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Autore: Lorelei95    01/02/2016    4 recensioni
"Non può concepire di aver affiancato Sanji all’altare come suo uomo d’onore, come suo testimone, nemmeno per affidarlo alle cure di Nami, perché crede che non amerà mai nessuno come sta amando il biondo idiota, come ama il suo stupido sopracciglio a ricciolo, e i suoi occhi blu.
E non sa come fare. E fa male. Così male, perchè tutto ciò che sa è che vuole Sanji e combattere con lui, sapendo però che potrà interrompere la lotta con un bacio."
Però, forse, può riuscirci. Può amarlo. Ancora, come, non lo sa. Ma lui sarà il più grande spadaccino al mondo e farsi amare da Sanji non dovrebbe essere così difficile.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji, Un po' tutti | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Covando Rabbia

 
 
Note: Anche per questo capitolo ho preso ispirazione da un’immagine, ma vi rimando per quella alla fine.

 
A volte si domanda come sia potuto accadere. Di innamorarsi del suo migliore amico.
Era tutto così semplice prima di trovarlo attraente, sensuale e sempre un idiota con le donne -ma questo non sarebbe comunque cambiato in nessun caso-. Zoro sa che non dovrebbe provare questa rabbia repressa, che non è colpa né di Sanji né di Nami di essersi sposati, perché si suppone che sia amino, giusto? Eppure ogni giorno è sempre più arrabbiato e si chiude sempre di più in se stesso.
E' diverso dal primo momento, quando la sera tornava a casa e cercava di capire se era successo davvero, se davvero quello che considera l'amore della sua vita si era sposato, e se lui gli aveva tenuto le fedi. Dio, quei giorni, un po' per l'alcool, un po' per la disperazione, sono così confusi.
Sono passati appena due mesi, due mesi in cui quei due stanno sempre ad amoreggiare, a tenersi per mano, a guardarsi come se uno fosse l'universo dell'altro. E ogni singola volta in cui è in loro presenza gli sembra di impazzire, vorrebbe afferrare quel coglione biondo per la camicia e urlargli in faccia quanto gli stia facendo male, quanto lo ami, dirgli che sta sbagliando tutto, perché lui è lì e non si accorge che sta attraversando l'inferno per rimanergli amico, per fare che così appaia.
Zoro deve poggiare il rasoio, perché le sue mani stanno tremando e non intende procurarsi uno sfregio alla faccia. Si guarda nello specchio, afferrando con forza i bordi del lavandino, come per volersi appoggiare- o forse perché vuole rompere qualcosa?- e si fissa. Il suo riflesso è forse più veritiero di quanto lui riesca ad essere in questi giorni: la luce troppo bianca fa apparire la sua pelle più pallida, giallastra e emaciata, che non ha niente a che vedere con la sua naturale carnagione scura. Gli occhi sono sottolineati da occhiaie, perché durante le notti non dorme bene, alcune volte non dorme nemmeno e si tortura guardando le foto di lui e Sanji assieme, col telefono che gli illumina scarsamente il volto, dove però un piccolo sorriso c'è. Ricorda tutti quei momenti, durante una festa o al mare o semplicemente a cena, con la gran cagnara che solo i suoi amici sanno fare e con occhi nuovi riesce a comprendere quanto è profondo il suo sentimento e da quanto a lungo lo stesse covando sotto pelle. Quegli scatti non negano il modo in cui Zoro tiene forse un pochino troppo vicino il biondo o alcune occhiate che gli rivolge, con sempre un'ombra di sorriso sulle labbra.
Sa di starsi torturando, che dovrebbe superare questa fase, andare oltre -come si suol dire-, ma semplicemente non può. Che è ben diverso dal dire che non ci riesce. Perché se esiste qualcuno che lo capisce, in tutti i suoi aspetti, quello è Sanji e non vuole illudersi che riuscirà a trovare una persona capace di farglielo dimenticare o almeno in grado di  appannare questi sentimenti. Mentirebbe a se stesso e sta già mentendo ai suoi amici.
Fa un respiro profondo, prendendo nuovamente in mano il rasoio e tentando di concentrarsi su altro, su qualsiasi altra cosa, su come deve tenere la lama al fine di non tagliarsi. E ci riesce, è una sorta di limbo opaco, in cui pensa solo al fluire del movimento, alla schiuma che sparisce sotto alla lama affilata, radendogli il viso. Sa che i pensieri da un momento all'altro lo assaliranno di nuovo, che la rabbia sta solo indugiando sotto alla superficie, ma può imparare a convivere con essa. Può gestirla, come invece non può fare per il dolore.
Può uscire a correre e correre finché non avrà perso la strada di casa, finché le sue gambe crolleranno e dovrà fermarsi perché i muscoli si opporranno a qualsiasi altro movimento. E la fatica coprirà la rabbia, il dolore fisico può essere più forte di qualsiasi altro pensiero e il suo petto lo sa bene. Della cicatrice di Mihawk può solo ricordare il dolore angosciante e disumano; i medici ancora si sorprendono che lui sia riuscito a sopravvivere.
Lui si sorprende invece di essere sopravvissuto a tutto quel male.
Ma il male che prova a vedere Sanji che prende in braccio Nami è molto diverso, è più sottile e tuttavia più aggressivo: gli prende il petto e si diffonde in tutto il corpo, come se qualcuno gli avesse pompato nel cuore qualche veleno gelido che cammina e corrode tutto ciò che incontra. Senza rendersene conto si trova a massaggiarsi il costato, per alleviare la sensazione, come se stesse accadendo davvero, ma da un veleno potrebbe guarire, da questo no.
Si sciacqua la faccia e si tampona piano il collo, il mento e il viso prima di lanciare l'asciugamano con collera lontano da sé, sedendosi sul water, le mani nei capelli, i pugni chiusi.
A volte preferisce il peso delle lacrime a questa rabbia, almeno dopo è così sfinito che crolla. Invece questa ritorna ad onde e si trova ad odiare tutto e tutti, ad odiare Sanji prima di tutti che non può amarlo, ad odiare Nami che proprio quando lui ha ottenuto il coraggio di farsi avanti ha accettato l'invito di Sanji, dopo averlo sempre e sempre rifiutato, anche in malo modo, ad odiarsi, perché era così felice quando non era a conoscenza di questi sentimenti-beata ignoranza, vero?-. Odia il modo in cui Sanji accarezza il viso di Nami quando crede che nessuno li stia guardando, con due dita, come fosse qualcosa di prezioso, odia il modo in cui è sempre più teso per il giudizio di lei sul suo cibo rispetto a quello di qualsiasi altro, odia l'allegria con cui la chiama e soprattutto odia il fatto che non stanno più assieme come prima. Non combattono, non litigano, a mala pena parlano -non che Zoro sia mai stato un gran conversatore, ma con Sanji è sempre stato più facile- e il biondo semplicemente non se ne rende conto, è troppo distratto per pensare che qualcosa non vada in lui, per notare che si fa vedere sempre meno ed è sempre meno partecipe quando accetta mal volentieri gli inviti infiniti di Rufy o si trova costretto dagli occhioni supplicanti di Chopper.
Il campanello premuto con insistenza e ripetutamente gli ricorda che Rufy gli aveva promesso di passarlo a prendere, così che non si perdesse sulla strada per arrivare al nuovo appartamento di Sanji e consorte. Se si formasse un buco improvviso nella terra e lo divorasse non sarebbe certo peggio che vedere la persona di cui è innamorato felice di avere comprato una casa con una persona che non è lui.
Oltre al campanello, ora Rufy ha cominciato a battere con forza, costringendolo ad alzarsi e ad aprirgli –l’ultima volta che lo ha lasciato fare gli ha scardinato la porta, e ancora si chiede come ha fatto-.
“Pensavo stessi dormendo!” Rufy esclama con quel suo enorme sorriso bonario prima di abbracciarlo e non lo molla per diversi minuti, tanto che deve scrollarselo di dosso.
“Mi stavo cambiando,” risponde brevemente, facendogli segno di seguirlo in camera, per mettersi almeno un paio di pantaloni. Il moretto allegro comincia a parlare a vanvera, sedendosi scompostamente sul letto, mentre Zoro fissa tristemente nell’armadio, sperando che qualcuno salti fuori dal nulla e lo accoltelli.
Questo continua per diversi minuti, con nessuna idea da parte di Zoro sul come fuggire alla situazione e quando finalmente trova il coraggio per chiedere a Rufy di coprirlo, di dire che sta male o qualsiasi altra cosa possa essere minimamente verosimile, contando sulla lealtà dell’amico, Nami li chiama telefono e la sente sbraitare  che sono in ritardo e che se non si presentano li disconoscerà.
Che al momento appare come l’ipotesi più allettante.
 
 
 
 
C'è troppo caos: è l’unica cosa a cui riesce a pensare.
C’è troppa allegria –o amore nell’aria? Non saprebbe dire, ma sta già male senza doverci pensare-. Ci sono troppi schiamazzi, è tutto troppo luminoso e nuovo, di una coppia fresca fresca di matrimonio, troppo davvero perchè Zoro possa minimamente sopportarlo.
Cerca di trascorrere la serata da solo, prendendo un goccio dalla sua birra ogni tanto, osservando gli altri festeggiare. Anche la birra ha un gusto orribile sulla lingua, o forse sembra solo a lui, così come il cibo è troppo saporito e quasi lo innervosisce. Senza contare che la voce di Sanji, che elogia ogni singolo aspetto della casa sua e della sua signora, di quanto sia bella Nami, di quanto sia innamorato e felice e tutta un’altra serie di stupidaggini, lo stanno facendo andare fuori di testa. E non è nemmeno lontanamente vicino all’essere ubriaco per sostenere questo schifo.
“Forse dovresti provare qualcosa di più forte,” gli suggerisce Robin, come se gli leggesse nel pensiero, mentre si appoggia contro il muro, il braccio teso verso di lui per porgergli quella che deve essere una bottiglia di sakè bianco e cristallino.
Non che lui le risponda, ma afferra velocemente l’offerta e se ne scola in fretta qualche sorso, con la gola che brucia subito dopo, ma con il sentore che farà effetto prima di quanto riuscirà mai una birra chiara.
Stanno in silenzio per un po’, sempre con l’attenzione rivolta al chiasso creato dagli altri, come sempre dal canto loro: se Zoro e Robin hanno qualcosa in comune è l’essere i meno esuberanti del gruppo, partecipando silenziosamente o con piccoli sorrisi alla festa. Tranne ovviamente quando lui e il cuoco finivano per litigare.
Il già pessimo umore di Zoro finisce per scurirsi ulteriormente.
“Sei sicuro di stare bene, Zoro-san?” Robin parla con un tono chiaro, come se stesse parlando del suo ultimo allenamento o niente di più serio. Lo spadaccino sospira, prima di bere ancora, pregando che l’alcool, unito al poco cibo nel suo stomaco, cominci a fare effetto.
“Vorrei andasse meglio,” risponde, pulendosi la bocca con la manica, mentre osserva Sanji ridere sommessamente, con un braccio intorno alle spalle magre della rossa. Zoro sa che sono amici, è quasi sicuro che siano migliori amici, lui e il biondo, oltre che nakama, e ha fatto del suo meglio per accompagnarlo a sposarsi, perché doveva. Ma rimane comunque doloroso vederlo così felice e sa che si sta comportando da egoista a non augurare loro il meglio, però non ci riesce. Non può non pensare a come sarebbe bello se gli sorridesse o il gusto della sua bocca se lo baciasse.
“Non penso di poter capire quello che stai provando,” la voce pacata di Robin lo riporta alla realtà e la guarda brevemente, notando la preoccupazione nei suoi occhi. “E so di non poterti aiutare più che darti il tuo spazio, come stanno facendo tutti, a modo loro.”
Zoro torna a guardare Sanji e lo accarezza con lo sguardo: lui ama tutto di questo cuoco idiota, anche il suo sopracciglio a ricciolo, il suo gergo a volte peggio di quello di uno scaricatore di porto, che farebbe vergognare chiunque, il suo fisico perfetto, la sua bellezza e ama di certo i suoi occhi blu, come il mare, anche se è davvero un paragone banale. Il mare contiene infinite sfumature e gli occhi di Sanji sono esattamente gli stessi, quegli stessi occhi che adesso lo stanno guardando e che gli sorridono. E sa che li odia, perché per colpa di quegli occhi non potrà smettere di amarlo e lo perderà come amico, perché non l’ha mai avuto come amante.
Scatta in piedi e ancora Sanji lo sta guardando, anche se la fronte si aggrotta quando non riesce a capire cosa stia succedendo, né perché da un momento all’altro Zoro è corso fuori da casa sua, quasi scappando. Ed è proprio quello che Zoro sta facendo.
Sta correndo via, via dai suoi amici, dalla sua vita, dai suoi sentimenti, corre sperando che si stacchino da lui, che li perda lungo la strada e l’aria di Febbraio è così fredda che lo sta facendo lacrimare, perché ammettere che sta piangendo significherebbe ammettere che non ci riesce. Che non sta migliorando. Che non riesce ad andare oltre e che non ha la minima idea di come si fa. Che nessuno l’ha avvertito di quanto potesse fare male l’amore e che non ha idea di come si spegne. Corre finchè si perde, finchè non scivola sull’asfalto ghiacciato, sbucciandosi i palmi delle mani, finchè i suoi piedi a mala pena lo reggono mentre cammina. E fa freddo, quando si rende conto che non ha nulla addosso oltre alla sua pelle e ad una felpa leggera, che ha lasciato indietro la giacca e il telefono e non ha idea di dove sia, di che ore siano, e di come tornare indietro o tornare a casa. Si sfrega le braccia, lamentandosi quando i tagli sulle mani gli bruciano o quando si rende conto di aver macchiato le maniche di sangue, ma continua, un po’ per mantenere la mente concentrata sul dolore, un po’ per scaldarsi, perché fa fottutamente freddo e adesso ha un motivo in più per odiare questa serata.
Cerca di orientarsi, ma la notte è buia e non riconosce la strada, né può chiedere aiuto perché non vede abitazioni. Ad un certo punto gli viene da ridere, per l’intera faccenda, e ride così forte che gli lacrimano gli occhi e deve tenersi la pancia perché sembra che voglia scoppiare. Le risate lo scuotono tanto che si lascia cadere a terra e rimane disteso a ridere, sul strada fredda, gli occhi al cielo nero e stellato. Poi il riso comincia a placarsi piano, trasformandosi però in pianto e Zoro cerca inutilmente di asciugarsi le lacrime con la manica sporca di sangue e terra. Rimane a lungo steso, cercando di calmarsi in qualche modo e sarebbe sulla via del sonno se i brividi non lo stessero sconvolgendo.
Un’imprecazione molto colorita gli sfugge mentre si rimette in piedi, i denti che battono per il gelo e stranamente riesce a non pensare a Sanji e sarebbe quasi piacevole se non stesse rischiando l’ipotermia.
In lontananza però sente un rumore e si gira, vedendo dei fari illuminare la strada e ringrazia Dio, anche se non sa bene a quale riferirsi, non essendo mai stato molto religioso. La macchina si ferma poco prima di lui e la luce gli ferisce gli occhi, ma non gli impedisce certo di raggiungere con qualche passo malfermo la portiera del passeggero, dalla quale esce Robin, che gli poggia con affetto la sua giacca sulle spalle, sfregandogli la schiena e aiutandolo a distendersi sui sedili posteriori. Alla guida c’è Franky, che lo guarda con apprensione mentre Robin lo copre con una coperta che, unita al calore accogliente della macchina, lo fanno già stare meglio.
Sa che deve ringraziarli, ma il sonno è tanto e riesce a rimanere cosciente solo per qualche momento, Robin che si siede davanti, si allaccia la cintura e lo guarda, dicendogli di riposare, con un bel sorriso sulle labbra, subito prima di baciare Franky sulla guancia, dicendogli qualcosa che le sue orecchie non riescono in nessun modo a cogliere, prima  che tutto diventi scuro, ma almeno è al caldo e non gli fa male il cuore.
 
 
 
 
Note di chiusura: Grazie per le recensioni, che sapete sono l’amore per chi scrive, e grazie a chi segue questa storia. Avevo promesso che le cose sarebbero andate meglio, ma al momento ho seri dubbi in proposito. Spero vi possa piacere comunque. Alla prossima,
Lorelei95
  
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