Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Mark_Criss    10/09/2015    1 recensioni
Alex Stone è nato in una povera famiglia babbana, i suoi genitori sono due alcolisti e lui sta per frequentare il sesto anno nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Tra misteri e magia, la personalità di questo strano ragazzo resta ancora coperta da un manto di fumo nero. Tante domande senza una risposta, tanti cassetti da rimettere in ordine e un amore da cui scappare. "Non dare mai la colpa al destino, perché il destino è il pretesto dei falliti."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una luce verde, era tutto ciò che ricordavo, poi il niente, poi il buio. Come se fossi stato totalmente risucchiato dall’universo, non potevo vedere, né sentire niente. Ero io, da solo con me stesso, una sensazione che non provavo da un po’, avevo aperto la mia vita a nuovi orizzonti e avevo capito cosa volesse significare la parola “amico”, per la prima volta nella mia vita, quindi non riuscivo proprio a concepire quel silenzio assordante che aveva preso il posto delle rumorose risate che le mie orecchie avevano udite in quelle settimane. Mi guardavo intorno e non vedevo nulla, non c’era luce eppure riuscivo a distinguere nitidamente il mio corpo tra le ombre. Sono morto ? non ero ancora riuscito a capirlo, ma in qualsiasi direzione io mi muovessi sembrava di essere sempre allo stesso punto. Mi sedetti per terra, quello strano pavimento nero come la pece era molto caldo, più di ciò che sembrava, il suo calore mi cullava, mi faceva sentire protetto, come se fossi a casa, anche se io una casa, oltre quel castello non l’avevo mai avuta. Le lacrime iniziarono a bagnare il mio volto, quando davanti agli occhi, passò tutta la mia vita, come non l’avevo mai vista prima. Il primo ricordo era non molto nitido: c’ero il su un altalena e mia madre che mi spinge per farmi prendere velocità, ma ovviamente non siamo soli, insieme a noi c’è il suo adorato amico vino, ed era solo ora di pranzo. D’un tratto la scena cambia, ci sono mia madre e mio padre sul divano, addormentati con la tv ancora accesa dinanzi agli occhi e io, seduto sul mio seggiolone, quello che è ancora conservato nello stanzino, che piango perché ho evidentemente fame, ma non mi sente nessuno. Forse il mio senso di appartenenza alla solitudine era nato proprio in quel momento, quando al mio disperato richiamo di aiuto nessuno aveva risposto, proprio in quel momento, forse, avevo deciso di smetterla di chiedere aiuto, perché dopo svariati tentativi nei quali non ero stato ascoltato magicamente apparve un biberon colmo di latte tiepido sul seggiolone. Sorrisi alla vista della mia prima magia, era strano vedermi così piccoli e così indifeso, non ero abituato a quel tipo di idea. La scena cambiò ancora, io il mio primo anno ad Hogwarts, lo smistamento, il tanto studiare, ancora solitudine, solitudine e ancora solitudine. Poi il quarto anno, quando vinsi il premio per il miglior articolo scritto sul giornale della scuola la felicità per l’esito del concorso e la desolazione nel vedermi festeggiare da solo alla riva del lago nero. E poi il quinto anno, il mio primo batticuore, il mio primo bacio, la mia prima volta rubata all’oscurità della notte, le frasi romantiche, i regali di natale ed io finalmente felice, avevo un sorriso particolarmente luminoso, uno di quelli che sul mio volto non avevo mai visto, il ricordo cambiò ancora ed ero io oggi, con lo stesso sorriso, spaccato a metà tra un attimo di gioia e uno di tristezza. Avevo permesso a qualcuno di diventare la mia gioia, il mio sorriso, ed era una cosa che non potevo perdonarmi, perché non mi era concesso di legarmi a qualcuno, come se fossi stato colpito da una maledizione, come se fossi destinato a perdere tutte le persone alle quali avevo permesso di entrare nello scudo. Ed ora? Ed ora era colpa mia, colpa mia se avevo messo Tania nei guai e l’avevo lasciata sola, colpa mia se non potevo fare più niente per salvare quei ragazzi, colpa mia se un essere incappucciato se ne andava girando fra le mura del castello strappando cuori a destra e sinistra, era sempre colpa mia, era solo colpa mia. Eppure qualcosa doveva essersi salvato, il mio nuovo inizio era lì, su quel treno, il quel vagone, quando quel meraviglioso sorriso e quel vestito stile impero mi avevano fatto capire che essere amici non voleva dire scoprirsi nel giro di una vita, ma nel giro di una notte, forse non ero diventato cieco, secondo me lo sono sempre stato. Un cieco che, pur vedendo, non voleva vedere. Dovevo far qualcosa per liberarmi dal quel limbo tra la vita e la morte, dovevo capire come uscire dal buio, potevo farcela, dovevo solo affrontare il mio nemico più grande: me stesso. Sì, perché lottare contro un demone, contro un cattivo, potrebbe risultare facile, il problema nasce quando il demone da uccidere sei tu, quando colpire per morire diventa controproducente, quando le ferite le senti aprirsi sul tuo corpo e non le vedi sull’corpo dell’avversario. Ma io non ho paura, quindi vivo.

 ---------------------------------------------------------

 
“Cosa diavolo vuol dire morte apparente?”
“Si calmi signorina Poke!”
“Si calmi un diavolo!” sbottai.
“Voglio sapere cosa sta succedendo in quella stanza, ADESSO!”
“Non possiamo dire ancora nulla, mi dispiace, so quanto siete in pensiero, ma non posso essere d’aiuto adesso.. devo tornare dentro.” L’infermiera aveva l’aria scossa, ma più di lei c’ero io, arrabbiata con il mondo, con me stessa per non aver fatto nulla e soprattutto con la professoressa Floorence. Se solo avesse permesso ad Alex di uscire, se solo lui non fosse intervenuto nello scontro, se, se, se, troppi se e troppe domande alle quali, per ora non avrei potuto dare una risposta.
Erano orami ora che facevo avanti e indietro nel corridoio dell’infermeria, quel demone non gli aveva strappato il cuore, ma aveva lanciato la maledizione senza perdono per eccellenza davanti ai miei occhi, l’avevo visto io, avevo visto l’immagine della morte riflessa nei suoi occhi azzurri, però non era morto, il suo cuore batteva ancora, il suo cuore era intatto, era solo in uno stato di morte apparente, che non riuscivo a spiegarmi, che non capivo cosa fosse, ma ero troppo confusa anche solo per ricordarmi il mio nome di battesimo. Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Per la prima volta nella mia vita avevo seriamente le mani legate e i libri non mi avrebbero aiutata. Quindi dovevo aspettare, dovevo cercare di restare calma e soprattutto dovevo impedire che qualcun altro venisse ferito nell’attesa.
Da lontano scorsi una figura avvicinarsi rapida alla porta dell’infermeria. L’avrei riconosciuta a chilometri. Era lei, maledettamente spocchiosa e fiera di se stessa come al solito. La professoressa Helenor Floorence.
“Cosa diavolo ci fa lei qui?” chiesi nervosa come mai.
“Quello che fa un insegnante, controllo che gli studenti siano nel proprio dormitorio fuori dal coprifuoco.”
“Se lei si aspetta che io vada via da quest’infermeria prima che Alex si sia svegliato, beh per quel che mi riguarda può togliere mille punti a Serpeverde!” le gridai.
“Piccola insolente..” qualcuno alle sue spalle tossì forte. Era la professoressa McGrannit, che in quel momento mi apparve come un angelo venuto a salvarmi dalle grinfie di quell’arpia.
“Lei, professoressa Floorence è pregata di tornare nelle sue stanze, domani faremo un colloquio in cui discuteremo in suo pessimo comportamento di stamane!”
“Ma signora preside..”
“No! Non voglio sentir ragioni, nella mia scuola un insegnante non pietrifica un alunno sulla sedia e non intima minacce ad una ragazza che sta già soffrendo abbastanza! Fuori da quest’infermeria.”
Fu così fredda da farmi gelare il sangue nelle vene, ma il karma è grande per tutti e quella megera aveva avuto ciò che si meritava, con la coda tra le gambe e l’orgoglio sotto i piedi la vidi andare via, nera di rabbia e veloce come un leopardo. La preside mi guardò, mi sorrise e mi fece un occhiolino, poi si diresse verso la stanza in cui era stato portato Alex, ma nella quale non mi era ancora permesso accedere.
“Signorina Poke, non viene con me?” mi chiese la preside.
“Mi è stato vietato l’ingresso..” le dissi diventando rossa in viso.
“Oh per Albus, sono la preside, fino a prova contraria deciso io e stanotte voglio fare abuso di potere! Mi segua la prego!” ammiccò e passo oltre la soglia. La seguii a ruota. Avevo paura, non mi andava di vedere Alex in quelle condizioni, privo di coscienza, inerte, vulnerabile. Non sapevo molto di quel ragazzo, ma i suoi occhi raccontavano una storia, questo l’avevo capito, raccontavano una storia triste, una di quelle difficili da spiegare, una di quelle che ti fa accapponare la pelle. Alex non parlava mai dei suoi genitori, un po’ come me, non mi piaceva parlare di loro. Non era poi così brave persone, anzi. La mia famiglia era stata per generazioni al servizio del signore oscuro e mio padre stesso aveva lottato al suo fianco durante lo scontro finale avvenuto proprio tra quelle mura. Non mi piaceva parlarne, quindi non costringevo lui a farlo, perché ero fatta così, mi piaceva ascoltare quello che gli altri avevano da dire, ma calcare la mano, senza fare domande, senza essere troppo invadente. Avevo paura di perdere le persone a cui tenevo, avevo paura di non essere mai all’altezza e per quanto in quelle settimane Alex mi avesse costantemente ripetuto quanto fossi fantastica e geniale, io non ci credevo, ma non perché non volessi credere a lui, ma perché nella mia testa io e qualsiasi aggettivo positivo non potevamo essere compatibili. Eppure avevo tante potenzialità: studentessa modello, figlia esemplare, una brava strega per la mia età, ma non riuscivo proprio a trovare in tutto questo la forza per lottare per me stessa, ero sempre stata abituata a lottare per gli altri, per salvare tutti, ma mai per salvare me stessa. Ero un libro aperto che nessuno voleva leggere, forse perché troppo complicata anche io. Però in Alex vedevo una luce diversa, un interesse diverso, era come se con lui fosse tutto più semplice, come se le parole non servissero poi così tanto.
Lo vidi, era lì, sembrava che stesse dormendo. Mi prese un nodo alla gola, non sapevo se piangere o urlare e decisi di non fare nessuna delle due cose. Mi avvicini a feci la prima cosa che mi passò per la testa: gli presi la mano e la strinsi forte. Le lacrime scendevano da sole, non riuscivo a controllarle, perché avevo paura di perdere il mio nuovo amico, avevo paura di essere abbandonata ancora. E non volevo, non volevo! Con la mano libera mi asciugai il volto e cercai di tranquillizzarmi.
Era quasi mezzanotte, ed erano oramai dodici ore che si trovava in quello stato. I miei occhi si chiudevano da soli, ero stanca, avevo pianto così tanto, ma non volevo andare via, non dovevo andare via, lui non doveva rimanere da solo. Era la nostra promessa. Non eravamo soli finché saremmo stati insieme.
“Alex..” sussurrai al suo orecchio.
“Tu non sei solo!” scoppiai ancora a piangere e mi addormentai con la fronte poggiata sul suo braccio.
 “Tania..”
“Tania..”
Sentivo una  voce, ma ero troppo debole per aprire gli occhi. Non risposi, feci finta di continuare a dormire, almeno finché quella voce non diventò più forte ed insistente.
Quando riuscii finalmente a focalizzare, lo vidi, il riccio che in quel periodo avrei preferito vedere morto piuttosto che ancora in giro per i corridoi di Hogwarts. Ma che bel risveglio, pensai tra me e me, l’istinto di trasformarlo in un furetto era forte, ma decisi di contenere i miei istinti omicidi per altri cinque minuti.
“Jo..” dissi con una voce simile a quella di un transessuale che aveva fumato troppo.
“Che ne pensi di prenderti una pausa, resto io qui con Alex” mi disse sorridendo. Ah beh, mi sembrava giusto, sparire e poi riapparire proprio quando Alex non era nelle condizioni di difendersi, ma per favore! Lo guardai con aria di stizza e non risposi neanche. Mi alzai per sgranchirmi le gambe, erano le quattro del mattino.
“Si può sapere perché sei in giro a quest’ora della notte ?”
“Non riuscivo a dormire”
“Quindi sei venuto in infermeria a prendere una boccata d’aria, mi sembra giusto” risposi io sarcastica.
“No, ho preso coraggio e sono venuto a trovare Alex”
“Joan, non ho bisogno di compagnia e penso che Alex abbia bisogno di tranquillità quando si sveglierà”
“Io sono la sua tranquillità, tu non sai..” non lo feci finire.
“Io non so ? Io so tutto e tu sei davvero un grandissimo pezzo di merda!” la mia mano partì da sola, come un muscolo involontario che compie solo il suo lavoro. Il rumore dello schiaffo fece uscire l’infermiera dal suo gabbiotto. Che ci guardò con l’aria di una che era appena stata svegliata. Non disse nulla e tornò dentro.
“Questo è per Alex!” e ancora una volta quel forte rumore.
“E questo per cos’era ?” mi chiese massaggiandosi la faccia.
“Questo era di sfogo!” dissi io isterica.
Lui rise, io no. Mi osservava, come si osserva un nemico che si vuole distruggere. Quel ragazzo non me la contava giusta, non mi convinceva e forse non mi avrebbe convinto mai.
“Sai dello scontro?” gli domandai risedendomi vicino ad Alex.
“Si, so tutto.”
“ Cosa ne pensi?”
“Esattamente quello che pensavo quando ne parlavamo l’altro giorno. Dovreste smetterla di giocare ai piccoli Auror, siamo solo ragazzini Tania” disse glaciale.
“Buon Salazar esci da questa cazzo di infermeria per cortesia?” gli intimai.
“Sennò che fai ? Mi strappi il cuore signorina Poke?” mi disse lui facendomi il verso.
Non dovevo cadere nel suo sporco tranello, stava cercando di farmi arrabbiare per poi farmi passare dalla parte del torto, ma c’erano due cose che il riccio non aveva calcolato: 1. Sono una donna 2. Sono astuta come una serpe.
Feci cadere la sedia per terra, facendo un rumore tale da attirare nuovamente l’attenzione dell’infermiera della scuola e con un rapido volteggiare di bacchetta feci in modo che la sua gli finisse dritta in mano. Veloce come un grillo saltai per terra e quando l’infermiera uscì dalla sua nicchia, arrabbiata come non mai, la scena fu al quanto chiara. Lui mi aveva schiantato contro l’armadietto per i soliti diverbi serpe-grifo e io, povera donzella in pericolo era rimasta ferita.
“Basta!” gridò l’infermiera.
“Non ti hanno insegnato che non si toccano le donne?” sbottò la donna che era stata svegliata per la seconda volta.
Lo prese per un orecchio e lo portò fuori dalla stanza. Era la seconda grande soddisfazione di quella giornata. Il signor Torrerossa si era messo contro la nemica sbagliata. Si voltò per gettarmi un occhiata di fuoco e la mia risposta fu un sorriso a trentadue denti.
“Sta bene signorina?” mi chiese l’infermiera ancora arrabbiata per quanto successo.
“Sì, un po’ dolorante, ma bene” le sorrisi e  lei tornò nella sua nicchia a dormire.
“Alex, Alex, Alex…voglio una statua quando ti svegli sappilo.” Dissi al mio dolce amico ancora addormentato accarezzandogli il viso.


 -----------------------------------------------------------------



Che il merlino mi fulminasse, ma quel labirinto oscuro era davvero infinito, non c’era via di fuga, le avevo provate davvero tutte, ma niente, non potevo fare niente. Giravo in cerchio in un pozzo nero. Avevo più volte provato a chiamare la mia tigre, ma a quanto pare in quel posto la magia non era concessa. Diamine, dovevo trovare un modo per uscire di lì.
Chiusi gli occhi e cercai di ragionare, non potevo essere morto, altrimenti di certo non mi sarebbe toccato un posto così buio, ok che avevo commesso qualche peccato capitale, ma non così tanto da meritarmi quella specie di inferno senza fiamme.
D’un tratto vidi una luce infondo alla strada, il pavimento nero la rifletteva in maniera opaca, ma era abbastanza forte da costringermi a strizzare gli occhi. Iniziai a correre come un folle, ma quel bagliore sembrava irraggiungibile, mi affannavo, ma non lo raggiungevo. Non dovevo fermarmi, qualcosa mi diceva che se mi fossi fermato, non sarei mai più uscito da quel limbo oscuro. Iniziavo finalmente a sentire voci, rumori confusi, brusii, parole strane e poi, eccomi, che son quasi lì per toccare la luce. La tocco.
Apro gli occhi di colpo, sono in una stanza, sembra l’infermeria, ma non ne sono sicuro. Mi guardo intorno. Sì, sono in infermeria. Addormentata vicino a me c’è Tania. Tiro un sospiro di sollievo, non le è successo nulla fortunatamente. Mi gira la testa, non so precisamente per quanto tempo sono stato in quel limbo, ma mi sento come se non avessi chiuso occhio per giorni, ero stremato da quella lotta contro me stesso per la sopravvivenza.  Non feci rumore, non volevo svegliare Tania, ma quando provai ad alzarmi dal letto mi mancarono le forze, quindi decisi che non era una così buona idea e tornai a sdraiarmi.
Nei lettini vicino al mio c’erano i tre ragazzi attaccati, mi facevano una rabbia che non si poteva capire, dovevo salvare loro e impedire altre vittime, ma in quelle condizioni mi sarebbe stato al quanto difficile. Dovevo riprendermi il prima possibile.
Guardai l’orologio, erano le 21,30 spaccate. Spaccate come il tempismo con il quale il mio riccio preferito varcò la soglia dell’infermeria. Ci guardammo, fu un minuto intenso o forse l’eterno. Nessuno dei due fiatò, nessuno dei due disse nulla. Lui corse verso il mio letto, mi gettò le braccia al collo e guardandomi negli occhi le nostre labbra si incontrarono per dar vita a quello che per me era il bacio del vero amore.
Il mondo iniziò a girare più di quanto già nella mia testa non lo facesse, sentivo gli ormoni impazzire, ma non era né il luogo, né il momento per perdere il controllo. Il bacio si ridimensionò, ma non riuscivamo a staccarci, come se le nostre labbra si fossero finalmente trovate dopo tanto tempo.
Ci staccammo, mi guardò e scoppiò a piangere, senza un motivo, senza un perché. Non dissi nulla, lo strinsi e basta. E restammo così, bloccati nel tempo e nello spazio, per un lasso breve, ma che nel mio cuore durò una vita.


Ciao a tutti! Allora mi scuso per i ritardi, ma per piccoli problemi tecnici che continuano a tormentarmi mi è stato difficile pubblicare (il modem è morto). Ma come promesso le novità non sarebbero mancate, spero che lo scambio di punti di vista sia stato di vostro gradimento. Nel prossimo capitolo avremo una svolta importante e decisiva per la storia! Grazie a tutti i miei lettori silenziosi, ma vi prego continuate a daremi la vostra opinione, per me è fondamentale! Un bacio a tutti.
 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Mark_Criss