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Autore: SunVenice    20/04/2016    4 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Nel mentre della lettura si consiglia l'ascolto (in quest'ordine) delle seguenti canzoni:
Ivan Graziani - Poppe poppe poppe
Kiznaiver OP - LAY YOUR HANDS ON ME
Major Lazer & DJ Snake - Lean on (feat. Mø)
Coldplay - Adventure of a lifetime


32: 

Scelta Giusta

 

~Corno Sinistro

Erano state due le cose che il cervello di Ace era riuscito a registrare, una volta raggiunto Satch.

Una ragazza teneva l’amico per il bavero della giacca, ringhiandogli in faccia come un animale, e poi … il suono di uno strappo ed il ricordo offuscato di un pezzo di stoffa caduto a terra.

Dopodiché non ricordava granché.

Forse il suo cervello era andato in blackout. Troppe informazioni.

Probabilmente.

Molto probabilmente.

No, ripensandoci, il suo cervello era sicuramente andato in tilt. 

Troppa roba. 

Non riusciva ad afferrare cosa, ma era stato decisamente troppo.

“Copriti! Copriti!!! Li vuoi uccidere??”

Era la voce di Izou? Quand’era arrivato?

“Non osare dirmi cosa fare e non osare toccarmi, confetto ambulante!”

“E tu riprenditi, imbecille!”

Un colpo secco alla testa lo fece rinvenire, scagliandolo letteralmente a terra. Stropicciò gli occhi. Si sentiva come quando si svegliava da un attacco narcolettico. Solo che in quel caso era certo di non essersi addormentato. 

Mi sono imbambolato? - si domandò incredulo. Non gli era mai successo. Cosa diamine aveva visto per reagire in quella maniera?

Puntellando le mani a terra per rialzarsi Ace, scorse con la coda dell’occhio qualcosa di scuro e filamentoso abbandonato tra la polvere della strada. Lo studiò un po’ meglio: sembrava di pelle ricucita verticalmente ed alle estremità presentava dei lacci filamentosi, chiaramente danneggiati e strappatisi per via dell’usura.

Qualcosa nel suo cervello soffriva per scattare.

Ce l’aveva sulla punta della lingua.

“Satch! Smettila di sanguinare!!”

“Ti zembra bvacile???!!!”

Satch stava sanguinando?!?!

Colto da un’improvvisa ondata di adrenalina, Pugno di Fuoco saltò in piedi come un grillo, pronto ad agire in difesa del fratello. Cosa gli aveva fatto quella ragazza? Staccato il naso a morsi? Sperava di no, a detta di Carol era la parte migliore di Satch.

E fu allora che il viso della colpevole rientrò nel suo campo visivo.

Due occhi nocciola accigliati, lunghe ciglia, un volto indurito dalla rabbia, una bocca stretta, capelli lunghi, scarmigliati e da un colore simile a quello della polvere.

Ace stabuzzò gli occhi.

La ragazza teneva ancora il compagno per la giacca e stava squadrando Izou con fare minaccioso, sicuramente intimandogli di non avvicinarsi. 

La cugina di Allegra… Stava ancora sognando? Com’era possibile che si trovasse sulla loro stessa isola?

Poi spostò lo sguardo inevitabilmente verso il basso.

Due grandi colline bianche lo guardavano sfrontate.

Sbiancò impietrito e si ricordò cosa effettivamente lo aveva fatto entrare in coma e … rischiò seriamente di tornarci.

La sua mascella ciondolò a pochi centimetri da terra e così le sue braccia.

Viola Sollevapesi era letteralmente a petto nudo, davanti a loro. E non sembrava nemmeno considerare l’eventualità di doversi coprire. 

Non aveva parole. Cosa..? Come..? 

Izou gli tirò un pizzicotto sul braccio, ridestandolo dal trans in cui era ripiombato.

Persino Satch, la cui testa ciondolava all’altezza del suo prosperoso petto, era rimasto senza parole e, nonostante stesse chiaramente cercando di rimettersi in piedi sulle proprie gambe ed al contempo non far scivolare il proprio sguardo lungo quella profondissima scollatura, dalle sue mani, premute disperatamente sul proprio viso, scorreva una quantità considerevole di liquido rosso.

Ora capiva perché Izou fosse così alterato.

Lui veniva da una civiltà estremamente rigida nei confronti del vestiario femminile, ma nonostante tutto, doveva ammetterlo, l’onnagata stava dimostrando molto più autocontrollo di lui e Satch messi assieme.

“Insomma! Copriti!” sbraitò il suddetto orientale, per l’ennesima volta, coi denti apparentemente più affilati per la rabbia.

Doveva ammettere che era uno spasso vedere il compagno di ciurma così scombussolato. Aveva persino parecchi capelli fuori posto che, per uno come Belladonna, sempre impeccabile e ben curato, era dire molto.

La ragazza lanciò un ennesima occhiataccia all’orientale. Si vedeva che non era contenta, assolutamente. Più Izou le urlava addosso più la sua bocca si storceva feroce, sfoggiando una fila di denti bianchi e digrignanti.

“Se non la smetti di alzare la voce…confetto…”

Un crepitio sottile gli stuzzicò la punta del naso, non attribuibile al fracasso che il ponte Squama, oramai un mucchio di macerie bruciacchiate. Gli parve quasi che il suo corpo si stesse tramutando nel turbinio di fiamme roventi che conosceva, preceduto da una sorta di scoppiettio a fior di pelle, seguito da una vampata d’aria calda. L’unica differenza stava nel fatto che lui non si stava trasformando e per nulla al mondo si sarebbe permesso di nuocere con il proprio potere sulla cugina di Allegra, sebbene gli atteggiamenti tutt’altro che pacifici di quest’ultima.

La folata calda che gli arrivò in pieno viso non lo colse di sorpresa, come invece fece con Satch e Izou, così come non lo stupì il distendersi improvviso di un manto di fiamme rosse sanguigne lungo le braccia di Viola Sollevapesi. Sembrarono proliferare dalla sua stessa pelle e le ricoprirono gli arti dalle spalle fino alle punte delle dita.

Dal basso della propria posizione Satch rantolò, per un attimo preso dal panico nel vedersi quelle lingue infuocate guizzare a pochi millimetri dalla propria persona, ma solo per poi grugnire dolorante, quando il proprio didietro incontrò la superficie fin troppo solida della strada.

La paradisea scrollò le mani, come a volersi ripulire da qualche germe immaginario proveniente dall’umano appena scaraventato all’indietro, per poi arricciare le dita con gesto secco e puntare verso di loro.

Le fiamme rosse si allungarono oltre la linea della clavicola, coprendo, per la gioia dei loro poveri, disabituati sensi, i pettorali della giovane. Ace giurò di sentire Izou tirare un sospiro di esasperato sollievo.

Di norma nessuno di loro si sarebbe sentito minacciato da una ragazza a pugni stretti nella loro direzione, e a petto nudo per giunta, ma quelle fiamme, di quel colore così particolare poi, fece loro capire un paio di cose non proprio irrilevanti. Le fiamme che avevano divorato il Ponte Squama erano rosse e anche quelle della paradisea lo erano.

Non ci voleva un genio per fare un collegamento così semplice.

Oltretutto, era impossibile non notare quanto tonici e e scolpiti fossero le sue braccia, anche da sotto quel manto di fiamme.

Ciò non fece che preoccuparlo maggiormente.

Ripensare che aveva addirittura preso in giro Allegra quando aveva dichiarato che sua cugina sarebbe stata anche in grado di ridurli ad un misero mucchietto di ossa, gli mise addosso un certo imbarazzo. Forse in cuor suo aveva sperato la paradisea gialla stesse esagerando per una qualche cristallizzata forma di rispetto mista a timore nei confronti della consanguinea, ma vederla così, reale, tesa, selvaggia, le mani macchiate di sangue ed a pochi passi di un corpo apparentemente esanime, dissipò ogni suo dubbio.

Aveva già capito dalla sua taglia che fosse una tipa tosta e, tralasciando il personale imbarazzo per averla sottovalutata senza averla mai incontrata, la cosa non gli dispiaceva. Il suo istinto da combattente prudette, stuzzicato dalla possibilità di un combattimento stimolante, ma lui lo ricacciò indietro, nell’angolo più remoto della propria mente.

Simili atteggiamenti bambineschi sarebbero stati più adatti a quella testa calda del suo fratellino, non suoi, e poi non potevano concedersi di perdere tempo: dovevano trovare Allegra.

Assunse la postura più tranquilla e pacifica che conoscesse: dritto sulla schiena, mani a palmi aperti rivolti verso l’avversaria ed un sorriso rilassato, forse un po’ troppo tirato per i suoi gusti, ma ,data la tensione, non riuscì a fare di meglio.

“Ehi ehi. Calma i bollenti spiriti, ok? Non abbiamo cattive intenzioni, siamo dalla tua parte.”

La ragazza assottigliò lo sguardo, scrutandolo diffidente.

“Tsè… raccontalo a qualcun altro.”

“No, dico davvero. Noi siam-…”

“Il vermiciattolo dal ciuffo sa il mio nome…” sibilò, interrompendolo.

Satch stava nel mentre cercando di non far defluire altro sangue dal proprio naso, alzando la testa più che poteva, guardando verso l’alto a gambe incrociate.

“Che baleducata…” bofonchiò il Diplomatico.

“Hai una taglia sulla tua testa, cocca.” intervenne Izou, puntellando una mano su un fianco, forse nella vana speranza di salvare la situazione con una spiegazione che non implicasse rivelazioni pungenti, come il rapimento di Allegra.

Ace, tuttavia, non poteva condividere con il desiderio del compagno di tenere celato il motivo di quella loro malaugurata scampagnata tra le strade del Corno Sinistro: si trattava pur sempre della cugina della paradisea. Non potevano lasciarla all’oscuro, soprattutto in una situazione critica come quella.

“SULLA MIA TAGLIA NON C’E’ IL MIO COGNOME!!!”

E poi non è tipo da farsi prendere per il naso. - ridacchiò sudando freddo. Che tipino.

Satch era riuscito ad infilarsi un paio di pezzi di carta attorcigliati nelle narici, fermando l’emorragia, tornando a poter parlare quasi come una persona normale.

“E se ti dicessimo che conosciamo tua cugina?”

Diretto. Coinciso e con un tocco di cautela. Ace aveva sempre ammirato la capacità che Satch aveva di trattare i temi più spinosi con parole nette e semplici, nonostante di solito lo facesse con una faccia più felice e meno accigliata.

Le parole del diplomatico ebbero effetto immediato: gli occhi nocciola della ragazza di sbarrarono e la sua testa scattò di lato, verso Satch, incredula e smarrita.

“Cos’hai detto?” sussurrò con voce a malapena udibile, strozzata dalla sorpresa.

“Allegra.” si fece avanti Pugno di Fuoco, attirando l’attenzione della paradisea rossa su di sé. “Navighiamo con lei da qualche mese, l’abbiamo ripescata dal mare che era mezza disidratata. Ci ha raccontato di essere scappata da una nave di schiavisti e che il Governo Mondiale ha massacrato le vostre simili e costrettovi alla fuga.”

I corpo teso di Sollevapesi si rilassò appena, e persino le fiamme crepitarono meno forti. C’era confusione nei suoi occhi e forse un tocco di speranza, ma non durò a lungo.

Stringendo i denti e scuotendo la testa, Viola Sollevapesi tornò ad essere la molla tesa e mortale che era stata fino ad allora.

“Stronzate! Allegra non può avervelo raccontato! Lei non conosce una parola della vostra lingua! Non è mai riuscita a mettere insieme più di mezza parola!”

“Eeee… testarda come ti aveva descritta.” esclamò il pirata dal cappello alla cowboy, lasciando che le sue braccia ciondolassero in avanti. Sbuffò deluso: per un attimo ci aveva quasi creduto.

“Gliel’abbiamo insegnata, cocca.” 

“Non chiamarmi cocca, confetto!!!!”

“Con quel davanzale spudorato che ti porti appresso puoi assomigliare solo ad una cocca, cocca!!!”

“E chi gliel’avrebbe insegnata la vostra strascicata e schifosa lingua, eh? Neanche Arch è riuscito mai a inculcargliela in testa e dire che sono io quella che ha fatto più storie per impararla!!”

Ace non sapeva quando, esattamente, Satch si fosse avvicinato a Sollevapesi Viola. Che avesse gattonato era cosa scontata, ma era stato tanto preso dal rapido scambio di insulti tra lei e Belladonna che se ne rese conto all’ultimo, quando l’argentata abbassò improvvisamente lo sguardo verso il basso, distratta dal pirata imbrillantinato che, ancora seduto a gambe incrociate per terra, le aveva stuzzicato una gamba con un dito.

Una volta guadagnata la sua attenzione, Satch fece una cosa abbastanza spiazzante: puntò quello stesso dito con cui l’aveva richiamata verso l’alto, indicando insistentemente qualcosa per poi elargire un’unica e semplice parola:

“Lui.”

Era impossibile non riconoscerlo, anche da lontano ed intento a sorvolare i resti, oramai quasi del tutto spenti, del ponte.

Marco la Fenice si era certamente soffermato a controllare il monumento, preso dall’ansia di potervi trovare Allegra, bloccata da dei muri di fiamme. 

Lo si poteva capire da come volteggiava. I suoi battiti d’ali, solitamente pigramente sinuosi, non erano mai stati così veloci e frenetici ed Ace non poté che condividere la sua ansia.

“Oh, Grande Spirito.”

A giudicare però dall’incarnato notevolmente impallidito della paradisea rossa, noto a tutti una volta abbassati gli sguardi, la vista del loro compagno di ciurma aveva messo fuori uso parecchi dei suoi fusibili cerebrali.

D’accordo, forse la vista di un grande rapace infuocato non doveva essere una cosa normale per una paradisea. Ora che ci ripensava anche Allegra si era fermata ad osservare Marco più a lungo del dovuto, la prima volta che si era tramutato di fronte a lei…

“LUI?!” esplose infine l’argentata con voce tremolante, ma, incredibile a dirsi, ugualmente potente.

“LUI..è …” balbettò un paio di volte, incapace di articolare una frase di più.

“Viola Sassonia.” intervenne Izou in tono colloquiale, ponendosi davanti alla ragazza come se la stesse presentando all’amico, nonostante la distanza. “Marco la Fenice. Membro della ciurma di Edward Newgate detto Barbabianca.”

Come se le fosse scoppiata una bolla di sapone in faccia, Sollevapesi tornò a guardarli, non meno sconvolta.

“Anche…anche voi siete quella roba…pirati?”

“Ne conosci altri?” ridacchiò lui, ma si morse la lingua, vedendosela accigliarsi pericolosamente.

“Sì, lentiggine, dei clown alla guida di un’obbrobrio galleggiante con un ratto volante stampato davanti e tanti teschi come ornamenti.” scandì ringhiante, per poi far calare velocemente la propria attenzione su Satch.

“E tu levati, brillantina.” lo snobbò velocemente dandogli un rapido, ma nemmeno tanto convinto, calcio nelle costole.

Satch la prese abbastanza bene e, addirittura ridacchiando sotto i baffi, strisciò di qualche metro di lato, come ordinatogli.

Nel frattempo tutti e tre ragionarono sulla descrizione appena ricevuta: una polena a forma di pipistrello e ornamenti macabri. Era la Hell Glory di Eustass Kidd, senz’ombra di dubbio.

Pazzesco.- pensò Ace, grattandosi la testa da sotto la falda del cappello - Ora ne dobbiamo una pure ad Eustass Kidd.

Ad ogni modo si notava a colpo d’occhio che la paradisea si fosse parecchio rabbonita rispetto a prima, ed era bastata la presenza di Marco? Buono a sapersi.

“Va bene, vermetti, vi credo.” decretò e le sue fiamme di colpo si dissiparono, come evaporate. Izou fece uno slancio da record, sfilandosi l’haidate in tessuto rosso che portava alla vita, e, con rapido movimento delle braccia, salvò da nuova vergogna i propri compagni di ciurma ed avvolse il telo di tessuto pregiato (non fosse mai che lui si coprisse di roba volgare) attorno alle nudità della giovane.

Al compimento della propria impresa, l’orientale si mise quasi a piangere commosso. Ce l’aveva fatta a farla coprire, infine.

Viola si limitò a guardarlo stranita ed un poco stizzita per un istante.

“Ora portatemi da mia cugina.”

Di colpo l’atmosfera gelò.

“Cosa c’è?”

Satch aveva prontamente rotolato in avanti, nascondendosi dietro lo yukata roseo di Izou.

Alla fine erano arrivati al punto. Era anche ora, ma Ace cominciava ad avere dei dubbi sul lieto fine di quella vicenda. Deglutì e, forse con voce ancora un po’ troppo arrochita dal nervoso, si fece avanti. 

“C’è un problema:…” faticò a far scivolare via il resto “…tua cugina è stata rapita.”

Izou si ritrasse per un soffio, prima che l’impietosa presa della Sollevapesi calasse su di lui, diretta nientemeno che alla propria acconciatura.

La paradisea era tornata ad essere un fascio di nervi: occhi fissi e spiritati, narici dilatate e dita arricciate, pronte ad artigliare la prima persona a portata di mano.

“Lo sapevo…” sibilò velenosa, portandosi di un passo in avanti  “…siete esattamente come tutti gli altri. E dire che c’ero quasi cascata. Tch. Arch si farebbe una grassa risata se avesse senso dell’umorismo.”

“Aspetta.” la interruppe Satch, alzatosi in piedi e coraggiosamente spintosi in avanti. Nonostante il Diplomatico avesse ancora nel naso quei ridicoli pezzi di carta, la sua espressione era assorta e a tratti glaciale. Ace potè intuire e condividere appieno la scelta dell’amico di non lasciarsi prendere da chiacchiere e sorrisi inutili, anche se si trattava della cugina di Allegra.

“Noi non vogliamo grane in questo momento. Stiamo veramente cercando tua cugin-.”

“Stonzate! Scommetto che la tenevate rinchiusa, lei è scappata e ora volete solo scambiare una pagnotta per un’altra!”

“Ti abbiamo già detto che siamo pirati, non schiav-! Dannazione, almeno fammi finire di parlare!!! Chi ti ha insegnato l’educazione, un troglodita?!” protestò l’orientale, mettendosi nuovamente al riparo dalle mani dell’altra, tornate scarlatte e roventi.  Ace vide le unghie minacciose dell’argentata sfiorare e tagliare, con il proprio semplice calore, una manciata di filamenti neri sfuggiti all’acconciatura dell’altro e si mosse in avanti di puro istinto.

I suoi palmi e quelli di Sollevapesi cozzarono a metà strada dalla faccia di Izou.

Pugno di Fuoco avvertì i propri muscoli tremolare nell’atto di contrastare la forza del colpo, originariamente diretto all’amico, e la sua pazienza si spezzò come un ramoscello secco.

Al diavolo il suo grado di parentela con Allegra. Aveva superato il limite!

In una frazione di secondo, prima che questa potesse indietreggiare e caricare un’altro colpo, decise di non farsela scivolare via dalle mani. Le sue mani si mossero veloci e ferme, costringendo le dita di Viola ad intrecciarsi con le sue.

La paradisea lo fissò allibita e, dopo un attimo di smarrimento, tentò di sottrarsi alla presa, senza successo. Non ci volle molto perché intuisse l’andazzo di quella situazione e optasse per una tattica più offensiva.

Ace avvertì uno strattone, poi le lunghe ciglia pallide dell’altra invasero il suo campo visivo, accompagnate da un bruciore ridondante al centro della propria fronte. Quella stronza…! Gli aveva appena dato una testata!!

Pugno di fuoco strizzò appena gli occhi, colto da una sensazione da tempo quasi dimenticata: dolore. 

Sapeva usare l’Haki?

Si aspettò di vederla caricare all’indietro la testa, ma, con sua enorme sorpresa, la paradisea calcò ancor di più la propria fronte sulla sua e le dita affusolate bloccate tra le sue iniziarono a sfrigolare più forte.

Nel giro di un battito di ciglia le fiamme rosse di Viola erano tornate a divampare, più aggressive e furiose di prima. L’haidate di Izou fu la loro prima vittima.

“No, no, no!! Quella è pura seta di Wano!!”

Ovviamente Ace non fece caso ai piagnucolii di Izou, colpito dalla faccia tosta della ragazza. La paradisea continuava a guardarlo come a volerlo incenerire, aspirazione alquanto inverosimile, se si considerava ciò di cui era capace.

Per nulla intimidito rispose alla dolorosa pressione, dando il via ad una prova di forza tra teste dure. Lo spazio personale che stavano condividendo, alitandosi a così pochi centimetri l’uno dall’altro,  avrebbe fatto arrossire qualsiasi altro esponente del “gentil sesso”, invece Viola non faceva una piega, anzi, l’unica smorfia che deformava occasionalmente il suo viso sembrava di dolore, e non di vergogna.

Ace sogghignò, avvertendo le fiamme cremisi aumentare di calore. Era quasi divertente vederla impegnarsi così tanto per ustionarlo, ma non aveva più né la voglia né il tempo per i giochetti.

Dal proprio punto di vista Viola osservò il sorriso birbante del lentigginoso, stendersi con sicurezza inaspettata.

Non gli sto facendo niente. - realizzò con una punta di panico. Aveva dunque bruciato tutta quella Essenza per niente!? Grande Spirito, ma almeno una gioia non gliela poteva dare?!

Avvertì la presa dell’umano farsi più solida e dolorosa tra le sue dita, così tanto che le sfuggì un rantolo, e notò quegli occhietti neri, ombrati dalla falda del copricapo, luccicare in un modo entusiasta e sinistro.

“Vuoi fare a gara a chi brucia di più, simpaticona?” 

I palmi dell’altro premettero più forti e una sensazione famigliare si sovrappose a quella già presente delle proprie fiamme.

“Perchè, se cercavi una sfida all’ultima fiamma, hai scelto la persona giusta!!”

Fece fatica a processare l’immagine dell’umano esplodere in un turbine di fiamme arancioni. Alcune parti dei suoi arti, così come i vestiti, persino il cappello, si stavano letteralmente dissolvendo in fiamme. Le braccia muscolose che la costringevano all’immobilità, assomigliavano in maniera sconvolgente alle sue in quel momento: rivestite da un manto infuocato.

Non registrò nient’altro. A malapena si rese conto della presa dell’umano, prima solida e di muscoli tesi sui suoi, fattasi più evanescente, pur rimanendo in grado di bloccarla.

Fiamme! Arancioni! Fiamme più alte delle sue!! Oh cavolo. Cavolo. Cavolo!!

Strattonò le braccia per ritirarle ed Indietreggiò d’istinto, colta dalla terribile, ancestrale, sensazione di aver fatto un errore stupido ed imperdonabile. Lottò per riprendere possesso delle proprie dita, ancora trattenute da quelle fiamme assurdamente concrete.

Il pirata osservò meravigliato quell’improvviso cambio di attitudine ed impiegò una buona manciata di secondi prima di lasciare che il suo fuoco si ricompattasse nell’originaria forma di corpo umano. Una volta che le sue dita lunghe e tozze ripresero il proprio posto, Ace l’assecondò, allargando le falangi e lasciando che scivolasse via.

Viola rischiò di ruzzolare a terra, ma, nonostante la propria foga di allontanarsi, riuscì a mantenere quel briciolo di equilibrio che preservò la poca dignità che sentiva esserle rimasta. 

Se prima aveva avuto più di un dubbio riguardo quei tre strambi individui, ora ne aveva ancora di più. Allegra conosceva gente simile? Quello che aveva davanti sembrava una versione potenziata di Arch senza tutte quelle lagne su ustioni di vario genere e quell’altro, di nome Marco, che svolazzava sopra il suo ultimo capolavoro di idiozia…

E se avessero detto il vero? Se veramente Allegra fosse stata presa in ostaggio da altri vermi schifosi, ansiosi di riempirsi le tasche e quei tre stessero solo cercando di trovarla e rimetterla al sicuro? Il lentigginoso non dava l’impressione di essere un contaballe e si era anche parato in difesa del confettino, cosa che non aveva mai visto fare agli schiavisti, o cacciatori di taglie chissà, che avevano erroneamente cercato di metterla nel sacco tempo addietro. Inoltre il brillantinato dal ciuffo improponibile aveva avuto più di una buona occasione per poterla bloccare vigliaccamente da dietro ed avvantaggiare i suoi possibili complici.

Non le risultava difficile immaginare sua cugina concedere loro fiducia, ma non poteva permettersi il lusso di valutare con così poco dei perfetti estranei.

Restavano, o comunque sembravano, sempre degli umani, dopotutto.

Dunque che fare? 

Conosceva un solo modo per capire se conoscevano bene Allegra come sostenevano.

Rilassò le spalle e prese un respiro profondo. Davanti a lei i tre sedicenti pirati la fissavano col groppo alla gola.

“Se davvero conoscete Allegra così bene…” cominciò scrutandoli con gli occhi ridotti a due fessure “…allora ditemi: quali sono la cosa che ama e che odia più di ogni altra cosa al mondo?”

Non risposero subito e questo non fece che alimentare nuovamente i suoi sospetti. Il moretto lentigginoso dal petto scoperto si aggiustò il cappello arancione con espressione dubbiosa e il confettino dalla stupida acconciatura fece le spallucce.

Solo il biondo brillantinato si fece avanti con espressione seria e risoluta.

“Lo scricciolo ama i luoghi alti, ma odia con tutto il cuore cadere.” decretò senza mezzi termini.

A Viola mancò il respiro.

Non ci sarebbe mai stata risposta più azzeccata di quella.

Pochi sapevano del contraddittorio timore che la paradisea dalle fiamme cangianti provava nei confronti delle altezze. Solo lei, Archetto e Clarina ne erano a conoscenza, mentre le altre sull’isola avevano sempre ritratto la sua piccola, svelta e iperattiva cuginetta come un esserino indomito e senza alcuna paura.

In quel momento però i suoi pensieri erano diretti a ben altro.

Perché quella rivelazione, apparentemente di poco conto, apriva le porte ad una orribile e ben più grave realtà: Allegra era stata veramente rapita.

Ace la vide abbassare il capo e, a pugni stretti, marciare verso di lui finché non fu a pochi centimetri dal suo naso. 

Pugno di fuoco avvertì il laccio del cappello, ornato dall’emblema di un teschio, venire strattonato verso il basso, poi trainato in avanti, costringendolo ad arrancare per non cadere di faccia a terra.

“E voi che aspettate vermetti? Muovete il culo e cerchiamola!!”

 

 

 

 

Non doveva muovere nemmeno un muscolo. Non un tic. Nemmeno un respiro troppo profondo.

Riprendere coscienza  con l’effetto di qualsiasi cosa le avessero iniettato ancora addosso era una cosa orribile: si sentiva la bile acida solleticarle il palato e un senso di stanchezza opprimerle i muscoli, come se una forza estranea glieli spremesse dall’interno, lasciandoli molli e doloranti. 

Soppresse la tentazione di lamentarsi ed accigliarsi, colta dall’ennesimo piccolo conato che le mosse la gola. Aveva faticato non poco a mantenere l’espressione rilassata ed il respiro regolare, una volta accortasi di star riprendendo controllo del proprio corpo, ma non avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta.

A quanto percepiva i suoi rapitori non si erano dati pena di legarle le mani, quindi si dedicò quasi immediatamente all’obiettivo di riuscire a risvegliare dal proprio torpore almeno un singolo dito, tentando di percepire con un polpastrello la superficie ruvida del pavimento umidiccio dove era distesa. 

“ARGH!” ringhiò inattesa una voce alle sue spalle. Cavolo, si era quasi lasciata scappare un sussulto!

Calme toi, Pobs.” riconobbe l’accento ed il modo stranissimo di strascicare le parole: era la stessa persona che l’aveva drogata.  A giudicare dalla voce era il più vicino rispetto a lei, e ciò le mise addosso sia un certo disagio sia un senso di impazienza. L’idea di avere quella carogna a potenziale portata di mani le faceva prudere i palmi di pura brama di vendetta. Oh. Un bel calcio nei punti bassi non glielo toglieva nessuno!

“Calmarmi?! Quel bastardo è in ritardo! Io non ho tutto il giorno Reginald! Mia moglie ha cominciato ad usare il rastrello per quando non arrivo a casa in tempo! Non posso permettermi di mancare all’ennesimo pranzo con mio figlio perché ‘mister rapitore/benefattore’ ha il culo pesante!!”

“Davvero Pobs. Non riesco proprio a capire perché tu abbia scelto questo lavoro. Io ho debiti di gioco dalla testa fino agli alluci. Tu almeno hai una famiglia, una casa. Si può sapere perché ti sei buttato in questa faccenda?”

Allegra udì una lunga sofferta pausa, poi un tonfo per terra. Quella conversazione l’incuriosì: quindi non era stata loro l’iniziativa di rapirla per venderla a qualche nave schiavista. Si concentrò sulle loro parole, interrompendo i suoi tentativi di riattivare la propria capacità motoria. 

“Ho perso il lavoro, Reg. Da quattro mesi.” dichiarò Pobs.

“Oh mon dieu.”

“Già…”

“Deduco che Jara non lo sappia.”

“Crede ancora che lavori in un quel cubicolo di sfruttatori al soldo del governo. Ed è meglio che continui a crederlo. Non voglio rovinarle la vita.”

“Senti Pobs. Conosco te e Jara, da quanto? Sei anni? Praticamente ho visto Breton nascere. Jara non è il tipo di donna che lascia uno su due piedi solo perché non ha più un lavoro.”

“Tu non l’hai vista Reg, era così felice quando ho ottenuto quel lavoro. Così orgogliosa. Non voglio che pensi di aver sposato il proverbiale fallito che per problemi di coscienza manda la famiglia per strada.”

“E per non affrontare tua moglie, la tua coscienza ti ha mandato a sequestrare una ragazzina in cambio di qualche spicciolo.”

“Senti chi parla.”

Oh, bene. Quindi non era nelle mani di due maniaci assassini stagionati. Era rassicurante sapere di avere a che fare con qualcuno che, tutto sommato, una coscienza ancora ce l’aveva. Sarebbe stato meglio, comunque, non contare troppo su un loro ripensamento.

Bene. Il suo dito finalmente rispondeva, anche se incerto.

“Io mi sto giocando la vita Pobs, quelli non vogliono più aspettare che mi faccia un nome tra i tavoli da gioco. O i soldi o la mia testa. Ringrazio solo il cielo di non aver mai messo su famiglia.” 

Quasi si sentiva in colpa per star progettando di scappare via. Quasi. Non era mica masochista. Ora doveva solo aspettare il momento giusto.

“Io te l’avevo detto di smetterla col gioco. Stavi appiccicato a quei tavoli come un droga-!”

“NON SONO UN DROGATO!!!” lo bloccò Reginald, lanciando qualcosa di metallico a terra, che rimbalzò qualche metro più avanti. Il riecheggiare delle vibrazioni di quell’oggetto le fece intuire di trovarsi in un luogo piuttosto ampio. Perfetto: avrebbe avuto più spazio per muoversi.

“E tu come lo chiami uno che è talmente ossessionato da qualcosa che si dimentica addirittura di mangiare??!! Hai dimenticato chi è che ti sfamava quando i buttafuori di quella trappola ti gettavano in strada svenuto??!! O forse il cibo che ti preparava Jara non era di tuo gusto?!”

Ci fu un lamento seguito da un tonfo a terra, seguito dal rumori di altri colpi.

Si stavano picchiando.

Un’ondata di euforia la scosse. Perfetto.

Aprì lentamente gli occhi, appurando che la rissa stava avendo luogo alle sue spalle, dove quei due non potevano notare che si era risvegliata. 

La luce era scarsa e tremolante, fornita da delle lampade ad olio probabilmente appese fuori dal suo campo visivo, il pavimento era umido e ricoperto di sabbia e da lontano si poteva udire lo scroscio ritmico del mare. Dovunque si trovasse, era a livello del mare.

Mosse ancora un paio di volte il polpastrello e si concentrò.

Una fiammella gialla fece capolino sulla punta del suo dito.

Ora.

Si rimise in piedi con uno slancio delle braccia, approfittando di essere distesa lungo un fianco, e, ancora un poco traballante alle ginocchia, sondò i dintorni. Dietro di lei i suoi rapitori si stavano ancora azzuffando quindi ebbe tempo a sufficienza per controllare. Come aveva sospettato, si trattava di una grande sala squadrata senza finestre nè fonti di luce naturale, ed il soffitto, sempre composto in pietra lavorata, formava una sorta di croce al centro che scendeva poi ricurva fino al pavimento. 

Ognuno dei quattro muri che componevano la stanza si apriva in un’apertura ad arco.

“Ma che-…UGH!“

A giudicare dal modo in cui Pobs aveva strabuzzato gli occhi, doveva essersi accorto che mi ero rialzata. Fortunatamente Reginald, nonostante la corporatura più smilza, ne aveva approfittato per assestargli un altro pugno in pieno viso.

Ora doveva scegliere quale strada prendere. Ok, doveva riprendere fiato. Aveva sentito il rumore delle onde, quindi doveva essere vicino al mare, molto vicina. Poteva scegliere se dirigersi verso il mare, e pregare di avere forza a sufficienza per nuotare in un luogo sicuro, o addentrarsi nei cunicoli di quel posto che, già ad una prima occhiata, pareva immenso. Se però avesse imboccato la strada sbagliata quei due l’avrebbero come minimo riacciuffata nel giuro di pochi minuti.

Non aveva molto tempo per pensarci su. Pobs non si sarebbe fatto interrompere un’altra volta.

“Al diavolo!” si gettò sul passaggio più vicino, da dove le sembrava provenire il suono rassicurante dell’acqua.

“STA SCAPPANDO!”

Appena in tempo. Davanti a lei si aprì un lungo corridoio scuro e gocciolante, ma che, con sua immensa gioia, presentava la proverbiale luce alla fine del tunnel a soli pochi metri più avanti. Ad ogni passo che compiva, pestando i piedi scalzi sulla superficie bagnata del pavimento, si accorgeva che questa diventava sempre più ruvida e granulosa.

Sabbia! Era sulla strada giusta!

Anche il suono del mare si faceva sempre più forte, risuonandole nelle orecchie come un canto di speranza.

“FERMA!”

La vista di una distesa azzurra liquida la fece frenare appena in tempo per non capitombolare giù per una vecchia scala in pietra. Rantolò, agitando le braccia per riprendere l’equilibrio ed osservò la scala tuffarsi e sparire nello specchio d’acqua brillante. 

La nuova stanza dov’era sbucata non era altro che una grotta nera e spigolosa.

La cosa che però attrasse maggiormente la sua attenzione fu il bianco e fulgido riflesso proveniente da una delle insenature di roccia più lontane: l’esterno. 

Si scansò di lato, impedendo ad una mano ossuta, sicuramente di Reginald, di afferrarle una spalla, e si lanciò senza ripensamenti giù per la scalinata. Quando le sue caviglie infransero la perfezione di quella superficie acquosa sentì la libertà invaderla ed aprirsi davanti a lei.

Era immersa fino alla vita quando la voce rotta di Reginald la bloccò.

“Fermati, TI PREGO!”

Non seppe mai cosa la mosse a voltarsi.

Il volto rigato di lacrime e contratto di Reginald fu la cosa più miserabile che avesse mai visto. Sotto i segni rossi della scazzottata con Pobs la disperazione del giocatore d’azzardo era evidente e la investì così forte da stringerle il cuore.  Si era persino lasciato cadere a carponi, inchinandosi a terra in segno di preghiera.

La stava letteralmente scongiurando di restare. Era bastata la sola eventualità che potesse riuscire a scappare per farlo crollare definitivamente. Quello che aveva davanti non era un uomo in cerca di denaro facile, ma un condannato a morte che vede la sua ultima speranza scivolargli dalle dita.

Colta da un momento di incertezza, la paradisea si lasciò scivolare verso la parte più profonda di quella piscina naturale, facendo volteggiare le gambe tra i suoi flutti limpidi, mentre continuava a scrutare l’uomo perdere ogni tipo di contegno. 

“Ti prego…mi ammazzeranno. Ti prego… N-non… lasciarmi morire.”

Sapeva che la scelta più sensata sarebbe stata fuggire senza voltarsi più indietro, immergersi totalmente nuotare verso l’uscita della grotta. Era così vicina da sentire l’aria salina del mare solleticarle il collo. Un paio di bracciate e sarebbe stata di nuovo libera. Avrebbe rivisto Oyaji, Penelope, Mindy, Carol, Ace, Satch, Jaws…Marco. Nessuno l’avrebbe portata via un’altra volta, nè l’avrebbe rinchiusa o incatenata. Sarebbe ripartita alla ricerca di Viola e Arch e si sarebbe presto dimenticata di quella disavventura.

Allora perchè, nonostante il suo cervello le urlasse di muoversi, non riusciva a muovere un muscolo?

L’uomo che aveva davanti, e che in quel momento stava ripetendo la sua preghiera a lei diretta come un mantra, aveva troppo da perdere, esattamente come lei. Non se la sentì di abbandonarlo.

Borbottò a pelo d’acqua, creando delle bollicine. 

Forse Viola aveva ragione quando le diceva che aveva il cuore troppo tenero.

Pobs era arrivato zoppicando dietro Reginald, accostandosi a lui come avrebbe fatto un vecchio amico ad un funerale.

“Vi aiuterò.” 

Alle sue parole si Reginald che Pobs la guardarono basiti.

“Ma dovrete fare come vi dico. Niente obiezioni. E al primo tentativo di vendermi ancora, giuro che vi mollo. Chiaro?” si affrettò ad aggiungere, ma ormai il danno era fatto. Nuovi fiumi di lacrime affluirono nello specchio d’acqua in cui stava nuotando e sguardi colmi di ammirazione erano puntati su di lei.

Onee-chan!!!

Nuove bollicine ricoprirono il pelo dell’acqua.

Era davvero troppo buona. 

 

 

Corno Destro~

Questa volta Viola l’aveva combinata grossa. Sapeva di averlo detto più volte, ad ogni isola, specie dopo che la dolce voce della cugina aveva distrutto un’isola intera per aver richiamato un Re dei Mari quando avevano conosciuto quella bella faccia di Eustass Kidd, ma questa volta era per davvero.

Arch osservava quel disastro con le mani tra i capelli, e pregava che almeno questa volta non ci fossero vittime. Fissava impietrito ogni singolo pezzo del ponte deteriorarsi e crollare secondo dopo secondo, affondando nel mare come un misero castello di carte.

Un fottuto ponte. Aveva letteralmente incenerito un fottutissimo ponte in pietra e legno!

Fosse stato un Re dei Mari gli sarebbe stato più semplice da accettare! Almeno quei serpentoni marini avevano la scusa di essere immensi e di non fermarsi di fronte a nulla pur di agguantare uno di loro. Sua cugina era riuscita a compiere la stessa quantità di danni semplicemente spargendo le sue fiamme lungo la struttura come coriandoli!!

E ora come la risolveva?!

Gli fu molto difficile girare i tacchi e cominciare a dirigersi a grandi passi in direzione della Hell Glory. C’erano molte persone ustionate dalla sua parte del ponte e lo stomaco gli si stringeva al solo pensiero che qualcuno potesse non avercela fatta, ma non poteva fare niente. In quel momento Viola doveva essere la sua priorità.

Quel che non riusciva a capire e come fosse riuscita a fare tutto quello da sola.

Non aveva mai estratto dal corpo Essenza a sufficienza per rendere aggressive le sue fiamme, anzi per lei sarebbe stato impossibile dato che non l’aveva mai accet-…

No. Sul serio? Adesso?! Adesso si metteva a dargli retta?! Anni a dirle di non reprimere se stessa, a intimarle di cercare di essere ragionevole e poi di punto in bianco si svegliava?! 

Sentì il sangue andargli al cervello, mentre accelerava.

Come si aspettava di potersi controllare dopo una vita passata a camminare sulle punte?! Era come se un bambino neonato pretendesse di poter procedere in linea retta senza inciampare fin dalla prima volta che si metteva in piedi! Aveva fatto la scelta giusta nel luogo e nel momento sbagliato, dannazione!

 

~Corno Sinistro

Furono i versacci squillanti di Josephine a risvegliarlo.

Doma tornò nel mondo dei vivi con un concerto strillante in testa e con l’impressione che il cranio gli si stesse spaccando in due. Si tirò faticosamente su, mettendosi a sedere, mentre la sua scimmia continuava ad appesantirgli lo stomaco, sbraitandogli suoni insopportabilmente acuti dritto nelle orecchie.

Scosse la testa, provando, inutilmente, a mettere fuoco il pavimento su cui era disteso, ma i suoi occhi sembravano ricoperti di una patina spessa e grigia.

Cos’era successo? Si massaggiò il retro della testa con una mano, incontrando la sensazione di qualcosa di umido, e quando se la riportò all’altezza vide che del rosso vivo ne aveva tinteggiato i polpastrelli. Sangue. Ne rimase confuso, inizialmente, ma poi, quando il dolore si affievolì, lasciando spazio alla lucidità, gli tornò tutto alla mente.

Aveva mandato Josephine ad attirare il mostro nei vicoli, così da poterla bloccare, imbavagliare e procedere indisturbato col resto del piano accordato con Teach, ma, proprio quando pensava che le cose si sarebbero svolte senza intoppi, era successo qualcosa.

Si rimise in piedi, grugnendo per il conato che gli salì alla gola e che lo costrinse, suo malgrado, a svuotare di nuova a terra lo stomaco di quel poco di bile che aveva. Una commozione celebrale. 

Assestò un pugno debole e colmo di frustrazione sulla superficie ruvida della stradina. Gli avevano teso un agguato e lui si era lasciato sorprendere come un novellino!

Josephine  ora saltellava su quattro zampe al suo fianco, continuando imperterrita nel suo tentativo di dirgli qualcosa.

“Dannazione Josephine…” biascicò sentendo la lingua scivolare su ogni sillaba. Quanto forte l’avevano colpito?

“Doma!!”

Non provò gioia nell’udire la voce giovane e a tratti ancora infantile del comandante Haruta, specialmente a causa del trillo che, forse prima attribuito ingiustamente ai versi della sua scimmia, gli aveva invaso i timpani.

Crollò come un peso morto, prono. Al suo fianco la sua scimpanzé urlò allarmata e i passi leggeri di Haruta gli si accostarono.

Il tempo di ispezionare le sue condizioni e il Boemo sentì il ragazzino biascicare un imprecazione a denti stretti ed estrarre il Lumacofono da una tasca.

“Izou. Ho trovato Doma. é privo di sensi in un vicolo nei pressi della zona commerciale… ” non sentì il resto della conversazione. A quanto pareva il manto nero dell’incoscienza glielo impediva, ma riuscì a cogliere tra i momenti di pura confusione un tocco leggero e cauto ispezionare la sua ferita “…colpito molto forte alla testa …… Cosciente … Dobbiamo portarlo all’infermeria della nave …… Allegra non è con lui………vi aspetto…… All’angolo del Mayumi Dressie ……… gira a destra poi a sinistra.”

Non passò molto, almeno secondo il suo punto di vista, prima che le sue orecchie venissero nuovamente offese da una moltitudine frenetica di passi.

“Chi è il rimbambito?” domandò brusca una voce femminile, poi d’un tratto si sentì tiare su per il bavero della giacca e davanti la sua testa ciondolante apparve il viso di Pugno di Fuoco.

“Doma!! Dov’è Allegra?!”

“Calmati Ace così l’ammazzi!!” intravide farsi avanti l’ombra color pastello del comandante orientale. Stava lentamente perdendo coscienza, di nuovo. Dov’era Josephine? Era scappata via o si era zittita alla vista dei pirati del Bianco?

“Se sa dov’è lo scricciolo non è nelle condizioni di dircelo.” 

Le loro voci erano ormai echi lontani e senza volto.

“Ehi vermetti, l’animale peloso sembra aver molto da dire.”

… Josephine?

Fine Capitolo 32

Finito di leggere? XD 
Spero abbiate gradito anche la piccola Soundtrack che mi ha ispirato nel mentre della stesura XP
Il prossimo capitolo è in stesura anche lui, quindi non penso dovrete aspettare molto.

 

   
 
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