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Autore: Manto    12/09/2015    6 recensioni
Colli Albani, 754 a.C.
Nella terra che i Greci chiamavano Esperia, nel Lazio, si nascondono uno specchio d'acqua di pura bellezza e la sacra selva di Nemi dove dimora la Cacciatrice.
Qui, all'ombra delle querce, durante la festa per l'avvento della Primavera ha inizio la storia di un amore immortale e triste, di Eternità e Tempo; qui, una Dea ed un uomo decisero la Storia e la loro stessa sorte.
Canto per Egeria e per il suo re, Numa Pompilio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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IV - Epilogo: l'Avvento di un Amore




Gli istanti scorrono lentamente, nel grembo sacro di Nemi; ma il Tempo, infine, riesce a penetrare fino a qui, anche tra queste querce.
Io sono ritornata ad essere la Protettrice delle Partorienti, distaccata dai mortali eppure sempre con loro, e solo adesso che sto riaprendo il cuore mi accorgo di che luce ho privato questa umanità, mentre ero al tuo fianco e la mia divinità era solo un nome. Nemi è rinata, con me, e ha ripreso la forza che aveva perso.
Ma io non mi pentirò mai di aver condiviso la vita con te, di essere uscita da me e aver preso un'altra forma, di aver sentito e compreso cosa volesse dire essere vivi, essere amati ed amare al limite delle proprie forze. Ho dimenticato la solitudine, insieme a te; e nonostante Virbio mi abbia più volte implorato di dimenticarti e di diventare la sua eterna sposa, ho sempre rifiutato.
Al suo fianco non conoscerei dolore o fatica, niente turberebbe la mia infinita beatitudine; ma sei stato tu ad insegnarmi a vedere il mondo e a comprenderlo. Tu mi hai insegnato la meraviglia dell'arcobaleno, il timore del fulmine, la sacralità di ogni vita, la bellezza commovente del canto estremo prima che il respiro diventi silenzio. Tu mi hai insegnato che in ogni istante c'è eternità, c'è infinito.
Piango ogni notte ripensando a quanto tu sia vicino, e tuttavia irraggiungibile, e quando si avvicina la stagione della Rinascita il cuore si fa più pesante di quanto già non sia, mentre ricordo il nostro primo incontro, i tuoi occhi che mi cercano, i nostri Destini che si intrecciano per la prima volta e per sempre. Osservo la folla che si raduna per invocarmi e pregarmi, in cerca di te; ma tu non ci sei, non ci sei mai, rifuggi questa festa dolorosa.
So ogni cosa di te: come hai portato la pace a Roma, come la Guerra sia solo un fantasma lontano, come guidi il popolo con saggezza; come, nel silenzio del tuo palazzo, accarezzi i capelli di nostra figlia, la nostra bambina, e piangi silenzioso. “Perché piangi, padre mio? Mia madre la rivedrai, un giorno”, sussurra quel piccolo usignolo, e la sento prenderti per mano, consolarti con i suoi baci candidi.
Chiudo gli occhi, ora. Due, sei e infine venti anni sono passati, e ogni giorno che passa tu sei più stanco, Numa, non riesci più a reggere il peso del dovere, di tutte le vite che hai tra le mani, quelle mani tremanti che a lungo stringevo tra le mie.
Trent'anni, e ti sento cadere in ginocchio senza forze. E in quel momento io capisco che Nemi dovrà vivere senza di me, ancora, questa volta per sempre. Alzo gli occhi, perché un canto nuovo ha riempito l'aria; incontro lo sguardo di Diana, ora so che è il momento.
Mentre corro da te, verso la città dai sette colli, ho scelto il Tempo.



Mi blocco. Una tenebra avvolgente e densa è calata intorno a me, improvvisamente.
“Dove sono?”, vorrei gridare, ma non ci riesco. Qualcosa mi intima il silenzio.
Provo a calmarmi, lascio che le sensazioni che provengono dall'esterno si incrocino nel mio corpo; ma non percepisco niente.
Chiudo gli occhi, e quando li riapro tutto è mutato nuovamente.



Il profumo intenso delle rose riempie l'aria intorno a noi, danza sull'acqua, si posa sui nostri capelli. Nei campi crescono miriadi di papaveri, messaggeri della feconda estate.
Sorrido e accarezzo il capo del re, appoggiato al mio. Ogni tanto il suo vecchio corpo ha un tremito, un singulto, e io inizio a cantare, perché questo gli dona forza. È debole, fragile, ma ancora ha la forza di raggiungere la grotta e ogni notte mi incontra, da quindici anni. Lui chiude gli occhi, e io percepisco tutta la sua stanchezza. Mi alzo per prenderlo tra le mia braccia e riportarlo al suo palazzo, ma lui mi ferma con un gesto. “No, ti prego. Non voglio ancora andarmene.”
Sorrido di nuovo, ravvivo il fuoco che risplende al centro del nostro rifugio e riscalda le sue membra. Alla luce delle fiamme i suoi occhi cambiano colore e si coprono di lacrime.
Io gli prendo il viso, asciugo il suo pianto, lo cullo e lo bacio a lungo come fa una madre con il suo adorato bambino.
“Egeria”, dice in un soffio. Attendo che prosegua, ma non lo fa. Guarda il fuoco come se cercasse in esso una risposta, come se lo pregasse, e poi tossisce violentemente.
Io lo faccio stendere, gli appoggio la testa sul mio grembo e cedo parte delle mie energie, le lascio assorbire dal suo corpo.
Lui sorride, mi accarezza una guancia; poi la sua mano scende sul mio cuore. “Lo sai, Egeria?
Avevo perso ogni speranza, quando mi hai lasciato. Non riuscivo ad accettare la tua lontananza, non ti sentivo più. E quando ti ho rivisto quella sera, vicino a questa grotta, io così vecchio e tu sempre così bella, ho compreso: cosa poteva averti spinto da me, se non l'amore?
Perdonami, perdonami tanto, mia Dea, se ho dubitato di te.”
Di nuovo le lacrime lasciano i suoi occhi, e io di nuovo le asciugo. “Non pensare più al passato. Ormai è lontano; ora siamo di nuovo insieme.”
Lui annuisce, mi bacia una mano. “Una volta il maestro a me più caro mi ha detto che quando moriamo le nostre anime passano ad un altro corpo.[1]
Io vorrei... io vorrei che la mia entrasse in te, come quelle di Tazia e Tarpea vivono ancora in me. Così potrei continuare a vederti, ad essere con te.”
Lo bacio e non tengo in considerazione queste parole. “La tua anima l'ho già dentro di me, mio adorato”, sussurro.
Lui accenna un sorriso. “Egeria... mi porteresti una rosa, una di quelle che crescono nel bosco?”
Annuisco, con delicatezza lo appoggio al suolo. Lo lascio solo e mi immergo nelle selve, tra gli uccelli notturni. Cerco a lungo la rosa più bella che abbia visto la luce, e quando la trovo la stringo a me, la bacio, perpetuando per molto tempo la sua bellezza.
Faccio ritorno velocemente, e la prima cosa che sento è il sospiro gelido del vento che ha preso possesso della grotta. Rientro e scopro che il fuoco si è estinto.
Accorro al fianco di Numa coprendolo con il suo mantello perché non abbia freddo, e vedo che sta fissando la Luna. “Per te”, sussurro, porgendogli la rosa. Lui non risponde, né si gira a guardarmi.
Mi siedo al suo fianco, gli accarezzo il volto. Lo scopro duro, freddo, e ritraggo la mano. “Numa”, lo chiamo, prendendolo tra le braccia. Guardo i suoi occhi... vitrei, spenti. Morti.
Balzo in piedi, lo lascio cadere al suolo. Lui non si muove, né si lamenta.
Indietreggio, mi copro la bocca con le mani. No. Non è vero. Non può essere... essere...
“Numa!”, singhiozzo e la mia voce è strozzata, mentre lo scuoto e lo graffio per fargli riprendere conoscenza. Perché lui è solamente svenuto, il freddo lo ha irrigidito, lui è ancora con me, lui non è... morto. Amore mio... svegliati, ti prego. Ma non si sveglia.
No, vi prego Immortali, lasciatemelo, lasciatemelo... lasciatemelo!
Grido il mio dolore e gli uccelli delle selve prendono il volo, strillando lasciano questi luoghi dove la pace non esiste più.
Lo amavi troppo, Egeria! Questo è il prezzo da pagare per amare un uomo, morire di dolore! Lo sapevi, lo sapevi, ma tu non hai voluto obbedire! E adesso soffri, misera creatura!, dice una voce nella mia mente, e io urlo, mi accascio sul corpo del mio sposo e piango, piango, piango.
Mentre il mio dolore diventa inarrestabile, Lei arriva. Diana entra nella grotta, le pareti rifrangono la sua luce. “Bambina mia”, singhiozza, “non c'è niente che possiamo fare. Ora lui è lontano.”
Io scuoto la testa gridando come una fiera, stringo a me il corpo di Numa. Folle, folle Egeria. Questo è il prezzo da pagare per amare un uomo. Impazzire dalla sofferenza.
“Lui è qui con me, lo vedi? Lo tengo stretto, non andrà via, se io non lo vorrò... lui è mio!”
Diana mi appoggia una mano sulla testa, gentilmente mi toglie il corpo dal re dalle braccia. Singhiozzo, mi aggrappo alla veste che lo ricopre. “Io avrei dovuto sentire l'arrivo della Morte. Io la sento sempre.”
“No, tu non l'hai vista arrivare. Non avresti mai potuto vederla, l'Amore ti ha accecato da tempo.” Un sospiro. “Deve essere sepolto come conviene ad un sovrano. Il suo popolo lo deve onorare.”
Ringhio. Folle, folle Egeria. Paga il prezzo del tuo amore, infelice Dea. “Non lo lascerò mai.”
Diana non ascolta e vola verso Roma con il corpo di Numa, e io la inseguo. Io lo devo raggiungere, devo vegliare il sonno del mio re. Verrò sepolta con lui, e finché il suo corpo non diventerà polvere e io potrò prenderla tra le mie mani e ingoiarla per continuare a farlo vivere dentro me, non mi separerò dal nostro estremo talamo.
Provo a penetrare nella terra, ma essa mi rifiuta. Ma io sono troppo potente, la Natura è al mio comando: infierisco sul terreno come un leone sulla sua preda, faccio scempio di fiori. Nel grembo del suolo i semi muoiono, nulla nascerà in questi campi, e i boccioli avvizziscono e cadono a terra; intorno a me risuona il lamento della Natura che sto torturando senza pietà e io rido oscenamente, ebbra della mia pazzia. Rifugiati nella tua follia, Egeria. Rifugiati nei ricordi, dove lui è ancora vivo.
L'attonito cielo ascolta la mia furia e io non mi fermo finché Lei non ritorna. Allora, le unghie spezzate, le mani sanguinanti e a brandelli, il viso graffiato e coperto di pioggia e lacrime, mi fermo e fisso la mia Signora.
“Non smetterai mai di piangerlo”, sussurra.
“No.” Tutto il mondo conoscerà il mio eterno pianto.
Una nuova lacrima scaturisce dai suoi occhi. “Ritorna a Nemi, bambina mia. Ritorna da me.”
“Mai.” Non posso più portare la Vita, io che ne sono stata privata. Numa... io voglio morire con te. Morire con te!
Silenzio. Diana ascolta i miei pensieri, china il capo. “Egeria, io non posso darti la pace, né richiamare il tuo sposo alla vita; ma... ma qualcosa posso fare.”
Appoggia le sue mani sulla mia fronte, e la mia vista trema, il buio cala sugli occhi.
Sento che il mio corpo si incurva sempre di più, le mie membra cedere e infine sciogliersi.
Grido, ma non per il dolore; qualche istante dopo il mio ultimo urlo è andato perduto, dissolto nel vento, e un canto cristallino lo sostituisce.
“Che il tuo amore e il tuo dolore non vengano mai dimenticati. Questo è il mio dono, Egeria... fonte di lacrime.”



Apro gli occhi con timore. Nelle orecchie ho ancora il suono delle mie lacrime, ma io sento il vento che spira sulla mia pelle, scompiglia i capelli e porta lontano i miei sospiri.
Comprendo di aver avuto una visione, ma solo questo riesco a capire. Mi guardo intorno, non riconosco il luogo che mi circonda. Dove sono?
“Al sicuro.”
Mi volto e Camenia, funerea e ondeggiante, avanza tristemente. Guardo nei suoi occhi e comprendo che ho vissuto, per tutti questi anni, in un sogno.
“Finalmente hai compreso.”
Corrugo la fronte. “Perché, sorella? Perchè mi hai fatto questo?”
Il suo sguardo si incendia. “Mi sbagliavo, allora. Non è cambiato niente.”
La fisso confusa, e scuoto la testa. Lei si inginocchia davanti a me, mi prende il volto tra le mani. “Quello che hai visto è il futuro, Egeria. Il tuo futuro.”
Boccheggio. No... no. “Non è vero. Lui non... lui...”
Camenia scuote la testa, e fa un sorriso pieno di dolcezza. “Numa è un uomo, appartiene alla Morte. E tu invece, mia Dea, appartieni alla Vita. Tutti noi, noi Immortali, sappiamo cosa significa, quanto dolore comporta per uno di noi passare la vita con uno di loro; tutti lo sanno, tranne te.”
Mi alzo in piedi, barcollando. “Voi non potete capire. Nessuno di voi può farlo. Ne ho abbastanza delle nostre falsità, del nostro sdegno, Camenia; ora che ho conosciuto il cuore degli uomini, la loro anima e il loro mondo, non posso tornare indietro.
Gli uomini mi hanno fatto conoscere l'Amore; e come loro hanno bisogno di me, io desidero loro.”
Mia sorella avvampa, digrigna i denti. Mi afferra per la vita, mi stringe in una morsa che non lascia respiro. “Ti sbagli, quanto ti sbagli", sussurra al mio orecchio, e passa una mano sul mio seno, penetra sotto la mia veste, nel mio piacere. “Sappi che non ti lascerò andare, rimarrai qui con me per sempre; sarò io la tua amante, la tua sposa, e tu ritornerai ad essere felice.
Non lasciarmi sola, Egeria. Io ti merito più di lui.”
Delicatamente mi libero della sua presa. Mi volto, chiudo gli occhi. L'odore del mare riempie le mie narici e la mia mente.
Non conosco l'isola dove sono stata portata, ma potrei chiamarla casa.
Siamo molto lontane da Cures, da Nemi, da Roma. Qui potremmo anche essere felici.
Lontane dal Tempo e dal dolore, dimenticate. Insieme, solo noi due, dove c'è Vita per sempre.
Ma lontano da Numa non è vivere. E io voglio vivere ogni tremito, ogni ferita, ogni sorriso. Voglio vivere i colori, le sensazioni, le emozioni, le paure e le lacrime. Voglio vivere tutto questo con lui.
E non ho esitazioni quando parlo. “Ricordati che ti vorrò sempre bene, sorella; ora è giunto il momento che Egeria nasca, che il Destino appartenga solo a lei”, sussurro, prima di fuggire.
La mia Sorte mi chiama, e io vedo. Vedo una piccola casa abbracciata dalla Natura, e tu sei sulla porta, in mia attesa, e sorridi. E mentre mi baci la fronte, io piango di gioia e ti sussurro: “Sono ritornata per restare.”
Non temere, mio dolce re: ogni volta che guarderai il cielo della sera e ti chiederai quale sia il tuo compito, io sarò al tuo fianco. Ogni volta che le parole ti mancheranno, io parlerò per te.
Mi senti, amore mio? Senti questa attesa morente, questo canto che muove il mondo?
Ritorno, e la mia Luce risplenderà ancora al riparo della tua Ombra per tutti gli anni che ci saranno concessi.
E quando il nostro ultimo giorno arriverà, io ti lascerò andare.
Quando la tua fiamma si estinguerà una parte di te entrerà in me per continuare a palpitare, mentre l'altra come un cigno si alzerà in volo e si tramuterà in un astro, per proteggere e guidare chi smarrisce la via.
Illuminato da te il mio corpo cambierà forma e si tramuterà in sorgente, e tra le rose e i papaveri che muoiono e sempre rinascono in eterno canterò il nome di Numa Pompilio, re di Roma, e della ninfa che imparò ad amarlo.




Here we are
Riding the sky
Painting the night with sun
You and I, Mirrors of light
Twin flames of fire
Lit in another time and place

I knew your name
I knew your face
Your love and grace
Past and present now embrace
Worlds collide in inner space
Unstoppable, the song we play


“Star Sky”, Two Steps From Hell


NOTE

[1] Secondo la leggenda Numa fu allievo di Pitagora; quindi da lui avrebbe imparato la dottrina della metempsicosi, o trasmigrazione delle anime.


ANGOLO AUTRICE

Ed eccoci qui all'epilogo.
Lo dico subito: il capitolo finale è un gran dramma per me, perché vorrei dire tante cose ma non riesco mai a farlo, e alla fine mi sembra di banalizzare tutto quanto.
Il mito ci dice che, dopo la morte del re, Egeria abbia pianto così tanto che Diana, mossa a pietà, l'abbia tramutata in fonte (che alcuni identificano con la sorgente di Porta Capena), o che la ninfa stessa lo sia diventata a forza di piangere lo sposo; questo è il cuore del mito, e da questo sono partita per scrivere la mia personale versione.
Camenia è un personaggio realmente presente nel mito, come anche Virbio, insieme al quale Egeria era associata al culto di Diana; inventato è il fatto che Camenia abbia cercato di frenare la sorella nel suo amore.
A chi è interessato ad approfondire la figura di Numa e della sua ninfa, consiglio la lettura di Ovidio, Metamorfosi, e Plutarco, Vita di Numa.
Detto questo, ringrazio tutti coloro che avranno la pazienza di seguirmi fino a qui, a chi ha recensito, ai lettori silenziosi.
Grazie davvero, per aver condiviso con me questa storia, queste parole, questo ennesimo sogno.


Manto
   
 
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