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Autore: Riley Bee    11/03/2016    5 recensioni
Castiel fa lo scrittore e passa le sue notti alla ricerca di idee mentre, nella casa affianco, un ragazzo di nome Dean con la passione per la cucina è sveglio tanto quanto lui intento a preparare dei dolci. Il primo abita lì da anni, ma la metà della cittadina non sa che esista, il secondo, appena trasferitosi, aspetta l'arrivo del fratello approfittandone per cucinare nelle sue uniche ore libere. Si incontrano (sbadatamente) nelle loro notti in bianco a discutere degli argomenti più vari.
Castiel, freddo e scostante, si ritrova a non capire cosa gli sta accadendo. Come nella canzone dei Led Zeppelin, "the Rain Song", sente il ghiaccio del suo cuore sciogliersi sempre di più all'aumentare degli incontri notturni con Dean, senza capire cosa gli causa realmente questa sensazione.
(AU, Castiel scrittore, Dean cuoco)
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note dell'autore:
 
Eccomi di nuovo qua. Dopo due mesi (??) di attesa di cui non mi perdonerò mai  sono riuscita a pubblicare un capitolo che mi ha fatto penare come mai prima. Quindi non faccio altro che scusarmi per il ritardo ma gli impegni e altre cose avvilenti e noiose mi hanno rallentato il lavoro, oltre a continui e crescenti dubbi sullo sviluppo di questa storia. E' davvero la primissima in assoluto e non so come comportarmi.
Spero appreziate anche questa mia cosina e che non abbia deluso con il mio umorismo infimo e la mia lenta scrittura. In più ammetto di non aver riletto troppo bene questo capitolo quindi, se vedete errori di qualunque genere, siete libere di scrivermi e di farmelo notare appena possibile.

ps: consiglio per tutti gli aspiranti scrittori. Scrivere di notte è bellissimo ma il tuo cervello spesso fa errori orribili. Ergo: non spaventatevi di quello che leggerete la mattina dopo, come è successo a me, e non cancellate ogni cosa mandando a puttane tutto il lavoro di una notte. <3

Spero vivamente vi piaccia. ^^

-Riley

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Ottava Parte:

 

Dean non poté che sentirsi un idiota.

Sam lo guardò atterrito dalla porta di casa, la giacca in mano ed il borsone che gli pendeva pericolosamente da una spalla « Dean, è successo qualcosa? » disse stringendo gli occhi.

 

« Assolutamente nulla. » gli rispose il fratello con voce sprezzante e tirata in un'espressione sarcastica. Dean non credeva di sentirsi troppo bene, l'aria gli mancava e qualcosa, che gli ricordava vagamente il pentimento, gli si stringeva in petto in una stretta morsa di ferro.

 

Sam rimase in silenzio. Appoggiò la borsa sul divano e chiuse la porta dietro di se con espressione atterrita quando, con quel tono comprensivo da mamma che Dean odia, chiese « Se vuoi parlarmene... sai, sei libero di farlo »

 

« Oh si Sam » riprese Dean alzando di colpo il tono della propria voce « Poi magari finiamo di cucinare questi fottutissimi affari mentre guardiamo filmetti romantici e ci facciamo le treccine a vicenda. A papà farebbe proprio piacere »

 

L'espressione di Sam divenne più dura ma si mantenne alla larga dall'alzare a sua volta il tono di voce « Dean. Papà non può più giudicarti. Non sei più costretto a seguire le sue regole e... » spiegò nel tono più calmo possibile il ragazzo nel tentativo di calmarlo « Tu sei tu. Non tuo padre ».

 

Dean non rispose. Continuò a fissarlo, in silenzio.

 

« So che ti piace cucinare. Lo sapevo e lo tenevo nascosto a papà da un po'. Se è questo il problema sentiti libero di farlo, nessuno ti giudica » disse sospirando e avvicinandosi al bancone « Papà non è più qui e non tornerà di nuovo ».

 

« Sai cosa? Va tutto benissimo. Alla grande » continuò con fare seccato e distante mentre gli eventi di pochi minuti prima gli riapparivano in testa, tormentando la sua coscienza. Spense la radio che ancora andava in uno scatto secco, evitando la conversazione che il fratello cercava di mandare avanti a tentoni.

 

« Dean. Non puoi continuare a pretendere che vada tutto bene » riprese Sam alzando le spalle e abbassando le sopracciglia in un'espressione preoccupata.

« C'entra forse il ragazzo che è uscito? » azzardò infine.

 

Allora Dean spalancò gli occhi di colpo « Non ho bisogno di parlarne. Non ho bisogno di aiuto. Non ho bisogno della tua commiserazione. Non ho bisogno di ... » urlò – non ho bisogno di provare quello che provo ora -.

Si interrompette e si lecco le labbra prima di riprendere a parlare « Faccio casino con le persone intorno a me e non ho bisogno di sentirmi una merda per questo. Fine della questione. ».

 

« Non hai bisogno o non devi? Perchè non pensi a cosa vuoi davvero piuttosto di pensare di non meritare nulla di tutto questo continuando a seguire le vecchie regole di papà? »

 

« Non ricominciare, è frustrante » continuò evitando nuovamente la domanda.

 

« E' frustrante per me quando preferisci nasconderti invece di affrontare le cose, Dean » riprese il ragazzo inarcando le sopracciglia mentre si avvicinava al bancone.

 

« E continuerò a farlo » rispose con il sorrisetto più amaro e derisorio che potesse dargli « Ora ho solo bisogno di una birra, di lavorare e di soffocare in una lista di doveri infinita, se è necessario » disse stappandosi una bottiglia di birra presa poco prima dal mini frigo.

 

« Adesso, se non ti dispiace, non parliamone più » disse infine, portandosi la bottiglia alla bocca mentre si chiudeva in camera sua lasciando Sam con un punto interrogativo in fronte.

 

°

 

Castiel tornò a casa tremante. Chiuse la porta dietro di se, osservò le proprie mani tremare e il suo respiro appesantirsi di colpo. Si spostò in salotto a fatica nel tentativo di sedersi sul divano ma cadde a terra appena appoggiati i piedi sul tappeto.

Si sdraiò a pancia in su cercando di respirare più lentamente mentre ne contava il numero. Il respiro si regolarizzò dopo poco ma, il corpo pesante di Castiel, rimase sdraiato in quella posizione senza muoversi di un centimetro. Non poté fare a meno di pensare a quanto si fosse illuso. A come, quella piccola parte di lui, si fosse illusa alla speranza che, forse, sarebbe stato ricambiato. Perchè illudersi? Perchè rischiare così tanto? I libri parlano di storie a lieto fine, di amori romantici e tormentati ma, Castiel, non aveva mai realizzato la parte dolorosa. La parte che fa male e ti lacera dentro. Le cose che aveva letto, per tutta la sua vita, su questo tipo di dolore, non si avvicinavano neanche lontanamente alla realtà dei fatti. O, più esattamente, Castiel non credeva di essere mai riuscito ad immedesimarsi in un dolore, lì descritto ma, al suo mondo, totalmente sconosciuto. Non sapeva cosa farci, con tutto questo dolore.

 

Sentì il campanello suonare un paio di volte ed il suo cuore sussultò di colpo, portando subito la sua mente a chiedere – Dean? -. Ci spera. Spera che sia tornato, a dirgli che è stato uno stupido e che forse anche lui prova qualcosa, in fondo in fondo. Ma Castiel non può che sentirsi ancora peggio per essere così disperato da doversi illudere tanto.

Non si alzò. Non si mosse minimamente ai continui squilli della porta quando, infine, decise di alzarsi a guardare almeno chi fosse. La delusione comparve sul suo volto quando vide gli occhietti vispi e rotondi di una ragazza bruna e bassina, con addosso la divisa di Amazon nera e arancio.

Aprì la porta ringraziando la ragazza ma senza riuscire a risultare allegro o per lo meno a tirar fuori un briciolo di gentilezza. Firmò il foglio, prese la scatola e salutò la ragazza in modo freddo e silenzioso come l'aveva ringraziata poco prima.

 

Chiusa la porta alle sue spalle appoggiò la grande scatola sul tappeto blu e si sdraiò nuovamente dov'era prima. Rimase così qualche ora, crede. Non ricorda esattamente. Si lasciò andare, chiuse gli occhi e cercò di eliminare la canzone della pioggia che stava prendendo piede nella sua mente come un'intrusa tra i continui tentativi di eliminare i pochi ricordi degli ultimi due giorni.

 

Si alzò solo nel bel mezzo della notte.

Aprì la scatola con un piccolo taglierino per tagliare lo scotch e guardò le copertine colorate spiccare tra il cartone scuro e spento. Orgoglio e pregiudizio, Addio alle armi, I dolori del giovane Werther. Libri da lui già letti e studiati al tempo dell'università, quando ancora le sue aspettative sul futuro erano alte e sgargianti, ma mai davvero apprezzati del tutto. Ricominciò da capo. Sollevò il primo libro e iniziò a sfogliarlo delicatamente e a leggerlo fermandosi, di volta in volta, quando una frase o una nota di rilievo catturavano la sua attenzione. Voleva capire tutto ciò che poteva capire e, forse, sperava di trovare in questo modo strano ma, agli occhi di Castiel, dannatamente idoneo un rimedio al suo dolore.

Si addormentò tra i fogli e i libri aperti. Gli occhi stanchi e scavati si lasciarono andare così, come il suo cuore si lasciò trasportare dal gelo, congelandosi.

 

°

 

Dean non smise un secondo di pensare di essere stato un idiota.

Era notte ormai, non sapeva l'ora esattamente. Non pensò di guardare l'orologio, non gli importava troppo – idiota, idiota, idiota, idiota – fu l'unico pensiero che continuò a martellargli in testa tra un “non è colpa mia del resto, è lui che ha fatto quella cosa imbarazzante” ed un “sono una persona orribile, dovrei andare a ritirarmi sulle montagne del Vietnam”.

 

« fanculo » disse dal letto. Era sdraiato a pancia in su al centro del letto dalle lenzuola ancora sfatte con un braccio abbandonato lungo un fianco e l'altro posto a coprirsi gli occhi lasciandogli la mano a penzoloni a lato della testa.

 

« Ecco perchè sei single » sospirò deridendo se stesso prima di scoppiare in un'altra risata idiota.

 

Allora si alzò e, a piedi scalzi, sgattaiolò in cucina facendo attenzione a dove appoggiava un piede o a come apriva una porta per portarsi il più silenziosamente possibile davanti allo scuro bancone dove aveva precedentemente abbandonato i poveri cupcakes. Lì osservò indeciso sul da farsi.

 

Imprecò, di nuovo, soffocando un respiro prima di imboccarsi le maniche e riprendere il lavoro. A Dean piacque l'idea di utilizzare la scusa del “ho bisogno di fare qualcosa perchè non riesco a dormire e questo è tutto ciò che ho sottomano” ma passò molto velocemente, tra una stesura di frosting e un'altra, a “che cazzo, sarebbe stato uno spreco altrimenti”.

 

Non pensò troppo a Sam e al fatto che sapesse. Non gli importò più di tanto, o forse non gli diede il peso che pensava che gli avrebbe dato se lo avesse scoperto. Ma la vocina di mamma-Sam gli tornava ogni tanto a punzecchiarli il cervello quando pensava al ragazzo che poco prima era in quella cucina insieme a lui.

 

Non seppe mai come ma, Dean, si ritrovò a lasciare un piccolo vassoio candido e pieno di “mini-torte” sotto la porta della casa accanto ma, di una cosa, sicuramente si ricorda. Sopra la stagnola lasciò un piccolo post it arancione con la scritta “Scusa” in piccoli caratteri scuri. E Dean, se questa fosse una situazione normale (cosa che non è), non chiede mai, mai, scusa.

Pensò di fregarsene. Si disse che forse, per questa volta, poteva fare un'eccezione e mettere da parte quella sua orgogliosa arroganza. Pensò che quello potesse essere il minimo.

Non si chiese altro. Non si pose domane sul da farsi ma ritornò a casa si addormentò vestito e, svegliandosi all'alba andò a lavorare di tutta fretta evitando Sam e le sue occhiate.

 

°

 

Castiel si svegliò rigido e in un lieve velo di freddezza che, pigramente, gli ricopriva il volto. Riprese a scrivere. Non fece colazione, non uscì di casa a respirare aria pulita e non si cambiò d'abito. Passò in cucina alla ricerca di una tazza nel disperato tentativo di farsi del tè. Ma le tazze o erano sporche, sparpagliate una sopra l'altra, sul tavolo della cucina e sul bancone, o erano le due, linde e pulite, della mattina prima.

Non si fece il tè e tornò a scrivere nell'angolo sporco che era ormai il suo studio.

 

Castiel ne uscì solo la sera quando, un campanello a dir poco assillante, si intromise insistentemente nello spazio personale che era andato a crearsi lì dentro, tra i fogli silenziosi e il costante battere delle dita sulla consumata tastiera del pc. Trascinò le proprie gambe contro voglia verso la porta di casa. Aprì pigramente la porta rivolgendo al presente uno sguardo affilato e scocciato allo stesso tempo.

 

« Ehilà Cassie-Boy. Sono ESTREMAMENTE sorpreso di vedere il campanello funzionare. La prenderò come il primo passo per il tuo ritorno tra i vivi...» prese subito parola la voce squillante di un euforico Balthazar. Indossava una sciarpa viola con una pesante giacca nera aperta sul davanti che lasciava trasparire una maglia grigia con sopra un enorme fenicottero rosa affiancato dalla scritta “I'm ready to flamingle”.

« Ah, sembra che tu abbia già ammiratori » disse inclinando la testa verso il vassoio che teneva eretto con una mano all'altezza delle sue spalle.

 

Castiel spalancò gli occhi insicuro sul cosa pensare e, stringendo le labbra in una linea sottile spostò lo sguardo altrove e rientrò in casa senza una parola.

 

Balthazar spostò la testa a lato con fare interrogativo mentre si riportava l'ignorato vassoio davanti a se, osservando la schiena di Castiel allontanarsi all'interno della casa.

 

« Okay? Imbaaaaaarazzante » continuò mentre fluidamente entrò in casa chiudendo la porta e appoggiando il vassoio sulla mensolina sotto lo specchio all'entrata « Sono arrivato in un momento non esattamente adatto? »

 

Non ricevette risposta se non una gelida occhiata.

 

« Lo prenderò come un si, suppongo » disse portandosi la mano destra al mento, afferrando invece con la sinistra il gomito. Il silenzio tra i due sembrò, da come già era, moltiplicarsi e appesantirsi totalmente « Ti faccio del tè » esordì infine Balthazar mentre si liberava di giacca e sciarpa.

 

« Non ci sono tazze » gli rispose in tono monocorde mentre gli occhi vitrei e stanchi continuavano a fissare il vuoto con poco interesse.

 

« Quelle due sul bancone sembrano pulite » disse affacciandosi sulla porta della cucina e girando il polso in un movimento circolare mentre tendeva l'indice nella loro direzione.

 

« Quelle no »

 

Balthazar lo guardò sospettoso senza chiedere altro in proposito « Beh, lavane delle altre? » disse indietreggiando con la testa e sorridendo sarcasticamente.

 

« Non ho tempo »

 

« Castiel. Non puoi vivere senza tè, lo so. Cos'è successo? » lo guardò con una leggera nota di preoccupazione crescente.

 

« Sto aspettando che arrivino i bicchieri di carta usa e getta che ho ordinato su amazon »

 

Balthazar aprì leggermente la bocca e corrugò le sopracciglia. Mosse le labbra cercando di dire qualcosa ma si interrompette e aprì le braccia confuso « Biccheri di carta? Di quelli rossi e tristi da festa in stile college americano? Amico, il supermercato è a due minuti a piedi da qui. E faresti comunque prima a lavarle ».

 

Castiel non si scompose minimamente e continuò a rimanere nella sua rigidità statuaria nello stesso punto dove si era fermato. Lo sguardo ancora perso.

 

Balthazar sbuffò « Vieni in cucina e siediti ». Afferrò così le varie tazze e tazzine sparse qua e la e le ordinò sul lavandino mentre, da dentro uno straripante cassetto, tirò fuori un paio di guanti di gomma rosa « Ci penso io. Sia mai che perda l'occasione di mostrarmi come la casalinga sexy che sono del resto » disse ammiccando mentre tentava di indossava i guanti in modo (per nulla) provocante.

Castiel lo guardò soffocando un lieve sorriso. Balthazar ne fu sollevato e ammorbidì affettuosamente lo sguardo. Di scatto osservò le proprie mani che rigirò un paio di volte davanti a se per poi spostare il proprio sguardo su di lui « Rosa? Tu? ».

 

« Me li hai dati tu » disse pacatamente.

 

« Oh » si fermò a riflettere « Ora capisco perchè sono rosa » si spostò verso il lavandino portando i palmi al cielo « Resto in tema almeno » disse indicandosi la maglietta. Castiel sorrise e si sedette senza aggiungere altro.

 

Rimasero in silenzio finchè Balthazar non ripose i guanti ad asciugare e si spostò a sedere davanti a lui « Pensavo stessi andando bene Cassie. Sei tornato freddo e scostante così improvvisamente che mi preoccupi ».

 

« Sto solo scrivendo » cercò di giustificarsi invano.

 

« So che non è quello. La portinaia che è in me sa che c'è qualcos'altro sotto » disse arricciando il naso e appoggiandosi con entrambi i gomiti sul tavolo.

 

Castiel sospirò vistosamente « Okay» disse con la poca convinzione che riuscì a trovare « Ti racconto. Ma prima, un tè ».

 

°

 

« IO QUELLO LO UCCIDO » La voce scocciata di Balthazar regnava sovrana tra le pareti della piccola casa mentre un Castiel preso alla sprovvista cercava, inutilmente, di calmarlo.

 

« Insomma dopo tutto il resoconto da te fatto stavo iniziando davvero a shipparvi, capisci? » disse Balthazar che continuava a gesticolare in piedi davanti a lui « Già mi ero immaginato una grandiosa storia quando mi hai raccontato del “è solo un amico” che, diciamocelo, lo aveva capito chiunque che quella storia non reggeva proprio un fico secco, ma adesso. Insomma...» parlava con tono incalzante e deciso che a Castiel ricordò vagamente quello dei professatori religiosi o politici che, con i loro megafoni e banchetti vari, cercavano di intavolare discussioni “serissime” e di “altissima importanza” nelle piazze pubbliche cittadine « IO QUELLO LO UCCIDO».

 

« Stai iniziando a ripeterti » gli disse monocorde « Ti ho detto che va bene e che devo solo continuare con il mio romanzo. Nient'altro davvero ».

 

Balthazar sbuffò incrociando le braccia « Ora capisco il post-it. Tzè, è il minimo ».

 

Gli occhi di Castiel si illuminarono di interesse e speranza « Quale post-it? »

 

« Non lo hai visto? Sul vassoio di prima » disse indicando il corridoio d'ingresso con l'indice prima di tornare con le braccia incrociate nella sua funesta lotta interna contro Dean.

 

Castiel si avviò verso la mensolina dove era riposto, per rispondere ai quesiti della sua mente confusa. Il vassoio, sempre bianco, era ricoperto di stagnola a proteggere quelli che, Castiel suppose, fossero le mini-torte del giorno prima. Incollato sulla carta stava un piccolo post-it, questa volta arancione pastello, con su scritto a piccole lettere “Scusa”. Castiel sorrise. Non sapeva cosa pensare, o cosa potesse esattamente significare per Dean ma, quel piccolo gesto, gli lasciò speranza. Una speranza che però, si portava appresso, un agglomerato di dubbi e amarezza.

 

°

 

Scuse. La testa di Dean sta diventando un cumulo intricato di scuse su scuse. Giustificazioni su giustificazioni che, una persona come Dean, di certo non sa come gestire. I suoi pensieri saltellano tra il tornare da Castiel e il reprimere tutto ciò che sente. Il mandare a fanculo tutto e tutti sta diventando un'opzione anche troppo allettante per i suoi gusti.

 

« Stai attento! Che diavolo combini si può sapere? » disse Bobby mentre si asciugava la fronte e si rimetteva a posto il berretto stinto.

 

« Non preoccuparti. La faccio funzionare per domani se mi dai cinque minuti di pausa e un maledetto caffè » disse Dean senza uscire da sotto la macchina.

 

« Ragazzo. Ti faccio prendere una pausa solo per permetterti di andare a lavarti, Dio » gli disse in risporta Bobby che con fare scontroso indicò la chiazza d'olio che ricopriva il pavimento, i vestiti di Dean compresi.

 

« Sistemo. Tutto. » disse il ragazzo alzandosi e scollando la schiena dal pavimento sudicio « mi serve solo un caffè e torno al lavoro ».

 

« Ti stai sovraccaricando idiota » gli rispose incrociando le braccia davanti al petto « vai a casa e riposati prima di combinare altri danni, sistemo io ».

 

« Bobby, ti ho detto che posso farlo da solo » continuò insistentemente Dean.

 

« E io ti ho detto di portare il culo fuori di qui mentre vai a prenderti una fottuta pausa, o preferisci essere mandato a quel paese ragazzo? » disse tutto d'un pezzo Bobby mentre gli lanciava uno straccio per ripulirsi dell'olio.

 

Dean strinse gli occhi e serrò la bocca. Si passò lo straccio un paio di volte sulle mani e, appallottolandolo da una parte, uscì.

 

Il mondo era contro di lui. Bobby non lo voleva in officina, i turni alla Roadhouse non erano i suoi e a casa c'era solo Sam con il suo sguardo da cucciolo ed un vicino di casa che non aveva assolutamente voglia di affrontare - Dio, la vita fa schifo - pensò mentre si sedeva nell'impala - devo sistemare questo casino -.

 

°

 

Da dove aveva parcheggiato l'impala la casa accanto sembrava un ostacolo insormontabile. Deglutì un paio di volte mentre giocherellava con le dita facendole passare nervosamente tra il mazzo di chiavi. Si sente uno schifo e Dean non ha davvero bisogno di sentirsi uno schifo. Le parole di Sam continuano a tormentarlo e lo sguardo di Castiel, lo sguardo che gli diede quella sera, continua a far capolino tra i suoi sensi di colpa o, più esattamente, gli regala un senso di rimorso che fa fatica a capire a ad accettare del tutto.

La luce della casa è accesa. Ancora non sa se i cupcake li ha trovati o meno. Spera di si e, contemporaneamente, spera di no e di quindi poter tornare sul portico e recuperarli prima che qualcuno li veda. Prima che Dean possa sprofondare nella completa disfatta.

- quanto puoi essere idiota - si disse - cupcakes? sotto casa? perchè poi? - si fermò e sorrise leggermente - Perchè sei idiota. Semplice - si ripetè stufo e spossato dal gelo.

 

Una voce squillante provenì improvvisamente dalla casa di Castiel. Dean scosse le spalle confuso e si avvicinò all'abitazione con passo deciso. Salì i gradini del portico e notò la mancanza del famoso vassoio che, istintivamente, fece sparire tutti i piani che Dean aveva ideato. Gli restava solo scavare una fossa profonda e buttarcisi dentro.

 

Deglutì rumorosamente mentre nella sua teste giravano le parole "fanculo fanculo fanculo fanculo fanculo". Saltellò da un piede all'altro mettendosi le mani in tasca un paio di volte finchè non si strinse nelle spalle e tornò a concentrarsi sulla minacciosa porta.

- Puoi farlo, la concludi qui e torna tutto come prima, semplice - si portò una mano alla bocca trascinandola verso il basso. Suonò alla porta.

 

I brusii provenienti da dentro si fermarono per essere seguiti da rumori forti e indistinti dei quali Dean riconobbe solo un "smettila Balthazar" e un "ho bisogno di ucciderlo".

Dean sperò vivamente che non stessero parlando di lui. Pregò che non stessero parlando di lui.

 

« Ciao Dean » disse Castiel uscendo e chiudendosi la porta alle spalle in un colpo secco, impedendogli di vedere il proprietario della seconda voce.

 

« Ho ricevuto il vassoio. Ti ringrazio vivamente » disse il ragazzo davanti a lui monocorde. Aveva il viso stanco e la barba incolta, gli occhi blu erano spenti ma ancora capaci di scambiargli uno sguardo fermo e glaciale come la prima volta « ti riporterò il vassoio appena posso ».

 

Dean non rispose ed entrambi continuarono a fissarsi in piedi l'uno davanti all'altro con il vento freddo di tempesta che rischiava di gelargli le ossa.

 

« Ti farei entrare ma..» sospirò abbandonando leggermente la sottospecie di rigor mortis in cui si trovava « okay, non dire nulla, non fissare nulla ma, soprattutto, non commentare la sua scelta di vestiario » disse infine.

 

« Okay » gli rispose Dean facendo una leggera smorfia di confusione mista a ironia.

 

Entrato notò i cupcake sulla mensolina all'entrata e, poco più avanti, appoggiato allo stipite della porta, stava un uomo sulla trentina con i capelli biondo cenere spettinati, una maglietta con un imbarazzanre fenicottero rosa acceso e con le braccia incrociate davanti al petto a coprire parte del collo del volatile. Aveva lo sguardo accigliato e delle leggere pieghe agli angoli della bocca e degli occhi che non presagivano affatto l'aria di qualcuno che era felice di vederlo.

 

« Ehy » disse Dean in tono cauto ma senza abbandonare una leggera nota di beffaggine. In ogni caso, non ricevette alcuna risposta mentre, Castiel, gli lanciò un occhiata storta alla ti-avevo-detto-di-non-proferire-parola. Dean, o meglio, la sua testaccia dura, decise di ignorare le sue occhiate e continuare imperterrito.

 

« Ho detto ehy » disse facendo un passo verso di lui.

 

« Oh, si. Lo hai fatto. Per ben due volte. Buon per te » gli rispose con un fastidioso accento inglese che non fece altro che fargli venir voglia di prenderlo a pugni su quel musetto ironico e strafottente che si ritrovava.

 

« Ragazzi. Per favore » disse Castiel senza scomporsi minimamente « Balthazar questo è Dean, Dean questo è Balthazar. Non uccidetevi a vicenda ».

 

Entrambi si scambiarono un occhiataccia quando Balthazar intervenne rapido e velenoso « La smetterò quando il signorino qui davanti accetterà se stesso, sappiamo cosa intendo, e prenderà una decisione seria su questa storia e, si, se te lo stai chiedendo, sto parlando della tua omoses...» non fece in tempo a concludere che Castiel lo spintonò via in salotto zittendolo di colpo « Cassie, sto solo dicendo la verità, quella che il tuo amico qui non sa accettare apparentemente ».

Castiel si girò verso di lui con fare stanco e, sospirando, gli parlò sottovoce « Non c'è bisogno di fare così » disse voltandosi a guardare Dean che aveva l'espressione di qualcuno che cercava di trattenersi dal prenderlo a pugni. Tornò su Balthazar e riprese « Devo parlarne con lui. Sono stato io a farmi avanti. Sistemerò la cosa ».

 

« Ma io vorrei che tu... ».

 

« No Balthazar. Devo risolvermela da me, fammi questo favore ».

 

Balthazar sbuffò e incrociò nuovamente le braccia al petto. Sospirò rumorosamente e lanciò un occhiata a Dean che sembrava dire per-questa-volta-la-passi-liscia. Tornò a rivolgersi a Castiel « Bene Cassie-boy. Accetterò solo perchè, a quanto pare, dalle ultime bozze che mi hai inviato, l'idiota lentigginoso ti fa scrivere decentemente. Però promettimi una cosa » continuò alzando l'indice al cielo « rimettiti in riga. Niente più idiozie alla bicchieri su amazon okay? ». Castiel annuì leggermente ed entrambi tornarono nell'atrio dove Dean stava, nervosamente, in attesa.

 

« Questa volta la scampi, “musa ispiratrice” » disse Balthazar facendo l'occhiolino al ragazzo che gli regalò un'occhiata tra l'incazzato e il confuso « Ma la prossima volta, se ci sarà, ti ucciderò » continuò mentre gli sorrideva a trentadue denti. Indossò la giacca e, salutato Castiel, uscì di casa lasciando i due spersi e imbarazzati.

 

Dopo minuti di gelido silenzio Dean tossì un paio di volte e , grattandosi la nuca nervosamente, mimò un “fanculo” tirato « Andiamo alla Roadhouse. Prendiamoci qualcosa ».

 

Castiel lo guardò confuso e inclinò la testa di lato « E assecondami sta volta, dai » continuò il ragazzo prendendo il trench coat dall'appendiabiti per poi passarlo allo sperso ragazzo davanti a se.

 

°

 

La Roadhouse era semi-vuota. Si sentivano in lontananza solo il rimbombo delle auto che sfrecciavano in autostrada e il suono di bicchieri e posate che venivano usati qua e la. Le note del jukebox compensavano la mancanza di dialogo tra i due ragazzi seduti al bancone.

Castiel era stanco. Si sentiva appesantito e freddo. Il caldo del locale neanche lo raggiungeva e si sentiva sempre di più ritornare al fiume di abbandono e spossatezza che era la sua vita fino alla settimana prima. Quando i mesi passavano veloci nella sua casa e i pasti erano insipidi e provenienti da economici preparati da supermercato.

L'unica differenza sono la presenza di quegli avvilenti e soffocanti dolori in petto che Castiel sente quando vede Dean ammiccare ad una cameriera e che gli ricordano, sempre, quella parte che nei libri è descritta come “il fardello dell'amare qualcuno”. Ma Castiel sa. Sa che in nessun universo Dean potrebbe mai ricambiare i suoi sentimenti ed è ormai arrivato al punto in cui, i fatti e il troppo tempo libero, lo hanno portato alla rassegnazione più totale.

 

Dean non fece altro che sorseggiare la sua birra e, ogni tanto, spostare il proprio sguardo su di lui in attenta osservazione. I suoi occhi, prima fissi sulla attraente cameriera, si puntarono accigliati su quelli di Castiel. « Quello che è fatto è fatto » disse in un sussurro il ragazzo che sembrava tirar fuori le parole a forza « Io non... » continuò umettandosi le labbra « ah, fanculo ».

 

« Non devi giustificarti. Ho capito » disse Castiel immobile, la sua birra ormai calda « Non c'è bisogno di sforzarti. Possiamo.. » disse vagando con lo sguardo verso la finestra « possiamo continuare a vederci comunque ».

 

« Ma io non intendevo ques... » non fece in tempo a rispondere che Castiel lo fermò.

 

« Nevica »

 

« Come? »

 

« Nevica » si ripetè sorridendo. Castiel abbassò il tono della voce mantenendo lo sguardo fisso verso la pallida finestra dalla quale trasparivano i grossi fiocchi di neve venire giù dal cielo « Va bene Dean. Quello che è fatto è fatto. Facciamo finta che sia stato solo un errore e niente più ».

 

Dean lo guardò con lo sguardo perso. Lo sguardo di qualcuno che ancora stava ragionando sul da farsi « Possiamo. Possiamo andare a casa tua? » disse umettandosi le labbra per poi alzarsi « Facciamoci un tè ».

 

Castiel lo guardò. Poteva sopportare un'ultima sera. L'ultima sera, un ultimo tè e poi si sarebbe portato tutta la questione “Dean” alle spalle. L'idea gli soffocava in petto e gli risucchiava via l'aria dai polomoni. Cercò di ignorarla e annuì a Dean leggermente mentre si avviavano verso l'auto.

 

°

 

La neve aveva ricoperto ormai le strade al loro arrivo. Castiel, nella piccola cucina, afferrò il manico del bollitore, con una presina azzurrina e ricoperta di piccoli limoni, per toglierlo dal fuoco. Dean, dietro di lui, lo osservava in silenzio. Versò l'acqua calda nelle due tazze, quella con le foglie arancioni per Dean e quella dai fiori blu per Castiel, e, subito dopo, si recò al mobiletto bianco degli infusi poco più in là sulla destra.

 

Entrambi si scambiarono uno sguardo e Dean, senza che gli venisse posta neppure la domanda, rispose come ripescato improvvisamente dai suoi pensieri « Mela e cannella. Penso, penso vada bene ». Il ragazzo annuì e preparò l'infuso come la prima volta che lo aveva visto farlo.

 

Si spostarono così in salotto, entrambi con appresso la loro tazza, ancora in silenzio. Castiel giurò di poter sentire le rotelle della testa di Dean continuare a girare ininterrottamente dalla Roadhouse fino a quel momento. E non poteva che farlo sentire sempre più male. Per ogni minuto che passava una parte di lui si perdeva nelle ipotesi più azzardate su quello che potesse effettivamente pensare. Più ci pensava più si sentiva colpevole. La tazza di tè era a metà quando qualcosa in lui non poté davvero più farcela.

 

Castiel, dal divano dove era seduto a gambe incrociate, iniziò a sentire un mattone in petto. Sentì un'enorme e gelida lastra di vetro come conficcata all'interno del suo corpo a comprendere e ferire i polmoni, il cuore e lo stomaco. In un rapido e rigidissimo gesto andò a toccarsi il petto con una mano mentre con l'altra teneva in una morsa gelida la sua piccola tazza di tè.

 

Si portò la mano al polso e contò i propri battiti – Aumentano -

 

« Cas... tutto bene? » Vide Dean osservarlo preoccupato, ma distante. Questa distanza, anche questa, lo uccideva scavandogli il petto pian piano. Guardò i suoi occhi verdi, ripiegati nel viso che aveva preso le linee della preoccupazione, fissi nei propri. Vide le mani di Dean stringersi intorno alla tazza che Castiel aveva ormai etichettato come sua personale, per le volte che veniva qui. Una bianca porcellana ricoperta di caldi colori autunnali. Sentì una stretta ancora più dolorosa al cuore.

 

L'aria iniziò a svanire dai suoi polmoni e non ebbe la forza, ne il coraggio, di anche solo azzardare una conversazione. Nel momento in cui iniziò a respirare affannosamente sentì la mano di Dean sfiorargli un polso e osservarlo più da vicino. La distanza era diminuita ma non davvero. Il respiro aumentava e, dal petto, sentì nascere un forte tremore che gli penetrava nelle ossa. Sentì improvvisamente la mano del ragazzo davanti a se scostargli una ciocca di capelli e toccargli la fronte.

 

« No. Sto bene. Sto bene. Devo.. devo uscire. Lasciami uscire » disse spingendogli via la mano e facendo segno di allontanarsi.

Dean non potè evitare di vedere le sue mani tremare mentre appoggiavano la tazzina sul tavolinetto nero di fianco al divano. «Cas. Non scherzare. Nevica, vuoi forse prenderti un malanno?»

 

Castiel si alzò e, buttandosi via la coperta dalle spalle, mosse un passo dietro l'altro nel tentativo di raggiungere la porta. «Non fare l'idiota. Stai avendo un attacco, non è roba su cui scherzare » Disse cercando di non alzare il tono di voce e di mantenere il tono più calmo che riuscì a trovare. Con la stessa calma gli prese una mano nel tentativo di trattenerlo. « Per favore. Ti farai del male »

 

Castiel prese le chiavi, scostò la mano di Dean ignorandolo e, con le mani tremanti, riuscì ad aprirla al terzo tentativo andando a graffiare ripetutamente la serratura. « Ho bisogno di aria. Ho solo bisogno di aria »

Dean rimase fermo, in salotto, con una frase non detta in testa ed una forte amarezza in bocca.

 

 

°

 

Castiel uscì, chiuse la porta e iniziò a camminare intorno alla casa. Non voleva allontanarsi, doveva camminare, stare bene, calmarsi e non pensare. Sentiva la neve sciogliersi sulle sue guance quando cadeva sul suo volto. Il freddo lo avvolgeva completamente e l'aria pungente gli bruciava la gola fino a fargli male. Fece respiri più profondi sentendo l'aria entrare e bruciare ancora di più sulle pareti della gola irritata. - Primo giro -

 

I calzini affondavano sempre di più nella neve ed i piedi iniziavano a fargli male. Nella sua testa si intonarono le note di quella dannata canzone e si odiò per averci pensato. Tremava ancora, ma non per il freddo. Non tremava mai per il freddo.

Osservò i palmi delle mani aperti davanti a se e non pensò che di essere nel posto giusto. Ciò che lui era prima di Dean. Quello era il suo posto, il freddo era la sua vita. Gli provocava dolore fisico, lo gelava dentro e teneva imbottigliati sentimenti e cose che lui aveva sempre reputato futili dentro di se. Gelati e bloccati in un impenetrabile struttura di ghiaccio.

Ma la fortezza che si era costruito era stata intaccata, distrutta, buttata in aria da ogni respiro, gesto, parola che Dean gli avesse pronunciato. Come grandi e continue fitte di calore che andavano a sciogliere i punti portanti dell'intera costruzione. Le dita davanti a se diventarono violacee e continuò a camminare senza fermarsi, cercando di cancellare dalla sua testa le note di quella maledetta canzone. - Secondo giro -

 

Si fermò nel giardino di casa, alzò il naso in su e osservò il cielo stellato. Nella sua testa individuò le varie costellazioni, ripeté a memoria i libri che aveva letto sull'argomento e cercò di riordinare la mente alla ricerca di dati razionalmente esistenti, eliminando dalla sua testa ogni traccia di sentimentalismo o irrazionalità. - nella nostra galassia ci sono 200 miliardi di stelle - -Le costellazioni sono 88, e sono il risultato dell'originario elenco tolemaico formato da 48 costellazioni cui si aggiunsero nei secoli le altre 40 -.

 

“Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo.” - Dalì. 1942. Aveva ragione -

 

Era calmo. I libri lo calmavano. Il respiro si regolarizzò, la musichetta nella sua testa veniva soppressa per sempre e i suoi piedi ricominciarono a camminare. -Terzo giro -

Passo dopo passo i pensieri lo portarono a tutti quei libri nuovi ammassati nel suo studio. Tutto quello spreco di carta volto alla rappresentazione e spiegazione dell'amore umano che non gli era servito a molto. Quei libri comprati nella speranza di trovare all'interno una spiegazione per ciò che sentiva, per poi ritrovarsi davanti la risposta più ovvia e meno gradita. Sentirsi dire di essere innamorati. Era stato davvero uno spreco?

 

A rispondergli non fu uno di quei libri o di quei concetti appresi da essi ma bensì, un vero pilastro portante.

 

“L'amor che move il sole e l'altre stelle”.

 

Castiel si immobilizzò. Non pensò più a nulla.

Il motivetto della canzone di prima riprese insensatamente a prendere spazio e volume nella sua mente. La mano destra aveva piccoli spasmi e gli occhi fissavano il vuoto davanti a se. Il freddo, del quale si era dimenticato, riprese a far male.

 

Due braccia calde lo avvolsero improvvisamente da dietro. Portavano con se una coperta che avvolse entrambi, in mezzo alla neve. Le braccia lo stringevano ferme ed una fronte calda si andava ad appoggiare sulla sua spalla sinistra. « Mi farai del male. »

 

Castiel sentì la pelle bollente ed il ghiaccio sciogliersi in un battito di ciglia. Si pentì di tutto ciò che aveva pensato mentre le lacrime scendevano lungo il suo viso.

Se le asciugò velocemente e si rigirò in un movimento cauto dentro la stretta di Dean e lo abbracciò a sua volta.

« Io ho bisogno di te » sussurrò Dean ancora con il viso sprofondato nella sua spalla. « Non voglio che tu stia male »

 

Alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi « Credo, credo sia ora che io la smetta di fare l'idiota » disse infine. Posò una mano sulla spigolosa e fredda mandibola del ragazzo davanti a se ed inclinò la testa avvicinandosi verso di lui. Gli occhi di Castiel da spenti e opachi ripresero come conoscenza appena sfiorarono quelli di Dean avvicinarsi. E si, Dean sorrise all'idea di essere riuscito a togliergli quell'espressione dal viso mentre gli accarezzava i capelli corvini all'angolo dell'orecchio. Castiel posò le braccia ad afferrargli la schiena mentre le labbra di entrambi si unirono, come due magneti che corrono l'uno verso l'altro, in un disperato tentativo di ritrovarsi.

E Dean lo bacia, e lo bacia ancora e ancora. Lo bacia come se non avesse mai intenzione di smettere. Le braccia di Castiel lo avvolgono stretto mentre i baci rallentano pian piano. Dean gli da un ultimo bacio agli angoli della bocca e uno sulla fronte calda, prima di avvolgerlo e abbracciarlo più forte.

Il ghiaccio dal suo cuore, praticamente svanito.
 

Rimasero in silenzio per un po'. Castiel aspettò che il calore sprigionato da quel bacio lo avvolgesse del tutto, strinse Dean più forte e, improvvisamente, seguendo un pensiero sfuggito dal nulla, intonò le parole di The Rain Song con la sua voce bassa e rovinata dal mal di gola.

 

« This is the springtime of my loving – the second season I am to know » Dean aprì gli occhi e ammorbidì il suo abbraccio lasciandolo continuare.

 

« You are the sunlight in my growin – so little warmth I've felt before»

 

Dean si lasciò cullare dalla canzone e, ad i primi starnuti di Castiel, lasciò la presa. Prese la coperta e la avvolse del tutto addosso a Castiel, infagottandolo. Gli prese delicatamente la mano congelata e lo trascinò all'interno.

Non smise un secondo di cantare.

   
 
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