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Autore: Egomet    21/03/2009    3 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando la mattina dopo si svegliò, era appoggiato con la schiena al divano. Si stropicciò un occhio assonnato e si alzò. Aveva tutti i muscoli tesi e indolenziti per la scomoda posizione.
Lo zaino che la sera prima era sul divano accanto a lui, non c’era più. Probabilmente Francesca era andata a scuola.
Che strana ragazza, pensò.
Non sembrava intimorita da quello che doveva affrontare. Va bene che non si erano mai spinti a parlare “a cuore aperto”, però non si era mai mostrata fragile.
O almeno, questa era l’impressione che dava.
Il professore stava scrivendo alla lavagna il testo del problema che i ragazzi avrebbero dovuto risolvere. Il pennarello blu scorreva veloce sulla superficie bianca, tracciando parole e lettere. Infine un triangolo rettangolo in basso a sinistra, bello grande e preciso.
Il professore si allontanò dalla lavagna, chiudendo il tappo del pennarello e sedendosi alla cattedra.
I ragazzi stavano ricopiando la traccia e quando tutti ebbero finito, calò il silenzio, segno che tutti erano concentrati per risolverlo.
Francesca guardò il suo problema, un triangolo rettangolo disegnato accanto al testo. Per prima cosa segnò gli angoli ai vertici, indicandone l’ampiezza.
Diede un’occhiata alla figura e scrisse le incognite che doveva trovarsi.
Poi, infilata la matita fra i denti e sollevatala in aria come se fosse una sigaretta, rifletté cercando di ricordarsi le formule.
La sua amica, Paola, alla sua destra, scarabocchiava figure ai margini e sembrava avere già intuito cosa bisognava fare.
Francesca sapeva risolvere quel problema, credeva di aver trovato la soluzione.
Iniziò, presa dall’eccitazione e dall’entusiasmo di ottenere un bel voto, e scrisse la formula principale.
Poi cominciò a calcolarsi il primo cateto con i dati che aveva e poi…
Si bloccò improvvisamente.
Un senso di nausea, fortissimo, le salì lungo lo stomaco, fino all’esofago per poi arrivare alla bocca. O cavolo.
Si scostò bruscamente dal banco, chiuse gli occhi tentando di non farsi prendere dall’agitazione; provò a dimenticarsi della nausea che l’aveva assaltata senza preavviso. Guardò di nuovo il suo triangolo rettangolo.
Ma non ci riusciva, sentiva che non avrebbe resistito.
Cercò lo sguardo della sua compagna, ma lei era tutta presa dal risolvere quell’esercizio.
Lentamente alzò la mano.
-Professore?- lo chiamò, pregando che facesse in fretta.
L’uomo dietro la cattedra, sorpreso, alzò lo sguardo fissandola ragazzina.
-Professore, non mi sento molto bene, potrei andare al bagno?-
A quella battuta tutta la classe si voltò a guardarla. Ma nessuno, eccetto Paola che le rivolse uno sguardo più preoccupato del solito, sembrava veramente in pensiero; la bionda la tranquillizzò con un veloce sguardo, si alzò e percorse a passo svelto il tragitto dal suo posto alla porta.
Una volta fuori, si precipitò al bagno, si infilò in un cubicolo e chiuse forte la porta.
Le scritte ricoprivano tutto il muro, alcune marcavano persino la superficie del gabinetto.
Francesca si inginocchiò e aggrappò le mani alla tavoletta.
Deglutì a vuoto, incominciando a sudare e protendendosi in avanti.
Fece dei piccoli respiri per calmarsi, pregando che succedesse tutto in fretta.
Sentiva il voltastomaco crescere e arrivare quasi alla bocca, ma era come se si fermasse proprio alla fine.
Stette in attesa, respirando forte per un paio di minuti. Ma niente.
Quanto detestava quando succedeva così.
Quando non si voleva decidere, e intanto lei rimaneva sempre con quel suo senso di nausea che la faceva sentire uno schifo.
Mentre pensava questo, tutto d’un colpo il rigetto le arrivò in bocca, e lei sputò fuori il vomito.
Il conato fu abbastanza normale, anzi meno dell’altra volta. Una volta finito il primo, ebbe qualche attimo per riprendersi, e poi arrivò puntuale il secondo.
Stavolta vomitò molto di più.
Quando anche quello terminò, disgustata di vedere il colorito verde, arancione e giallo che aveva gettato, schiacciò con una mano il pulsante dello scarico.
Tremava tutta, e aveva ancora in bocca quel sapore vomitevole. Respirando forte, a scatti, si alzò in piedi. Le gambe facevano Giacomo-Giacomo, e per non cadere dovette reggersi al muro.
Raccolse i capelli dietro le orecchie e sputò ancora un po’ di rigetto. Sentì bussare alla porta, disse
-Occupato-
-Scema sono io-
Riconosciuta la voce aprì subito la porta.
Paola la guardò preoccupata mentre andava verso i lavandini.
-Fatto?-
-Fatto-
Francesca aprì il getto dell’acqua e si sciacquò la bocca come meglio poteva; prese un fazzoletto e si asciugò la fronte bagnata di sudore, ed era pronta a tornare in classe.
-Sei tutta bianca- commentò l’amica, sempre osservandola a distanza.
-Tanto non si nota- decretò sicura la bionda, sistemandosi i capelli.
-Comunque il problema se vuoi te lo faccio io. Perché non ti fai venire a prendere? Dici a tuo padre che ti sei sentita male- suggerì Paola.
L’altra si irritò.
-So farlo benissimo il problema, è solo che all’improvviso mi ha preso il vomito. E poi da mio padre non voglio farmi venire a prendere-
Uscirono dal bagno e tornarono in classe. Disse che si sentiva meglio, anche se quello non era affatto vero; aveva tanta voglia di andare a dormire.
Però si sedette composta al suo posto e riprese il problema da dove l’aveva lasciato.
La verità era che, avendo lasciato casa, era andata a vivere da quel ragazzo lì. Non voleva l’aiuto né di colui che si professava suo padre, né di quell’altro. Poteva farcela benissimo da sola.
E non le importava se era una stupida testarda. Era fiera di esserlo.
 
Quando la campanella suonò la ressa di studenti si precipitò fuori. Paola si affiancò all’amica e le domandò
-Se ti va puoi venire a mangiare a casa mia oggi-
La bionda scosse la testa.
-Non posso, oggi torno a casa-
-Casa quale?-
-Casa mia. Mi sono scordata una cosa-
Nemmeno quella era la verità. Ma ormai era diventata così abile nel dire bugie, dato che le raccontava spesso, che risultava molto credibile.
In realtà andava a casa sua per dire la verità al suo, diciamo così, tutore. Ci aveva pensato tutta la sera e la mattina, e aveva deciso che per una volta dire la verità sarebbe stata la cosa migliore.
In brevissimo tempo fu sotto al portone; lui doveva essere in casa, perché riconobbe la macchina parcheggiata sotto. Sbuffò, scocciata per doverlo affrontare ancora. Poi premette il campanello.
-Sono io- disse, e il portone si aprì. Ripassò mentalmente il discorso che si era preparata mentre saliva le scale.
Trovò la porta già spalancata e un uomo che la aspettava.
Damiano si precipitò immediatamente sulla soglia, osservandola.
-Cosa significava quel biglietto di ieri?- chiese subito.
-Posso entrare a mangiare?-
-Certo-
Così dicendo, si spostò e la ragazza entrò nell’appartamento, superandolo impassibile.
Damiano richiuse il portone e si voltò ad osservarla.
Francesca lo guardò.
Gli occhi, azzurri come i suoi, saettavano preoccupati sul suo viso, cercando di capire cosa le fosse successo.
-Damiano, devo dirti una cosa-
Lui si sedette al tavolo e la bionda fece lo stesso. Iniziarono a mangiare il pranzo che aveva preparato l’uomo.
Lui non ci riusciva, però. La fissava incantato come se non credesse di vederla lì di fronte a sé.
-Non puoi sparire così e non tornare a casa. Mi hai fatto preoccupare-
Sai quanto mi importa, aggiunse lei mentalmente, ma non rispose.
-Dove sei stata a dormire?-
-A casa di un’amica, te l’ho detto-
-Potevi dirmelo-
Lei ingoiò i maccheroni e li masticò lentamente, guardandolo negli occhi. Sembrava preoccupato e sollevato al tempo stesso.
Preoccupato per esser tornato dal lavoro e non averla vista, e sollevato perché era tornata a casa. D’altronde non era la prima volta che lo faceva; ricordò con un sorriso forse illegittimo, che a dodici anni si era rifiutata di stare a casa da lui perché l’aveva vista baciarsi col suo primo fidanzatino; Damiano aveva fatto il diavolo a quattro come qualsiasi padre e cominciato a dire che doveva lasciarlo perdere.
Lei orgogliosa come sempre, preso zaino e pigiama, era andata per davvero a dormire dalla sua amica. Credeva di sfidare il mondo e che quella fosse una cosa importante.
Forse ora sì che lo era.
-Cosa c’è, è un altro fidanzato?- domandò con un sorriso tirato.
-Non proprio-
Tenne ostinatamente lo sguardo fisso sul piatto.
-è che… è successa una cosa importante e volevo che la sapessi. Perché dopo non possiamo più continuare così-
Quelle parole resero pallido Damiano.
-Ma insomma che è successo?-
La sua voce aumentò di tono, facendosi più severa. Lei temeva che si mettesse ad urlare. Ma tanto non sarebbe mai tornata indietro.
-Ho conosciuto un ragazzo, sai…-
Doveva dirglielo.
-…e?- incalzò lui.
Francesca alzò finalmente i suoi occhi in quelli dell’uomo, teoricamente suo padre.
-Io aspetto un bambino-
Ecco, gliel’aveva detto.
Damiano schiuse lentamente le labbra, guardandola perplesso.
-Cosa?- fu tutto quello che riuscì a dire dopo un attimo di smarrimento.
Lei non disse altro, ma tornò a mangiare il suo pranzo.
-Cosa significa che aspetti un bambino?- l’uomo smise di mangiare e alzò davvero la voce.
La bionda si fermò, imitandolo. Ora iniziava sul serio a rompere.
-Cosa significa? Significa che ho scopato con uno, i suoi spermatozoi hanno fecondato il mio ovulo e ora ho un bimbo nella pancia! Sei sconvolto? Ti ha bloccato la crescita? Non le sapevi queste cose?- gli gridò contro.
-E ti sembra una cosa normale? Vieni a dirmelo ora?-
Damiano parve accorgersi solo ora che stava urlando; si calmò, deglutendo.
Poi chiese di nuovo, quasi in un sibilo
-Chi è questo ragazzo?-
-Uno-
-Smettila di fare l’arrogante con me-
Francesca alzò lentamente lo sguardo su di lui, stringendo gli occhi; quella non era mai una buona cosa, aveva imparato Damiano.
Lasciò perdere il cibo e si alzò in piedi.
-Altrimenti cosa mi fai?- disse, scandendo bene le parole e pronunciandolo con strafottenza.
Anche l’altro si alzò, superandola di molto e incrociando le braccia.
Gli tremavano le labbra.
-Basta. Non puoi dirmi una cosa del genere così. Da quant’è che lo sai?-
-Due settimane. Sono al secondo mese-
-E quand’è che pensavi di dirmelo? Sono tuo padre!-
Questo era troppo, per i suoi nervi pronti a scattare. Le fiammeggiarono gli occhi quando pronunciò con tutto il disprezzo che riusciva a mettere insieme
-Tu non sei mio padre-
Damiano si immobilizzò.
Poi uno schiaffo volò in faccia alla ragazza, che però non indietreggiò.
-Come ti permetti di dire questo? Dopo tutto quello che ho fatto per te! Io ti voglio bene come se fossi mia figlia!-
-Ma io no. Forse è meglio se te ne cerchi un’altra, che ti voglia bene magari-
La situazione era degenerata.
-Lasciami in pace, Damiano-
Lo superò, ignorando tutto quello che le diceva, e uscì da quella casa. Era l’ultima volta che vi avrebbe messo piede. Quante volte aveva desiderato che un bel giorno, venisse all’orfanotrofio una coppia di signori.
L’una sarebbe stata bionda come lei, e avrebbe avuto un gran sorriso. L’uomo sarebbe stato alto, con i suoi occhi azzurri, e molto bello.
Che fantasia sciocca da bambina, pensò dandosi della stupida.
Subito dopo però, inspiegabilmente, le pungevano gli occhi, come se volesse piangere.
 
Davide aveva finito il suo turno al bar. Lei ancora non si era vista; incominciava a chiedersi che fine avesse fatto. Gli aveva detto che dopo la scuola andava al bar dove lavorava.
Ma quella mattina non si era fatta vedere. Che fosse nuovamente tutto un ridicolo scherzo?
Stava salendo le scale del suo condominio, e arrivato al suo piano, si bloccò.
-Era ora. Dove sei stato?-
Francesca stava lì, seduta a terra, col broncio sul viso e ora lo guardava.
-Potrei farti la stessa domanda- rispose lui, mentre infilava la chiave nella toppa.
La ragazza lo seguì entrando dentro.
-Hai già mangiato?-
-Sì, sì……- lei agitò una mano con fare annoiato, poi si fermò mentre andava di là.
-Posso andare di là?-
Davide fu sorpreso dalla richiesta formulata con tanta gentilezza, tanto che si accigliò.
-Ah sì, certo!- si affrettò ad aggiungere.
La guardò andare di là, e sparire nella stanza da letto.
Chissà cosa le era successo; di certo non avrebbe osato domandarglielo.
Si cucinò qualcosa di veloce, tanto non aveva molta fame.
Quella mattina, prima di andare a compiere il suo turno al bar, era passato con la macchina all’ospedale. Se non ricordava male, un suo amico gli aveva detto che si era trovato particolarmente bene con un certo ginecologo che aveva assistito la moglie. “Un tipo molto professionale, serio e disponibile”. Gli sembrava adatto.
Così, giusto per farsi un’idea, aveva domandato un appuntamento, fissato per la prossima settimana.
Ora restava un problema non meno grave, cioè dirlo a Francesca e convincerla a farsi visitare.
Pensò che fosse meglio farlo prima.
Quasi un’ora dopo, si sentiva così in pace, in quel silenzio che regnava sovrano, che si era dimenticato di avere un’ospite in casa.
Sentendola così silenziosa si insospettì e andò verso la stanza da letto.
La scena che gli si presentò lo fece leggermente stupire.
La bionda stava sdraiata sul letto girata su un fianco, gli occhi chiusi e un braccio messo sotto la testa. Che strano spettacolo, pensò lui.
Temendo di svegliarla, si ritirò di là chiudendo la luce e la porta.
Un’altra ora dopo, fatta la doccia e indossando i suoi jeans nuovissimi, stava seduto sul divano a leggere il giornale. Nemmeno si accorse che la ragazza gli era arrivata alle spalle, finché non sbadigliò e si sedette accanto a lui.
Francesca afferrò il suo zaino, e ne estrasse un libro con aria stanca.
-Buongiorno- disse lui –avevi sonno?-
-Veramente ce l’ho anche ora il sonno… è solo che dovevo farmi i compiti…-
Così dicendo aprì una pagina e iniziò a leggerla, appoggiandosi allo schienale.
Davide controllò l’orologio.
-Senti, io fra un po’ dovrei andare al bar-
-Posso stare con te? Non voglio rimanere da sola- chiese.
Aveva i capelli un po’ arruffati e le palpebre stanche; non aveva la solita aria distaccata.
-Sicura? Guarda che poi ti annoi- l’avvertì.
-Tanto poi esco con le mie amiche-
Qualche minuto dopo camminavano affiancati lungo la strada. Il ragazzo pensò fosse il momento buono per dirglielo.
-Sai, ho fissato un appuntamento per te la prossima settimana-
-Che appuntamento?- domandò lei brusca.
-Dal ginecologo-
-Tu hai fatto cosa?-
Ebbe l’impressione di non aver fatto esattamente la cosa a lei gradita.
-Quindi…… tu vuoi andare in fondo a questa storia? Ma sei sicuro?-
-Sicuro di cosa?-
-Be’- iniziò la bionda, spostando lo sguardo altrove –un bambino ti complicherebbe le cose, immagino-
-E che devo fare? Mica possiamo gettarlo in mezzo alla strada- sorrise lui, un sorriso ironico ma teso.
Cosa voleva significare quel discorso?
-Sei stato gentile ad ospitarmi- disse –ma io non voglio mica farti problemi. Se tu questo non lo accetti non c’è problema sai….-
-Ah, senti una cosa eh…- la fermò mettendole una mano sul giubbino.
-Forse ci siamo capiti male. Io non voglio farti abortire-
Francesca lo guardò strana.
Troppo strana. Quasi quasi avrebbe potuto dire stupita. Era certo che il suo cervello, sotto quella testa bionda, stesse lavorando parecchio.
-Veramente?- chiese infine.
-Veramente- ripeté.
Ricominciarono a camminare. Lui di tanto in tanto la guardava curioso; non aveva ribattuto nulla ma quella risposta sembrava l’avesse turbata.
Lei intanto rifletteva rapida. Una risposta del genere non se l’aspettava proprio.
Si morse la lingua, imprecando mentalmente.
Possibile che proprio a lei dovesse capitare uno gentile e premuroso?
Porca miseria.
 
Francesca scriveva veloce sul suo piccolo quaderno con la penna blu, seduta sullo sgabello appoggiata al bancone alto, di legno. La superficie era liscia, e un bicchiere mezzo pieno di acqua era poggiato accanto al quaderno.
Nel frattempo, nel retro una ragazza si stava guardando in uno specchietto. Per essere le sei del pomeriggio il locale era già pieno di gente; occasione per farsi dare un bel po’ di mance.
Silvia aveva già adocchiato un paio di uomini, da soli, seduti ai tavoli, e possibili dispensatori di soldi se avessero trovato una donna disponibile e sorridente. Quella donna era lei.
Si stampò sul viso un sorriso, gonfiò il piccolo petto ed entrò nel locale.
Aveva in mano un blocchetto e una penna. Volse uno sguardo alla biondina che stava scrivendo al bancone. La riconobbe come l’amichetta di Davide.
Troppa carne sui fianchi, si disse e compiaciuta di non avere quel problema, avanzò sicura nella sala.
-Ciao Davi- cinguettò allegra mentre gli passava davanti e gli diede un bacio sulla guancia. Lui arrossì impacciato e balbettò qualcosa. Lei oltrepassò il banco e si diresse ai tavoli.
Involontariamente (e come si poteva fare altrimenti?) Davide le fissò incantato il perfetto fondoschiena di cui era provvista e le belle gambe scoperte dalla gonna.
-Patetico- sibilò una voce.
-Come?-
-Sei patetico- Francesca alzò lo sguardo e lo fulminò strafottente –le hai guardato il culo tutto il tempo-
Il ragazzo arrossì e rispose qualcosa come ‘ma che ti impicci tu?’.
Lei scosse la testa e riprese a scrivere.
-E dovresti essere il padre di mio figlio- aggiunse sarcastica.
-Pensa la madre…- disse lui sottovoce.
-Cosa?-
-No niente-
Non convinta, continuò a fissarlo indispettita.
-Come si scrive ‘soprattutto’? Con tre o quattro ti?- domandò succhiandosi il cappuccio.
Davide ci pensò su.
-Quattro-
-Sicuro?-
-Boh, non lo so…- fece, perplesso; poi cercò con lo sguardo la bella cameriera che svolazzava per il locale.
-Silvia!- la chiamò –Con quante ti si scrive soprattutto?-
Lei lo guardò con un’espressione sorpresa.
-Tre- gli gridò di rimando, sorridendo.
-Che scema. Si può dire in tutti e due i modi, ignorante- commentò altezzosa la bionda.
-E allora se lo sai che cavolo chiedi a fare?- disse lui imbronciandosi e stringendosi nelle spalle, offeso per aver fatto la figura dell’ignorante. Ma che poteva farci?
Lui non era andato oltre i cinque anni della ragioneria, e se aveva ottenuto il diploma era già gran cosa.
-D’un tratto Francesca si illuminò e alzò la testa, con un sorriso poco promettente.
-è lei Silvia? Quella che chiamavi mentre…-
Ma non finì la frase perché il ragazzo le mise una mano sulla bocca.
-Non dirlo!-
-Avevo ragione! È quella che ti piace…- commentò sorridendo maliziosa e soddisfatta.
-Stai zitta! Va bene, lo ammetto…- si incurvò verso di lei, sussurrando per non farsi sentire –lei mi piace-
La bionda per tutta risposta avanzò col viso fino a toccargli la punta del naso col proprio.
Si morse un labbro.
-Ciao Davi- disse imitando la voce un po’ più bassa della mora.
-Smettila- ma intanto era arrossito.
Lei continuò ad ostentare quel sorrisetto compiaciuto che lo mandava in bestia.
Ad un certo punto chiuse il quaderno con uno scatto e balzò giù dallo sgabello.
-Esco un po’. Tanto dopo torno, quindi aspettami prima di andare a casa. Non voglio rimanere chiusa fuori di nuovo-
-D’accordo. Desidera altro, sua altezza?- domandò imbronciato lui, ancora irritato perché l’aveva preso in giro.
-No grazie. Ciao Davi-
Disse così, poi mentre stava andandosene si voltò sorridendogli maliziosa, sorriso che il ragazzo ricambiò triste. Che razza di seccatura.
  
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