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Autore: SofiaAmundsen    30/07/2015    0 recensioni
Sta per suicidarsi, ma prima, ha qualcosa da dire a sua madre. E così le scrive una lettera. Una lettera che è una vita intera.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara mamma,

tu ci hai sempre voluto qui.

È una delle cose che più mi hanno ferita, quando sono diventa grande e ho iniziato a capire i meccanismi perversi e oliati di rancore che muovevano la nostra famiglia.

Tu non hai mai davvero cercato un lieto fine. Tu non hai mai davvero considerato l’idea di andare via. Tu non hai mai lottato perché avessimo un futuro migliore. Tu non hai mai cercato di tirarci fuori da quell’incubo distorto.
Tu non hai mai provato a salvarci, a salvarmi.
Tu non hai mai pensato a me. Hai sempre pensato solo ed esclusivamente a te,  a quello che tu ti eri convinta di volere, a quello che, per forza o disperazione, pensavi di poter sopportare in nome di un mondo migliore che ti sarebbe caduto dal cielo. Tu hai sacrificato me per quello che volevi, per quello che non avresti mai potuto avere.

Noi, io, te e quel terribile mostro che hai sposato, non saremmo mai potuti essere una famiglia normale.
Solo adesso capisco che era tutto quello che volevi. Tu eri una mamma casalinga che dedicava la sua vita a una casa che cadeva a pezzi e a una famiglia che seminava odio e se ne nutriva come unico alimento. L’unico obiettivo nella vita, la tua attività principale e fondamentale, falliva ogni giorno rovinosamente, e tu eri il capitano Smith, che guardava il suo indistruttibile Titanic andare a fondo da dentro di lui.
Forse l’avrei voluta anche io una famiglia, di quelle vere, in cui le persone si amano, litigano di tanto in tanto e poi si amano di nuovo, se non fossi stata così disperatamente impegnata a chiederti di salvarmi.

Se questo sogno vaneggiante di una redenzione da parte di un demone che non era e non sarebbe mai potuto essere altro che male che genera altro male avesse coinvolto solo te, io ti avrei dichiarata colpevole solo di ingenuità. Ti avrei anche forse dato l’attenuante della follia, in quell’ipotetico tribunale che ho costruito nella mia testa per giudicare i miei boia. Perché chi, se non una pazza, vede ogni giorno la cattiveria gratuita, il disgusto sincero e la violenza scontata di qualcuno riversarglisi addosso e spera ancora di poter trovare tra le ceneri delle proprie carni l’amore per quell’uomo, se ancora di umanità si può parlare? Chi, se non qualcuno che per dolore ha perso il senno come Astolfo per amore, può credere che dietro mani grandi e crudeli e parole piccole e affilate ci potesse essere ancora spazio per l’amore?

Non ti avrei scarcerata dalle pene che meriti per non aver avuto il coraggio di amarti, ma ti avrei perdonata per esserti autoinflitta un uomo che non meritavi.

Ma tu, in questa buia camera delle torture, hai trascinato anche me. Tu ti sei nascosta dietro a me. Perché se in una coppia che si ama un figlio è solo il frutto maturo e roseo del loro amore, in due persone che si disprezzano un figlio è solo un acero arcigno che li tiene incatenati l’un l’altro. E io ero la scusa dietro alla quale ti nascondevi per non ammettere di non avere il coraggio di sperare una vita migliore.

Io ero l’odio. L’odio come essenza, perché dall’odio ero nata, nell’odio ero cresciuta e con l’odio venivo nutrita. E dietro il suo odio per me, forse, riuscivi a trovare un po’ di amore per te. Sotto la luce distorta di quanto sbagliata fossi io, il vostro amore malato riusciva quasi a sembrare giusto.
Chissà, se non fossi arrivata io da odiare e da distruggere, che scusa avresti trovato per continuare a farti ammazzare. Chissà se non ci sarebbe riuscito, ad ammazzarti, se non ci fossi stata io tra te e quel coltello, tra te e le sue mani, tutte quelle volte. Chissà se non sarebbe stato meglio.

È solo capendo questo, quello che davvero volevi, ti aspettavi, una rinascita, che ho capito che non hai mai voluto davvero salvarmi.

Ho decine, forse centinaia di ricordi di me, inginocchiata ai tuoi piedi, con tutte le lacrime che un corpo umano può piangere, tutto il cuore spezzato che si può avere rovesciato sul pavimento, tutte le braccia e il volto dolorante che un bambino può avere, a supplicarti, a implorarti, a scongiurarti.

Portami via, portami via!

Quante volte te l’ho chiesto, mamma? Quanto ho provato a farmi salvare da te?

In tutti i ricordi, fatti di diverse altezze, diverse, tragiche situazioni, la tua indifferenza è chiara e nitida come se il ricordo fosse un quadro di sguardi e sentimenti. Ricordo che non mi guardavi neanche, c’era la televisione accesa, era lei la tua bambina. A volte mi piace raccontarmi che non mi guardavi perché vedermi così ti faceva soffrire troppo, perché la carne della tua carne era tremante sotto di te, le lacrime delle tue lacrime scorrevano incessabili, la pelle della tua pelle era ferita, il petto del tuo petto era scosso da interminabili singhiozzi. Ma se mi sento forte e mi permetto di non mentirmi, non posso che ricordare le volte che mi dicevi di piangere più piano o in un’altra stanza, perché non sentivi la televisione, e soprattutto non posso che constatare che se davvero non avessi voluto vedermi così, avresti alzato un dito, e non le spalle, mentre lui mi picchiava fino allo stremo davanti a te.

Portami via mamma, portami via! Ti ho supplicato tante volte e tu, quando non mi ignoravi, inventavi scuse che ai tempi mi sembravano ostacoli veri. Non abbiamo soldi, non ho un’altra casa.
Quando mi sono potuta informare e ho potuto sapere che, se avessimo voluto, avremmo potuto far fronte a questo con molta più facilità di quello che una bimba poteva sapere, ho capito che erano scuse.
E mi sono sentita terribilmente tradita.

Io che ho lottato per la mia vita prima ancora di essere in grado di farlo, quella vita che tu avresti dovuto proteggere a costo della tua, io che ti ho protetta, salvata e consolata quando non ero neanche in grado di capire cosa stesse succedendo, io che ho sempre cercato una soluzione, un’ancora per noi e mai solo per me, ero stata abbandonata fin dal principio da chi non aveva mai lottato per me.

È una sensazione disarmante, sai? Non puoi capirlo, perché l’amore dei genitori è qualcosa di unico al mondo, per il quale abbiamo una sola possibilità in tutta la nostra vita e allo stesso modo è l’assenza di questo. Si può immaginare che significhi avere un vuoto così immenso, che si cerca di colmare con mille altre cose, ma solamente chi è stato solo fin dal principio può capire quanto una tale assenza possa essere soffocante. Ancora di più, se hai creduto, sperato, di essere in due a remare in quel catrame pesante e appiccicoso di follia, droga e lividi, per poi scoprire che l’altra persona aveva remato contro di te dal momento stesso in cui lei, proprio lei, ti aveva buttato in quel mar morto.

Forse è stato lì che ho incominciato ad odiarti. Quando ho capito che avresti potuto e non hai voluto, quando ho capito che non hai lottato per me, ma contro di me, quando ho capito che in un gioco così pericoloso tu avevi sempre barato e io avevo perso per la tua disonestà.
Ma è durata poco. Subito dopo parte del rancore è diventato pena, perché solo questo si può provare per chi ha più codardia che amore materno.  Perché c’è qualcosa di profondamente sbagliato in una creatura che sacrifica i propri figli per appianare le divergenze.*
 
 
 



 
*citazione da Hunger Games- Il canto della rivolta
   
 
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