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Autore: 9Pepe4    10/06/2015    2 recensioni
Dopo la Battaglia delle Cinque Armate, Tauriel si trova in esilio, quando un incontro inaspettato la porta a pensare al suo rapporto con Thranduil.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Tauriel, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non tutti gli erranti sono perduti'
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Distanze

01 # Tauriel

Tauriel era accovacciata sulle sponde del fiume Lhûn. Davanti a lei, si stagliava il profilo dentellato delle Montagne Azzurre. Il suo sguardo, tuttavia, era puntato sui pesci che aveva appena catturato e che stava sistemando in un morbido cesto di erbe intrecciate.
Quando ebbe finito, si sciacquò le mani nel fiume, quindi si toccò istintivamente i capelli ramati come per valutarne la lunghezza.
In seguito alla Battaglia delle Cinque Armate, ormai otto anni prima, li aveva tagliati all’altezza delle spalle, e da allora li aveva accorciati regolarmente, seppur con una punta di rimpianto. Non si era mai interessata molto al proprio aspetto, ma aveva sempre amato prendersi cura della propria capigliatura.
Quando si era ritrovata a vivere a Dale e ad aiutare gli Uomini a ricostruire la loro città, però, aveva dovuto ammettere a malincuore che portare i capelli lunghi sarebbe stato estremamente poco pratico. Ora che aveva preso a viaggiare, poi, aveva a disposizione ancor meno tempo per lavarli e pettinarli.
Udendo un rumore di zoccoli alle proprie spalle, si irrigidì appena, e mise le mani sui pugnali che portava alla cintura. Dubitava che si trattasse di qualcuno di più pericoloso di un innocuo pescatore, ma in caso contrario sarebbe stata pronta.
I passi alle sue spalle si arrestarono bruscamente.
«Capi…! Tauriel?» chiese una voce incredula. Incredula e… familiare.
Tauriel voltò di scatto la testa.
Davanti a lei si trovava un Elfo Silvano dai capelli lisci, castano scuro, e gli occhi grigi. Era a piedi, ma teneva per le redini un cavallo dal manto scuro.
«Merion?» domandò Tauriel, sorpresa, alzandosi lentamente e girandosi del tutto verso di lui. Fece per chiedere come mai si trovava lì, ma l’altro non gliene diede il tempo.
«Sei viva» constatò, un po’ rigidamente.
«Sei lontano da Bosco Atro» replicò Tauriel, cercando di non dar peso al suo tono aspro.
Merion era più vecchio di lei di qualche secolo, ed era entrato a far parte delle guardie solo alcuni anni prima della Battaglia delle Cinque Armate. Perché mai si trovava così lontano dal Reame Boscoso?
Merion alzò il mento. «Io eseguo gli ordini del mio re».
Quell’accusa punse Tauriel sul vivo. Un tempo, avrebbe reagito con fare piccato, ma ora si trattenne.
Aveva messo i propri ideali davanti ai propri doveri e se n’era andata da Bosco Atro. Non poteva biasimare Merion per la sua animosità.
In silenzio, lo osservò. Lui indossava abiti comodi, adatti a viaggiare, ed un ampio mantello con cappuccio che poteva tornare utile per nascondere le sue orecchie a punta.
«Mi dispiace» gli disse Tauriel, a bruciapelo.
Merion la fissò con una punta di sospetto. «Come?»
«Mi dispiace» ripeté lei. «Mi dispiace di non essere stata al vostro fianco».
Non rimpiangeva di aver seguito gli Orchi sino a Pontelagolungo. Senza di lei, Kíli sarebbe morto quella notte, e probabilmente sarebbero stati uccisi anche i figli di Bard. Ma le dispiaceva di aver fatto un torto alle guardie sotto il suo comando.
Merion si accigliò maggiormente, poi le rivolse un cenno del capo.
«Come sta la gente del Reame Boscoso?» chiese Tauriel, dopo un momento di silenzio.
«Ci sono stati dei caduti nell’esercito» rispose Merion. «E il lutto ha fatto vittime tra coloro che li amavano».
Tauriel avvertì una fitta dolorosa al ventre. Pensò a Feren, ai gemelli, e a molti altri che avevano combattuto al suo fianco per secoli. Avrebbe voluto chiedere chi era stato sopraffatto dal dolore, ma vedeva con chiarezza che era un argomento su cui Merion preferiva non soffermarsi, così non insistette.
«Il principe Legolas?» chiese invece.
L’ultima cosa che aveva saputo di lui era che si era recato alla ricerca dei Dúnedain.
Merion la valutò in silenzio. «Non è ancora tornato» le disse poi, «ma sappiamo che è vivo ed in buona salute».
Tauriel emise un respiro di puro sollievo. «E il re?» osò chiedere, col cuore che batteva un po’ più forte. «È…?»
«Anche lui è vivo e in buona salute, per grazia dei Valar».
Lei tacque un istante, come per assorbire quelle informazioni. «Ti ringrazio».
Merion annuì, lanciando uno sguardo verso le Montagne Azzurre. «Boe annin gwad» affermò poi, girandosi verso il proprio cavallo.
«Garo lend vaer» rispose Tauriel, la voce più soffice nel parlare di nuovo in Sindarin dopo tanto tempo.
Merion montò agilmente sul proprio cavallo, sistemò le redini ed indossò il cappuccio in modo da nascondere le proprie orecchie a punta. Prima di spronare il proprio destriero con un colpo di talloni ed allontanarsi rapidamente, lanciò un’ultima occhiata a Tauriel.
Lei rimase ferma a fissarlo finché non scomparve all’orizzonte. A quel punto, sospirò e si chinò a raccogliere il cesto dei pesci.
Non sapeva come sentirsi riguardo a quell’incontro, né come spiegarsi la presenza di un Elfo di Bosco Atro tanto ad ovest, ma era un sollievo sapere che Legolas e Thranduil stavano bene.
In silenzio, si ritrovò a ricordare la propria vita prima della Battaglia delle Cinque Armate, le notti in cui era sgusciata fuori dalle sale del Reame Boscoso e si era arrampicata sugli alberi, così da poter contemplare il cielo nero punteggiato di stelle.
In quei momenti, i suoi polmoni si dilatavano per l’aria fredda che li riempiva, e tutto il suo corpo doleva per il desiderio di protendersi oltre i confini del suo mondo, viaggiare, visitare terre sconosciute.
Allora, provava una strana ed infinita nostalgia per luoghi che non avrebbe mai visto.
Forse era questo il suo destino, pensò, e il petto le si strinse in una morsa. Desiderare ciò che non poteva avere.
Con un respiro tremulo, infilò la mano in una tasca interna all’altezza del seno e ne tirò fuori la pietra runica di Kíli. La soppesò sul proprio palmo, il cuore che martellava tanto forte da far male, poi serrò il pugno e la rimise al suo posto.
Indugiò un istante, tornando a reggere il cesto dei pesci con entrambe le mani, quindi si incamminò.
Dopo un po’, giunse in vista di una modesta capanna, e rallentò il passo. Sapeva bene che di guardia non vi era alcun cane, ma in compenso c’era un’oca che starnazzava ed arruffava le piume e tentava di beccare le dita di qualsiasi sconosciuto.
Tauriel assottigliò lo sguardo. Dov’era quella bestiaccia?
Non la vide, ma in compenso notò la padrona di casa che usciva dalla porta, ed avanzò di un paio di passi. «Álof!» chiamò.
La donna alzò la testa e la individuò, per poi venirle incontro. Aveva una cinquantina d’anni, ed i suoi capelli scuri erano spruzzati di grigio, mentre metà del suo volto era sfregiata da una bruciatura.
«Eccoti di nuovo» affermò, giungendole accanto.
Parlava strascicando un po’ le parole, siccome la pelle indurita dal fuoco le tirava l’angolo destro delle labbra.
Tauriel non le aveva mai chiesto cosa le fosse successo. Era una sorta di tacito accordo che vigeva tra loro da quando si erano incontrate per la prima volta, un paio di mesi prima.
Quel giorno, Tauriel era stata assalita dall’oca, ed era verosimilmente prossima a tirarle il collo e a farla arrosto, quando Álof era uscita per calmare la bestia.
La donna non aveva battuto ciglio di fronte alle spropositate orecchie a punta di Tauriel, ma l’aveva trattata sin da subito con una rozza ma amichevole familiarità.
In seguito, si erano incontrate regolarmente – Tauriel le portava gli animali che catturava e in cambio Álof le forniva alcune erbe. Talvolta si scambiavano qualche parola, ma non si erano mai rivolte domande sul loro passato.
«Ho portato alcuni pesci» annunciò Tauriel, mostrando il contenuto del proprio cesto.
Álof li contemplò, poi le fece cenno di seguirla. «Vieni, entriamo in casa».
Insieme, si diressero verso la capanna. A metà strada, l’oca spuntò da dietro l’angolo, starnazzando infuriata all’indirizzo di Tauriel. Quest’ultima strinse gli occhi, portando istintivamente la mano ad uno dei pugnali.
Provava compassione per quasi ogni essere vivente, ma sembrava che tra lei e quell’animale non ci sarebbe mai stata una tregua.
Álof ammansì l’oca con uno schiocco di dita e la cacciò via. «Bestiaccia indisponente» commentò, seppur senza rancore.
Tauriel concordava pienamente con quell’appellativo, ma mentre entravano si limitò a dire: «È un’ottima guardiana».
Questo, almeno, poteva riconoscerglielo.
La capanna non era molto ampia. C’era una stanza principale, che fungeva da cucina e salotto insieme, con un tavolo, un sofà, un caminetto ed un’ampia dispensa, ed una porta che doveva condurre alla camera da letto di Álof.
Alcune erbe erano appese al soffitto a seccare, e su una parete era sistemato il ritratto di una donna fiera, dalla pelle scura. Aveva labbra carnose, occhi luminosi, e corti capelli corvini.
Da alcuni accenni, Tauriel aveva dedotto che si trattasse di un’amante proveniente da terre lontane, partita un giorno e mai più tornata.
«Perché non pulisci i pesci?» propose Álof, indicando il tavolo. «Puoi usare quel coltello. Io intanto tiro fuori le erbe. Vuoi le solite, non è vero?»
Tauriel annuì, dirigendosi verso il tavolo e sedendosi su una sedia sgangherata, per poi disporre i pesci davanti a sé e prendere il coltellaccio posato lì accanto. Iniziò a sventrare e a decapitare i pesci in modo rapido ed efficiente, seppur con una lieve smorfia al viscidume che le impiastricciava le mani.
Improvvisamente, forse a causa dell’incontro con Merion, pensò a Thranduil. Ricordò il modo in cui il re si era preso cura di lei dopo la Battaglia delle Cinque Armate, e si morse con forza le labbra.
«A voialtri Elfi vengono le rughe?»
Tauriel sbatté le palpebre ed alzò lo sguardo su Álof, che si era girata verso di lei con una mano ancora nella dispensa.
«Cosa?»
«Ho sentito che agli Elfi non vengono le rughe» rispose la donna, «e spero per il tuo bene che sia vero. Cos’è che ti fa corrucciare tanto? A cosa stavi pensando?»
Tauriel rimase un momento senza parole. Non era molto propensa a parlare dei propri pensieri, senza contare che Álof non sapeva né che lei era stata bandita né il perché.
Allungò una mano verso un pesce che non aveva ancora pulito. «Pensavo… a mio padre» mentì, automaticamente, ma nemmeno lei sapeva sino a quanto fosse una bugia.
Ricordò il tocco di Thranduil mentre si occupava della sua spalla lussata, mentre tastava le sue costole incrinate. Era stato così delicato, così confortante, così… familiare.
Quando Tauriel pensava alla propria infanzia dopo l’uccisione dei suoi genitori, rammentava soprattutto Legolas. Legolas che le consentiva di seguirlo pressoché ovunque, che le narrava storie sui Valar e sulla creazione del mondo, che le permetteva di salirgli sulla schiena quando era troppo stanca per camminare.
Thranduil era stato una figura più distante, in qualche modo, ma infinitamente rassicurante. Come un guardiano silenzioso che la osservava da lontano e si assicurava che lei stesse bene.
Álof scosse la testa. «Un padre non dovrebbe farti corrucciare così tanto… Se non è un padre cattivo».
Dalla piega dura delle sue labbra, Tauriel pensò che lei sapesse perfettamente cosa significava avere un padre cattivo.
«Non si tratta di questo» si affrettò a replicare. «È solo che abbiamo avuto dei contrasti, in passato. Delle opinioni divergenti».
E non solo al tempo della Battaglia delle Cinque Armate. A Tauriel venne in mente un episodio risalente a qualche secolo prima, quando a Pontelagolungo era scoppiata un’epidemia di febbre.
Il governatore di allora aveva inviato a re Thranduil una richiesta di aiuto, ma lui aveva rifiutato categoricamente di inviare i propri guaritori.
All’epoca, Tauriel non aveva saputo spiegarsi la decisione del suo signore. Gli Elfi non potevano essere contagiati, dunque che pericolo c’era?
Sventrò il pesce sotto la propria mano con un taglio netto e deciso e ripensò all’epidemia che era scoppiata a Dale l’anno in cui lei se n’era andata.
Ora capiva, pensò. Thranduil non aveva agito tanto per sprezzo dei mortali quanto per amore della sua gente. Non temeva per la loro salute fisica, ma per il loro spirito.
Se li avesse mandati in aiuto a Pontelagolungo, e loro si fossero affezionati a chi stavano curando e non fossero riusciti ad impedirne la morte? Che effetto avrebbe avuto su di loro?
Tauriel chiuse per un attimo gli occhi, e le sue mani si fermarono. Non condivideva tuttora la decisione del re – per lei valeva sempre la pena di correre il rischio, se c’erano delle vite in gioco – ma almeno adesso la comprendeva.
Avrebbe dovuto proporgli un compromesso, ad esempio lasciar andare chi si fosse offerto volontario per quell’incarico… Chissà, forse questo Thranduil l’avrebbe accettato.
«Avere dei contrasti è normale» dichiarò Álof, componendo un mazzolino di erbe. «Nessuno ha la testa uguale a quella del suo vicino».
«Lo so». Tauriel si morse le labbra. «Ma ho tradito la sua fiducia. Gli ho rivolto accuse crudeli».
Davanti alle parole sprezzanti di Thranduil verso i mortali, si era sentita raggelare.
Era stato come guardare qualcuno e non riconoscerlo. Tutte le incomprensioni che avevano avuto nel corso dei secoli, persino quelle più insignificanti, si erano assommate le une alle altre… La manifestata indifferenza del re per il destino dei Nani era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Razionalmente, Tauriel avrebbe potuto riconoscere che Thranduil dava la priorità alla salvezza della propria gente, ma lei non era mai stata una persona razionale. E in quel momento, circondata da una guerra e con l’incertezza per la sorte di Kíli nel cuore, aveva agito senza pensare.
Aveva perso il controllo sulle proprie emozioni, aveva puntato il proprio arco contro il re che aveva giurato di difendere, gli aveva sibilato che era privo di amore.
Le era servito sperimentare un dolore simile al suo, per capire quanto si era sbagliata.
Álof si avvicinò e posò le erbe sul tavolo. «Poi ti sei chiarita con lui?» domandò.
Tauriel fissò le scaglie argentee che si erano attaccate alle sue mani e scosse la testa. «No» mormorò, «avrei voluto, ma… erano successe molte cose».
I corpi riversi nella neve. Il cielo oscurato da orde di enormi pipistrelli. Kili che veniva sopraffatto così facilmente, che si sforzava di muovere le labbra, di continuare a respirare.
Il suo cuore che si spezzava con impeccabile precisione.
Non era stata abbastanza forte. Non era stata abbastanza pronta. Aveva creduto di poterlo salvare ma aveva sbagliato tutto.
Quando Thranduil l’aveva confortata e si era occupato delle sue ferite, Tauriel aveva ritrovato un lato di lui che non vedeva da quando era bambina. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, ma non aveva trovato le parole giuste – le era difficile persino pensare, sballottata com’era dalle ondate del proprio dolore.
E poi lui era tornato a Bosco Atro, e lei non aveva potuto seguirlo perché era stata esiliata per dodici anni. Dodici anni – Tauriel non riusciva nemmeno a pensarci. Era un lasso di tempo ridicolo, specie se paragonato alla gravità delle sue azioni.
«E poi mi ha… cacciata di casa a causa del mio comportamento» concluse.
Álof prese i pesci puliti e li osservò con aria soddisfatta. «Tuo padre ti ama?» chiese, senza alzare lo sguardo.
Tauriel inghiottì. Nei secoli passati, era stata rosa dal dubbio che la gentilezza di Thranduil fosse stata dettata dal suo senso del dovere, non da un affetto sincero. Ora pensò allo sguardo del re quando l’aveva trovata accanto al corpo di Kíli. «Sì» sussurrò.
Álof la guardò. «Allora torna da lui. Chiaritevi adesso».
Tauriel non rispose subito. Tornare prima dello scadere dei dodici anni era fuori discussione, e preferiva non chiedersi cosa avrebbe fatto quando l’esilio fosse finito. Non era ancora certa della risposta.
Bosco Atro le mancava, ma al momento non era ciò di cui aveva bisogno. Aveva bisogno di muoversi, di vedere cose nuove. Aveva bisogno di capire.
«Seguirò il tuo consiglio» disse comunque, per rendere felice la donna.
Álof sorrise – un sorriso un po’ storto, ma autentico – e le diede un colpetto sul dorso della mano. «Brava ragazza» approvò, e le passò le erbe. «Qui la tua parte».
Tauriel le prese, osservandole per un momento. Pezzi di corteccia da masticare dopo i pasti per la pulizia dei denti, foglie triturate che le piaceva aggiungere al cibo per insaporirlo… ed erbe mediche per disinfettare tagli e vesciche.
Non che le fosse successo di restare coinvolta in uno scontro, ultimamente, ma spesso si allenava sino allo sfinimento, sino a farsi sanguinare le mani.
Non importava quanti anni fossero passati, ogni volta che ripensava al suo scontro con Bolg le veniva da rabbrividire per la vergogna e l’angoscia. Non le era mai successo di essere tanto impotente di fronte ad un nemico. Voleva essere certa che non capitasse mai più.
Si alzò in piedi. «Ti ringrazio».
Álof scosse la testa. «Grazie a te per il pesce».
Tauriel non le disse che il suo ringraziamento non era dovuto soltanto alle erbe. La permanenza degli Uomini nel mondo era davvero breve, ma alcuni possedevano una brusca saggezza tutta loro.
Forse le cose sarebbero state più semplici, se lei non avesse avuto davanti l’eternità.










Note:
Ho una tonnellata di headcanon riguardanti il destino di Tauriel dopo BotFA, perciò ho deciso di iniziare a buttar giù qualcosa prima che la mia testa esploda.

Feren è uno degli Elfi Silvani presenti nel film (il suonatore di corno, per intenderci). Per quanto riguarda i gemelli… niente, mi piace l’idea che nelle guardie ci fossero due Elfi Silvani gemelli :D

Non sono pienamente soddisfatta di come mi è uscito questo testo, ma spero sia per colpa del mio essere insicura e ipercritica.

Sia come sia, il prossimo capitolo sarà incentrato su Thranduil, e sarà pubblicato mercoledì 17 giugno (se tutto va bene).








Sindarin:
Boe annin gwad: Devo andare (letteralmente “è necessario che io vada”)
Garo lend vaer: Fa’ buon viaggio
  
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