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Autore: Vas Happening_Mary    10/09/2015    4 recensioni
Alekia Margaret Rose è il nome completo, Rose per gli amici.
Odia il buio, l’ansia di sua madre, i telegiornali deprimenti e gli estranei.
Soprattutto quelli belli.
Ama suo padre, l’inverno, la filosofia ed il suo migliore amico Adam.
Farebbe di tutto per lui.
Anche rapinare.
Ma ci sono tante cose che Rose non conosce e che non è in grado di classificare, come il ballare sotto la pioggia, l’uscire di notte senza permesso, l’amare qualcuno incondizionatamente.
O l’essere salvata durante una rapina per poi essere portata in un luogo sperduto.
Perché lei tutto si aspettava, furchè quello.
Non era pronta a scoprire la verità, non voleva sapere chi fossero realmente i suoi salvatori. E non voleva cambiare idea.
Ma avrebbe presto scoperto che era tutta questione di indoli; correre con i lupi non dispiaceva neanche a lei, tutto sommato.
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E, se la trama non vi ha colpiti, date alla storia almeno una possibilità.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perdonatemi, ma credo che se non si ha ispirazione, non si debba scrivere. Avevo scritto il capitolo in un altro modo e ho cancellato tutto per l'insoddisfazione, per questo ci ho messo di più.
Ringrazie tutti i lettori che mi aiutano a continuare e vi chiedo di fare molta attenzione alle cose dette di seguente.
Buona lettura!


 

Nothing.

Quando ero piccola, quando ancora potevo dire di vivere una vita normale, mia madre mi diceva che ogni animale tenuto in gabbia è un animale tolto alla propria natura, come per un uomo vivere in una camera senza porta e finistre.
 Fu quello a distogliere la mia mente dal pensiero di avere un cucciolo in casa: la tristezza.
Eppure, guardando mio fratello, fui più che certa che il posto in cui viveva avesse ben poco a che fare con una grande gabbia.
Allora perché nei suoi occhi non leggevo altro che tristezza?
“Rose, non voleva farvi del male”.
“Ma lo ha fatto”. Indietreggiai con le braccia e mi rimisi in piedi. “Siamo stati tutto questo tempo a credere che fosse morto, e invece… era solo diventato uno di voi, una sorta di mostro delle fiabe”.
Tolsi dai jeans dei fili d’erba ed incrociai le braccia al petto.
Secondo mia madre, quello sarebbe dovuto essere un animale felice.
“Stava morendo. Lo abbiamo trovato agonizzante in una camera d’albergo, aveva le ossa già rotte, ma non sarebbe mai riuscito a mutare senza il nostro aiuto”.
“E credete di avergli fatto un favore così? Ma per favore, guardate come lo avete ridotto!”.
Paige posò una mano dietro la mia schiena e la carezzò lentamente. “Avresti davvero preferito sapere che fosse morto?”.
Scossi la testa, “No, ma avrei preferito fosse vivo e vegeto per il rientro a casa”.
Guardai Nick, lo vidi abbassare le orecchie, e mi sentii quasi in colpa. Quasi.
“Non è stata una sua scelta, ce lo aveva nel sangue. E anche tu”.
“Eddai Sean!”. Allontanai la mano di Paige e mi spostai verso destra. “Come puoi minimamente pensare che io possa credere alle tue parole? Prima mi dici che mio fratello è una creatura mitologica, poi mi dici che era destino che lo diventasse, e ora? Ora dici che anche io dovrei diventare come lui? Come tutti voi dite di essere?” urlai. “Bene, datemi un solo buon motivo per credere a questo mucchio di stronzate”.
Cody guardò prima Sean e poi me, prendendo un lungo respiro.
Un senso d’ansia mi attanagliò lo stomaco e per un istante pregai restasse in silenzio.
“Tuo padre” disse, e la bocca si richiuse.
Lo guardai con le sopracciglia aggrottate e piegai la testa leggermente di lato.
“Perché tuo padre era come noi”.
Fu allora che scoppiai a ridere. Non una risata qualunque, allegra e spensierata; una risata nervosa, forse isterica, che tutto sembrava furchè naturale.
“Hai voglia di scherzare, eh?”.
Paige provò a toccarmi ma di nuovo la scansai e vidi Nick accucciarsi al suolo.
“Dico la verità, tuo padre è come noi. Credeva che accoppiandosi con un’umana avrebbe avuto dei figli normali; voleva per te e per tuo fratello una vita diversa, che però non è stato in grado di darvi” sussurrò, e si avvicinò a me. Chiusi gli occhi. “Ascoltami bene, scricciolo. Nessuno voleva farvi del male, intesi? E nessuno ve ne farà mai, finchè resterete con noi. Aveva buone intenzioni, non sapeva cosa sarebbe successo, e noi siamo qui per aiutarti prima che la situazione degeneri da sola”.
“E’ degenerata nel momento in cui mio fratello ha scelto di andare via di casa”.
“Ma non è stata scelta sua, Rose, lui…”.
“Lui poteva non partire! Se quello che dici è vero, mio padre avrebbe potuto aiutarlo!”.
“Ti prego,” disse, e portò le braccia avanti a sé. “cerca di calmarti”.
Urlai.
Sentii qualcuno bisbigliare alle mie spalle e mi voltai di scatto con occhi spalancati.
Una vecchia, dal ventre innaturalmente gonfio, stringeva per mano un bambino.
“Ma cosa…”.
“Zitta, non parlare” disse lei, portandosi un dito alle labbra. “Loro sentiranno te, ma non me”.
Aveva i capelli lunghi quasi fino a terra, grigi impastati di bianco, e ogni angolo della sua pelle dimostrava l’età che aveva. Indossava una tunica di uno strano viola, a metà tra lo spento ed acceso, con una fascia trasversale marroncina dalla spalla alla vita.
“Sono Ianka, la Fondatrice”.
“La che?” chiesi confusa.
“Sei stolta? Muta!” urlò, poi sorrise. “La Fondatrice, quella che ha messo su il branco, compagna del lupo grigio Talasse”.
Spinse avanti il bambino e gli carezzò i capelli folti e neri, non doveva avere più di quattro anni.
“Io vedo quello che verrà, vedo il futuro, ma non tutti vedono me. Quelle zucche vuote non hanno neanche idea di chi sia, tutte tradizioni buttate”. Prese fiato e alzò rapidamente lo sguardo al cielo. “Ma non temere, se hai paura; non tornerò presto a farti visita”.
“Ma cosa vuoi da me? Perché io ti vedo?”.
“Vuoi essere presa per pazza, ragazzina? Taci! Sono qui per aiutarti appena ne avrai bisogno, tu meriti, ma lo faccio per lui”.
Lo sguardo del bambino, mantenuto basso fino a quell’istante, si alzò di colpo su di me.
Due occhi di un azzurro cristallino mi trapassarono da parte a parte.
E sparirono nel nulla, come se non fossero mai esistiti.
Mi buttai in ginocchio e mi strinsi la testa fra le mani, “Vi prego, vi scongiuro, basta”.
“Stiamo solo perdendo tempo con lei” sentii chiamente mormorare da Margaret, ed un singhiozzò sfuggì al mio controllo.
Prima che potessi rendermene conto, e prima che Sean si avvicinasse a me di nuovo, Nick mi fu accanto a fauci spalancate in loro direzione.
“Calmo, non vogliamo farle nulla”.
Ma lui ringhiò, e poi ancora, ancora e ancora, fino a quando Sean non si decise a tornare in casa.
Piansi, lasciai che le lacrime irrigassero quel prato verde vivo, e sperai con tutta me stessa di potermi risvegliare a casa nel mio letto.
“Io non capisco, Nicolas, non capisco affatto tutto questo” sussurrai. “Perché io? Che ho fatto di male?”.
Invocai quella donna con la mente e ringraziai che Nick non potesse parlarmi.
“Mi portano qui senza motivo, mi dicono che devo diventare una puttana, mi mostrano una realtà talmente cruda da digerire che neanche loro credo abbiano accettato, e poi questo. Una donna, Nicolas, una vecchia che mi parla e mi mostra un bambino. Capisci? Il prossimo passo è portarmi in manicomio”.
Una mano, piccola e gentile, mi scostò i capelli dal viso.
Rudie mi sorrise dolcemente e si accovacciò di fronte a me. “Hai visto Ianka, vero?”.
Cercai di trattenere i singhiozzi ed annuii, non pensando in quel momento di parlare ad un bambino di sette anni.
“E’ normale, lei si mostra a tutte le persone importanti”.
“Ma io non sono importante, Rudie. Io non sono nessuno”.
“Tu sei molto più di quello che pensi e di quello che ti hanno detto di dover essere. Basta capirlo”.
Tirai su col naso e mi voltai lentamente a guardare Nick, nuovamente accucciato dietro di me.
“Cosa dovrei capire?”.
“Non posso dirtelo io, ma spero presto troverai le tue risposte da sola” disse, e sorrise di nuovo. “Per ora, fa finta che sia un gioco di ruolo, okay? Fingi di essere quello che loro vogliono tu sia, immedesimati nel ruolo, lascia scorrere le informazioni come se non facessero realmente parte di te: è l’unico modo che hai per restare lucida, fidati”.
Piegai la testa di lato e mi asciugai le lacrime restanti dalle guance con il braccio. “E tu che ne sai?”.
“Io so molte cose, sono un Origin, nessuno può sapere più di me”.
“Ma anche il capo e suo fratello lo sono, io non…”.
Mi coprì la bocca con una mano e scosse la testa. “I loro antenati lo erano, loro sono solo figli di figli di Origin. Io e mia sorella siamo nati da una lupa, da Anari”.
Drizzai la schiena e tolsi i capelli dal viso. Sotto di me, l’erba sembrò ad un tratto farsi più calda.
“E tutti loro lo sanno? Sanno quello che siete?”.
Lui scosse la testa. “No, ma credo lo abbiano ipotizzato. Ci hanno trovati in un bosco, Alek; quanti bambini vengono abbandonati nei boschi da licantropi a due anni?”.
“E vostra madre? Non le mancate? Non vi ha mai cercati?”.
Cercai di restare calma il più possibile e portai le braccia dietro di me a reggere il peso.
“Ci ha cercati, ma sapeva che vivere con dei lupi per noi non sarebbe stata la soluzione migliore. La vediamo, di tanto in tanto, sai? Possiamo trasformarci a nostro piacimento, leggerle la mente, prevedere le sue mosse ed i suoi spostamenti. Noi possiamo tutto”.
“Ma non ha senso, Rudie… tu sei più forte del capobranco, ma allora perché è lui in comando?”.
“Perché è una dinastia di cui io e Ruby non facciamo parte, ed è per questo che hanno bisogno di eredi puri, ma non li hanno, e le cose cambieranno presto”.
“Che intendi?” chiesi, e lanciai uno sguardo alla casa alle sue spalle.
Vidi Sean, al piano di sopra, sbucare da dietro le tende di una finestra chiusa.
“Capirai tutto” disse, e si alzò.
Aveva visto Sean anche lui?
“Sì, lo vedo, e sta cercando inutilmente di leggerti le labbra”.
Allungò una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi e mi stupii della forza che tirò fuori.
“Io posso tutto” scandì serio, poi sorrise. “Rientra in casa come se niente fosse, e ricorda: siamo in un gioco di ruolo”.
Annuii distrattamente e mi voltai verso Nicolas, indicandolo. “E lui? Ha sentito”.
Ma Rudie sorrise con fare ingenuo. “Sentito cosa?”.
Alle sue spalle, quasi sbucato dal nulla, Cody si portò le braccia al petto. “Vorrei saperlo anche io, ragazzino”.
Lui mi fece l’occhiolino e si voltò verso il maggiore alzando le spalle. “Le ho detto che è normale essere spaventati, ma presto capirà ogni cosa”.
Cody ghignò e gli scombinò i capelli.“Bravo” disse, ma guardò me. “Ora torna dentro, Ruby ti sta cercando”.
Il bambino, che forse bambino era solo all’apparenza, si avviò verso casa correndo.
“Tu stai bene?”.
“Non dovrei?” chiesi di rimando, alzando un sopracciglio.
“Beh, prima eri una fontana e credevo che…”.
Lo interruppi e scossi la testa. “Sto bene, grazie. Troppe informazioni insieme, devo solo abituarmici”.
Lui strinse le labbra ed annuì distrattamente. “Possiamo rientrare anche noi, quindi”.
“Certo” e sorrisi.
Lanciai uno sguardo rapido a Nicolas, supino dove lo avevo lasciato, e precedetti Cody nel rientro.
Se le mie amiche mi avessero vista, Liz in primis, probabilmente non mi avrebbero riconosciuta.
Da quando sapevo recitare così bene?
Nel tornare in casa, ancora a piedi scalzi e ancora con il viso di certo arrossato, vidi chiaramente l’ombra di un lupo muoversi tra gl’alberi accanto al giardino.
Mi fermai e provai a guardare meglio, magari a seguire i suoi spostamenti, ma lo persi in pochi secondi.
“Tranquilla, starà andando da Nicolas” e mi spinse verso le scale.
Dentro tutti erano tornati alle loro postazioni, con il pranzo ancora in tavola e pronto per essere mangiato.
Nonostante all’apparenza dovessi sembrare tranquilla, in alcun modo sarei riuscita ad ingoiare qualcosa.
Cercai con lo sguardo Rudie e, quando lo ringraziai mentalmente, lui si girò a sorridermi.
Anche Paige mi sorrise, mentre Margaret fece finta di niente.
Non vidi Sean, ma seppi con certezza che fosse da qualche parte nascosto.
“Allora, si mangia?”.
Cody mi sorpassò ed andò a sedersi attorno al tavolo con Ruby.
Sorrisi e pensai che, tutto sommato, quel gioco non sarebbe stato tanto difficile.
 
“Andiamo a fare un giro? Ti prego Paige, dai! Non usciamo mai!”.
Il pomeriggio era ormai inoltrato e la casa era quasi completamente vuota.
Cody e Sean, riapparso poco dopo pranzo, erano tornati in città a raccogliere provviste.
“No bambini, già ve l’ho detto, dobbiamo restare con Rose”.
Anche Margaret era sparita nel nulla.
“Ma lei viene con noi! Ci viene, giuro!”.
Rudie prese a saltellare per la cucina accompagnato dalle risate della sorella.
La povera Paige, che se ne stava seduta con un giornale sulla poltrona a dondolo, sbuffò e si alzò di scatto.
“Okay, va bene!” urlò, poi si voltò verso di me. “Ti dispiacerebbe fare un giro? Se non vuoi, troverò un altro modo per tenere questi due demoni fermi, davvero”.
Accetta, ti mostro una cosa.
Guardai Rudie e sorrisi, “Certo, va bene”.
I gemelli si diedero il cinque e corsero fuori in giardino.
“Vieni Alek! Andiamo alla cascata!”.
Paige, impegnata a raccogliere i cappotti dei minori, brontolò qualcosa in segno di disaccordo.
“Mi sa che dovrò portare le asciugamani”.
Posò sul divano quello che aveva tra le mani e la seguii lungo un corridoio fino al bagno. Prese due asciugamani da doccia e due di quelle per asciugare le mani, uno strano pacchetto con delle pillole e mi posò tra le mani una borsa plastificata rossa con uno strano odore.
“Si divertono a raccogliere quelle dannate perline, nonostante continui a dirgli di non farlo”.
Non chiesi spiegazioni e la seguii di nuovo fino a raggiungere il giardino.
Li fulminò entrambi con lo sguardo, ma non ebbe l’effetto desiderato, anzi Rudie corse verso un angolo del prato e prese la rincorsa.
“No! Rudie, no!”.
Ma le parole neanche gli arrivarono e, meno di due secondi dopo, un lupo adulto a chiazze grigio arancioni prese il suo posto sulle quattro zampe.
Paige sembrò diventare una locomotiva, con tanto di fumo dalle orecchie e voce fischiante.
“Rudie! Rientra immediatamente in casa!”.
Ma il lupo se ne infischiò altamente, anzi corse verso il sentiero e sparì tra gl’alberi.
Segui Ruby.
La sorella ci lanciò una rapida occhiata dispiaciuta prima di rincorrere il fratellino scomparso.
Paige li seguì a ruota, cercando in tutti i modi di mantenere la forma umana e di non andare in escandescenza, ed io dietro di lei.
Arrivate al sentiero rallentò e si passò una mano tra i capelli, incerta. “Non sono sicura di poterti far entrare”.
“Come?” chiesi, guardandola confusa. “Dovevamo andare alla cascata…”.
“Sì, è vero, ma non era previsto che Rudie si trasformasse. Non posso tenerti d’occhio, devo cercare loro”.
Incrociai le braccia sotto al seno e mi guardai intorno. “Potrei restare qui, se per te è un problema portarmi”.
Convincila.
“No, non dire sciocchezze” rise istericamente. “Non sei affatto un problema, solo che devo trovare i bambini perché è il mio compito questo”.
“Posso aiutarti”.
Si girò a guardarmi e si morse un labbro. “Non so, io…”.
Insisti.
“Non creerò danni, giuro”.
Attesi qualche istante prima di vederla annuire convulsivamente. “Okay, seguimi, vediamo alla cascata”.
Siamo alla tana.
“Non credo siano lì, sarebbe troppo scontato. Ai bambini piace giocare”.
Annuì ancora e, camminando, si spostò verso un minuscolo sentiero battuto a mano sulla sinistra.
“Saranno andati dalla lupa allora”.
Il paesaggio attorno scorse lento e uguale per un paio di minuti, fino a quando Paige imboccò un altro sentiero sulla destra che si apriva in lontananza su un piccolo piazzale roccioso.
“Non avvicinarti troppo, lei non conosce il tuo odore”.
Mi fermai di fatto poco prima che gli alberi finissero, accostata dietro un ramo.
Paige si avvicinò a passò deciso e fiutò l’aria un paio di volte. Andò verso una grossa roccia e grattò come i cani erano soliti fare vicino alle porte, poi tese l’orecchio.
“E’ qui, ora escono”.
Le sorrisi e spostai un paio di foglie con le mani per vedere meglio.
Una lupa grigia con le mammelle decisamente piene di latte uscì quasi scodinzolando e leccò le mani a Paige.
“Non so perché, la i gemelli le ronzano spesso attorno, forse per i cuccioli”.
Poco più dietro, con aria colpevole, Ruby si stringeva le mani dietro la schiena.
Paige cercò di ignorarla, ma non riuscì a fare altrettanto con Rudie.
Lo vide in forma umana e gli corse incontro, colpendolo con una leggera botta dietro al capo.
La lupa le ringhiò brevemente e saltellò verso l’entrata della tana.
“Mai più senza Sean, mi hai capita? Mai più!”.
Lui rise e si lasciò cadere sul terreno tra le foglie secche e marroncine.
In un lampo, come attratto dal rumore, un tenero cucciolo di pochi mesi raggiunse il bambino e si stese accanto a lui a pancia in su.
E’ nostro fratello, si chiama Isaac.
Spalancai gli occhi ed il cuore mi si riempì di gioia di fronte a quella scena così strana e così naturale al tempo stesso.
Pensai a quante volte, da piccola, mio fratello mi avesse stretta tra le sue braccia per confortarmi o anche solo per portarmi a giocare e sospirai.
Ma soprattutto, capii le parole di Rudie quella mattina.
“Forza, ridate il piccolo alla madre ed andiamo”.
Ruby abbracciò la lupa, lasciò una carezza sulla pancia del piccolo e mi superò per tornare indietro senza neanche voltarsi.
Ma Rudie non sembrò essere della stessa idea.
“Non posso restare qui con loro? Sono sempre soli”.
“Sono lupi, scelgono loro cosa fare” disse, e gli prese un braccio. “Ora andiamo, ci torni con Sean la prossima volta”.
E non ebbe neanche il tempo di salutare che fu bruscamente tirato via.
Serpe.
Risi cercando di non farmi sentire e fui muta durante tutto il tragitto di ritorno, dove mi resi conto che quel sentiero fosse stato in realtà tracciato da Rudie.
“E stasera farai i conti con loro, signorino!” quasi urlò, spingendolo all’interno del giardino. “Non ne posso più delle tue scorribande e di questi scherzetti assurdi!”.
Da parte sua, Rudie non alzò neanche la testa.
“Fila dritto in casa e non uscire più, è già tanto se stasera ti faccia cenare”.
Lo fece, ascoltò Paige e tornò al piano di sopra senza alcun intoppo.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere anche a questo” disse, guardando poi me. “E’ un bambino molto iperattivo, lo fa spesso, ma di solito c’è sempre qualcuno ad aiutarmi”.
Cominciammo lentamente a camminare e cercai di restituirla un minimo di conforto.
“Non ti preoccupare, sono cose che succedono con i bambini”.
“Ma lui è un licantropo, non un bambino”. Sospirò, senza smettere di tenere lo sguardo sul prato. “Margaret mi aiuta a tenerlo, lei ha più polso, solo che è dovuta andare alla Casa Madre per una faccenda personale”.
“Casa madre?”.
Lei annuì e mise un piede sulla scalinata. “La casa principale, quella più grande, è lì che dormono tutti. Io, Margaret, i bambini e da oggi anche tu staremo invece qui”.
“Come mai?”.
“Siamo donne, meglio tenerci a distanza. Credo che tra poco anche Rudie andrà via”.
“Ah, giusto”.
Avevano davvero paura che qualcuno non sarebbe riuscito a controllarsi?
Si bloccò di colpo avanti alla porta e si voltò a guardarmi. “Abbiamo visite”. La aprì come se niente fosse e la prima cosa che fece fu lasciar cadere le cose che aveva tra le braccia sul divano sospirando.
“Finalmente ho il piacere di rivederti, Rose”.
Una voce profonda appartenente ad un ragazzo seduto di spalle al tavolo mi colpì in pieno facendomi fermare.
Si alzò, vidi il suo volto fin troppo familiare ed indietreggiai istintivamente.
“No…”.
“Cosa? Non ti fa piacere rivedermi qui? Mi dispiace, forse avrei dovuto mandare mio fratello”.
Gli occhi ambrati  incontrarono i miei e non riuscii a non rabbrividire.
“Tutto bene?” chiese fintamente benevolo. “Sembra proprio di no. Paige, ti prego, prepara una camomilla alla nostra amica, la vedo un pochino stordita”.
La ragazza gli sorrise sorniona e tirò fuori una un pentolino dal lavello, “Certo, Dennis”.
Ed il mondo mi crollò addosso, di nuovo.
  
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