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Autore: Nemainn    08/02/2016    4 recensioni
Donna, strega, regina.
Aislin è la sovrana del suo popolo e si trova davanti a una scelta, una profezia che deve realizzare per evitare che l'orrore estingua la sua gente, cancellando anche la memoria dello stesso.
Del racconto:
“Una regina ha due cuori”, gli aveva detto Aislin una volta. “Uno è della sua gente e batte solo per loro, ma l'altro è il suo, quello che ama, quello di donna.”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Non puoi farlo, Aislin.»
Iraen s'incupì, stringendo la mano sulla spalla della strega seduta sul bordo della piccola panca, dentro la tenda.
Mettendo la propria su quella dell'hilm'een, la regina scosse appena il capo. «Non posso mandare la mia gente a morire rimanendo al sicuro dietro le linee, sono la regina.»
«Per questo non puoi!» esasperato, Iraen scosse la donna che amava. «Non pensi a Enda? Non è abbastanza grande per regnare!»
«Esiste per questo il consiglio. Le reggenti del Palazzo d'Acqua e di Fuoco faranno in modo che le cose continuino a funzionare.»
Scuotendo la testa, Iraen si lasciò cadere in ginocchio davanti a lei. «Non pensi a me? Ho perso Ynis, non posso perdere anche te! Per ogni dio di questa e dell'altra terra, Aislin, non puoi fare una sciocchezza simile! Guidare l'esercito in prima linea è di certo onorevole e coraggioso, ma ti individueranno e tutta la pressione si convoglierà su di te, non capisci che sarai l'obbiettivo principale?»
«Lo so. Penseranno a me, dando meno peso ai drappelli che si muoveranno ai bordi, non li calcoleranno neppure, probabilmente, fino a quando non sarà troppo tardi. I druidi faranno in modo che la magia dei loro rinnegati che presidiano la città non li possa individuare, mentre saranno concentrati su di me riusciranno ad aggirare le mura e fare quello per cui sono stati selezionati. Le più forti tra le Cail'ka e le streghe faranno crollare le mura. La nostra magia parla alla terra: ammorbidiranno il suolo sotto quelle pietre che hanno innalzato a difesa, sgretolerà la calce, basterà a renderle abbastanza fragili perché i wendosh possano tirarle giù.»
A sentire nominare quelle creature, Iraen rabbrividì. Sembravano nati dalla terra e dagli alberi, simili a enormi bestie, i wendosh erano creature senzienti che abitavano le terre a nord che avevano la loro dimora nella parte più settentrionale della foresta, ai confini della tundra. Allevavano renne, erano nomadi e coperti a loro volta di una lunga pelliccia chiara maculata di verde. Aislin aveva mandato una decina di streghe a convincerli, avevano bisogno di alleati.
La prima volta che ne aveva visto uno si era spaventato a morte, doveva ammetterlo. Erano giganti di almeno due metri, con arti lunghissimi. All'apparenza goffi erano invece dotati di un'agilità e di una rapidità spaventosa.
«Sei certa che non ti tradiranno?»
«Gli uomini hanno iniziato a dare loro la caccia.» la voce di Aislin si incrinò, Iraen percepì l'autentico dolore presente in essa. Non erano streghe, ma erano creature legate alla terra, pacifiche, cacciate come animali per la loro pelliccia. «Non ti allei con chi indossa la pelle dei tuoi famigliari come un mantello, Iraen.»
Lui scosse il capo, sospirando. «Non posso lasciare che tu sia un bersaglio, Aislin. Ti prego, ripensaci. Fa indossare a una Cail'ka un paio di corna, ingannali!»
«No. Sono io la regina, sono io che affronterò quel pericolo e non ordinerò a nessuno di svolgere un simile compito.»
«Non servirebbe ordinarlo!» esasperato, strinse le mani di lei fin quasi a farle male. «Ci sono decine di donne che si offrirebbero, perché non accetti!?»
«Ora basta!» Aislin si sottrasse alla stretta dell'hilm'een. «So che per gli umani è diverso, e so che non capisci ancora davvero le nostre usanze, ma una regina non si sottrae alle sue responsabilità, mai. Non posso mettere la mia vita e la mia felicità davanti a quella del mio popolo, della mia terra, di ogni creature che confida in un nuovo equilibrio pacifico. Ci sono decine di creature che gli uomini non conoscono, con una mente, una società, che hanno vissuto nascoste per paura. Gli animali stessi soffrono per il modo in cui la natura viene dilaniata e la foresta piange il suo cordoglio per la caccia senza amore. Non c'è rispetto, non c'è equilibrio, e questa situazione deve essere fermata qua, o non ci sarà mai più futuro.»
«Cosa farò, se tu...»
«Se io morissi? Crescerai Enda, le farai conoscere il mondo degli uomini in modo che possa regnare su entrambi. Se ci sarà pace, la mia vita non sarà stata sprecata invano.» La mano di Aislin scivolò tra le ciocche rosse di Iraen, accarezzando dolcemente quel capo ora posato sul suo grembo. «Hai uno spirito di ferro, come il tuo nome suggerisce. Non si piegherà, né si spezzerà. Sei cambiato così tanto in questi anni, hai cambiato anche me.» Fermandosi sulla guancia di lui, la mano di Aislin sembrò quasi rovente. «Fai attenzione anche tu, Iraen. Sei ciò che scalda il mio cuore e rende luminosa la mia anima, ormai. Senza di te tutto sarebbe tenebra priva di gioia.»
«Credi sarebbe diverso, per me?»
«No, ma tu non sei re. Potrai piangere, ricordarmi, potrai fare quello a che a me non sarebbe permesso: soffrire. Ma non dimenticarti neppure tu di Enda. Quella piccola strega è una promessa per il futuro, da bambina crepita, ma da adulta sarà pura fiamma. Luminosa e calda, il faro che guiderà in una nuova era questa terra.»
Iraen rimase in silenzio, sentendo la morte nel cuore e il gelido avvertimenti del destino. Passò così lunghi minuti, inginocchiato, traendo ogni forza possibile dalla presenza di lei, da quell'amore che li legava, vissuto quasi in clandestinità.
«Non ti farò la domanda che ho nel cuore, so già la risposta, ormai. Tu hai visto, non mi serve chiederti nulla, è inutile che cerchi di combattere contro il fato. Ti amo, Aislin. Ti amo come si ama la luce e il cielo, libero e immenso, senza confini. Non cercherò più di distoglierti dalle tue intenzioni, ma io non sarò nelle retrovie, cercherò di salvarti la vita, a ogni costo.»
«Così sia, allora. Sei stato il germoglio di un sentimento che credevo impossibile, sei diventato l'albero più bello e alla tua ombra ho sempre trovato accoglienza e riparo. Ti amo anche io, Iraen.»
Eppure la straziante e ineluttabile certezza dell'ombra che calava su di loro resero quelle parole amare come il più crudele dei veleni. Era un saluto, l'ultimo che si sarebbero potuti dare davvero.
Iraen sentì i tamburi che svegliavano il campo nell'ultimo velo cupo della notte, si alzò e accarezzò con lo sguardo il volto della donna che amava, della regina forte e decisa davanti a cui si inginocchiava, della potente strega davanti a cui rabbrividiva.
“È proprio vero,” pensò l'hilm'een, “un amore caduto e ricostruito cresce forte, grande più di prima. Pensavo che dopo Ynis non avrei mai più avuto quel calore nell'anima, invece con Aislin ne ho provato uno ugualmente immenso, per certi versi maggiore e per altri minore. L'amore non ha quantità, limiti o peso. Ynis, se vedrai nell'Aldilà Aislin, siile amica. Se vedrai me, accoglimi senza rancore.”
Aislin si alzò mentre le sue ancelle entravano, pronte alla guerra.
Sarebbero state al fianco della loro regina, sarebbero vissute con lei o sarebbero morte con lei.
Iraen uscì dalla tenda, accanto all'entrata Gwin, l'orso di Aislin, riposava. Era primavera, era passato quasi un anno da quando aveva portato Amergin al Palazzo di Pietra. Gwin si era risvegliato dal letargo e ora era pronto a combattere. Non sapeva bene in che modo comunicassero, ma sapeva che una volta legati a una strega non erano più “solo” animali.
L'orso si alzò, enorme, fissandolo con occhi pieni della sua stessa consapevolezza. Posando la mano sul muso bruno, sorrise amaro.
«Amico mio, proteggila.» Il grosso testone si inclinò appena e un lieve colpetto scostò la mano di lui. Iraen annuì. «Devo smettere di dire ovvietà, vero?»
Con un'altra pacca a Gwin, Iraen si allontanò. L'accampamento delle streghe era sorvegliato e circondato da una palizzata. I compagni animali delle streghe erano quasi tutti lì, decisi a lottare al fianco di chi avevano scelto. Gli hilm'een presenti non erano moltissimi, alcuni erano rimasti con chi non poteva combattere, al sicuro. Con chi era malato, debole, troppo giovane o anziano. Chi tra loro non si era sentito di affrontare altri uomini, pur abbracciando la causa della pace, era rimasto ad accudire quella che ormai era casa.
Entrando nella zona dell'accampamento riservata a loro, Iraen vide venirgli incontro un paio di compagni.
«Iraen, siamo pronti.»
«Ottimo.» Li studiò. Gli hilm'een erano per lo più ottimi arcieri, ma ognuno di loro portava anche una sciabola al fianco, se non due.
Si stavano raccogliendo attorno a lui, un centinaio di hilm'een con i visi seri, dipinti con i colori della guerra. Strisce nere e scarlatte sugli occhi, vestiti con armature di cuoio a scaglie, silenziosi, attendevano lui.
“Vogliono che dica qualcosa. Ma cosa? Mi vedono come un capo... ma non l'ho mai voluto.”
Eppure era così che lo consideravano. In tutti quegli anni aveva lavorato per fare in modo che accettassero il cambiamento, avevano riposto la loro fiducia in lui, avevano ascoltatole sue parole facendole loro, i suoi ideali erano stati abbracciati e questo era ciò che ne conseguiva. Lo vedevano come un re senza corona, cosa che non era, in realtà.
«Oggi sarà l'ultima battaglia. Guardiamoci in faccia, l'un l'altro. Abbracciamoci e salutiamoci, potremmo non vedere assieme una nuova alba. Chi di noi però sarà ancora qua vivrà sotto il cielo, senza temere mai più, senza essere cacciato, additato, umiliato. Liberi, in un mondo equo e privo dei rancori e del sangue che ci hanno portato fino a qua. Abbiamo in noi la memoria di due popoli, abbiamo due cuori, due anime. Siamo hilm'een, coloro che stanno nel mezzo. Eravamo nulla, ora siamo il legame tra uomini e streghe, l'inizio di una nuova era.» Il silenzio lo circondava, occhi attenti, pieni di determinazione. «Abbiamo figlie che sarebbero uccise, abbiamo amori, abbiamo vite in entrambi i mondi. Siamo qua, oggi, perché rimangano uniti, perché non ci sia più odio o paura, perché ci sia libertà sotto il sole e nella terra. Non abbiate nessuna remora, nessun dubbio, siamo qua per vincere, e vinceremo!»
Fu il suono dei piedi battuti al suolo il cupo inno alle sue parole. Un tonfo sordo, profondo, che sembrò scuotere la terra stessa. Non urlarono, non applaudirono, fecero sì, però, che la terra rimbombasse come i loro cuori.
Iraen annuì. Era l'ora, l'alba era una fiamma che incendiava l'orizzonte.
Prese le armi e si avviò, seguito da un centinaio di hilm'een silenziosi.
L'esercito di Aislin si mosse, riversandosi al di fuori dell'illusione che aveva creato Amergin, capace di ingannare gli occhi degli uomini all'interno delle mura. Sentirono fin da lì il suono dei corni, i rumori delle entrate che venivano sbarrate e Iraen immaginò ci fosse il panico.
Mai nessuno avrebbe immaginato che in quel fragile vecchio ci fosse tanto potere e tanta conoscenza. Travalicava ogni aspettativa.
Aveva messo al loro servizio i suoi poteri, chiamando accanto a sé una decina di altri druidi, giunti durante l'inverno alle loro porte, silenziosi come tentacoli di nebbia erano comparsi davanti alle entrate del Palazzo di Pietra. Uomini e donne, delle più differenti età, vestiti di bianco e con la stessa aria solenne di Amergin. Aislin li aveva accolti e in quei lunghi mesi di freddo avevano insegnato alle streghe quello che potevano.
Il vecchio canuto rimaneva, però, inequivocabilmente, il possessore di un potere e un talento che travalicava quello di tutti gli altri druidi riuniti. Da solo aveva occultato l'intero cuore dell'esercito, mentre i restanti druidi si erano uniti alle truppe che si nascondevano nella foresta attorno alla città, celando i rispettivi drappelli. Mentre Aislin avrebbe attaccato le mura frontalmente, distraendoli, in un punto opposto i gruppi si sarebbero riuniti facendo crollare le mura, entrando in città. Probabilmente a quel punto gli uomini avrebbero fatto una sortita, immaginando che uccidendo la regina tutto l'esercito si sarebbe disperso o, comunque, trovato in tali difficoltà da poter avere la meglio.
Caricarono, arrivando fin sotto le mura e iniziando l'assalto. I compagni animali delle streghe, quelli in grado di volare, facevano cadere sugli spalti fiale di quello che il druido aveva chiamato fuoco liquido. Era una miscela di sostanze unita a un incantesimo che faceva sì che, una volta infranto il contenitore, prendesse fuoco. Nulla poteva spegnerlo, consumava la carne fino alle ossa e la pietra stessa, scavando e ardendo. Si iniziavano a vedere le prime fiamme e a sentire le grida degli uomini che si consumano come torce, in preda al dolore spesso si lanciavano oltre le mura, cercando un modo per porre fine al supplizio.
I difensori si trovarono a non poter rimanere a baluardo degli spalti sotto quella minaccia che pioveva dal cielo, le alte scale d'assedio non furono sganciate e i primi combattenti corpo a corpo tra streghe e soldati umani erano in atto. Iraen vide Aislin salire tra i primi e si lanciò dietro di lei. Era affiancata da un manipolo di fedelissime e di Cail'ka, tra le più feroci e forti. Eppure era così tanta la pressione a cui erano sottoposte, che fin da subito le prime streghe a difesa della regina caddero.
L'odore del sangue e della carne bruciata, del metallo fuso e quello acre della pietra rovente era disgustoso, il fumo pungente faceva lacrimare gli occhi e rendeva difficile respirare.
Iraen si trovò a gridare, combattendo con ferocia, la sciabola che ruotava tra le sue mani, il piccolo scudo rotondo che parava i colpi delle lame dritte degli umani. Con la coda dell'occhio vide una lunga vipera mordere un soldato, poi un altro, per poi tornare tra gli abiti della sua strega. Dall'alto, con precisione chirurgica, continuavano a piovere le ampolle, ma l'hilm'een sapeva benissimo che non sarebbe durato ancora per molto. Il cielo, fino a poco prima limpido, iniziò a coprirsi di nubi cupe e cariche di pioggia, un vento feroce prese a sferzare il suo volto e il rombo di tuoni scosse la terra per un lungo attimo.
«Sono gli uomini! Sono loro che manipolano il cielo!»
Non sapeva chi lo aveva urlato, ma si trovò perfettamente d'accordo.
«Dalla regina, presto! La regina!»
Quelle urla lo spronarono, non era molto lontano; vedeva le corna sul capo di Aislin svettare e triplicò i suoi sforzi, abbattendo con una rapidità inumana tipica degli hilm'een qualunque avversario. Al centro del vortice caotico di combattimenti attorno alla sovrana delle streghe c'era calma, Iraen percepì sulla pelle stessa il formicolio della magia di lei che si levava a contrastare quella dei druidi rinnegati. Amergin e gli altri non potevano intervenire, avevano un compito, e lei era stata istruita nella magia degli uomini in modo da comprenderla e contrastarla.
Il formicolio si fece quasi doloroso, mentre la regina pareva brillare, le corna sul suo capo luminose al punto di essere accecanti.
Accanto a Iraen apparve Gwin. Non si chiese come il gigantesco orso fosse stato capace di arrivare fin lì, ma ora tutti i compagni animali erano con le loro streghe su quelle mura che si stavano coprendo di fuoco e sangue.
Il clangore delle armi era ovunque, le urla degli uomini, di dolore o di guerra, erano assordanti.
Iraen combatté, colpo su colpo, affondo, parata e stoccata, la lama curva e forgiata dalle streghe che non perdeva mai il suo filo era coperta di rosso come lui.
La voce della regina delle corna si levò in un canto senza parole, sovrastando ogni cosa.
Tutto sembrò azzittirsi: il cielo e la terra, gli uomini e perfino il vento sferzante cessò di colpo. Inumano, potente come la terra stessa e altrettanto antico, quel suono che usciva dalla gola della regina raggiunse il cielo, colpendolo e disperdendo le nubi. Non ci sarebbero stati fulmini ad abbattersi su di loro.
Con urla potenti, esaltate dal successo della loro sovrana, le streghe raddoppiarono i loro sforzi. Come se una diga si fosse aperta, una marea di incantesimi si riversarono sui difensori, facendoli indietreggiare sempre di più e, senza sapere bene come, Iraen si trovò a lottare tra le strade.
Gli ordini erano chiari, non uccidere i civili se non fosse stato necessario, ma su di loro si gettavano anche vecchi e donne con armi improvvisate, costringendoli alla difesa. Squarciando il ventre di una vecchia, Iraen sentì l'orrore che aveva tenuto a bada sommergerlo.
Combatté contro quell'ondata di emozioni e l'allontanò. Non era quello il momento.
Non era mai troppo lontano da Aislin, si muoveva ai confini del compatto muro di difesa attorno a lei.
Sentiva le voci ingiuriare le streghe, chiamandole demoni, mostri, creature malvagie. Vedeva il terrore negli occhi di chi posava lo sguardo su quelle guerriere selvagge e poteva capire come le vedessero. Dipinte, ornate di zanne, teschi e piume, erano spaventose. Come lui, del resto.
Si allontanò, cercando un punto più calmo per respirare. Il sole era quasi al suo culmine, aveva combattuto senza sosta per ore e aveva bisogno di bere. Prese dal fianco il piccolo otre e lo svuotò, ansante.
Li stavano circondando, presto li avrebbero chiusi e non ci sarebbe stato scampo. Sorrise, alzando lo sguardo alla volta celeste di nuovo sgombra.
“Ci sono giornate peggiori per morire, l'importante è lo scopo, no? Spero i druidi si muovano e facciano cadere presto quelle mura.”
Riprese a combattere, entrando in quel vortice che difendeva Aislin con una smorfia ferina.
Perse la cognizione del tempo e solo l'arma, che pareva sempre più pesante tra le sue mani e il dolore delle decine di ferite minori che gli costellavano il corpo, gli ricordavano che era ancora vivo, che lo era anche Aislin.
Un boato colossale attraversò l'aria e la terra sotto i loro piedi tremò: molti caddero al suolo e dopo un istante un suono di corni concitati trasmise nuovi ordini alle truppe della città. La pressione su di loro diminuì e Aislin innalzò un grido di guerra, un urlo di potere che fece scorrere nuova linfa nelle membra stanche delle streghe.
Ogni compagno animale innalzò a sua volta un verso: ululati, ruggiti, squittii o sibili che fossero, e di volta in volta, come un'onda che dilagava dal suo centro quel suono rinvigorì spirito e carne.
Agli incantesimi dei druidi che difendevano la città si era opposta Aislin, dando fondo a ogni briciola di energia che le scorresse nelle vene, dimentica di sé, del suo respiro, del suo corpo.
Nessuna avrebbe dovuto morire, finché il suo cuore batteva ognuna di loro avrebbe dovuto vivere.
Il suo canto dava la vita e la morte, difendeva le sue truppe annullando gli attacchi e colpiva gli uomini.
Impreparati a veder disperdere la loro magia i druidi erano stati inutili, e ora l'attacco che divideva la città in due fronti aveva dimezzato le forze sempre più esigue degli umani.
Combatterono senza posa e il sole si spostò nel cielo fin quasi a toccare l'orizzonte, prima che un lugubre suono si propagasse.
Gli uomini indietreggiarono e abbassarono le armi, mentre bandiere di resa venivano sventolate.
Un grido di vittoria esplose, innalzandosi al cielo e rimbombando contro le mura.
Iraen si mosse per raggiungere Aislin, il bagliore delle corna si era affievolito sempre più e una sensazione fredda gli ghermiva il cuore.
«Come sta la regina?» chiese, facendosi largo a forza.
Poi la vide, sostenuta da due Cail'ka, circondata da altre del loro ordine svenute o talmente prostrate dalla fatica da aver perso la vita e Iraen capì. Non era stata solo il bersaglio di attacchi fisici, ma tutta la magia dei druidi alla fine si era riversata su di lei, cercando di schiacciarla. Sentì i brividi scuoterlo sempre di più mentre si avvicinava. Nessuno lo allontanò, mentre gli occhi della strega incontravano i suoi, illuminandosi nel riconoscerlo in un ultimo bagliore di vita che si spense davanti a lui.
«Aislin! No!»
L'urlo di dolore era come il ruggito di una bestia ferita al cuore, morente. Si lanciò, facendo scivolare tra le sue braccia il corpo della regina delicatamente, negando con tutta la voce che aveva quello che aveva visto.
Luttuosi suoni lo circondarono, il ruggito di Gwin era straziante quanto quello dell'hilm'een.
Negava scuotendo il capo quello che non poteva accettare.
Fino all'ultimo aveva sperato, aveva pregato, di non vederlo accadere, che non succedesse quello che più di ogni altra cosa aveva il potere di dilaniarlo.
Era viva fino a un secondo prima, l'aveva guardato e solo allora aveva ceduto, ogni forza consumata.
Continuò a chiamarla per nome, una cantilena di disperazione e angoscia, stringendo a sé quel corpo che diventava sempre più freddo. Attorno a lui si creò un cerchio del pianto, mentre le reggenti si occupavano della guerra, mettendo il dovere davanti al dolore.
Avevano vinto, ma a un prezzo che all'hilm'een pareva troppo alto.
«Aislin, Aislin, amore mio, ti prego no... no!»
Sentiva le lacrime sul suo volto, le vedeva mentre scivolavano fino sul viso di lei, bianco. Cadevano senza posa, era incapace di fermarle.
«Aislin... amore apri gli occhi, ti prego!»
Singhiozzò, disperato, stordito dal dolore.
Cullò quel corpo come si poteva fare con una bambina, continuando a pronunciare senza posa quel nome, il dolore che gli ghermiva l'anima con artigli affilati, straziandola, spezzandogli il fiato.
Nessuno riuscì a togliergli il corpo della regina dalle braccia, lasciarono quindi fosse lui a trasportarlo fino al campo, dove avrebbero preparato la salma perché tornasse a fare parte della vita.
Rimase in silenzio mentre la notte calava, immobile, vegliando con poche tra le più amate della regina quel corpo che era stato lavato.
Non si mosse, il tempo passò, tutto era confuso per Iraen, l'unica dolorosa certezza era la morte di lei. «Così bella...» sussurrò nella luce dell'alba. Il chiarore illuminava il viso di Aislin, sereno nella pace della morte: aveva compiuto il suo dovere, la sua gente era salva. Aveva visto che Iraen era ancora vivo con i suoi occhi e solo allora aveva ceduto, solo allora aveva abbandonato quelle spoglie mortali.
“Una regina ha due cuori”, gli aveva detto Aislin una volta. “Uno è della sua gente e batte solo per loro, ma l'altro è il suo, quello che ama, quello di donna.”
Aveva salvato il suo popolo e aveva visto che anche lui era incolume. Solo allora si era arresa, pagando il tributo che la sua magia aveva richiesto.
Iraen non sapeva se in quella notte aveva mai smesso di piangere, ricordava confusamente che qualcuno lo faceva bere e mangiare, che gli lavava il viso e le mani, togliendogli l'armatura.
Sapeva di avere abiti puliti addosso, e di non avere più sulla pelle l'odore del sangue.
Però nulla di tutto ciò riusciva ad avere la benché minima importanza.
Vide che un gruppo di streghe spostava la sua amata regina, adagiata su una lettiga piena di fiori e verdi serti intrecciati.
«Cosa le volete fare?» avanzò, allarmato. Cosa volevano fare alla sua Aislin?
«Quello che è giusto.» Alzò gli occhi, trovandosi davanti il viso di Amergin, era stanco e livide occhiaie circondavano gli occhi antichi e profondi. «Lascia che riposi come le sue antenate, Iraen. Merita che tu sia lì con lei in questo ultimo viaggio.»
Silenzioso, seguì il druido, incespicando per un momento nei suoi piedi.
“Ultimo viaggio. Aislin, perché? Non ti sei risparmiata, sapevi. Sei avanzata verso la tua morte con l'orgoglio e la forza di una regina, amore mio. Enda saprà già di te, potrò mai avere la forza di consolarla, nel mio dolore? Aislin...”
Deposero la lettiga sopra una pira, mentre l'alba sorgeva il fuoco incendiò il legno, avvolgendo il corpo della regina delle corna, di Aislin la potente, come ora veniva chiamata.
“Per me sarai sempre Aislin, la mia amata.”
I canti di lutto riempirono la mente di Iraen, erano di conforto in un certo qual modo.
Rimase lì, il calore delle fiamme che gli arrossava il viso e asciugava le lacrime, fino a quando non ci fu che cenere. Solo allora una strega canuta accompagnata da un'altra di poco più giovane si fecero avanti, erano le reggenti.
In silenzio raccolsero le ceneri con la luce della luna e delle stelle che illuminava argentea la terra. Misero il tutto in due grosse ceste e le innalzarono al firmamento. Una magia antica nacque spontanea da ogni strega, dando vita a un vento dolce che sembrava levarsi dalla terra stessa per raccogliere quelle ceneri, spargendole ovunque, ridando una figlia della terra alla creazione stessa.
«Nel vento, nella pioggia, nelle profondità infuocate della terra e sulla foresta, Aislin la potente continuerà a vivere. Parte del tutto, parte di noi, ella non è morta, ma viva.»
Con un ultimo soffio le ultime ceneri si dispersero e Iraen smise di piangere.
Era morto ciò che si dimenticava e Aislin sarebbe vissuta per sempre.
Prese un profondo respiro, guardando la falce argentata in cielo e traendo forza da quelle parole si voltò, andandosene.
Aveva una figlia che aveva bisogno di lui, aveva promesse da mantenere.
La sofferenza non era quieta, non si era sopita, sarebbe sempre stata lì, lo sapeva. Sarebbe solo diventata una presenza fissa nella sua anima, a cui non ci si abituava mai davvero, ma con la quale si imparava a convivere.
Enda l'attendeva, una nuova regina doveva crescere in grandezza, saggezza e amore.
Sua figlia aveva bisogno di lui per continuare quella pace per cui Aislin era morta.
Non sarebbe stato un sacrificio vano, non l'avrebbe permesso.


 

E così la storia è giunta alla sua fine.
Grazie a tutti voi che hanno letto, che l'hanno apprezzata, sono contenta se per un po' vi ho fatto compagnia.
Grazie!

 


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!
Fa piacere anche un piccolo segno, come metttere la soria tra preferiti e seguiti, nel caso vi abbia interesssato :D

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