Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Odiblue    19/04/2016    4 recensioni
“Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO the movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl watase, sul forum di EFP.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Sai/Ino, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

V.



Pensi mai al futuro, Sasuke-kun?

Stronzate“.


Io ci penso sempre. Penso alle cose e alle persone che vorrei”.

Il futuro non è importante, Sakura”.

 

Se non lo è il futuro, che altro?”

Il presente”.

 

Ma il presente è adesso, Sasuke-kun!”. E adesso sei qui, con me. Lo ritieni importante?

 Adesso. L'importante è adesso”.



Le aveva detto quelle parole il dicembre passato, mentre cercava di convincerlo ad andare a una cena organizzata da Naruto e Hinata. Avevano camminato per strada, a mezzo metro di distanza, e poi Sasuke si era seduto. Su quella panchina. La fatidica panchina. Se lei si era lasciata cadere al suo fianco, la colpa doveva venir data alle gambe, incapaci di sostenerla. Aveva scelto una panchina a caso, Sasuke, senza ricordare che assieme a quegli strati di cemento erano fusi momenti del loro passato.


E lì Sakura aveva iniziato a riflettere sulla piega degli eventi, sullo scorrere del tempo, su quello che erano stati e quello che sarebbero diventati. E aveva chiesto a Sasuke se si preoccupasse mai del futuro; per ascoltare una risposta spiazzante: se non pensava al futuro, non pensava nemmeno a lei, a renderla parte della sua vita.


L'importante è adesso, poi, detto da lui, non voleva dire nulla.


Dopo aver salutato Ino ed essere uscita dal negozio di fiori, il cervello di Sakura era passato all'azione e le era parso che il vero senso di quel discorso le sfiorasse la mente, senza che lei riuscisse a coglierlo a pieno. Allora corse fino alla panchina, e si mise al posto di Sasuke, sperando di riuscire a calarsi nei suoi panni, a captare i suoi ragionamenti. Infreddolita per colpa di quel luglio traditore, ripercorse ogni tappa della loro “storia”.


Ancora Sasuke, le aveva detto Shikamaru, ricordandole che quando si veniva ai sentimenti era sempre e solo lui.


È dietro l'angolo. Devi solo aspettare. Aspetta ancora un po', aveva suggerito Naruto.


Ora come ora, per come ti guarda, non credo nemmeno voglia andare via. E da Ino era arrivata la scoccata finale.


La spingevano tutti a crederci, a illudersi che potesse essere suo. Quant'era bello crederci? Quant'era bello illudersi? Vedersi fianco a fianco della persona che aveva sempre amato?


Poi però c'era Sai:


Non è colpa sua, se l'Uchiha non vede alcuna ragione per amarla.


Al diavolo Sai, che di sentimenti aveva sempre capito poco e niente!


C'erano miliardi di ragioni per amarla! Ma che diceva? Miliardi di infinità di infinità di miliardi per volerla al suo fianco! Perché per lui c'era sempre stata, perché per lui si era annullata, perché lo aveva sempre aspettato, perché lo avrebbe perdonato, anche se l'avesse uccisa. E se Sasuke non li vedeva questi miliardi di infinità di infinità di miliardi, allora era uno stupido cieco e il suo Rinnegan non serviva proprio a niente.


«Glielo dico io» si alzò di scatto dalla panchina, illuminata da una rivelazione che era sempre stata con lei. «Corro a dirglielo io. Gliele dico tutte, le ragioni per cui dovrebbe amarmi. Io-»


E ancora prima di finire la frase iniziò a correre. Doveva vederlo. Doveva vederlo subito. Avevano perso un sacco di tempo, da bravi scemi, e non potevano più perderne. Perché stavano per compiere vent'anni ed era arrivato il momento di smetterla di sopravvivere e di imparare a vivere davvero. Perché aveva ragione Sasuke: l'importante è il presente e il presente è adesso.


E lei voleva esserci nel suo presente; e voleva essere anche nel suo futuro e nella sua eternità. Doveva dirglielo che era la donna giusta per lui, doveva prendere l'iniziativa, fare un ultimo tentativo. Non le sapeva tenere zitte quelle stupide emozioni, non aveva mai saputo farlo ed era arrivato il momento di smetterla di fingere di essere un'altra. Lei era Sakura Haruno e Sakura Haruno amava Sasuke Uchiha. Lo sapevano tutti, anche la grandine, quella stupida grandine che aveva ripreso a scendere dal cielo.


Il rumore dei chicchi sull'asfalto era uguale al pum pum del suo cuore, quando lo vedeva sedersi al banco in classe o durante gli allenamenti con il team 7. Era un battito senza interruzione che le ricordava tempi del loro passato: i mezzogiorni di primavera in cui bussava alla sua porta per chiedergli di uscire a pranzo, i secchi “no” che riceveva in risposta, talmente determinati da suonare alle sue orecchie come una melodia. No. No. No. No.


E infine, la fitta che scricchiolava nel suo petto, nel sentire mille e mille rifiuti, ma anche la speranza che si ostinava a non abbandonarla e le premeva sulla gola, fino a farla morire dalla voglia di gridare che sì, lei amava Sasuke Uchiha e per sempre lo avrebbe amato. E un giorno – ne era certa – anche il suo cuore d'acciaio avrebbe emesso piccoli battiti e si sarebbe sciolto, scaldato dal tepore di sentimenti che non poteva più negare.


Così Sakura ascoltava il rumore dei sandali che battevano sull'asfalto e si sincronizzavano ai chicchi di grandine, e d'improvviso quelle sfere di ghiaccio che tanto aveva odiato non le sembrarono più ostili, ma sue complici.


Qualsiasi cosa accada, io ti amerò per sempre.


Non erano state sue queste parole? E non se le sarebbe rimangiate, mai e poi mai, per nulla al mondo. Perché Sasuke era la sua debolezza, ma anche il maggior punto di forza.


L'aveva incoraggiata, insegnandole a mettersi in piedi da sola, dicendole che doveva diventare forte; l'aveva protetta, mille e mille volte; aveva detto a Naruto che era importante; l'aveva ringraziata; l'aveva cercata; aveva accettato la sua presenza.


E io da stupida ho preferito rassegnarmi, per paura di soffrire.


Glielo dico io, continuava a ripetersi; glielo dico io che sono la scelta giusta, che anche lui può imparare ad amarmi! E correva a perdifiato per le vie di Konoha, come una matta, ridendo e piangendo e gridando ogni venti passi che lo amava; felice come non lo era da secoli; viva come non lo era da secoli; perché aveva riscoperto in lei quel sentimento, dato per spacciato, che finalmente stava ritrovando la speranza.


Arrivò alla casa di Sasuke, un traguardo che sembrava lontanissimo, per quanto vicino, non vedendo l'ora di fare la figura della pazza, di tentare il tutto per tutto, di bussare e fiondarsi nelle sue braccia e dirglielo, confessargli ogni cosa.


Ma poi l'incanto svanì. All'improvviso terminò la fantasia che per Sakura altro non era stata se non un sogno ad occhi aperti. Smise di volare quando un “ancora” ruppe il silenzio, seguito da un gemito di piacere.


Non può essere vero.


Lo era. Un altro gemito e un altro “ancora” le diedero la conferma. Rimase imbambolata in mezzo alla strada, un'ombra di se stessa. Se non se ne andava, non era perché volesse ascoltare. Le stracciava il cuore sentire quelle grida di piacere. Solo non aveva più il controllo. Si era ridotta a fasci di nervi, muscoli, brandelli di pelle, pezzi di corpo scoordinati. Andavano ognuno per la propria strada, senza più formare quell'unità che fino a pochi secondi prima rispondeva al nome di Sakura Haruno.


Perché lo ha fatto?


E poi c'era la grandine, qualche acino solitario che si ostinava a rimbalzare sul cuoio capelluto. La stessa grandine che aveva creduto sua complice, alleata, e invece l'aveva tradita.


Sporca traditrice. Dannata. Sei davvero come lui. Voi due siete, siete-


Crollò in ginocchio e rimase a fissare la finestra del salotto con occhi sbarrati. Sulla tenda bianca si proiettava la luce gialla dell'abat-jour, rotta da un'ombra nera, una testa di donna che si muoveva e gridava nel raggiungere l'orgasmo. Sakura la guardava e riconosceva i capelli di Karin, il taglio all'ultima moda, con la scalatura alta; la punta del naso dritta e il profilo delle labbra, dischiuse per il piacere.


Che scema! Che scema! Che scema!


Quante volte se l'era ripetuto in quei giorni? Quante volte per colpa di Sasuke?


Io ero venuta qui per dirti che ti amo, sempre e nonostante tutto, e tu invece... perché non hai scelto me?


Si raggomitolò a chiocciola, con la fronte schiacciata sull'asfalto del cortiletto, finché i gemiti non finirono e gli “ancora” di Karin smisero di risuonare per la strada. E Sakura intanto cercava di mettere fila ai suoi pensieri, di decidere che fare. Perché doveva pur esserci qualcosa in grado di rimetterla in piedi, vero? Qualcosa che riuscisse a cancellare il dolore di quel corpo scoordinato che non funzionava più? Qualcosa che zittisse quei gemiti e quegli “ancora” che le inchiodavano la testa?


Sakè.


Era il bar preferito di Tsunade, quello che teneva aperto tutta la notte; quello dove si giocava d'azzardo; quello dove si perdeva e si vinceva, facendosi fregare e barando. A Sakura non importava. Voleva solo distruggere il suo cervello e i suoi ricordi. Sì, soprattutto i ricordi. Voleva annegarli. Sasuke chi? Sasuke non era nessuno. Non aveva mai conosciuto anima viva che portasse il nome di quel bastardo.


Che stupido! Che stronzo!


Ma la vera stupida era lei. Dopotutto, chi si era lasciata fregare dai discorsi di Ino e Naruto? E così bevve, come nemmeno Tsunade sapeva fare. Aveva scelto il posto giusto, tra l'altro, perché quando cadde dallo sgabello al bancone nessuno scoppiò a ridere, nessuno la guardò con pietà. Il barista le porse un'altra bottiglia.


«Bevi, piccola. Così ti raddrizzi.»


Eseguì alla lettera, pagò e se ne andò.


Oh, chi diceva che l'alcol aiutava a risolvere i problemi non doveva mai avere avuto niente a che fare con il re dei problemi per eccellenza: Sasuke Uchiha! Sakura, alla quarta bottiglia di sakè, vedeva il mondo girare come tanti pulviscoli di neve in una sfera natalizia. A tratti il pavimento era in cielo, a tratti in terra. Ma nonostante alberi e muri si ostinassero a muoversi, c'era sempre Sasuke davanti ai suoi occhi. Stupido, stupido, Sasuke. E stupida lei che aveva dimenticato al bar la quinta bottiglia di sakè. Quattro non erano abbastanza per toglierselo dalla testa. Quattro non erano abbastanza per scordare quel che le aveva fatto.


Represse un singhiozzo e chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di tornare a fluire sotto le palpebre. Camminò verso casa, ora sorreggendosi al muro, ora procedendo a passi da formica. E quando vi arrivò dovette premersi una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere e svegliare il vicinato: c'era un grande, enorme, gigantesco gatto nero e bianco, acciambellato sullo zerbino all'ingresso.


«Micio, micio, micio» sussurrò.


Ma poi il “gatto” la sentì e si mise ritto. Sakura si avvicinò e vide meglio. Si liberò delle lenti dell'alcol. Era davvero troppo grande per essere un gatto. E troppo bello. Troppo fottutamente bello per incazzarsi con lui.


«Grandinava» le disse per giustificare la presenza davanti alla sua porta.


E non miagolava neppure. In automatico, Sakura si passò una mano tra i capelli. I riflessi non risposero al suo volere: scappare, darsi alla macchia. Perché se quel grandissimo stronzo si fosse avvicinato, avrebbe potuto ridurlo in poltiglia a suon di pugni. Con Karin. Che schifo! Un conato di vomito arrivò al palato, ma Sakura si fece forza e deglutì, ricacciandolo nello stomaco.


«Stupido» disse in un sussurro.


Non seppe se l'insulto arrivò alle sue orecchie. Il volto di Sasuke rimase imperturbabile.


«Sei un brutto stupido» continuò a bisbigliare.


Con che coraggio si presentava da lei, dopo quello che aveva fatto? Perché ripararsi dalla grandine sotto la tettoia di casa sua? Che tornasse da quella puttana di Karin! Che andasse dal suo grande amicone Naruto, lui che lo difendeva sempre! E invece no. Si divertiva troppo a spezzare il cuore a quella stupida deficiente che si trovava davanti!


«Sono passata da te, per parlarti» gli gridò contro. Con rabbia. «Perché volevo dirti tante cose e tu-»


«Karin e Suigetsu hanno occupato il salotto» la interruppe.


Le cadde il mento e un nugolo d'aria fresca scese in gola, svegliando il cervello. Le parole di Sasuke le riecheggiarono in testa, un disco destinato a ripetere il ritornello di una canzone. Un ritornello bellissimo. Karin e Suigetsu. Occupato il salotto. Ma allora...


«Karin e Suigetsu? Sul divano di casa tua erano Karin e-»


Si trovò con gli occhi pieni di lacrime e di pioggia, e sperò che l'acqua del cielo riuscisse a coprire e nascondere l'acqua che proveniva dal suo cuore. Perché doveva essere sempre così debole e sciocca davanti a lui? Karin e Suigetsu!


«Chi altri?» lo sentì chiedere.


Sakura avrebbe voluto liberarsi di ogni inibizione e correre da lui, prenderlo a pugni, forte, sul petto, perché forse così quel cuore insipido sarebbe uscito dal suo letargo e avrebbe imparato ad amarla. Un pugno dopo un altro, sempre, sempre più violentemente. E poi avrebbe voluto baciarlo, sulle guance, sulla punta del naso, sul collo, sulle labbra. Baciarlo ovunque, e dirgli che lo odiava e lo amava. Lo amava così tanto che lo odiava e viceversa, lo odiava così tanto che lo amava. E ad onor del vero non aveva importanza se lo amasse o odiasse. Quel che importava era che lo voleva, sulla sua pelle, nelle sue braccia, dentro di lei. Voleva essere piena di lui, dei suoi pregi e dei suoi difetti, dei tratti che conosceva e di quelli che ignorava. E non voleva lasciarlo andare, non reggeva il pensiero di una nuova separazione. Se Sasuke poi avesse deciso di sua spontanea volontà di allontanarla, gli avrebbe ricordato che lo amava e nessuno avrebbe potuto amarlo quanto lei. Allora perché non permetterle di entrare nel suo mondo e mostrarle un briciolo di gratitudine -


«Hai bevuto.»


- invece che disprezzo?


Sasuke la fissava con una smorfia severa e di rimprovero, quasi di disgusto, visto che aveva appena affogato il dolore in una sbronza da adolescente, lei che era diventata adulta all'età di tredici anni.


«Indovina di chi è la colpa?» si trovò a dirgli.


Aveva ancora il sapore del sakè incollato alla gola. Che maledizione l'alcol! Quasi peggio di Sasuke.


Che poi a pensarci sakè e Sas'ke erano molto simili come suoni, e quindi sì, era sempre lui, sempre sua la colpa. E non aveva il diritto di guardarla storto, quasi fosse una poveretta, una disgraziata tutta matta da compatire. Non doveva permettersi di giudicarla brutta o pietosa solo perché la testa le girava e voleva vomitare, o perché gocce d'acqua la ricoprivano da testa a piedi, colavano in piccole pozzanghere dai suoi capelli, attaccati alla fronte. Non doveva permettersi nemmeno di superarla e di voltarle le spalle...


«Sasuke-kun, che fai?»


... né di lasciarla. Cazzo, quello era proprio un vizio!


«Dove stai andando?» gli urlò dietro, fregandosene del tono troppo alto.


Altro che vizio, era una ripetizione continua di quella sottospecie di rapporto che lei, nella sua mente deviata, si ostinava a definire “storia”.


«Già» continuò a dire. Un sorriso amaro le gelò il viso. «Scappi. Per forza. È l'unica cosa che sai fare!»


Gli elementi c'erano quasi tutti. Per l'occasione aveva perfino smesso di grandinare e la luna era comparsa tra i rami di due vecchi aceri. Mancava la panchina, ma i gradini davanti al portoncino di legno si sarebbero sicuramente offerti di sostituirla. E poi c'era anche Sasuke – soprattutto Sasuke! - Sasuke che si era fermato nel sentire la sua voce. Come da copione.


«Come finirà questa volta?» si domandò in un sussurro.


Un colpo alla nuca, un'illusione o un omicidio?


«Vai a dormire, Sakura. Domani-»


«Domani un bel corno, Sasuke-kun! Fa in fretta Ino a dirmi che anche per noi ci sarà il sereno, ma chi voglio prendere in giro? Non esiste nessun noi. E pensare che ho fatto di tutto per vederti felice, persino quando sapevo di non potere fare niente.»


«Domani, Sakura.» Ne parliamo domani.


«Domani cosa? Lo vedi? Tu non mi dici mai niente, perché non puoi provare anche solo ad accettarmi? Scusa, dimenticavo. Per quale ragione dovresti innamorarti di me?»


Lui si bloccò. Paralizzato, spiazzato, identico a una statua di neve. Un paragone divertente: a forza di colpirla con scariche di grandine era diventato di ghiaccio come la grandine stessa. Solo un leggero tremore alla gamba sinistra dimostrava che dietro quello strato di cemento si nascondeva un essere vivente; una creatura persa nei suoi pensieri. Sakura ignorava quali cazzate di stampo Uchiha stesse macinando in testa. Però si sentiva bene. Si sentiva benissimo, ora che gli aveva sputato il rospo in faccia.


No, non era vero. Stava a pezzi, come se un branco di rinoceronti l'avesse calpestata e martoriata, privandola delle braccia e delle gambe, di ogni organo all'infuori del cuore. Quello stupido cuore che, nonostante l'anestesia dell'alcol, continuava a soffrire.


Finché le spalle di Sasuke si sciolsero, prive di quei pesi che l'avevano bloccato.


«Non serve una ragione» le disse.


O forse lo stava dicendo a se stesso. Sembrava ripetere nella sua testa parole che qualcuno, in un passato lontano, doveva avergli rivolto. E sembrava finalmente capirle.


«Solo per odiare serve una ragione» aggiunse. «Non per amare.»


Sakura invece non capiva. La testa le faceva male. Martellava. Emetteva scariche di elettricità che le trapassavano le tempie. L'unione di alcol e Sasuke era un'arma letale e non riusciva a pensare, né tanto meno a ricordare con precisione le parole che aveva pronunciato.


Una ragione, per non odiare, o forse era per non amare. Che cavolo!


«Insomma che significa?» lo gridò. Alla notte. A se stessa. A Sasuke.


E Sasuke non prese bene quel moto d'ira. Si girò verso di lei, stizzito. Con lo stesso broncio incazzato che gli corrugava la fronte quando da dodicenne litigava con Naruto. Ma ora non aveva più dodici anni e la sua incazzatura era diversa. E c'era il Rinnegan lì, che la fissava; e Sakura sapeva che avrebbe dovuto avere paura.


«Credi sul serio sia stato Kakashi a dirmi di cercarti, l'altro giorno?» le gridò contro.


Denti digrignati e pugni serrati rivelavano il suo fastidio. Quanto a lei, lei non voleva illudersi, leggere in quelle parole più di quanto vi fosse.


«Ma allora perché-»


Fu interrotta da un suo sbuffo. Un sorriso arrogante gli comparve in viso, il classico ghigno da prendere a schiaffi. E invece Sakura ebbe paura. La ebbe sul serio. Perché aveva già visto quel sorriso sul volto di Sasuke e sapeva benissimo cosa stava per dire:


«Sei davvero e dannatamente irritante.»


Mosse un passo indietro, con il respiro bloccato in gola e la mano portata al cuore, per salvarlo nel caso ci fosse andato di mezzo; e arretrò ancora. Avrebbe voluto avere la schiena contro il muro, così Sasuke non le si sarebbe materializzato dietro e non l'avrebbe colpita. Come quella volta.


Lui però era ancora lì, davanti a lei che era scoppiata in un fiume di lacrime. Ancora lì, con lo sguardo forte e severo e il sorriso un po' diverso da come lo ricordava, più inarcato verso l'alto, meno malinconico. Un sorriso che le labbra di Sasuke scomposero per pronunciare parole che Sakura non si sarebbe mai aspettata:


«Ma voglio sopportarti.»


Fu un tuffo al cuore. Voglio. Già, perché gli Uchiha erano dei grandi egoisti, Sakura lo sapeva. Perché prendevano sempre quello che volevano, arrivando direttamente al punto, senza degnare gli altri di una spiegazione o chiedere il permesso. Perché l'importante era il presente e il presente era adesso, quello stesso adesso che loro due stavano condividendo.


Ma Sasuke non aggiunse altro. Si girò, di nuovo, e mosse due passi, imboccando la via che l'avrebbe riportato a casa, da Karin e Suigetsu. Sakura sentì la bile montarle alla testa, rabbia fusa, sciolta e mischiata al sangue e ai quinto-litri di sakè che aveva bevuto.


«Tu! Tu! Tu sei irritante!» gridò tra i singhiozzi. E agì. Gli tirò il sandalo, dopo esserselo tolto dal piede, barcollando. Lo colpì. Secco, sulla scapola sinistra. «Sei la persona più insopportabile di cui mi potessi innamorare. Sasuke Uchiha, ti avverto! Non osare muovere un altro passo, oppure io-»


La schiena sbatté contro il muro, accanto alla porta d'ingresso del monolocale. L'avambraccio di Sasuke premeva sulla sua gola ed entrambi gli occhi erano in bella vista, Rinnegan e Sharingan. Pronti a uccidere. Sakura deglutì e sentì la saliva scendere a fatica in gola. Ecco, era fatta. Era spacciata. E pensare che lo amava. Gran cosa morire così.


Ma che gran cosa! È un vero schifo!


Ma se proprio doveva morire, allora avrebbe scelto la morte più dolce di tutte, la più meritevole.


E se è vero che la fortuna aiuta gli audaci...


Premette le labbra contro le sue, trattenendo il respiro, chiudendo gli occhi. E si rilassò, pronta ad accettare il destino che gli dèi avevano per lei in sorte, qualunque esso fosse. Sapeva di buono, Sasuke, di cose amare: menta e caffè. Non avrebbe voluto staccarsi, ma lui era immobile, non rispondeva e lei non poté far altro che arretrare, lasciare mezzo centimetro tra le loro labbra. Intimorita e spaventata, ma felice. Quando riaprì gli occhi, l'iride dello Sharingan era di nuovo nera:


«Stupida.»


Ma cosa?


La tirò verso di sé, con forza, e la schiacciò al suo petto, costringendola ad alzare il mento perché le loro bocche fossero di nuovo un tutt'uno, una cosa sola, una fragranza divina di sakè, caffè e menta.


E improvvisamente Sakura capì perché Temari si fosse fatta miliardi di chilometri sotto la tempesta. Per quel brivido che anche lei stava provando, per quel brivido che le labbra di Sasuke liberavano e dalla lingua scendeva nella gola e minacciava di farle esplodere il cuore. E poi andava sempre più in giù, per bloccare i polmoni e toglierle il respiro e scendeva di quota, fino alle gambe. Sakura le sentiva cedere, ma sapeva benissimo che non sarebbe caduta in una pozzanghera di fango e ghiaccio, perché le braccia di Sasuke la stringevano forte, ai fianchi.


E fu tutto limpido.


Capì che da lui non avrebbe mai avuto un chiaro “mi dispiace”, né un “perdonami, sono stato un coglione”, figurarsi un “ti amo”. C'erano però quelle due parole che continuavano a riecheggiarle in testa: voglio sopportarti. Ed era questo che le bastava: il volere. Perché per la prima volta in tutta la sua vita Sasuke Uchiha era lì, con lei, e non per un'imposizione di Kakashi o perché combattevano la stessa guerra. Sasuke Uchiha era lì, con lei, per un suo stesso desiderio, espresso con parole inequivocabili. Voglio sopportarti. Accettarti, vederti come la donna che sei, starti accanto, colmare ogni giorno della tua presenza. O forse erano i fiumi dell'alcol a farla fantasticare? Forse era lei che riempiva di significato due parole dette con lo scopo di metterla a tacere?


«Non te ne andrai, vero? Non andartene!» lo scongiurò.


Attese una risposta, un filo di speranza al quale stringersi con tutte le forze. Si augurava solo che Sasuke non avesse un paio di forbici per reciderlo, perché se fosse caduta, non avrebbe saputo rialzarsi.


Ma adesso una parte della sua mente lo capiva: era Sasuke che si stava aggrappando a lei, affondando le dita in quell'orrendo maglioncino rosso, sformato e troppo largo, cercando sotto le trame di lana intrecciata le scapole e la schiena, scoprendo che i loro corpi si incastravano alla perfezione, come se quelle stesse divinità, dopo mille tormenti e derisioni, li avessero plasmati per essere una cosa sola. Lo pensava Sakura e se ne convinceva sempre più, anche quando le labbra di Sasuke interruppero quel bacio scomposto e poco casto e si staccarono dalle sue:


«Mai» lo sentì dire.


Mai. Non esisteva parola più bella e dal suono più armonioso per le orecchie di Sakura. Di nuovo gli occhi le si riempirono d'acqua, ma questa volta era acqua di gioia, non di dolore, un liquido così ricco di sentimenti positivi e di felicità e di euforia che poteva lavare via anche la sofferenza più immensa.


«Per sempre?» gli chiese.


Sasuke la strinse ancora. Accarezzò con la punta delle dita i capelli rosa, più lunghi di come li portava due anni prima, e spinse la testa nell'incavo del collo. Sakura non poteva vedere il suo viso, ma voleva immaginare un sorriso di soddisfazione e sollievo su quelle labbra sottilissime.


«Sempre» le giurò.


Allora anche Sakura sorrise, senza aprire gli occhi per la paura di vedere la federa azzurra del suo cuscino e scoprire di avere soltanto sognato. Chiuso nelle palpebre, voleva custodire quell'amore a intermittenza, impacciato e inesperto che il cuore di Sasuke le stava donando. Voleva proteggerlo, come una madre il figlio, nutrirlo e annaffiarlo, giorno dopo giorno, recidendo i rami secchi, togliendo i parassiti, accarezzando ogni bocciolo, un futuro splendido fiore.


Sapeva che ci sarebbero state altre scariche di grandine, fastidiosi chicchi di ghiaccio che l'avrebbero colpita, e sapeva benissimo che Sasuke non avrebbe mai smesso di ferirla. Con la sua rudezza. Con la sua caparbietà. Con i suoi silenzi.


Ma in quell'istante sapeva anche che Ino aveva ragione. In natura dopo la grandine veniva il sereno e lei, quel sereno, era pronta a viverlo. Per sempre.


---


Buonasera a tutti, so che in molti avranno rinunciato a questa storia e, molto probabilmente all'altra (Binomio). La mia è una piccola comparsa su EFP, poi scomparirò per un altro po'. Lavoro (la mia prima maturità dall'altra parte), studio, ancora studio, di nuovo studio e un briciolo di vita privata. Così EFP è passato in ultima posizione e avevo deciso addirittura di eclissarmi nel nulla, finché durante ricreazione ho sentito due miei allievi parlare proprio di Naruto e ho pensato che pubblicare l'ultimo capitolo di Grandine (considerato che la storia è finita da più di un anno) non avrebbe guastato. 


Ringrazio tutte le persone che mi hanno sostenuta fino a questo momento, spero che l'editing funzioni (ho cambiato programma). Ringrazio anche le persone che recensiscono e hanno sempre recensito (e a molte devo ancora rispondere). Spero un giorno di tornare a completare l'altra storia iniziata, quando la vita mi darà un attimo di tregua (forse mi toccherà aspettare la pensione). 


Grazie ancora a tutti


Odiblue

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Odiblue