Nel nero dell’oceano
Calava la notte su un mare tenebroso e liscio come olio, al
termine di una giornata tragica come poche. Il cielo si tingeva di rosso e di
viola, il sole scomparso all’orizzonte ancora illuminava fiocamente l’oceano
che diventava sempre più nero. I naufraghi venivano sollevati dai marosi, le
mani si serravano tra loro in attesa che quel movimento dell’acqua simile ad un
respiro cessasse.
Nessuno osava parlare. I piedi si dibattevano sott’acqua per
rimanere a galla, i ragazzi nuotavano sovrastando un abisso nero di cui non si
vedeva il fondo.
L’unico rumore che si sentiva era il continuo e penoso
piangere di un uomo che aveva appena visto morire sua figlia. Disperato, se
l’era vista portare via da un mostro che nessuno comprendeva bene, che nessuno
era riuscito a vedere, che nessuno era riuscito a combattere.
Era successo tutto così in fretta che non avevano nemmeno fatto
in tempo a scendere nel soldier dock system per scappare via con la Mini Merry
II. La nave si era spezzata in due e, prima che cominciasse ad inabissarsi,
Franky aveva visto i canali, ormai scoperti, perire agonizzanti mentre il mare
li inghiottiva.
Aveva visto la sua vita scivolare nel buio del mare assieme
allo Shark Submerge.
E al Waver di Nami.
E alla Mini Merry II.
La Thousand Sunny riposava, violentata, in un mare nero e
profondo. Non l’avrebbe vista mai più. L’avventura era finita e la
responsabilità di quella tragedia era solo sua: non solo la sua creatura non
sarebbe più diventata la nave del Re dei Pirati, ma aveva messo a repentaglio
la vita della sua famiglia a causa della sua superficialità.
Franky non se lo sarebbe mai perdonato.
Il grande cyborg piangeva aggrappato al relitto più grosso
che erano riusciti a trovare. Sopra erano stati deposti Nico Robin e il corpo
di Brook, la cui anima vagava lì attorno per cercare i dispersi. Rufy non aveva
voluto saperne di mettersi al riparo dai flutti, ed era aggrappato al rottame
galleggiante accanto a Franky, sorretto da Sanji.
Chopper, nella sua forma più piccola, si stava occupando dei
feriti: le onde che, nonostante l’intervento di Zoro, li avevano travolti,
avevano scaraventato loro addosso legno, metallo e detriti. Il piccolo dottore
era riuscito a proteggersi sfruttando il suo guard-point, almeno fino all’ingresso in acqua. Poi,
fortunatamente, Franky l’aveva acchiappato al volo assieme a Nico Robin, ed
erano riusciti in qualche modo a cavarsela nonostante la donna avesse riportato
un brutto colpo alla spalla destra nel tentativo di evitare che una trave
travolgesse tutti e tre. La renna la stava medicando, con quel poco che c’era
con loro, togliendole la stoffa lercia dalla ferita e facendole vento con
l’hawaiana di Franky.
Quando aveva realizzato che la “Manovra d’Emergenza” era fallita
miseramente, Sanji si era gettato alla ricerca disperata di Nami, ma la visione
del suo capitano che perdeva le forze in mezzo all’acqua lo aveva fatto desistere
dalla ricerca ed era corso in suo aiuto prima che il mare avesse la meglio sul
Frutto del Diavolo. L’albero di mezzana gli era franato in testa ed era stato
medicato con la bandiera, ma tutto sommato era vivo.
– Yoho! Eccomi! – una voce
proveniente dall’alto fece voltare la testa a Chopper e Sanji. Non era una
risata, quanto un richiamo: Brook era tornato.
– Ehi! Ci siete tutti? – la voce
di Zoro arrivò, e stavolta persino Sanji fu felice di sentirla.
Dopo essere saltato verso prua per
tagliare l’onda anomala che stava per travolgerli, dello spadaccino non era
stata vista l’ombra. Quando Rufy, Sanji, Chopper, Franky e Nico Robin si erano
riuniti era stato deciso di mandare l’anima di Brook in giro per cercare di
recuperare gli assenti.
Lo spadaccino, sovrastato
dall’anima fluorescente di Brook, nuotava verso di loro a stile libero.
Sembrava illeso, e aveva con sé persino le spade che non sembravano
appesantirlo più di tanto, mentre invece si era sbarazzato dello yukata
fradicio.
– Manca qualcuno? – tuonò
avvicinandosi.
– Dove sono Nami e Usop? – capì
immediatamente lo scheletro, sussurrando con la sua voce spettrale – Torno a
cercarli –
– Ce la fai ancora? – si accertò
Sanji.
– Sono stato cinquant’anni
separato dal mio corpo… qualche ora non farà differenza. Trattatemelo bene – disse
Brook prima di volare via, brillando fioco nella notte che si avvicinava.
– Franky – sussurrò cauto il cuoco
– Se accendi le luci, per Brook sarà più semplice tornare indietro.
– Rufy! – esclamò lo spadaccino
nuotando fino al suo capitano – Cerca di issarti su! Via dall’acqua!! – lo
spronò il vicecomandante.
– No, Zoro – sussurrò debole Rufy
con un sorriso spento – Va bene così, non ti preoccupare! –
– Teme che, se sale, si ribalti il
relitto – spiegò Sanji in vece di Cappello di Paglia – Preferisce dare la
precedenza a Robin, Chopper e Brook –
– Allora a lui penso io – tuonò lo
spadaccino portandosi al fianco del capitano, aiutandolo a reggersi al precario
pezzo di legno.
– Andrà tutto bene – sorrise
indomito Cappello di Paglia, sorridendo e mostrando il pollice alto – Siamo
pirati! Ce la faremo! Ce la faranno anche Nami e Usop, ne sono sicuro! –
Il sole aveva ceduto il passo
all’oscurità più totale.
Una brezza fredda si era sollevata
insistente e increspava l’acqua.
I ragazzi rabbrividirono,
stringendosi vicini. Nico Robin, sul relitto, si era addormentata seduta contro
Chopper in guard point, e Rufy, stremato, era stato issato vicino a loro
quando ormai non poteva più nemmeno ribattere.
Zoro e Sanji galleggiavano vicini,
la voglia di litigare sembrava essere affondata con la nave. La piccola renna
aveva svolto la bandiera che cingeva la testa di Sanji per dare un’occhiata
alla sua ferita e ora il drappo copriva Nico Robin addormentata.
Avevano pensato di procedere verso
oriente, in fondo seguendo il log pose stavano andando in quella direzione, ma
cominciare a muoversi avrebbe significato abbandonare Nami e Usop. Anche se, a
causa delle correnti, loro si stavano già muovendo.
– Aspettiamo che torni Brook – disse
Rufy con un filo di voce, ma indubbiamente deciso – E poi andiamo verso la
prossima isola.
Tutti sospirarono pesantemente,
senza ribattere. Faceva freddo, si era sollevata una brezza fresca che faceva
arricciare le onde dell’oceano. Franky galleggiava sulla schiena, reggendo il
corpo di Brook e le katane di Zoro, con la testa svuotata di ogni pensiero. Aveva
acceso i suoi capezzoli come un faro per Brook, che era ancora in giro a
cercare Nami e Usop.
Il peggio, lo sapevano tutti,
sarebbe arrivato quando, l’indomani, il sole avrebbe arso spietato sulle loro
teste.
~
– Nami! Nami dove sei?? – la voce
terrorizzata del cecchino corse sul mare, disperdendosi nel nulla.
– Sono qui, calmo – riemerse la
ragazza, che non aveva fatto altro che andare per un attimo sott’acqua con la
testa reclinata all’indietro per togliersi dal viso ciocche di capelli
incollate dall’acqua.
– Non andare da nessuna parte!! –
la pregò Usop afferrandola per le spalle e scuotendola.
– Dove accidenti vuoi che vada???
– si arrabbiò la navigatrice.
– Che facciamo, Nami? – piagnucolò
il ragazzo.
C’era poco da fare; prima che la
nave si spezzasse in due sotto i furiosi colpi di una sorte misteriosa, uno
degli alberi si era abbattuto sul laboratorio di Nami, che si trovava lì
vicino; la ragazza, per evitare che il pesantissimo pennone la travolgesse,
aveva fatto un salto all’indietro sulla scala dove si trovava ma, nel ricadere
per terra mentre il suo osservatorio veniva schiacciato, si era retta alla
balaustra delle scale; suddetta balaustra però, danneggiata, aveva ceduto sotto
il peso della ragazza, e Nami era caduta in mare.
Usop colto dal panico era corso
nella sua camera per recuperare tutto ciò che poteva prima dell’inevitabile
inabissamento che il suo pessimismo aveva già previsto con ampio anticipo.
Sulla strada per tornare in coperta era passato per la sala dell’acquario,
invasa dall’acqua a causa di crepe sul pavimento, e anche il vetro della vasca,
seppur rinforzato, era prossimo al cedimento. Cedimento che arrivò esattamente
mentre il cecchino era in mezzo alla stanza: sotto la pressione dell’acqua che
cadeva, il pavimento che già zampillava da parecchio ebbe il suo colpo di
grazia, e il ragazzo dovette ritenersi fortunato se aveva mantenuto i sensi
mentre veniva coperto da tonnellate d’acqua. Era riemerso pochi metri a poppa
della nave, aveva visto una macchia di capelli arancioni vicino a lui e aveva
fatto appena in tempo a raggiungerla prima che fossero travolti e spazzati via
dall’onda di maremoto che aveva distrutto la Sunny.
Nami, cercando di liberarsi dalla
mano dell’amico che le stringeva le dita in una morsa disperata, si guardò
attorno. – Eravamo in vista di un’isola, prima di naufragare – ragionò –
Seguendo il log pose possiamo tentare di raggiungerla. – concluse mostrando al
compagno lo strumento che aveva al polso.
– Ma senza una nave è impossibile…
– Qui però rischiamo di farci
mangiare dai Re del Mare, sai?
Usop cominciò a nuotare, lento ma
deciso, e Nami si avviò seguendolo sorridendo soddisfatta. Però era una
felicità destinata a durare non più di pochi secondi, il tempo perché nella sua
mente si facesse strada l’idea che aveva appena perso la sua casa, la sua
famiglia e il suo capitano.
~
Conoscendo la genialità di Franky
come carpentiere, per di più con una propensione particolare per modificare il
proprio corpo e renderlo più simile ad una macchina che ad una creatura
biologica, nessuno si stupì nel vedere che era attrezzato anche perché le sue
gambe, piegate, diventassero due eliche e che lui stesso, una volta distesosi
sulla pancia, potesse diventare il “Franky Warship I”. Aveva composto anche una
canzone per quando avrebbe mostrato quella prodezza agli amici, ma adesso il
cyborg non sapeva nemmeno se l’avrebbe mai più cantata.
Le luci dei capezzoli, adesso che
Brook era tornato a mani vuote, erano spente e sommerse.
Aveva navigato trascinando dietro
tutti, sia quelli che galleggiavano in autonomia sia i ragazzi che, dotati di
frutto del diavolo, erano stesi su un infimo relitto per non affogare. Avrebbe
voluto morire anche lui con la Sunny, e affondare con il suo sogno: il senso di
colpa per il fatto che la sua creatura non avesse retto a quelle misteriose
sollecitazioni che l’avevano distrutta era devastante. Ma come poteva lasciarsi
morire e abbandonare al loro destino i suoi amici, come poteva dire a Rufy “mi
dispiace, ma io mi fermo qui”? Come poteva stare inerme a sentire Chopper che
singhiozzava dicendo che a Robin stava salendo la febbre, e sotto il sole non
avrebbero avuto nemmeno dell’acqua per farla bere?
Aveva navigato finché aveva avuto
Cola in corpo. Aveva fenduto le onde finché le eliche non avevano smesso di
girare, con la sola idea che ad Oriente ci sarebbe stata una terra dove
depositare i suoi amici. Dopo cinque ore di corsa forzata, anche Sanji e Zoro
si erano messi ad aiutarlo, spingendolo con le gambe e andando avanti ancora
per due ore. Poi il sole era salito ancora, la Cola si era esaurita, e i
naufraghi si erano dovuti arrendere.
– Come sta? – domandò Sanji a
Chopper, riferendosi alla donna che respirava a fatica stesa sulle assi del
relitto. Le avevano arrangiato, con la giacca del cuoco, un piccolo riparo
perché almeno la testa rimanesse all’ombra.
– Posso fare poco – disse il
piccolo medico cercando di rimanere impassibile, ma i suoi occhioni erano pieni
di tristezza – È forte, e sicuramente riuscirà a sopravvivere… ma dobbiamo
portarla subito su un’isola! –
Quelle parole, unite al fatto che
la renna nel dirle si sforzava di non tremare per non spaventare la diretta
interessata, colavano come piombo fuso e bollente nel cuore degli uomini.
Erano in mare da quasi venti ore,
senza mangiare e senza bere. Parte della Cola era servita per alleviare la pena
di Robin, ma nessuno osava intaccare l’ultimo mezzo bicchiere che Franky aveva
conservato.
La notte che scese fu un balsamo
per i ragazzi, ma il freddo pungente che li colse fece loro quasi rimpiangere
di non essere stati uccisi dalla calura diurna. Al mattino continuarono con
ostinazione a nuotare quando furono raggiunti all’improvviso da un banco di
nebbia.
– E adesso? – fece Zoro.
– Rimanete vicini. – dispose Rufy –
Datevi la mano. Non dovete perdervi! –
Era come stare in una grande
nuvola densa.
– Ehi! Avete sentito? – Brook alzò
il capo dalla spalla di Franky che lo sorreggeva.
– Cosa? – fece il Zoro, con la
bocca impastata per la sete.
Tutti tesero le orecchie, in
attesa. Una nave di passaggio? Gabbiani? Se fossero stati gabbiani, avrebbe
voluto dire che erano vicini alla costa! E avrebbero potuto mangiarli,
considerò Rufy.
La nebbia cominciava a farsi
sempre più gelida, sembrava quasi penetrare nella pelle arsa di sale mentre i
ragazzi cercavano in quella coltre umida qualcosa che giustificasse
l’esclamazione del musicista.
– Brook, non si sente niente… –
sussurrò Chopper sudando freddo per la paura.
– Eppure io… – lo scheletro si
guardava attorno, ma non vedeva altro che grigio, e un disco bianco, il sole,
sopra la sua testa.
Thug thug thug…
– Ecco, di nuovo! – lo scheletro
si illuminò.
Tutti sollevarono la testa.
Stavolta era un rumore chiarissimo, veniva da nord ed era impossibile non
udirlo: sembravano…
– Rumore di pale – mormorò Franky
allarmato.
– Pale? – fece eco Zoro.
Robin sollevò una mano, e un suo
dito affusolato indicò un punto alle spalle di Sanji.
Una sagoma scura, non più alta di
due metri, si avvicinava verso di loro lenta e inesorabile. Zoro afferrò le
spade, Sanji si posizionò davanti al gruppo sul relitto, decisi a vendere cara
la pelle nonostante la debolezza, la fame e la disidratazione.
Poi però dall’oscurità emerse un
ventre rotondo, un lungo collo bianco, delle corna tondeggianti e un sorridente
muso di legno.
Franky pianse, coprendosi il volto
con le enormi mani. Se Sanji avesse avuto una sigaretta in quel momento, gli
sarebbe sicuramente caduta di bocca. Chopper, saltellando pericolosamente,
comunicava la notizia a Nico Robin che sorrideva con educazione, persino Zoro
non potè esimersi da un sorriso di gioia. Il sorriso di Rufy si aprì da orecchio
ad orecchio mentre il ragazzo gridò: – MINI MERRY! –
~
L’isola di Skye era immersa nel
suo solito cielo bigio, sotto la costante minaccia di nuvole cariche di pioggia
che facevano crescere rigogliosa una vegetazione di selci e sempreverdi. Nel
maniero sul crinale del monte che sovrastava l’isola, un uomo anziano stava
mangiando lentamente della cacciagione, fredda e sminuzzata, in una grande sala
da pranzo polverosa e spoglia, sebbene scaldata dalle fiamme di un camino.
L’uomo batté due volte la
forchetta sul fondo di porcellana del piatto.
– Pipe, dove vai? – muggì
voltandosi verso la porta di accesso alla sua destra.
Era un uomo alto e magro, avvolto
in un chimono bianco. Sulle spalle portava però una pesante coperta che
sembrava un mantello. Portava una lunga barba bianca, forse per compensare la
totale latitanza dei capelli dal cranio lucido.
– Sono appena tornata, signor Yama
–
– Brava ragazza – si complimentò
l’anziano cincischiando con la forchetta nel piatto freddo – Cosa stanno
facendo?
– Sono sbarcati. Hanno cominciato
a mangiare la sabbia della spiaggia. Io non credo sia buona… volevo dirglielo…
ma non mi hanno creduta, hanno continuato a mangiare la sabbia…
– Sei uscita dalla tua stanza?
– No, signor Yama. – ammise
serissima Pipe.
Pipe era una ragazza di forse
trent’anni. Era pallida e magra, aveva i capelli neri che crescevano
rigogliosi, legati con un nastro rosso poco al di sopra della nuca. Gli occhi,
di uno strano arancione, erano grandi e a volte sembravano velati, distanti,
opachi. Era vestita con abiti femminili, ma pesanti e adatti al clima umido e
rigido dell’isola. Appesa alle spalle aveva quello che sembrava un otre da cui
uscivano delle canne collegate fra loro da un cordino. Si aggiustò la gonna
sovrappensiero, prima di continuare: – Non sono uscita dalla stanza… ho paura
degli Altri. –
– Fai bene. Però adesso devi
andare a prenderli, vuoi? – le disse gentilmente Yama.
– Quali di loro? Quelli che
mangiano la sabbia o quelli della Baia del Morto? –
– I mangiatori di sabbia quanti
sono? – si informò Yama.
– Sono sette – contò lenta la
ragazza sulle dita – Anzi, sono sei: uno è già morto.
– Come fai a saperlo?
– Perché… – la ragazza si
intristì. – Ci sono solo le ossa –
– Valli a prendere, portali qua.
– Non voglio! – gridò Pipe – Ho
paura! Sono armati, vogliono ucciderci! Sono sbarcati dalla nave enorme, non
hanno bisogno di aiuto! Sono pirati… noi arrestiamo i pirati…
– Ma no, mia cara, tu parli dei
pirati alla Baia del Morto adesso! – la rimproverò Yama bonario – Devi prendere
quelli approdati in fin di vita che hai visto sbarcare ieri! Te li sei già
dimenticati?
– Quelli che mangiano la sabbia?
– Esatto, Pipe. Su, va’ prima che
cali la sera. –
Pipe, nell’uscire dalla stanza,
abbracciò l’otre che portava con sé e cominciò a suonare in una delle canne.
Yama sorrise mentre il suono della cornamusa riempì la casa di una melodia
malinconica e nostalgica.
Dietro le quinte...
Ciao! Benritrovati e scusate il ritardo! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, tragedia immane a parte. La storia è ispirata alla fanart che apre il capitolo, di SybLaTortue che trovate qui.
Come avete trovato Rufy? Ammetto di aver avuto parecchi problemi a gestirlo, se lo trovate OOC o il comportamento vi sembra strano, non esitate a farmelo notare! Grazie mille!
Ritroviamo inoltre Yama, che era già stato citato nel prologo, e Pipe. Loro sono i due OC di quest'avventura. Come avrete senz'altro notato, Pipe si comporta in maniera un po' strana, i suoi dialoghi appaiono confusi. Cosa ci sarà dietro alle sue frasi?
Appuntamento al prossimo capitolo! Grazie mille,
Yellow Canadair