmente. Quando cercai di alzarmi, notai i polsi fasciati. Tua madre si volse verso di me, l'aria tesa e ansiosa, e mi chiese cosa fosse successo. Le raccontai tutto e lei annuì, promettendomi che non avrei subito conseguenze. Mi ero difesa e, più di tutto, avevo difeso Lithar.»

«Beh,... questa non me l'aspettavo» esalai, più che mai sorpreso.

«Da quel giorno, non venni più attaccata, e neppure Lithar. Ci eravamo guadagnate il rispetto degli altri. E, forse, tua madre disse un paio di parole a qualcuno.»

Non avevo mai neppure sospettato che dietro le ferite di Ciara, e il cambiamento avvenuto nei ragazzi delle senturion, vi fosse questo.

Il saperlo, però, mi fece sorgere una domanda. «Perché, allora, lo schiaffo? Se ti aveva a cuore, perché...»

«Forse, lo ha visto come un insulto nei suoi confronti. Sai, forse pensa io abbia approfittato del suo buon cuore» mormorò, negli occhi il dispiacere per non essere stata compresa.

La sollevai perché si sedesse sulle mie gambe, pur se lei protestò a causa del suo peso, ma io non la ascoltai.

La abbracciai, baciandola, e mormorai sulle sue labbra: «Hai il mio rispetto, il mio amore e la mia riconoscenza. Come hai quelli di Lithar e Krilash. Per non parlare dei tuoi uomini. L'esercito è dalla tua parte, Ciara, non dimenticarlo mai. E poi ci sono Rohnyn, Sheridan, Eithe... il branco. Tutti loro.»

«Posso vivere anche senza i sorrisi delle cortigiane... o di tua madre.»

La baciai ancora, dichiarando con ironia: «Le passerà. Ci vorrà qualche millennio, ma le passerà.»

Rise, e mi abbracciò.









Note: Se qualcuno si chiedesse i motivi del sogghigno di Tethra, o dello strano comportamento tenuto da Muath nelle senturion, posso solo dirvi che tutto verrà spiegato nell'ultima storia, che vedrà Lithar come protagonista.
Per ora posso solo ringraziarvi per avermi seguita fino a qui. Buon proseguimento!
  
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