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Autore: Internettuale    20/08/2015    2 recensioni
Dal testo: "Nelle ultime settimane si discuteva molto di un saggio, pubblicato sul New York Times, sulla possibilità di creare intimità e senso di vicinanza tra sconosciuti o conoscenti. Questo saggio faceva riferimento ad un esame condotto dal professor Arthur Aron e dai suoi assistenti. Aron aveva intenzione di scoprire se fosse possibile, creando un contesto propedeutico in laboratorio, indurre un rapporto di profonda amicizia o amore fra due completi estranei, o amici superficiali, in meno di un'ora.
Procedeva così: i due volontari entravano in una stanza vuota e si sedevano uno di fronte all’altro, iniziando a porsi reciprocamente una lista di trentasei domande, fornita da Aron. Arrivati in fondo alla lista, i volontari dovevano guardarsi negli occhi per quattro minuti.
Il test divenne popolare perché due dei partecipanti selezionati si sposarono dopo avervi preso parte e soprattutto perché recentemente lo misero in pratica, sostenendo che questa sperimentazione funzionava.
Will era così elettrizzato ed esaltato per questo esperimento, tanto da pensare di metterlo in pratica; ovviamente non puntava a trovare l’amore, voleva solo soddisfare la sua curiosità."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Will Solace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Will stava percorrendo il bagnasciuga semideserto della spiaggia di Long Island, nel momento in cui il sole faceva capolino tra le pigre nuvole che coprivano il cielo, quando notò un uomo vestito da clown.
Egli s’incamminava, visibilmente confuso, nella direzione del figlio di Apollo, in mano due palloncini gonfiati a elio.
Mentre il ragazzo si avvicinava, notò che i due oggetti avevano disegnati sopra delle facce, e ballonzolavano in aria sopra il loro proprietario.
Will affondava i piedi nella sabbia bagnata dalla pioggia mattutina e l’aria frizzante gli pizzicava la pelle scoperta, ma tutta la sua attenzione era focalizzata sul pugno dell’uomo, che stringeva saldamente i fili intrecciati dei due palloncini: ciononostante Will temeva che uno dei due fili si slegasse e si librasse nel cielo.
Quando finalmente si raggiunsero, Will scoprì che l’uomo si era perso e gli indicò una strada per ritornare indietro.
Questo banale episodio, però, non fece che occupare la mente di Will per tutta la giornata, soprattutto quando si distese insonne nel suo letto. Egli continuava a vedere quei palloncini.
Pensava all’esperimento ormai concluso, ed era come se qualcuno avesse tagliato con delle cesoie i fili esattamente nel punto in cui erano annodati insieme. Dopo, era come se i palloncini non avessero più alcun motivo per rimanere uniti.
Era terribile, per Will, credere che niente sarebbe mai stato più come un tempo; che Nico Di Angelo non lo avrebbe più salutato con quel suo gesto indifferente di chinare il capo, che non avrebbe mai visto i suoi dipinti.
Sentì con certezza che la scomparsa dalla sua vita del figlio di Ade avrebbe mutato tutto quello che lo circondava.
Doveva fare qualcosa: non gli piaceva essere risucchiato nell’oscurità solo perché aveva a che fare con le tenebre.
 
Erano passate, all’incirca, due settimane da quando l’esperimento era terminato, e quel giorno Will decise di compiere una scelta azzardata.
«Agli dei!», enunciò Chirone, alzando il calice.
Tutti sollevarono il bicchiere, ripetendo solenni l’invocazione. Austin e Will si diressero verso il braciere di bronzo, rovesciando una porzione di cibo nelle fiamme.
«Padre», parlò sottovoce Will, «Infondimi coraggio e aiutami con Nico.»
Austin lo squadrò con sospetto. «Che ti succede, Will?»
Il ragazzo scrollò le spalle, non voleva parlarne.
Egli si sentiva solo e disconnesso dal mondo, si comportava come Nico.
Era ansioso, stressato ed emotivo: incominciava ad agire in maniera irrazionale, illogica.
I suoi fratelli mangiavano tra una chiacchiera e un sorso di Sunny D, mentre Will masticava la sua insalata con noncuranza e preoccupazione.
Poi, come se Apollo avesse udito la sua preghiera, Will si alzò e si diresse sicuro verso Nico, che sedeva solo, in disparte.
Giocava svogliatamente con il suo cibo, mentre sbuffava in silenzio.
Il figlio di Apollo pensò che molto probabilmente non si sarebbe mai accorto della presenza del giovane in passato, che sarebbe per sempre rimasto all’oscuro della sua esistenza.
S’infilò sulla panca accanto a Nico. «Che cosa vuoi, Solace?»
Will sembrava timido accanto al ragazzo, conquistato dalla sua vicinanza, e sorrideva.
Era vicino, dopo tanto tempo, a Nico. «È proibito, Solace.»
Il tono della sua voce era nervoso. «Perché sei qui?»
I ragazzi del Campo li osservavano meravigliati, bisbigliando e ridacchiando.
Chirone si schiarì la gola, il cuore di Will sussultò.
«Che cosa vuoi, Solace
Silenzio. Un altro colpo di tosse.
«Ti devo parlare.»
«Solace …»
«È importante.»
Il tempo scade.
Nico puntò il suo sguardo arrabbiato negli occhi del giovane, il volto imporporato.
Prese una mela, le tirò un morso e con un sorriso terrificante affermò: «Una mela al giorno toglie il medico di torno.»
 
La sensazione di ansia divenne prepotente, facendogli perdere la sua prontezza di spirito e il fascino che da sempre aveva posseduto. Il suo sorriso era nervoso, la risata meno naturale.
Incominciava a divenire lunatico- una montagna russa emotiva - piangeva per cose banali: teneva i suoi sentimenti imbottigliati e l’insignificante era in grado di farli scoppiare.
Rinunciò a prendersi cura di se stesso e del mondo che lo circondava, nessuna motivazione lo spingeva a compiere ciò che amava.
Era arrabbiato: con sé, con i suoi amici, con l’intero Campo Mezzosangue.
Quell’amore, nato nel giro di soli quarantacinque minuti, era aggressivo, incontenibile, contraddittorio e irriconoscente nei suoi confronti.
Nico non capiva cose stesse accadendo a Will: la sua era un’impressione, una sensazione viscerale, ma il tutto rimaneva nebuloso per lui.
Oppure semplicemente fingeva di non comprendere.
Nico doveva imparare ad ammirare il momento presente per come arrivava. Anziché continuare a interrogarsi e pianificare il suo futuro, doveva afferrare l’istante e sperimentare l’avvenire, l’incerto; meravigliarsi dei piaceri semplici dell’esistenza che aveva ignorato e disprezzato in precedenza.
Il figlio di Ade poteva spendere interi anni per imparare a vivere sul momento prima di riuscire a farlo in modo maturo, se non fosse stato per le Antesterie.
 
 
Le Antesterie sono delle feste celebrate in onore di Dioniso, che durano all’incirca tre giorni e che nella Grecia classica erano prevalentemente un omaggio al piacere del vino.
La festa iniziava ufficialmente al tramonto; durante il giorno si trasportava tutto nella zona del santuario, solo allora si onorava il dio con le prime libagioni.
In questi giorni avevano luogo anche competizioni di bevute di vino con il proprio boccale, anche i bambini e gli schiavi prendevano parte. I
In un clima di allegria domestica e di stordimento, si sviluppava un secondo aspetto, più tenebroso: il tema dell’infestazione.
Si diceva che in questi giorni i fantasmi popolassero le città, spiriti chiamati dai Cari, considerati gli antichi dimoranti dell'Attica. Perciò, per proteggersi, cospargevano le porte di pece, si compravano rametti di biancospino per proteggersi dai fantasmi ma soprattutto tutti i templi erano chiusi, tutti i santuari bloccati; durante questo giorno si usavano maschere ed erano allestiti dei cortei con dei carri.
Chirone, non volendo vedere i suoi semidei ubriachi, decise saggiamente di utilizzare del vino analcolico, anche se questo turbò evidentemente il Signor D.
Così i semidei iniziarono a cospargere le porte delle loro cabine con la pece, raccolsero rami di biancospino e realizzarono dei costumi per l’evento.
Il crepuscolo annunciò il loro arrivo nell’anfiteatro del Campo, dove l’aroma ricco e complesso del vino si mescolava all’intenso, soave e dolcissimo profumo dei fiori di biancospino.
Un tappeto di foglie lobate ricopriva la pavimentazione e fiori bianchi con antere rosse, raggruppati in corimbi, abbellivano l’ambiente; alberi glabri, lisci e di colore bruno-grigiastro circondavano l’anfiteatro, donandogli quell’atmosfera arcana e incantata tipica delle foreste.
Botti di legno facevano scorrere fiumi color rosso sangue, mentre i figli di Apollo suonavano e intonavano varie canzoni, la più cantata era Chandelier di Sia, e ogni semidio era irriconoscibile con la sua maschera occultatrice.
La presenza del vino analcolico aveva spento, però, l’atmosfera: la maggior parte dei mezzosangue desiderava eccedere.
Con immensa gioia, i loro desideri furono realizzati dai figli di Dioniso che resero il tutto molto più effervescente e vivace, aggiungendo, con l’aiuto dei figli di Hermes, furtivamente dell’alcool.
Nico era astemio e, dopo due abbondanti bicchieri di vino, riconobbe a se stesso di essere brillo: i suoi sensi inibitori erano andati a farsi una passeggiata e la sua unica consolazione era la maschera raccapricciante che lo avvolgeva e nascondeva.
La musica ad alto volume ricopriva le voci dei campeggiatori e le luci intermittenti confondevano ancora di più Nico, che si sentiva isolato ed escluso.
Decise, allora, di evocare uno scheletro con cui intrattenersi in pista, una scelta che non avrebbe mai fatto da sobrio.
Trascinò il morto al centro dell’area ma questo non aveva la minima intenzione di dimenarsi con il ragazzo, pertanto Nico esordì con una serie d’insulti- urlati con un tono della voce altissimo- e cominciò a gesticolare furiosamente.
La carcassa, visibilmente offesa, stava per rincasare nell’Ade, ciò nonostante Nico si fiondò su di lui e lo colpì con energia, suscitando il riso di chi lo fissava.
Uno spettacolo ben allestito, che il figlio di Apollo osservò con divertimento finché non si rese conto di chi si celasse sotto quel costume, quando gli occhi persi, tristi e sfuggenti di Nico Di Angelo si posarono in quelli del ragazzo con insistenza, turbando intimamente Will.
Il figlio di Apollo non amava molto bere, riteneva saggiamente che l’alcool non fosse uno strumento per divertirsi, che ci fossero altri mille modi nel mondo per svagarsi.
Inoltre reggeva l’alcool in una maniera impressionante, infatti, tre bicchieri di vino lo resero leggermente brillo: era cosciente di ciò che stava accadendo, si sentita solo lievemente più libero.
Dopo aver assistito alla commedia di Nico, si trasformò in una creatura ancor più triste e pensierosa. Si sedette su una gradinata dell’anfiteatro e osservò con distacco la festa, rimuginando sul ragazzo tenebroso.
Contrariamente da come si potrebbe credere, Nico era uno di quegli ubriachi affettuosi e allegri, leggermente arrabbiati per essere stati rifiutati da un morto.
Iniziò a cantare con trasporto una canzone italiana, mentre in molti lo osservavano sorpresi, con gli occhi sgranati e in silenzio: qualcuno aveva persino pensato di abbassare il volume delle casse.
La melodia della canzone, che ricordava molto gli anni quaranta, svegliò Will dal suo stato di demoralizzazione attuale. 
 
* Non dimenticar le mie parole,
caro tu non sai cos'è l'amor,
è una cosa bella come il sole,
più del sole dà calor.

Scende lentamente nelle vene
e pian piano giunge fino al cuor,
nascono così le prime pene
con i primi sogni d'or.

Ogni cuore innamorato
si tormenta sempre più,
tu che ancor non hai amato
forse non mi sai capire, tu.

Non dimenticar le mie parole,
caro t'amo tanto, da morir,
tu per me sei forse più del sole,
non mi fare mai soffrir.

Ma io t'ho sempre amata
come amar non so di più,
tu però sei tanto ingrata
forse non mi sai capir tu.

Nico possedeva una voce intonata, calda e armoniosa, che per qualche istante riuscì ad affascinare chiunque lo stesse ascoltando in quel momento, ma quell’attimo di meraviglia si frantumò in mille pezzi, quando il ragazzo stramazzò al suolo, di faccia per terra.
Le risate dei campeggiatori riecheggiavano in modo ovattato nella testa di Will, che focalizzò tutta la sua attenzione e apprensione nella direzione del figlio di Ade, che si sollevava a rilento e rideva di sé con gli altri semidei.
Il suo sguardo era vuoto, vitreo e perso, come il suo cervello in quel momento: Nico non riusciva a reggersi saldamente su due piedi, barcollava e si dimenava sgraziatamente, era oltremodo confuso e stupido.
Will, in quel momento, pensò che Nico fosse sciocco, insignificante e sgradevole; lo riteneva più intelligente, profondo e maturo.
 
Dunque il ragazzo, impossessato da una delusione non comune, decise di incamminarsi verso la strada che conduceva alla spiaggia, sperando che questa fosse aperta e che non ci fosse nessuna arpia nei paraggi.
L’aria pungente gli procurò alcuni brividi e il cielo, pieno e risplendente di stelle, lo osservava e lo proteggeva, abbracciandolo.
Il figlio di Apollo avvertì qualche rumore e, confidando nel suo istinto da semidio costantemente in pericolo, prese la prima pietra che si ritrovò al cospetto e decise di usarla come arma per difendersi da un eventuale attacco di un mostro.
Avanzò silenziosamente in direzione degli strepiti e ciò che vide scatenò in lui una tempesta di emozioni contrastanti.
Il figlio di Ade, spogliatosi del suo costume – quindi seminudo e privo di alcuna maschera- tentava con determinazione di scavalcare il cancello ornato da frecce appuntite, che miravano verso la cupola stellata.
Will corse, senza un minimo di esitazione, verso l’ubriaco; guidato, più che altro, dal suo istinto medico che da un romanticismo forzato.
Afferrò con forza le caviglie di Nico, che iniziò ad agitarsi e a scalciare, e tentò in tutti modi di impedire la sua scalata verso una lesione grave o, perfino, la morte.
Il salvatore riuscì ad afferrare la sua vita, stringendo il braccio in tensione muscolare contro la pelle nuda e gelida dei fianchi dell’ebbro ragazzo.
Lo spinse, ubriaco di rabbia e senza sforzo, contro il pavimento ricoperto di sabbia: sentiva l’irritazione, la delusione e l’apprensione crescergli nel petto ed esplodere.
«Cosa ti è preso, Di Angelo?». Il tono della sua voce era abbastanza alto.
Nico si allontanò da Will, con disprezzo. «Non mi trattare come un bambino. Non lo sono.»
«Sei un immaturo, cazzo, ecco cosa sei.»
«Smettila di far finta di preoccuparti o di provarci. Non ho bisogno del tuo aiuto né dell’aiuto di nessun altro.»
«Potevi farti male.»
«Non sarebbe accaduto. Smettila di trattarmi così
 «Io mi preoccupo per te, ingrato del cazzo!».
Stava usando troppe parole volgari. Stava alzando troppo il tono della voce. Stava esagerando.
«Ti ho detto che sto bene. Puoi andare via adesso?»
Will ignorò la richiesta di Nico. «Che cosa volevi fare? Romperti la testa? Morire?»
«Mandarti a ‘fanculo. Ecco cosa voglio fare.»
Il figlio di Apollo si avvicina con calma al ragazzo, poggia la mano sinistra tremante sulla sua spalla e lo colpisce con forza sulla guancia destra.
L’impronta della sua mano è un segno che Will vorrebbe cancellare immediatamente.
Gli occhi spenti e vuoti di Nico si riempirono di lacrime colme di dolore e amarezza: non riusciva a concepire perché il figlio di Apollo lo avesse percosso.
Assalì con lo sguardo i sentimenti del suo salvatore, il quale, all'istante, si sentì trafitto dalle mille frecce che ornavano il cancello alle sue spalle, che miravano tutte al suo cuore.
I sensi di colpa lo fecero crollare sulle sue ginocchia e la consapevolezza di aver errato lo colpì, con la stessa energia con cui lui aveva ferito Nico, sul volto, causando il pianto del ragazzo.
Ma la rabbia e la delusione erano ancora lì nel suo petto e bastava poco per far in modo che la bomba fosse detonata.
Per gradi, Nico sentì l’effetto dell’alcol svanire, grazie al dolore, allo sconforto e al volto preoccupato e sofferente di Will.
Avvertì un conato di vomito e il figlio di Apollo lo aiutò a sollevarsi.
Will tirò su col naso. « Resisti.»
Procedettero celermente verso i bagni del Campo e il figlio di Ade lì rigettò buona parte di tutto quello che aveva ingerito.
Rimase lì per un'altra mezzora e aspettò, paziente, il ragazzo, che rimetteva l’anima.
Quando finalmente i conati parvero attenuarsi, Will aiutò Nico a lavarsi, gli prestò il suo costume, per proteggerlo dal freddo della notte, e gli riempì tantissimi bicchieri d’acqua, per reidratare l’organismo.
Il figlio di Apollo lo soccorse con persistenza e bontà, sperando che Nico potesse rimettersi presto.
Lo guidò alla cabina di Ade e lo posò sul suo letto, aprì le finestre per ventilare la stanza e posò un lenzuolo sul corpo gracile e debole del ragazzo.
Gli accarezzò i capelli corvini, tentando di trattenere le lacrime: si era preoccupato più del dovuto, aveva assunto un comportamento esasperante ed eccessivo agli occhi di Nico.
Si guardò intorno per ammirare la stanza e ritrovò quei dipinti che Nico celava con apprensione: erano fatti veramente bene e rimase ad osservarli lì per un po’, cercando il suo volto in una tela.
L’unica cosa familiare che riconobbe fu la sala del bar dove si incontrarono per l’esperimento; sorrise, malinconico.
Nico sussurrò qualcosa, fiaccamente. « Non è meraviglioso, eh?»
Il figlio di Ade aveva indicato il cielo buio, cupo e tenebroso, reso sorprendente dalle piccole sfere luminose ammiccanti.   
«Già, lo è.»
«Grazie, Will.»
Il ragazzo rimase in silenzio.
«Io da oggi voglio vivere. Mi aiuterai?»
 
Will raggiunse i suoi amici in spiaggia, i quali potevano essere sia brilli sia felici, il ragazzo non trovava differenze.
Si poggiò silenziosamente su una brandina e continuò ad ammirare quel cielo meraviglioso, domandosi il perché di tutto quel dolore.
Io, da oggi, voglio vivere. Mi aiuterai?
Come aveva potuto minimamente pensare che ubriacarsi lo avrebbe reso vivo?
L’immagine di Nico in preda alla confusione mentale sfiorò la sua mente: il suo volto devastato dal voltastomaco, la risata inespressiva e gli occhi spenti, opachi, che ammiravano senza sentimento il volto di Will; la sua muta richiesta di aiuto e la sua incapacità nello stare in piedi e nel parlare.
L’alcol è confusione mentale, nausea, spossatezza; è qualcosa che ti permette di esistere un solo istante e poi ti demolisce del tutto. 
L’alcol è dipendenza. Non è libertà, benessere o piacere.
Will poteva capire l’essere leggermente brilli, ma ridursi in quel modo era per lui inconcepibile.
«Will, sei particolarmente silenzioso oggi. Che ti è successo?», domandò Austin, curioso.
Il ragazzo si limitò ad alzare le spalle.
Ripresero a parlare di un argomento che interessava loro molto e Will percepì solo qualche frase.
«La parte che più mi piace di Austin è il suo sorriso.», asserì allegra una figlia di Dioniso. Il ragazzo la ringraziò, imbarazzato.
Tutti posarono il loro sguardo su Will.
«Qual è la parte di Will che più vi piace?»
Il silenzio calò, sorprendentemente.
Will si sarebbe aspettato una serie di complimenti infiniti, data la sua somiglianza concreta con il padre, ma l’invidia riuscì ad azzittire i semidei e a rendere ancora più sconfortato il ragazzo.
Austin azzardò con un: «… Il suo naso?»
Will si sentì punto nell’orgoglio e stava quasi per rispondere ai suoi amici con irritazione, quando un’immagine gli sfiorò la mente: Nico di Angelo che non la smetteva di elencare tutte le caratteristiche che gli piacevano di lui- in nessuna di queste, però, c’era il suo naso.
Allora in quel preciso momento, il ragazzo comprese che era seriamente innamorato del figlio di Ade.
E che se non fosse stato per l’esperimento, si sarebbero comunque incontrati e Will si sarebbe in ogni caso invaghito di Nico.
E trovava tutto questo meraviglioso: sentirsi destinato e appartenete a qualcuno, rendersi conto di essere prigioniero di un’emozione che riesce ad abbatterti e risollevarti in un niente, avere coscienza del fatto che si è pervasi di passione e di sentimenti travolgenti.
Will era attratto, coinvolto, pieno di ammirazione e di meraviglia: viveva d’amore.
Ecco, allora, che arrivò la giustificazione al suo dolore e percepì lo splendore della distesa infinita e gelida della sabbia, la bellezza sconfinata di un mare che travolge e rilassa, ravviva e sopprime!
Doveva insegnare a Nico la vera libertà, il vero benessere e il vero piacere.
Avrebbe compiuto di tutto, qualunque cosa, per far in modo che anche Nico potesse apprezzare tutto questo, che anch’egli potesse vivere d’amore!
 
Un conato di vomito destò Nico dal suo sonno, il quale ritrovò accanto al suo letto una bacinella in cui rigettò tutto.
Si domandò chi mai avesse posto lì l’oggetto, quando l’immagine di due occhi azzurri preoccupati travolse la sua mente.
«Oh, merda! Merda, merda.»
Non ricordava perfettamente, e soprattutto in ordine cronologico, cosa fosse avvenuto in quella serata, ma nella sua mente risplendeva l’immagine di Solace che gli accarezzava il volto e lo soccorreva.
Ma non furono quei dolci ricordi a far imprecare il giovane semidio, bensì le parole dure che gli aveva rivolto a un certo punto della festa.
In quei giorni passati lontani da lui, Nico fingeva di essersi dimenticato di quanto fosse perfetto quel ragazzo.
Più pensava a lui, più i ricordi riaffioravano nella sua mente e più si convinceva del fatto che Will meritasse delle scuse.
Il suo tormentarsi in merito era la conferma del suo amore velato nei confronti del figlio di Apollo.
Era difficile ammetterlo, eppure doveva accettarla come una verità assoluta.
Si era convinto che Will non lo avrebbe abbandonato, non si sarebbe allontanato da lui.
Aveva compreso che quell’esperimento non era solo un’illusione, che Will combaciava all’idea che Nico si era fatto di lui.
In quel periodo, in cui il ragazzo aveva cercato di ignorarlo, aveva imparato ad amare se stesso e il proprio corpo: non aveva più tanta paura della sua sessualità.
Non era ancora totalmente in grado di saper gestire i suoi impulsi e le sue emozioni, ma era certo che Will lo avrebbe sostenuto, senza sosta.
In quell’istante, il figlio di Ade racchiudeva in sé il significato del saper cogliere l’attimo e stava giusto per metterlo in pratica.
I terrori, le angosce e i timori che tormentavano la mente del ragazzo e la imprigionavano nella loro stretta letale si erano dissolti, lasciando spazio e libertà, temporaneamente, al coraggio, al sollievo e alla speranza.
 
I campeggiatori che osservarono - per almeno cinque giorni - la scena dall’esterno, non poterono che sorprendersi e divertirsi gratuitamente.
Da sempre la mente umana è un variegato di contraddizioni, timidezza e coraggio, ciò non fa che rendere ancora più contorta la nostra esistenza; in particolar modo rese ancor più difficile e confuso il rapporto amoroso tra i due semidei.
Nico desiderava enormemente rivelare i propri sentimenti a Will ma - ahimè!- il giovane soffriva troppo d’amore per essere abbastanza riflessivo e coerente riguardo quest’argomento, nonostante si fosse ripromesso più volte di riferire i propri sentimenti.
Mille pensieri sconclusionati occupavano la sua mente, come: “Proverà ancora qualcosa per me, nonostante sia passato tanto tempo?”
Così si limitava a sedere, ogni giorno, sulle gradinate dell’infermeria e, quando Will stava per finire il suo turno, si alzava e se ne andava, deciso a rimandare il momento delle sue scuse, e dalla sua appassionata confessione, al giorno successivo.
D’altro canto potremmo accusare anche Will di vigliaccheria, il quale aveva garantito a se stesso di insegnare a Nico ad amare la vita, a viver d’amore.
Ma vi sfido a confessare il vostro interesse a un ragazzo che pare in soggezione di fronte a voi o che assume un’aria menefreghista nei vostri confronti; o che pare non incoraggiarvi comportandosi in maniera seria e silenziosa.
O che mangia una mela per scacciarvi.
I due poveri disgraziati erano, dunque, l’uno all’oscuro delle intenzioni dell’atro!
Se non fosse stato per i semidei notevolmente interessati a questa faccenda, i ragazzi avrebbero continuato per mesi in questo modo, finché uno dei due non si fosse nuovamente innamorato di un altro o si fosse snervato dell’intera questione.
Quindi, sei giorni dopo l’incidente dell’alcol, un amico di Will decise di fargli notare, con falsa indifferenza, che Nico Di Angelo “Sta sempre seduto davanti all'infermeria e se ne va poco prima che tu finisca il turno, come se dovesse dirti qualcosa ma non ci riuscisse.”
Will ci meditò su e arrivò alla conclusione che quel suo atteggiamento qualcosa doveva pur dimostrare: voler chiarire, voler ritornare amici o voler scusarsi.
 
Decise, il mercoledì successivo, di finire il turno un’ora prima e così fece.
Quando aprì la porta dell’infermeria, con il suo camice verde e i riccioli biondi spettinati, Nico sobbalzò per la sorpresa e lo spavento, rivelando la propria inquietudine al ragazzo.
Will, prendendo dal suo animo tutta l’audacia che possedeva, occupò posto accanto al figlio di Ade, su un gradino sporco e levigato dal tempo.
Erano le sette di sera, il sole svaniva senza fretta per cedere il posto all’oscurità e le mani di Nico sudavano per l’ansia.
L’immensa e sgargiante foresta incontrava i loro occhi, dando loro l’idea di forza, robustezza e smisurata gioia.
L’infuocato tramonto riaccendeva il loro tormento e la loro sofferenza e accelerava il battito dei loro cuori.
Un insieme di verde, arancio, rosa e azzurro circondava le loro figure timidamente, infondendo loro nervosismo e serenità - notevolmente due sensazioni contrastanti.
L’inebriante e pungente odore degli alberi abbracciava i loro sensi, leggermente distratti dai chiassosi e melodiosi rumori della vita al Campo.
Il caldo appiccicoso incollò i capelli corvini di Nico alla sua fronte fredda, che egli discostò seccamente con la mano tremante.
Will intavolò una conversazione sul più e sul meno con il semidio, dando inizio a una carrellata di sorrisi teneri, parole dette con troppa veemenza e sguardi presi d’amore: nulla mancava alla descrizione della sindrome d’innamoramento, tranne la verità.
Nico imprigionò il suo sguardo sul volto di Will: nonostante la sua dentatura non fosse perfetta - possedeva uno spazio leggero tra i due incisivi - reputava il suo sorriso oggetto di una meritata e degna contemplazione, poiché capace di appagare l’animo e i sensi.
Le orecchie erano a sventola, ma arrossivano per la vicinanza con il figlio di Ade, i capelli biondi parevano ramati grazie alla sfera infuocata e gli occhi azzurri erano fissi su di lui, attraversando il suo cuore come una specie di melodia armoniosa.
Era il momento giusto, lo sapevano entrambi.
«Sei stato tu a tagliare il mio nervo frenico? Perché mi hai tolto il fiato.»
Pronunciò quelle parole come se fossero una battuta, nonostante fossero un modo per rompere il ghiaccio e dare inizio a una conversazione più profonda.
«Forse dovrei darti una respirazione bocca a bocca per far in modo che i tuoi parametri vitali ritornino normali.»
«Eri tu quello che doveva arrossire, non io!», replicò il figlio di Apollo, con gli occhi sbarrati per la risposta inaspettata e accogliendo la frase con una risata. «Però … mi piace questo tuo contrastarmi.»
«Volevo scusarmi con te per quella sera. Non volevo ridurmi così.»
Il figlio di Apollo alzò le spalle e accettò le sue scuse, facendogli promettere che non si sarebbe più ubriacato in quel modo.
«Credo che, comunque, si sia capito.», asserì con calma Will.
Nico rispose con un sopracciglio alzato. «Cosa si è capito?»
«Dire che mi piaci sminuirebbe l’intera storia. Provo qualcosa di molto simile all’amore, ed è così evidente che mi vergogno un po’ nel confessartelo.»
«Provo lo stesso per te, non so come tu abbia fatto a non accorgertene.»
«Eri sempre serio con me! Sembrava che volessi uccidermi.», ribatté con entusiasmo il ragazzo.
«Beh, a volte lo volevo veramente.»
Nico posò la mano sudata, calda - per la prima volta viva - su quella di Will, mentre un sorriso comunicava al mondo il suo attuale stato di letizia, luce e luminosità.
 
Fine.
 
* Emilio Livi – Non dimenticar le mie parole.
 
Piccola nota dell’autrice:
 
Ringrazio tutti vivamente per aver seguito la mia storia ed aver avuto pazienza, visto l’aggiornamento molto lento.
Ringrazio chiunque abbia recensito – le vostre recensioni mi riempiono di gioia – e chiunque abbia messo la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate: mi rendete così contenta e appagata.
Ovviamente il sogno di ogni autore è quello di poter essere acclamato e lusingato, ma io mi limiterò a chiedervi, con gentilezza, di consigliare questa storia. Quanta vanità in queste parole, no?
 
Grazie di cuore! A una nuova storia.
 
Baci, Internettuale.   
  
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