Grimmauld Place, 21 Luglio 1969
«Regulus, sotto il tavolo del salone c'è qualcosa che si muove! Vai a vedere cos'è!»
«D'accordo, mamma!»
Il bambino salì di corsa le scale con le sue scarpette nere e lucide che stridevano sull'ebano liscio. Tirò su col naso e prese a saltellare lungo il primo corridoio.
«Padron Regulus, non potete entrare! Dovete allontanarvi!»
Piegò il capo di lato e guardò l'elfo domestico sbattendo più volte le lunghe ciglia.
«La mamma vuole che me ne occupi io.»
«No!» Gemette la creatura. «C'è una cosa malvagia lì sotto che voleva fare del male a Kreacher, ma Kreacher è scappato! Kreacher ha paura che faccia del male anche al padrone!»
Il piccolo Regulus scosse il capo facendosi subito avanti ed entrando nel salone. Si avvicinò al tavolino di vetro scuro e, abbassandosi, tentò di sbirciare sotto di esso.
«Padron Regulus!»
Un cadavere cereo, smunto e deperito strisciò da sotto il tavolo, prostrandosi in avanti per mezzo delle unghie sfregiate e dei piedi storti, dinanzi al bambino. Gli occhi ciclopici e grotteschi latravando fame fino all'inedia, fino alla più misera e peccaminosa delle avidità, mentre la gola digiuna emetteva versi animaleschi e cannibali, ma rotti come singulti della più proibita delle colpevolezze.
Regulus incespicò sui suoi stessi passi nel vano tentativo d'indietreggiare. Piagnucolò e cacciò un paio di urli tra un avvento improvviso d'ansia e un altro d'isteria.
Poi l'infero fece il suo primo passo e Regulus non urlò più.
Il vuoto gli pesò sulle corde vocali, strozzandogli il fiato in gola e la vista gli si appannò diverse volte. Si accucciò su stesso, portandosi le mani ai capelli e tirandosi qualche ciocca con forza, per placare il tremolio ed accertarsi dei propri sensi, che oscillavano su un bivio di gelo e rogo. Quando l'infero avanzò ancora ed i suoi versi si fecero più vicini e forti, avvertendo il vuoto della gola spargersi e scendere per divorarlo nelle sue stesse membra, portò le piccole mani a circondargli la pancia.
Tenne la testa china tra le ginocchia e quando avvertì il fiato freddo e fetido soffiargli sulla nuca, si strinse le spalle e sentì la vulnerabilità della schiena lasciata scoperta al predatore pungerlo tra ogni singola colonna vertebrale.
Il vuoto gli si concentrò in un vortice preciso dello stomaco. Si fece caldo, caldissimo; poi si fece freddo. E freddo rimase.
Gli si appesantì il respiro che lottava per farsi largo tra quel vuoto, ma Regulus non aprì bocca - certo che così facendo avrebbe vomitato - e si chiuse in un'interna lotta per la sopravvivenza.
Dovette concentrarsi per placare il tremolio e appena ci riuscì si rese conto che l'odore nauseabondo del cadavere era completamente sparito, lasciando in aria un genuino odore primaverile.
Rialzò il capo e riconobbe l'amico del fratello, coi capelli ribelli ed un paio di occhiali rotondi che teneva per mano una ragazzina dai capelli rossi e folti, e grandi occhioni verdi. Gli undicenni si si guardavano negli occhi e si sorridevano.
«Riddikulus!» Abbaiò la voce di Sirius al suo fianco.
Non appena pronunciò l'incantesimo, la rossa allontanò la mano del ragazzino e lo schiaffeggiò.
Sirius rise ed il Molliccio scoppiò.
E Regulus crollò sul pavimento, accasciandosi e rimanendo fermo, immobile, incapace di muovere anche solo le palpebre per chiudere gli occhi.
«Ti ho detto che non dovevi intervenire, incosciente!»
«E... lasciarlo morire?»
Qualcuno però urlava.
«Se la sarebbe cavata!»
«Ha nove anni, diamine! Non ha nemmeno una bacchetta! Non è in grado di combattere contro un Molliccio!»
«Sì, invece! Il suo sangue puro...»
«Il sangue non c'entra nulla! Tu... sei una psicopatica!»
«Razza di insolente! Come osi rivolgerti con questo tono a tua madre?!»
Decise che non voleva ascoltare perché quella conversazione non gli piaceva. Decise che il pavimento era abbastanza comodo e che avrebbe trovato la forza di chiudere gli occhi. Decise che avrebbe dormito e che non avrebbe sognato.
Decise di far parte del buio che dominava dietro le sue palpebre, di un buio tutto suo in cui si sarebbe nascosto... non per forza da qualcuno o qualcosa. Decise che voleva solo nascondesri. E così fece.
Il buio non distrugge mai ciò che nasconde.
«D'accordo, mamma!»
Il bambino salì di corsa le scale con le sue scarpette nere e lucide che stridevano sull'ebano liscio. Tirò su col naso e prese a saltellare lungo il primo corridoio.
«Padron Regulus, non potete entrare! Dovete allontanarvi!»
Piegò il capo di lato e guardò l'elfo domestico sbattendo più volte le lunghe ciglia.
«La mamma vuole che me ne occupi io.»
«No!» Gemette la creatura. «C'è una cosa malvagia lì sotto che voleva fare del male a Kreacher, ma Kreacher è scappato! Kreacher ha paura che faccia del male anche al padrone!»
Il piccolo Regulus scosse il capo facendosi subito avanti ed entrando nel salone. Si avvicinò al tavolino di vetro scuro e, abbassandosi, tentò di sbirciare sotto di esso.
«Padron Regulus!»
Un cadavere cereo, smunto e deperito strisciò da sotto il tavolo, prostrandosi in avanti per mezzo delle unghie sfregiate e dei piedi storti, dinanzi al bambino. Gli occhi ciclopici e grotteschi latravando fame fino all'inedia, fino alla più misera e peccaminosa delle avidità, mentre la gola digiuna emetteva versi animaleschi e cannibali, ma rotti come singulti della più proibita delle colpevolezze.
Regulus incespicò sui suoi stessi passi nel vano tentativo d'indietreggiare. Piagnucolò e cacciò un paio di urli tra un avvento improvviso d'ansia e un altro d'isteria.
Poi l'infero fece il suo primo passo e Regulus non urlò più.
Il vuoto gli pesò sulle corde vocali, strozzandogli il fiato in gola e la vista gli si appannò diverse volte. Si accucciò su stesso, portandosi le mani ai capelli e tirandosi qualche ciocca con forza, per placare il tremolio ed accertarsi dei propri sensi, che oscillavano su un bivio di gelo e rogo. Quando l'infero avanzò ancora ed i suoi versi si fecero più vicini e forti, avvertendo il vuoto della gola spargersi e scendere per divorarlo nelle sue stesse membra, portò le piccole mani a circondargli la pancia.
Tenne la testa china tra le ginocchia e quando avvertì il fiato freddo e fetido soffiargli sulla nuca, si strinse le spalle e sentì la vulnerabilità della schiena lasciata scoperta al predatore pungerlo tra ogni singola colonna vertebrale.
Il vuoto gli si concentrò in un vortice preciso dello stomaco. Si fece caldo, caldissimo; poi si fece freddo. E freddo rimase.
Gli si appesantì il respiro che lottava per farsi largo tra quel vuoto, ma Regulus non aprì bocca - certo che così facendo avrebbe vomitato - e si chiuse in un'interna lotta per la sopravvivenza.
Dovette concentrarsi per placare il tremolio e appena ci riuscì si rese conto che l'odore nauseabondo del cadavere era completamente sparito, lasciando in aria un genuino odore primaverile.
Rialzò il capo e riconobbe l'amico del fratello, coi capelli ribelli ed un paio di occhiali rotondi che teneva per mano una ragazzina dai capelli rossi e folti, e grandi occhioni verdi. Gli undicenni si si guardavano negli occhi e si sorridevano.
«Riddikulus!» Abbaiò la voce di Sirius al suo fianco.
Non appena pronunciò l'incantesimo, la rossa allontanò la mano del ragazzino e lo schiaffeggiò.
Sirius rise ed il Molliccio scoppiò.
E Regulus crollò sul pavimento, accasciandosi e rimanendo fermo, immobile, incapace di muovere anche solo le palpebre per chiudere gli occhi.
«Ti ho detto che non dovevi intervenire, incosciente!»
«E... lasciarlo morire?»
Qualcuno però urlava.
«Se la sarebbe cavata!»
«Ha nove anni, diamine! Non ha nemmeno una bacchetta! Non è in grado di combattere contro un Molliccio!»
«Sì, invece! Il suo sangue puro...»
«Il sangue non c'entra nulla! Tu... sei una psicopatica!»
«Razza di insolente! Come osi rivolgerti con questo tono a tua madre?!»
Decise che non voleva ascoltare perché quella conversazione non gli piaceva. Decise che il pavimento era abbastanza comodo e che avrebbe trovato la forza di chiudere gli occhi. Decise che avrebbe dormito e che non avrebbe sognato.
Decise di far parte del buio che dominava dietro le sue palpebre, di un buio tutto suo in cui si sarebbe nascosto... non per forza da qualcuno o qualcosa. Decise che voleva solo nascondesri. E così fece.
Il buio non distrugge mai ciò che nasconde.