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Autore: ILeNiA2813    21/03/2016    0 recensioni
-Semplicemente non mi aspettavo di finire così.- Dissi -L'ho amato veramente sai?- Continuai non vedendo una sua reazione -L'ho amato fino a star male.-
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 12. -Mamma.- dissi, piano. Mi aveva aspettato tutta la sera. Quel giorno, non bastarono le parole di John per placarla. Lei non aveva creduto alle sue parole ed io mi ero fidata di nuovo, credendo di poter scappare almeno una volta. Quel giorno avrei voluto sparire, un po' come fanno i demoni, e poi riapparire. -Ti avevo detto di restare da sola, voglio che resti da sola. Non voglio nessuno che ostruisca la tua vita- sputò-Meriti davvero il triplo del dolore che ho patito io per anni. Io ti odio, sei solo uno sbaglio che mi ha consumato la vita! Perchè adesso è solo colpa se mi ritrovo in questa situazione, solo colpa tua!- urlò. Avrei dovuto urlare, forse anche paingere, ma non dissi niente come al solito. Più che altro avevo paura della sua reazione, probabilmente avrebbe sbraitato ancora di più ed io davvero ero esausta. Poi, si avvicinò lenta, afferrandomi una ciocca di capelli castani che avevo ereditato da lei, e me li tirò facendomi ancora più male. -Perchè tu meriti di morire.- sbraitò, ad un centimetro dal mio viso che a quell'affermazione diventò pallido. Mai nessuno nella vita mi aveva lanciato una maledizione del genere, ma lei sì. Lei che era mia madre. Ma in fondo, lei non era una madre, era un mostro. I figli non si dovrebbero trattare così, ma anzi, loro sono coloro che ti completano, che ti rendono orgogliosa, che ti fanno sorridere con poco. Ma evidentemente questo era un concetto che per lei aveva poco significato, se non nullo. Tirò ancora una volta i miei capelli, scostandomi il viso da un lato per rendere visibile la mia guancia prima di colpirla. Poi, mi spinse facendomi cadere ai suoi piedi. Mi faceva paura, era uscita fuori di testa e l'unica parola che fuoriusciva dalla sua bocca laccata di rossa era -Ti odio.- ripetuta forse tre,quattro volte di seguito senza mai fermarsi. I miei occhi si scaldarono, li sentii pizzicare e delle lacrime iniziarono a rigarmi le guancie. -Basta, ti prego.- singhiozzai, ma lei continuò nella sua impresa. Riuscii a ritrovare la forza necessaria per alzarmi, e guardarla negli occhi. Quell'azzurro uguale al mio parevano bianchi, causati dalla forza dei sentimenti che ofuscavano la sua ragione. -I genitori dovrebbero rimanere per sempre nel nostro cuore, non è vero?- feci una pausa, aspettando una sua reazione che però non arrivò -Ma tu, no, resterai sempre in bilico, sospesa tra odio e amore.- e con queste parole, la guardai andare via, sbattendo la porta della sua camera. Una volta che tornai anche io nella mia stanza, mi guardai allo speccho curiosa di vedere il mio corpo ridotto in poltiglia e solo dopo un piccolo sguardo, la nausea passata poco prima si fece sentire più marcata di prima. Mi sedetti nel letto e presi il telefono, aprendo la casella dei messaggi e inserendo il numero di John nel destinatario. -Ho bisogno del tuo aiuto.- scrissi, velocemente. La cosa che mi fece felice per un paio di secondi fu il fatto che la sua risposta non tardò ad arrivare come invece mi ero aspettata. -Cosa succede, Rye?- domandò, forse aveva già intuito tutto e così gli raccontai tutto nei minimi dettagli. Lui si sentì in colpa, continuava a ripetersi che non se ne sarebbe dovuto andare nemmeno quando la mamma gli aveva urlato contro di andarsene e lasciarla sola. *** Il giorno dopo appena aprii gli occhi, non feci nemmeno in tempo ad alzarmi dal letto che subito corsi in bagno per espellere quello che avevo ingurgitato la sera prima. E appena finii, aprii la porta della mia camera e scesi le scale per arrivare al salone, dove provenivano delle urla. Mi appostai al muro e cercai di ascoltare la conversazione tra John e mia madre. -Facendo così ti farai solo odiare da tua figlia.- urlò John, puntandole un dito contro. -è quello che desidero infatti. Io voglio il suo odio.- -Anche con te si comportavano così?- -Lei merita solo il triplo del dolore che ho patito io per anni, quindi sì John!- -Ha solo sedici anni Chantal, è ancora una bambina!- -Sinceramente non mi interessa!- -Allora non meriti nemmeno di essere chiamata madre, a questo punto!- a quelle parole, mi feci più piccola per riuscire a vedere i loro visi. Mia madre era rossa in viso, e John si teneva le mani sui capelli, in procinto di una crisi isterica. -Allora tu non meriti nemmeno di restare in questa casa.- digrignò i denti lei, indicando con un dito la porta. -Certo, tu sei brava solo a chiudere le porte in faccia. Mi dispiace, ma io resto qui.- si impuntò lui. Avevo sentito abbastanza e poteva bastare così, quindi salii nuovamente le scale e mi rintanai nella mia camera. Presi il telefono e mandai un messaggio a Simon, che mi rispose subito. -Simon, ho bisogno della tua compagnia. Puoi raggiungermi?- scrissi velocemente, cercando di non piangere. -Certo, ti raggiungo subito al solito posto.- rispose, e come una molla scattai in piedi, raggiungendo il bagno per darmi una ripulita. La pelle martoriata sotto il getto dell'acqua calda fece più male, e questo mi fece socchiudere gli occhi. Una volta che finii, mi vestii rapidamente e poi uscii dalla porta del retro, che fece costruire mio padre per comodità, e mi incamminai dalla mia salvezza. Il vento freddo si divertiva a muovere i rami degli alberi morti, e questo mi fece sorridere un poco. Vidi in lontanza la figura di Simon, seduto in un tappeto di foglie cadute troppo presto, con la schiena appoggiata al tronco dell'albero. -Ehi.- mi salutò. Io in tutta risposta, presi posto vicino a lui. Lui mi guardò attentamente, e serrò le labbra in una linea dura quando vide i segni lasciati da mia madre, che nonostante gli avessi coperti con un fondotinta scuro, si riuscivano ad intravedere lo stesso. -è stata lei, vero?- domandò, prendendomi il viso delicatamente per studiare la mia reazione. Io annuii. -Perchè continui a stare con quella donna?- domandò, ma io non dissi niente. Lui mi attirò a se', accarezzandomi i capelli con fare protettivo prima di abbracciarmi. Gli volevo bene. *** Quando rientrai a casa, i due parevano essersi calmati e sedevano sul divano occupati a guardare un programma alla tv. Il viso di John si illuminò quando mi vide,e questo mi fece portare un dito alle labbra intimandogli di stare zitto per non creare di nuovo incomprensioni tra me e mia madre, che pareva completamente rapita dalla televisione. Poi, salii in camera. Appena presi il telefono, mi ritrovai un messaggio da parte di Ash. -Ragazzina,vieni da me stasera.- lessi. La consapevolezza di voler passare meno tempo nella mia casa mi fece scrivere un -Sì- stirato. Perlomeno quella sera sarei stata bene, o almeno così speravo. Ormai era una continua lotta, sembrava che tutti volessero vedere fino a dove mi sarei spinta per continuare ad andare avanti. Quando Ash aprii la porta, i suoi occhi si scurirono e mise una mano sotto al mio mento per avere una maggiore visuale dell'opera creata da mia madre. -Quella donna è un mostro.- sussurrò, dimostrando per la prima volta di avere un cuore. -Lo so, ma ormai ci sono abituata.- sospirai, facendomi strada nella sua casa. -Perchè non ti ribelli? Perchè non fai niente?- mi chiese, guardandomi quasi con un filo di compassione nei suoi occhi troppo scuri. -Perchè è mia madre.- dissi senza pensare. Non volevo dare una risposta a questa domanda, non c'era una risposta apparente. Lui sembrò capire e spense lì il discorso, preferendo concentrarsi sulla mia figura come sua abitudine. Scosse la testa un'attimo poi andò nell'altra stanza e la musica prese vita all'interno di quella casa bellissima. Mi strinse a se', facendomi dimenticare per un momento il resto del mondo, e mi prese la mano portandomi al centro del salone. -Balla con me.- mi sussurrò all'orecchio, ed io annuii completamente rapita dalla sua voce roca. Iniziammo a ballare lenti, come il ritmo della musica che fuorisciva dalla cassa della radio che lui aveva acceso. Mise le mani nelle mie guancie, e strofinò un pollice cercando invano di far sparire quei lividi. -Non ti deve più toccare.- disse, ma quelle parole volarono in cielo come aereoplanini di carta. Quel giorno era apparso così dolce, che quella visione di un Ash preoccupato rimase stampato come una fotocopia nella mia mente. Lui concluse il passo di danza, si fermò, e tracciò con un dito il contorno delle mie labbra, mentre io preferii avvicinarmi e far combaciare le nostre labbra. Aveva un gusto salato, reso ancora più forte dal retrogusto di metallo che il suo piercing argentato mi lasciava nella bocca. Portai una mano nei suoi capelli biondi, che riuscirono a farmi calmare un poco, mentre lui preferì portare una mano a sorreggere la mia schiena, e l'altra dove i nostri visi si toccavano. Poi ci staccammo, e lui mi fissò con uno sguardo divertito prima di portarmi nell'altra stanza, per farmi stendere nel divano della sua bellissima casa. I nostri occhi si trovarono per un paio di secondi, poi, fui io a baciarlo di nuovo.
   
 
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