Gli Weasley e il quidditch
“Harry..”
Ron si
fermò lungo le scale creando notevoli problemi a tutti coloro che stavano
facendo la stessa strada e guardò avanti, verso la nuca dell’amico che stava
qualche gradino davanti a lui.
Harry si fermò e mentre gli sfilavano
accanto numerosi compagni diretti verso le Sale Comuni, si girò e guardò Ron.
Era bloccato, un piede su un
gradino e l’altro un gradino più in alto e aveva lo sguardo… folgorato.
“Cosa c’è?” chiese Harry
“Io gioco bene a quidditch!”
E mentre lo diceva gli comparve
un sorriso sul volto.
Harry rispose con un identico
sorriso.
“L’hai capito adesso?”
“Si. Cioè… no. Ci stavo pensando
e … beh, sì. Ho ripensato agli ultimi giorni. Ho parato parecchi bolidi e
neppure uno per sbaglio. Li ho proprio presi tutti!”
Ron riprese a salire le scale,
appoggio la mano sinistra sulla spalla di Harry e proseguì con lui. Era
decisamente allegro.
Continuarono a parlare di
quidditch fino alla Sala Comune, interrompendosi solo per lasciare a Ron il
tempo di dire la parola d’ordine per farli entrare.
Buttarono le borse a terra, più o
meno vicino a dove andarono a sedersi, anzi quasi a sdraiarsi per proseguire,
vicino al camino, nell’analisi della squadra di gioco del Griffondoro.
Sentivano, sottovoce, il richiamo
dei libri di studio e dei compiti, Harry un po’ più di Ron, ma il suono della
loro voce era sicuramente più alto di qualsiasi richiamo all’impegno
scolastico.
Ron era effettivamente migliorato
notevolmente nel gioco e stava diventando sempre più difficile per i compagni
riuscire a far passare un bolide se lui era in porta.
Fred e George durante l’estate si
erano impegnati molto per questo.
Per almeno tre sere a settimana,
lasciato il loro negozio, che richiedeva molta dedizione, allenavano il
fratello e la sorella nei prati vicino a casa.
Sostenevano che, vista la loro
improvvisa partenza da Howargts, era fondamentale che la famiglia Weasley
rimanesse un punto di riferimento per la squadra della loro Casa.
Per Ginny non avevano particolari
obiettivi: era la prima Weasley femmina, giocava bene e ritenevano fosse suo
compito creare un modello Weasley al femminile. Quindi tutto ciò che faceva
veniva lodato perché era la prima donna a farlo.
Era evidente però che la sorella
aveva obiettivi diversi.
Dopo aver visto giocare i 5
fratelli per tanti anni, dopo aver seguito i successi dei due maggiori
attraverso i loro racconti e dopo aver visto direttamente lo stile vincente dei
gemelli, voleva dimostrare di essere brava quanto loro.
Non le piaceva essere lodata
perché era una donna, ma perché giocava bene!
Non aveva mai cercato la
discussione con i fratelli per questo, neppure durante quella estate.
Ma sentiva, mentre Bill la
guardava allenarsi a casa, che lui era compiaciuto solo della sua piccola
sorellina, che riusciva a giocare così bene. Sentiva nei commenti di Fred e
Gorge, la loro soddisfazione nel pensare ai Serpeverde battuti da una donna, da
una donna Weasley.
Solo Ron la guardava con gioia
mentre giocava, ma anche con invidia quando era lodata dai fratelli oppure con
rabbia quando riusciva ad infilare il bolide tra le sue mani.
Però Ron era … la sua metà. Era
il più vicino a lei per età, per esperienza, per amicizie, per interessi. A
volte pensava a loro due come fossero quasi gemelli, come Fred e George. Non
così uniti e complementari, ma molto legati.
Anche lei provava la stessa gioia
e la stessa invidia nei confronti di Ron.
E Charlie… beh, Charlie era stato
fantastico. Era quasi riuscito a superare Bill nella scala delle preferenze
fraterne di Ginny.
Dopo una azione che aveva portato
Ginny al gol, con l’aiuto dei gemelli e battendo Ron, Fred si era rivolto a
Gorge e aveva detto:
“Lo immagini?”
“La faccia di Piton…” aveva
aggiunto Gorge.
“Una griffondoro…” aveva detto
Fred.
“Weasley…” aveva continuato
Gorge.
“ E donna!!!” avevano concluso
insieme.
E le aveva fatto un applauso
complimentandosi con lei.
Avevano continuato a gongolare
sull’argomento per almeno 15 minuti, mentre Ron, borbottando da solo, cercava
di capire dove aveva sbagliato.
Ginny aveva guardato i gemelli
con il volto corrucciato.
L’ultimo commento lo trovava
stupido e inutile.
Il fatto che lei fosse una donna
doveva essere importante per Dean. E avrebbe dovuto esserlo per Harry, aveva
aggiunto una piccola e bassissima voce dentro di lei.
Ma non doveva esserlo per dei
tifosi di quidditch.
Charlie le si era avvicinato,
aveva messo un braccio attorno alle sue spalle, stringendola a sé, le aveva
scompigliato i capelli e sorridendo le aveva detto:
“Bella azione Weasley! Per una
novellina poi… neanche un anno e ti muovi così! La prossima volta però occhio a
tutti e due i lati durante l’azione. Ogni tanto sembri dimenticarti che esiste
anche il lato sinistro del campo.”
Ginny lo aveva adorato in quel
momento. Era un commento tecnico, oggettivo e istruttivo.
Per Ron le cose erano molto più
difficili.
Tutti i fratelli si impegnavano
ad allenarlo, con la fretta dovuta alla scelta della famiglia e dell’Ordine di
rientrare a Grimmauld Place quanto prima, ma la tensione che sentiva attorno e
dentro di lui lo rendevano rigido nei movimenti e incerto nelle scelte di
gioco.
Sapeva di dover almeno
avvicinarsi ai fratelli come abilità e di non dover sfigurare di fronte alla
sorella.
Per fortuna nessuno faceva
paragoni con Harry.
Veramente nessuno, allora, era
ancora certo del rientro di Potter in squadra, ma nel momento in cui sarebbe
stato deciso, Ron non voleva farlo sfigurare o far pensare che se si trovava in
porta era merito della loro amicizia e non della sua bravura.
Ron non accettava nessuna
allusione al fatto che non avrebbe potuto rientrare o che non sarebbe stato il
capitano. Zittiva qualsiasi osservazione dei fratelli o di altri membri
dell’Ordine (Tonks in particolare, che discuteva con loro spesso del futuro
della scuola) con commenti decisi e inappellabili quali: “Sarebbero pazzi a non
farlo” oppure “ C’è già abbastanza incertezza in giro, non mi sembra
intelligente aumentarla” fino al definitivo “Lo dico io e ho ragione”.
Effettivamente aveva avuto
ragione e Harry era diventato Capitano.
Infatti tutti gli interventi
“correttivi” della Umbridge erano stati cancellati dal rientro di Silente nella
carica di Preside. Le squadre poteva allenarsi secondo i calendari stabiliti,
le partite sarebbero riprese secondo il ritmo centenario di Howgarts, i gruppi
di studio, lavoro o altro potevano riunirsi nel rispetto delle regole di Gazza.
Nel periodo dell’allenamento
estivo di Ron, Bill gli era stato vicino più degli altri. Mentre Fred e George
lo allenavano fisicamente e tatticamente fino allo sfinimento, e Charlie lo aiutava
a minimizzare i momentini sconforto, Bill discuteva con lui della freddezza
durante l’azione, di come mantenere la concentrazione o la migliore
respirazione. Di ogni azione gli spiegava il positivo e il negativo e aveva
insistito fin dall’inizio affinché non si concentrasse solo sulla palla che
arrivava, ma anche sul giocatore che la accompagnava per prevedere, almeno in
parte, la sua azione. Ron si sentiva sempre più razionale e sempre meno emotivo
mentre giocava.
Adesso, dopo aver ripreso gli
allenamenti a scuola, si era reso conto che tutti quegli sforzi cominciavano a
dare i loro frutti. Non aveva ancora affrontato una squadra avversaria, ma
aveva tenuto testa a tutti i suoi compagni.
Era stata davvero una
folgorazione quella che aveva avuto salendo verso la Sala Comune.
Sdraiati sul divano Harry e Ron
stavano lentamente esaurendo gli argomenti relativi agli allenamenti fatti
(erano stati ancora pochissimi, quindi c’era poco materiale) quando si allungò,
davanti a loro, l’ombra di un’altra persona che riconobbero dalla voce:
“Non avete ancora cominciato i
compiti? Avrete tempo per parlare di quidditch quando comincerà il campionato.”
Hermione era arrivata.
Ron la guardò rassegnato, mentre
Harry le sorrise.
Hermione sorrise ad entrambi, si
sedette su una poltrona davanti a loro e prese tutto il necessario per i
compiti, mentre i due amici, con lentezza, si avvicinarono alle loro borse e la
imitarono.
Harry finì, in parte, i compiti
previsti e, allungando le braccia sopra la testa, si girò verso una delle
finestre della Sala Comune guardò la luna che stava salendo.
Quell’estate per fortuna l’aveva
vista pochissime volte dalla casa degli zii Dursdley. L’Ordine lo aveva portato
via da Private Street ai primi di agosto per proteggerlo dentro la casa di Grimmauld Place. Lì
aveva passato giorni felici e semplicemente tranquilli anche se si era sentito
a volte segregato per il fatto di dover chiedere sempre a qualcuno di
accompagnarlo durante le uscite che desiderava fare.
Per la prima volta aveva avuto
una festa di compleanno vera, con regali, torta, canzoni, risate e giochi
insieme ad un mucchio di persone che erano arrivate per lui, solo per potergli
fare gli auguri. E non perché era il Bambino Sopravvissuto. Proprio perché era
Harry o perché era figlio di Lily e James o perché amico di Ron e Hermione.
Era stata una giornata semplice e
perfetta.
La tristezza diventava più forte
all’inizio e alla fine del giorno quando il ricordo di Sirus esplodeva più
doloroso, ma questi erano sentimenti che ormai conosceva.
Anche la rabbia era ancora molto
forte. A volte era verso Voldemort, a volte verso Bellatrix o Lucius Malfoy.
Ma a volte era anche verso
Silente che non aveva trovato il modo di proteggere Sirius o di farlo tornare o
verso i suoi amici che lo avevano seguito nel Ministero e non lo avevano
fermato per chiedere aiuto.
Anche verso Nick
Quasi-Senza-Testa che aveva osato dire che Sirius non sarebbe tornato. Pochi si
salvavano da questa rabbia: Luna che aveva sofferto la perdita della madre,
Ginny che gli aveva fatto capire che non era posseduto da Voldemort, Neville
che provava la sua stessa frustrazione e impotenza.
La rabbia non esplodeva in modo
incontrollabile. Ma si sentiva più irritabile, meno disponibile verso gli
altri, insofferente, con un macigno dentro al cuore che non se ne andava.
Ron e Hermione sembravano aver
capito come stavano le cose.
Lo lasciavano in silenzio, oppure
lasciavano che buttasse fuori tutta la sua irruenza alzando la voce quando
qualcosa non andava oppure lanciando libri o altri oggetti nei momenti di
frustrazione oppure accettando i suoi commenti duri e cattivi anche verso di
loro.
Si difendevano a vicenda però: se
Harry rispondeva male a Ron, Hermione lo guardava dicendogli con di lasciarlo
stare ed era arrivata anche a lanciargli sguardi “assassini” e se Harry
rispondeva male ad Hermione, cosa che capitava molto di rado, Ron si girava di
scatto e gli diceva “Smettila” senza mai alzare la voce, ma con un tono che non
ammetteva repliche.
Harry sapeva che aveva raggiunto
il limite in quei momenti, ma a volte quasi li sfidava per vedere fino a che
punto loro lo avrebbero sopportato ed accettato.
Poco prima della partenza per
Howgarts Harry aveva commentato in malo modo quello che Ron aveva detto a
proposito di una azione di quidditch di una
squadra del campionato ribattendogli con tono molto aspro e quasi cattivo:
“Smettila Ron. Parli, parli,
parli di quidditch, ma voglio vederti poi in campo. Ti atteggi a gran esperto,
ma non te la caverai come l’anno scorso all’ultimo momento!”
Harry sapeva quanto si fosse
impegnato l’amico durante l’estate, non solo perché ne avevano parlato insieme,
ma anche dai racconti dei fratelli Weasley. Sapeva che era migliorato e che
poteva diventare ancora più bravo. Ma quel giorno aveva appena finito una lezione
di Occlumanzia con Piton, aveva mal di testa ed era stanco e sfiduciato e la
prima persona che aveva trovato per sfogarsi era stato l’amico.
Hermione non era presente, ma
c’era Ginny che lo aveva guardato con gli occhi spalancati e la bocca
semiaperta per lo stupore. Non aveva mai visto i due amici litigare e non in
modo così gratuito.
Ron si era bloccato mentre
piegava alcune magliette da mettere nel suo baule, si era girato verso Harry e
gli si era avvicinato in silenzio.
Harry era seduto sul letto e Ron
lo sovrastava dall’alto con lo sguardo serio e la bocca tirata. Sembrava
incerto tra il prenderlo a pugni e piangere per la delusione.
“Non sono il tuo sfogatutto
amico. Anche se la giornata è da buttare nel cesso non ci mandare me, chiaro!?
Alla prossima ti arriva un pugno.”
Poi era tornato verso il suo
letto e aveva ripreso a mettere in ordine.
Ginny se ne era andata dopo aver
guardato Harry con aria delusa e il fratello con un sorriso piccolo e dolce.
Harry era rimasto fermo sul
letto. Non avrebbe chiesto scusa a Ron. Non sarebbe sceso così in basso, ma
doveva farsi perdonare. Sapeva di aver tirato troppo la corda nel momento
stesso in cui aveva finito la frase.
Dopo alcuni minuti di silenzio
durante i quali nessuno dei due aveva guardato l’altro, Ron mise nel baule i
guanti della divisa della squadra che aveva sgraffignato dagli spoglaiatoi
l’anno prima.
Harry colse l’occasione per dire:
“Ti porteranno fortuna anche quest’anno.” Intendendo dire all’amico che avrebbe
giocato di nuovo e al meglio, portando la squadra alla vittoria.
Ma Ron doveva aver capito un
altro messaggio perché si girò di scatto e guardando fisso l’amico gli disse,
alzando la voce chiaramente adirata:
“Perché? Gioco bene solo se ho
fortuna? Bell’opinione che …”
“ No, no Ron. “ lo interruppe
Harry velocemente e alzando le mani per fermarlo“ Intendo dire che giocherai
anche quest’anno. Che sarai un bravo portiere. Voglio vederti giocare e voglio
vederti vincere, anche se solo dagli spalti…”
“Che cretinate. Sarai tu il
capitano della squadra e giocherò con te. Al meglio” Ron abbassò la voce mentre
lo diceva riprendendo il suo tono abituale.
“Grazie Ron.”
“Di cosa?” Ron lo guardò alzando
le sopracciglia con una espressione tra il curioso e l’arrabbiato.
“Grazie” ripeté Harry sottovoce.
Il cuore sembrava essere diventato più leggero e la testa meno dolorosa.
Ron accennò ad un leggero sorriso
e riprese a fare i bagagli ed Harry lo imitò.
Dopo aver sistemato una parte dei
bagagli il pomeriggio si era trascinato fino ad una lunga battaglia di
cuscinate durante la quale erano “involontariamente sfuggiti” ad entrambi dei
colpi duri, e quelli di Ron erano stati i più forti. Harry non si era
lamentato…