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Autore: Valpur    28/01/2009    11 recensioni
Sono tra noi.
I loro agenti camminano tra le mura antiche di Hogwarts. Dormono e mangiano con noi!
Come dite? I Mangiamorte? No, no, non ci siamo spiegati, credo. Ho detto di no! Niente mantelli neri e maschere tetre, niente cose pacchiane e -oh!- così poco chic come teschi verdi, serpenti, sangue e terrore. Siete rimasti indietro.
Il nuovo male indossa scarpe di marca, è bella e brillante, è in trasferta da un'altra scuola, ha un nome impronunciabile e attenterà alla virtù di tutti gli individui di sesso maschile in età accettabile nel raggio di venti miglia.
Avete capito di chi parlo?
Lei è giunta, e Hogwarts non è più un luogo sicuro.
Ultimo capitolo online!
Genere: Commedia, Parodia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hermione era nota a tutti come una persona estremamente razionale. Certo, Draco Malfoy trovava sempre qualcosa da ridire (“La mia guancia! La mia pallida, eburnea guancia è rimasta arrossata come quella di una contadinotta per ben venti minuti!) e anche Ron ogni tanto nutriva i suoi sanissimi dubbi (“Hermione Granger: un caso clamoroso di ciclo mestruale perenne”, aveva detto prima di trovarsi smutandato e penzolante dall’appendiabiti), eppure la giovane Grifondoro rientrava tutto sommato nei canoni della normalità.
Tuttavia convivere nello stesso edificio con Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro, il suo ego smisurato, il suo fondoschiena marmoreo e la sua collezione di scarpe di marca per un periodo superiore ai tredici secondi era un’impresa al di là delle sue possibilità.
Quel lungo supplizio durava ormai da ben più di tre mesi; i capelli di Hermione avevano ormai vita propria (Lavanda Brown andava raccontando a tutti che un giorno aveva dovuto disimpigliare un picchio rimasto intrappolato in quel groviglio senza senso), tutte le penne che conservava con gran cura avevano l’estremità arruffata dall’eccessivo rosicchiare… girava voce che fosse stata lei a scrivere “Redrum” sulle pareti del bagno delle ragazze, ma nessuno aveva prove.
Sta di fatto che quella gelida mattina di Gennaio, quando scese nella Sala Grande di buon’ora per evitare studentesse in trasferta, era nervosa. Tutto si sarebbe aspettata, tranne che vedere al tavolo di Grifondoro un improbabile gruppetto di persone.
“… capito?” disse la voce di Harry Potter, soffocata dalla ressa e tenuta bassa in tono cospiratore.
Alle sue spalle Ernie McMillan batté le palpebre con un vago timore, guardandosi attorno; a malapena riuscì ad annuire in silenzio, ma vicino a lui le reazioni furono più convinte. Persino la testa unta di Piton, che staccava di una decina di centimetri almeno quelle degli studenti, fece un deciso cenno d’assenso.
“Capito, Potty”, sussurrò Draco Malfoy, stranamente privo della solita aria tracotante. Ci fu un ulteriore, breve conciliabolo, quindi Piton mise un braccio attorno alle spalle di Draco e di Zabini e li portò via.
In breve la piccola folla si disperse; al tavolo restarono solo Harry e Ron, l’uno di fronte all’altro. Quest’ultimo seguì con lo sguardo i due giovani Serpeverde e il professore, sul viso un’espressione assorta.
“Sai, Harry, secondo me Malfoy è gay. Lo negherà fino alla morte, ma è così”.
“Sì, è gay e se la fa con Piton… Ron, sei ridicolo!” sbuffò Hermione sedendosi lì accanto.
I due ragazzi trasalirono.
“Oh… buongiorno, Hermione. Non… non ti avevamo sentita arrivare”, disse Harry con un sorriso.
“Immaginavo. Sembravate piuttosto assorti”, chiese la giovane –i cui occhi non mandavano bagliori dorati e i cui capelli erano semplicemente crespi e castani, non boccolosi e sensuali- lanciando una pila di libri sul tavolo e avvicinando il piatto con le salsicce. Sembrava così irritata che Ron non si sognò nemmeno di fare battute sconvenienti sulla scelta dell’alimento.
“Così pare”, rispose sereno Harry versandosi del succo di zucca.
Per qualche istante l’unico suono fu quello delle posate sui piatti e i tonfi dei bicchieri sul piano di legno.
“E suppongo che non vogliate mettermene a parte, giusto?” sibilò Hermione, piantando con violenza la forchetta nella salsiccia. Ron e Harry trasalirono; il primo rabbrividì.
“Ecco… no, non per ora, no…”
Hermione sbatté violentemente le mani sul tavolo e si alzò in piedi. Il suo sguardo prometteva poco di buono e molto di pericoloso.
“Scommetto che c’è quella vacca di mezzo! Allora, cosa mi dite? Chi di voi due ha vinto il premio? Chi ha impalmato la gallinella dalle chiappe d’oro? Chi? Chi è stato quel viscido, bugiardo traditore col cervello sotto la cintura che…”
“Hermione…”
“… ma io non ho parole! Vi credevo persone in gamba, vi credevo amici! E con tutto quello che c’è in ballo, V-Voldemort –Ron sputò una generosa sorsata di tè- e Silente con la mano secca e tutto…”
“Hermione”, ripeté Ron con un filo di voce e la lingua ustionata.
“… voi due sbavate dietro quella scema come se foste due carlini! Non è possibile, non è davvero…”
“Silencio”, sussurrò Harry coprendosi gli occhi con una mano e scuotendo la testa sconsolato.
Dalla bocca di Hermione uscì un breve rantolo; la rabbia le si spandeva nella testa tingendole il viso di viola.
“Hermione, calmati. Davvero”.
La giovane sbuffò. Offesa si sedette ed accavallò le gambe, rovesciando, con l’urto del ginocchio, un paio di bicchieri; le gambe incrociate e le sopracciglia aggrottate lasciavano ben intendere che, appena passato l’effetto dell’incantesimo, la sfuriata sarebbe stata degna della miglior Strillettera.
Harry e Ron sospirarono di sollievo.
“Allora, una cosa per volta. Sì, stiamo progettando qualcosa; no, per ora non possiamo parlartene; sì, c’entra l’oca giuliva; no, nessuno di noi due se l’è fatta. Per nostra fortuna, direi. Può bastare per ora?”
Il tono di Harry era paziente, come se stesse parlando a una bambina capricciosa.
Hermione era ancora imbronciata ma annuì.
“Posso togliere l’incantesimo o ci aggredirai di nuovo?”
Hermione fece cenno di no col capo ricciuto, e Harry, con un sorriso, agitò la bacchetta.
Finalmente tornata in possesso della voce, la studentessa erroneamente nota come Grifoncina o Regina dei Grifoni (Hermione aveva cercato più volte di render noto che era Babbana di nascita e figlia di due plebeissimi dentisti, ma la cosa sembrava non interessare a nessuno) prese una lunga boccata d’aria.
“Bene”, disse con voce forzatamente calma. “Posso stare tranquilla? Badate, mi irrita che mi teniate all’oscuro di tutto, ma posso capire che…”
Hermione tacque un istante, annusando l’aria con un cipiglio ostile.
“Shhht!” sibilò Ron, indicando la porta con un cenno secco del capo.
Non che ce ne fosse bisogno: un profumo penetrante invase la stanza, preannunciando l’inevitabile.
Hermione roteò gli occhi, aprendo con rabbia un libro e seppellendocisi dietro.
Ron e Harry si guardarono intensamente. In quel preciso istante dall’ampio portone fece il suo ingresso la ninfa sinuosa –con tutte le curve al posto giusto, è sempre meglio precisarlo, l’ispirazione dei poeti, la luce degli occhi che conoscono solo le tenebre.
Insomma, Harmonya, con la divisa meticolosamente discinta, i capelli sollevati da un vento sovrannaturale (“Odio gli spifferi di questo castello”, si lamentò Pansy Parkinson, giunta da poco) che lanciavano bagliori dell’oro più puro e un sorriso ammagliante incorniciato dall’immancabile gloss rosa glitterato.
I due Grifondoro si guadarono alle spalle, incrociando lo sguardo di Draco, Blaise e di tutti gli altri compagni coinvolti. Piton si era precauzionalmente nascosto dietro Vitious, con pochissimo successo peraltro.
“Si comincia”, ringhiò Harry con decisione, abbassando lo sguardo verso le sue uova strapazzate ormai fredde.
Harmonya fece una piroetta in mezzo alla sala, giusto per ricordare il suo passato di stellina della danza classica, e raggiunse non già il semivuoto tavolo di Tassorosso, ma quello di Grifondoro.
“Ron, Harry, lieta giornata a voi, eroi del mondo magico!” trillò, ignorando deliberatamente Hermione, le cui dita si infissero con tale violenza nel cuoio della copertina da lasciarci i segni.
Ron mugugnò qualcosa di indefinibile, sputacchiando un po’di bacon tutt’attorno; questo fu sufficiente a renderlo un oggetto poco interessante.
Al contrario, Harry sfoggiò un gran sorriso.
“Ciao, Harmonya, buona giornata. Hermione, hai mica sotto mano gli appunti di Storia della Magia? Mi sono addormentato a lezione. Di nuovo”.
Colta alla sprovvista, Hermione alzò la testa di scatto; era tanto sorpresa da non trovare nulla da ridire.
“Come? Oh, certo, io… eccoli”, disse, estraendo da un raccoglitore un bel plico di fogli accuratamente scritti.
“Li ho anch’io gli appunti se vuoi”, intervenne solare Harmonya, aprendo la borsetta (“Prada?” mormorò Hanna Abbott stringendo gli occhi per leggere la marca. “Mi sembrava che la città fosse Praga, ci deve essere un errore su quella borsa…” ) e mostrando un quaderno rosa con le pagine coperte di cuoricini e scarabocchi in rosa.
“No, grazie Harmonya…”
“Harmonya Lucrez…”
Harry la ignorò.
“Preferisco quelli di Hermione, sono abituato a studiare sui suoi; sei stata gentile però”, concluse Harry, rivolgendole un sorriso tiepido e tornando alle sue uova.
L’espressione affascinante di Harmonya si incrinò solo un poco. Ridato lustro al suo sorriso si volse verso Ron.
“E tu, Ron? Hai gli allenamenti di Quidditch oggi?”
“Chi, io?” chiese quello, guardando l’attraente Tassorosso come se fosse sbucata dal terreno. “Sì, perché?”
Harmonya gettò indietro la chioma.
“Pensavo… sai, oggi è la tua giornata fortunata. Sono libera, e pensavo di venire a darti una mano, so giocare anche da Portiere e…”
Ron arrossì e distolse lo sguardo.
“No, meglio di no. Devo allenarmi seriamente, preferisco non…”
“Oh, no, ho un’idea migliore! Senti qui: potrei diventare la capo cheerleader di Grifondoro, eh?Che ne dite?” chiese con entusiasmo guardando i due ragazzi.
“Harmonya”, sbuffò Harry visibilmente infastidito. “Non le vogliamo, le cheerleader; non siamo mica un college di tamarri americani. E comunque tu sei di Tassorosso, quindi non… ehi, ciao, Luna!”
Luna Lovegood stava giusto giusto passando alle spalle di Harmonya, immersa in un motivetto senza parole che sembrava prenderla molto.
“Ciao, Harry!” lo salutò.
Harmonya, ora parecchio irritata, fece per accomodarsi di fianco a Harry.
“No, ehi, scusa… lì che Ginny”, la fermò Ron, severo.
“Cosa?” chiese la Tassorosso.
“Quello è il posto di Ginny, non puoi sederti lì!”
Harmonya emise una risata sarcastica.
“Cos’è, c’è per caso scritto il suo nome?”
“Veramente sì”, rispose Hermione indicando la scritta ‘Ginny Weasley’ incisa con un temperino sulla panca.
Harmonya ringhiò un’imprecazione.
“Potrei sedermi lì”, riprese con garbo andando alla sinistra di Harry.
“No, c’è Neville… ma comunque perché non vai al tuo tavolo? Non sei una Grifondoro”, la rimproverò Harry perentorio.
“E allora?”
Hermione prese fiato.
“La divisione in Case ha motivazioni precise, e tu non sei nessuno per contestare questa decisione. Quindi, se non ti dispiace…”
Con la mano fece un cenno in aria, come se stesse scacciando una mosca.
Ormai furibonda, Harmonya prese il suo carico di fascino e stile e marciò ancheggiando superba verso il suo tavolo.
In quel preciso istante Luna si accomodò di fianco ad Hermione.
“Ti scoccia se mi siedo qui?”
“Ovviamente no!” le rispose l’altra con un sorriso amichevole. “TU puoi”.
Ron e Harry finirono di mangiare in silenzio, con un certo anticipo rispetto a Hermione. Dopo averla salutata si alzarono e si allontanarono.
“Non male come inizio”, disse Ron compiaciuto. “Non vorrei che fosse persino una buona idea!”
“Fratello, io sconfiggo i cattivoni di fine livello, ti pare che le mie idee non siano buone?”


Piton odiava il mercoledì. Più del lunedì, che notoriamente è un incubo.
Il martedì era pesante perché il fine settimana era ancora lontano, e il giovedì portava, senza mantenerle, promesse di riposo. Per non parlare del venerdì, così vicino alla domenica (l’ultimo giorno prima di una nuova, odiosa settimana) da perdere il gusto dell’attesa.
No, il mercoledì era peggio.
Il mercoledì aveva lezione con Grifondoro e Tassorosso.
Assieme.
Potter e Tette Letali assieme. Un incubo.
Ma quel mercoledì di Gennaio c’era una novità.
La lezione di Difesa contro le Arti Oscure era proseguita quasi come al solito: Piton faceva le domande, gli studenti provavano a rispondere e di solito facevano pena.
Quel giorno c’era una novità, però.
Nonostante l’ansia e la paranoia (e non per il triplo gioco che conduceva da anni, no no), Piton aveva ancora un cervello notevole.
Quando le due classi si erano accomodate, approfittando del piccolo trambusto che sempre seguiva la campanella di inizio lezione, aveva puntato in silenzio la bacchetta contro Harmonya. Una breve scossa, indice della magia che si sprigionava, percorse il braccio del professore extravergine, strappandogli un mezzo sorriso.
Una mezz’ora di spiegazione sulle contro fatture, e poi…
“Sentiamo un po’: chi sa dirmi in che modo si può deviare una fattura se non si è in possesso di una bacchetta?”
La mano di Hermione Granger scattò rispettosa e saccente verso il cielo; Harmonya, superiore a queste inezie, si erse sulla sedia e, con un sorriso, fece per rispondere.
Dalla sua bocca uscì una lunga pernacchia umidiccia.
“Sì, signorina Granger?” chiese Piton, stranamente cordiale.
Hermione tardò un istante a rispondere, smarrita tra il desiderio di scoppiare a ridere e lo stupore per il tono meno antipatico del professore.
“Io… ecco… si può interrompere il… lo… quello che lancia l’incantesimo prima che lo termini, magari con un colpo o qualcosa del genere”, rispose balbettando, priva della solita precisione chirurgica.
“Bene, sufficiente, direi. Due punti a Grifondoro”.
Harry guardò Ron.
Ron guardò Harry e si tolse di bocca il foglio di pergamena che aveva usato per soffocare la risata.
Entrambi guardarono Hermione, e poi Piton (voltato, le spalle scosse da qualcosa che poteva essere un risolino silenzioso), quindi Harmonya, assolutamente basita.
Altri dieci minuti, altra domanda… altra pernacchia.
E così via, per tutta la lezione. Alla fine Harmonya uscì a lunghi passi, inviperita.
Per la prima volta Harry ebbe l’impulso di abbracciare Piton.
“Sapete”, disse mentre andavano verso le serre di Erbologia, “quasi quasi mio figlio lo chiamo come lui, che ne dite?”
A quelle parole profetiche tutti e tre risero.


Harmonya marciava spedita avanti e indietro, in prossimità del corridoio che portava ai sotterranei.
“Non è possibile”, sibilò tra sé mentre i tacchi da dodici centimetri battevano sulle pietre. “Qui c’è qualcosa che non va. Non possono ignorarmi tutti! Non è possibile che il mio fascino non abbia successo, che le mie forme prorompenti su un corpo snello e tonico non abbiano alcun effetto! Nemmeno il mio profumo sembra darmi un’opportunità…”
In lontananza risuonarono dei passi e alcune voci.
Lo sguardo bicolore di Harmonya ebbe un guizzo.
“Ma non è ancora finita… posso giocarmi l’ultima carta!” si disse. Con gesto teatrale si tolse la cravatta e slacciò un altro bottone della camicia, lasciando al suo posto giusto quello appena sopra l’ombelico. Dalla stoffa candida fece capolino un push up di pizzo nero. Un colpo di bacchetta, e la gonna si aprì in uno spacco vertiginoso, rivelando l’orlo di una calza autoreggente.
“E ora a noi due, signor Malfoy…”
Dopo pochi istanti dall’angolo sbucarono Draco, Blaise e Pansy, immersi in una fitta conversazione.
Così fitta che le passarono davanti senza degnarla di uno sguardo.
E sì che si era data un gran da fare per essere sexy: languidamente appoggiata a un arazzo – i cui occupanti se l’erano preventivamente data a gambe, imbarazzati- con una gamba piegata e il piede poggiato al muro, la schiena inarcata e i capelli un po’scomposti gettati all’indietro. Le labbra socchiuse, lo sguardo acceso… tutto, in Harmonya, avrebbe dovuto gridare “sesso!” a gran voce.
I tre Serpeverde le sfilarono davanti senza una parola.
E questo era davvero troppo.
Harmonya batté il piede a terra.
“Ora basta!” strillò, stringendo i pugni e rovinandosi la french manicure. “Si può sapere perché nessuno mi caga? Io sono… sono bella, ricca, intelligente, ho fascino, buon gusto, vesto di marca, so tutto, sono… sono così feeka!”
Draco passò un braccio attorno alle spalle di Pansy.
“Ah, sei tu, quella col nome lungo”, disse laconico.
“Mi chiamo Harm…”
“Lo sappiamo come ti chiami, solo che non vale la pena perder tempo a pronunciare un simile spreco di lettere”, rispose Blaise agitando mollemente la mano.
Il gran clamore aveva richiamato qualche curioso, non ultimi Harry, Ron e Hermione, palesemente divertiti.
Harmonya guardò Zabini con gelido odio e strinse gli occhi. Il giovane trasalì e si tenne una mano davanti alla bocca, reprimendo un singhiozzo. Fu questione di un istante, però: un nobile contegno gli scese sui bei lineamenti, a malapena distorti da un ghigno sarcastico.
“Non provarci, tesoro: sono un uomo e sono bello nero. Mio nonno era africano, quindi basta storie”. Deglutì rumorosamente e  il singhiozzo sparì.
Harmonya era sull’orlo delle lacrime. Guardò prima Harry (distratto dalla visione di una Ginny particolarmente a sui agio) e poi Draco.
“Non… non è possibile! Come posso non piacervi? Come potete preferire quelle anonime sciacquette a… a me? Sono il massimo che ci sia sul mercato!”
“Ma che ce l’hai con me?” chiese Draco, arricciando il naso. Con gesto teatrale baciò Pansy, lasciandola senza fiato e soddisfatta. “Guarda che tu sei palesemente troppo vistosa  per i miei gusti. La mia è una famiglia all’antica, mi ci vuole una consorte che sappia stare al suo posto e che non sfiguri ai party nell’alta società. Tu vai giusto bene per un Babbano arricchito col suv”.
Ben in pochi capirono l’ultima osservazione.
Harmonya si guardò intorno mentre il trucco le colava impietosamente sulle guance.
“Quindi… non…”
“No!” esplose un coro di voci concitate.
“Harmonya, ora basta”, intervenne Harry avanzando di un passo. Ormai alle sue spalle s’era formata una folla notevole, comprendente professori e bidelli. “Sono io l’eroe della storia: non puoi pretendere che tutte le attenzioni siano su dite! Questa trama non ti appartiene!”

L’immagine si bloccò su un impietoso fotogramma di Harmonya con la bocca spalancata e gli occhi vacui, spenti. Sembrava un’orata.
La poltrona della Presidentessa si voltò lentamente senza cigolare.
Le dita congiunte sotto al mento ebbero un fremito. Gli occhi celati dagli occhiali dalla montatura di metallo erano gelidi come il vento che, in superficie, sferzava le colline inglesi.
Forse, da qualche parte, una mucca guardava passare il treno… ma no, dai, torniamo alla storia.
“Abbiamo fallito”, scattò la voce della donna nell’aria tesa della sala riunioni. “Non era questo che volevamo ottenere”.
Con uno scatto si alzò e prese a misurare avanti e indietro la stanza.
“Sono delusa, molto delusa. Potevamo fare di più”.
I seri scienziati si agitarono sulle loro sedie.
“Capo, siamo dispiaciuti, ma si trattava di un prototipo, un esperimento che…”
“Che è andato a rotoli!” gracchiò la donna, inflessibile. “Sarà meglio che tiriate fuori qualche altra idea, sennò…”
“Con permesso”, disse una giovane voce femminile in fondo alla sala, “avrei un progetto da proporre”.
La presidentessa posò lo sguardo freddo sulla rampante fanciulla in camice che aveva parlato con tanta sicurezza.
“Ah sì, e di cosa si tratta?” chiese, non senza sarcasmo.
“Il progetto MS539K”, rispose la giovane senza batter ciglio.
Un mormorio perplesso si diffuse per la sala.
“MS539…K? E K per cosa starebbe?” chiese il capo.
La giovane ricercatrice puntò con nonchalance un telecomando alle proprie spalle e premette un pulsantone rosso. Un pannello si aprì sulla parete rivelando una sagoma in controluce avvolta da una nube di fumo azzurro. Tutti i presenti trattennero il respiro.
"K... come kattiva!"
Lei era giovane e minuta. Il viso di porcellana era di una bellezza assoluta, strafottente e distratta. I capelli verdi e lucenti ricadevano sulle guance pallide come la neve, incorniciando un paio di grandi occhi pesantemente truccati di nero. Erano viola, ma virarono rapidamente al rosso quando, infastidita da tanti sguardi puntati su di lei, sollevò il dito medio nella direzione degli scienziati.
Tra le labbra dipinte di viola scuro pendeva una sigaretta fumata a metà; era vestita senza cura apparente, jeans neri strappati con cintura borchiata e catena pendente dai fianchi, All Star viola, una maglietta degli Evanescence e, a tracolla, pendeva una borsa di tela anch’essa nera, tempestata di spillette rotonde con l’icona di vari gruppi goth e Emo rigorosamente Babbani.
“Allora”, disse la misteriosa ragazza con voce strascicata. “Dov’è questo Draco Malfoy? Ho giusto un paio di cose da insegnare a quel poppante che non ha nemmeno le palle di ammazzare un vecchio…”
La presidentessa raddrizzò lentamente le spalle mentre un sorriso spietato le sbocciava sul viso tirato.
“Sì…” sussurrò avanzando verso il nuovo prototipo. “Sì!”
Si portò davanti all’oscura ragazza e la fissò a lungo. Poi, d’improvviso, si voltò verso i colleghi, le braccia levate al cielo.
Si Può Fare!”


   
 
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