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Autore: VeronicaFranco    12/05/2016    12 recensioni
Bernard Chatelet è un giovane irruento e rancoroso, quando scopre in André e Oscar una generosità fuori dal comune. Ferito gravemente, riceve protezione nella casa che Rosalie condivide con Madame Lucille. Ma in lui ancora si agita il passato, e l'ombra del Cavaliere Nero incombe inesorabile: saprà compiere, Bernard, il salto che fa di un ragazzo un uomo?
Dedica speciale: a Ilanak!
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bernard Chatelet, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rivoluzioni'
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Da quando la Senna è diventata così nera?

Dov’è Parigi, la città dei fiori?

Ciascuno combatte per un pezzo di pane.

Un tempo la gente cantava di fiori

e gli amanti sussurravano dolci sciocchezze.

Ora dove scorre la Senna?*

 

 

Gennaio sfarinava fiocchi di neve su Parigi gelata.

L’estate precedente era stata disastrosa per le campagne. Pioggia e grandine avevano continuato il loro lavoro impietoso anche in autunno; e ora, d’inverno, si diceva che l’acqua gelava nei bicchieri perfino nella Reggia del sovrano.

I Parigini, però, da qualche tempo non sembravano temere quel freddo crudele. Ogni giorno c’erano uomini che, agli angoli delle strade, si radunavano in gruppi e parlavano con ardore del tempo che sarebbe venuto.

Se ne discuteva ovunque, anche nelle baracche dei compagni del reggimento. Tra una partita a carte e un’altra, si vagheggiava sempre di un’imminente svolta nel futuro della Francia, in particolare della Capitale. Ovunque era un grande fermento, che spesso sfociava in episodi di aperta violenza, cruccio dei reggimenti impegnati nella sicurezza delle strade.

Le ronde erano sfiancanti, non mancavano mai i problemi, né le scaramucce con bande di sciacalli che svaligiavano i negozi. Ciò accadeva di giorno come di notte.

 

Appena due mesi prima, a novembre, André era quasi morto in uno di quei sommovimenti.

I ricordi della notte di Saint Antoine erano cupi e folli: se li trascinava dietro come una zavorra, e non cercava in alcun modo di dimenticarli. Gli servivano per restare lucido in ogni momento, pronto a qualunque pericolo: abbassare la guardia poteva significare la morte, per sé e per chi amava.

Da quell’episodio, tuttavia, non aveva più ricevuto l’ordine di partecipare a una ronda notturna che non contasse almeno una decina di persone, tra cui lo stesso Comandante. Questa assiduità rendeva il servizio più duro e stancante, ma in ogni caso più sicuro. Dieci cavalieri armati potevano ancora scoraggiare le folle inferocite che si aggiravano per Parigi, così nessuno dei camerati si era lamentato. A dirla tutta, non si lamentavano più di nulla. L’assenza di Alain gravava sull’umore di tutti come un ulteriore strascico di stanchezza, ma proprio quando sembrava che la vita militare fosse troppo dura, arrivava una licenza, una nuova recluta venuta da chissà dove a rinfoltire le file dei soldati, un ulteriore miglioramento delle condizioni della mensa che (ormai si sapeva) non era dovuto ai Generali superiori, ma al loro Comandante.

Ma anche così, con un ritmo accorto e sempre ben studiato di sforzo e di riposo, con la truppa pronta e ben addestrata, la situazione tendeva a peggiorare. I popolani erano sempre più aggressivi a causa dello stato di disperazione in cui versavano; presto, temeva André, non sarebbero bastati nemmeno venti uomini per una sola ronda.

Il clima, poi, era particolarmente effervescente in quell’inverno 1788. L’ipotesi che venissero imposte nuove tasse cacciava fuori una rabbia nuova, ma tra le possibili soluzioni previste per sanare il bilancio pubblico ve n’era una che tutti desideravano come fosse la salvezza.

Agli angoli delle strade i semplici raduni fiorivano ogni giorno in comizi veloci, che raccoglievano folle sempre più grandi e le dissipavano subito dopo: all’inizio si spegnevano all’avvicinarsi dei soldati, poi gli oratori diventarono più spavaldi e non cercarono più di andarsene di fronte alle divise.

I Soldati della Guardia della Compagnia B ricevettero dal Comandante l’ordine di non disperdere le piccole folle e i loro capi, se si trattava di discussioni pacifiche e prive di violenza. Solo nel caso di disordine palese che rischiasse di ferire qualcuno, o di attacchi alle carrozze dei nobili (che però, sempre più rare osavano le vie di Parigi), l’intervento era doveroso.

 

Non aveva mai potuto ascoltare nessuno di quei discorsi, André. Per questo motivo, appena ricevette una licenza di alcuni giorni (non richiesta, piuttosto donata), evitò di declinare come faceva di solito, e ne approfittò per cercare, tra le vie di Parigi, l’occasione giusta.

Non dovette aspettare molto. Ecco, nella zona del Louvre, in pieno giorno, sentì un applauso provenire da vicino. Si mosse rapido, e vide un piccolo affollamento stipato presso un angolo della strada. C’erano diversi cartelli, con gli slogan consueti: Vogliamo gli Stati Generali! Più potere al Terzo Stato!

Quelle parole vennero ripetute a voce alta da un uomo con un mantello scuro, che parlava da una posizione sopraelevata, come su una tribuna. André si fece spazio per poter sentire meglio: tutti sembravano assorti ed entusiasti, e la voce dell’uomo, chiara e vibrante, si faceva spazio anch’essa tra il fitto scrosciare degli assensi e degli applausi.

L’Ancien Régime sta per crollare! ** – La voce era estremamente familiare. Ma anche il piglio, i movimenti composti ma imperativi; e quell’ardore mai del tutto contenuto, che diventava pura passione accalorando la folla, sì che non sembrava più d’essere sotto la neve, al gelo, ma al primo giorno in cui la primavera rompe il ghiaccio…

– Ma quello è Bernard. – realizzò André in un sussurro.

Non ci saranno più differenze tra Primo, Secondo e Terzo Stato!

Uno scroscio di applausi travolse la scoperta di André. Bernard non si lasciò lusingare dai consensi: portò il suo discorso avanti, cavalcando quell’onda. Il giovane non appariva certo come un demagogo; piuttosto una guida naturale, che alle lodi dona il giusto peso e non si lascia abbattere dai dissensi. André non riusciva a scorgere tra tutte quelle persone avversari di qualche tipo, anzi, sembravano tutti lì per gioire dei discorsi di libertà; ma, presenti o meno che fossero eventuali detrattori silenti, Bernard continuava a parlare senza temere alcun ostacolo e dissenso, forte di ciò in cui credeva.

Un giorno non lontano, tutti noi potremo vivere nell’uguaglianza! Perché tutti gli uomini sono nati uguali! – lanciò il giornalista, e un tripudio generale consacrò quell’affermazione.

André chiuse gli occhi, quello vivo e quello morto, e per un attimo provò una sorta di ebbrezza. I gelidi tocchi di neve che gli sfiorarono la bocca si sciolsero sulle sue labbra calde. Gli altri lo coronarono come perle.  

 

Al termine del discorso, Bernard scese dalla tribuna e sembrò sparire in mezzo alla folla. André cercò di fendere la calca che subito si fece pressante intorno al giornalista, ma gli fu impossibile vincere la barriera di voci, corpi, applausi; si ritrovò respinto, e per almeno un quarto d’ora quel luogo si mutò in un grumo umano, denso di discorsi, strette di mano e presentazioni. Il Popolo fa amicizia… pensò, così dal nulla, e si trovò a sorridere nonostante disperasse, ormai, di ritrovare Bernard.

Si allontanò dalla calca con un poco di fatica, e stava per andare via del tutto, quando notò Bernard ai margini della folla, che insieme a un compagno portava un tavolo (doveva essere stata quella, la sua tribuna), sulla soglia di una bottega di falegname che si apriva sulla piazzetta, il cui proprietario lo attendeva con occhi sgranati ed entusiasti. Dopo calorosi saluti, ecco che Bernard iniziò ad allontanarsi a sua volta, seguito da due uomini. André circumnavigò la folla festante, che nel frattempo si preparava a fare una lunga processione per i Lungosenna, con cartelli e slogan; e corse dietro al giornalista.

Riuscì a raggiungerlo che era ormai sul Pont Neuf imbiancato di neve.

– Bernard! Fermati, Bernard!

Dei tre uomini, uno si fermò, si volse immediatamente.

– André. André, sei tu! – esclamò quello, passando in un lampo dalla sorpresa alla gioia.

André gli corse incontro, si fermò a pochi passi da lui.

– Ho appena ascoltato il tuo discorso. – rivelò con calore – È stato meraviglioso.

Bernard rise. – Grazie. – gli tremò anche un poco la voce: un’emozione genuina, molto più giovane della sua arringa alla folla, si fece strada nei toni. – Sai… sono molto contento di rivederti. – disse, e si illuminò a un pensiero improvviso. – Ehi… Perché non vieni a casa mia? È qui vicino. Voglio farti incontrare qualcuno…

 

Non appena misero piede in casa, Bernard prese il mantello di André. Andando ad appenderlo, si congedò un attimo per entrare in cucina. André udì un sommesso brusìo di parole sussurrate, poi Bernard tornò nella sala principale.

– Prego… accomodati. Sta arrivando anche il caffè… – e il giornalista diede un’occhiata alla tenda che copriva la porta della cucina.

Di lì a poco, quasi senza porre tempo in mezzo, si udì uno scalpiccio veloce; dalla tenda venne fuori una ragazza vestita d’arancio, i lunghi capelli biondi stretti in una morbida coda sulla nuca. Portava un vassoio, tazze e brocca, ma soprattutto aveva occhi vivaci e un sorriso a piena bocca. Gridò quasi, quando vide André ritto presso la finestra.

– André! André, tu qui? Benvenuto!

Quella voce sottile, fresca come un soffio di primavera, impietrì André e gli donò la seconda grande sorpresa della giornata.

– Rosalie?

Era proprio lei. Pareva quasi più alta, gli occhi grandi e il piglio leggiadro di sempre. Non appena si avvicinò a Bernard, questi appoggiò un braccio sulle sue spalle e sorrise a sua volta.

– Sono anni che non ci vediamo, vero, André? – fece la giovane, e André rise, stupito ancora e lieto, molto.

– No, sono secoli, secondo me… Ma perché non hai scritto, perché non ci ha fatto avere tue notizie? Non capisco… – una pausa – … ma… come mai vi conoscete? Perché mi hai portato qui, Bernard? – André li contemplò un istante nella luce chiara del giorno innevato, ridenti e caldi come fiori gemelli; d’un tratto, come un lampo, comprese. – Oh… ma certo! Siete marito e moglie, vero!

Bernard annuì con voce gentile. Cercò poi lo sguardo di Rosalie, e lo trovò. – Sì, ci siamo sposati dopo la mia parentesi come Cavaliere Nero. – Rosalie allora chinò il capo, con un sorriso riservato e dolce.

André provò un grande senso di pace, a quella notizia. Ricordò ogni cosa, e ogni cosa immerse nel vivo ritratto del presente. E come non aveva fatto a suo tempo, esternò una gioia genuina, che era tutta risata, come più gli si addiceva. – Ne sono davvero contento. Congratulazioni!

– Grazie. – sussurrò Rosalie, con dolcezza. Il viso della ragazza, però, prese un’espressione malinconica. – Ascolta… come sta Madamigella Oscar?

– Sta bene, Rosalie. – rispose André, di slancio. – Ma forse tu non sai che ha chiesto di lasciare la Guardia Reale. È Comandante dei Soldati della Guardia, adesso.

Al solo parlarne, e nominarla, la ragazza si commosse, gli occhi le si riempirono di lacrime.

André, che la conosceva bene, la canzonò con gentilezza e la rassicurò con decisione.

– No, non piangere, Rosalie. Ti garantisco che niente è cambiato da allora. Niente e nessuno…

In quel momento, il corteo popolare che era partito dalla stessa piazzetta del comizio passò vicino alla casa. Si udì gridare, a più riprese, come in un coro scoordinato:

– Gli Stati Generali! Vogliamo la convocazione degli Stati Generali! Più potere al Terzo Stato!

Quelle rivendicazioni distrassero André, che guardò fuori dalla finestra, pensieroso.

– Già. – sentì dire a Bernard. – Niente e nessuno… finora. Ma un cambiamento sta per arrivare.

Rosalie lasciò il fianco del marito. Si avvicinò ad André, posò il vassoio con tazze e caffè sul tavolo. L’arrivo della folla, e quel vociare appassionato, sembravano averle messo addosso una certa fretta.

– André, – gli disse, – ora purtroppo devo uscire, devo andare al lavoro. Ma tu fa’ come se fossi a casa tua, ti prego.

– Certo, Rosalie. Sei molto gentile. Grazie.

André osservò Rosalie muoversi leggera verso la porta, prendere il suo mantello, indossarlo; Bernard le si fece accanto, si salutarono con un bacio sulla guancia e uno sguardo caldo. Sulla porta, la ragazza rivolse un ultimo sorriso all’ospite.

– Per favore, André, porta i miei saluti a Madamigella Oscar!

– Sì. – rispose lui, serio. – Dobbiamo trovare il modo di rivederci tutti…

La ragazza rise e fece cenno di sì col capo. Poi chiuse la porta dietro di sé.

André si volse di nuovo a Bernard. Scoprì che il giovane lo stava fissando intensamente.

– Rosalie sta lavorando all’organizzazione di Robespierre insieme a me, adesso. – spiegò. – Ci è di grandissimo aiuto. È appena andata a preparare volantini e cartelloni per la prossima manifestazione.

André annuì, prendendo una tazza di caffè. – Voi due… sembrate molto felici.

Seguì un istante di silenzio. André chinò il capo ed evitò lo sguardo dell’altro che lo puntava con tutta la sua intensità, pieno di aspettative. – Ascolta, André. – disse Bernard. – Perché non ti unisci a noi? So che condividi le nostre stesse idee, tu…

– Lo sai, Bernard. – troncò André, di colpo rigido e reticente. – A dispetto delle mie idee, il mio compito è un altro. – e si voltò, quasi infastidito, come se si fosse accorto troppo tardi d’aver varcato un limite sbagliato. Guardò fuori dalla finestra.

– Non posso credere che tu sia contento così… – tentò ancora Bernard, con impazienza crescente. – … come un semplice servitore. Senza poter esprimere liberamente tutto ciò che desideri. – Erano parole pensate a lungo, trattenute a lungo. Per questo uscirono così dirette e sicure.

André intuì i ricordi non detti, il sostrato condiviso. Una chiacchierata in un fienile prossimo a un Castello degli Orrori e un Lago Oscuro che voleva risucchiare ogni cosa, vita amore speranze. Un salvataggio provvidenziale, e una fuga…

– Un caffè molto buono. – mormorò, senza curarsi di far apparire quelle parole per quello che erano: un brusco e voluto cambio di discorso, un ammonimento... e un sospiro. – È modesto, ma pieno d’amore…

Bernard non si contentò di quell’evasione. Incalzò André con viso serio. – Allora perché stavi ascoltando il mio discorso? Perché eri in mezzo a quella gente, oggi?

André, sempre dandogli le spalle, rispose con voce secca. – Oggi non ero di servizio. Avevo un po’ di tempo libero. Questo è tutto.

Bernard contemplò l’uomo che aveva di fronte, pur così di spalle, con un’aria di incredulità e di rimprovero. Forse avrebbe detto altro, se non fosse arrivato qualcuno a bussare, alla porta, con veemenza:

– Bernard! Bernard! È giunta notizia che il Re ha convocato gli Stati Generali!

Il giornalista quasi saltò per la gioia. – Davvero? Magnifico! – esultò e corse dai compagni, a chiedere spiegazioni maggiori.

André rimase alla finestra, il viso di colpo mutato in tristezza. Ascoltò spezzoni dei discorsi di quegli uomini di Robespierre come per caso, come se in fondo non gli importasse; eppure il suo orecchio era particolarmente attento a ogni dettaglio, e quando udì Bernard esclamare: – Dobbiamo correre da Robespierre! – si affrettò a voltarsi. Posò la tazza ormai vuota sul tavolo, e fece per andare anche lui alla porta, prima che lo facesse Bernard.

– Grazie dell’ospitalità, Bernard. Ringrazia ancora Rosalie per il caffè…

– André. – gli si affiancò il giornalista, e sembrava ormai del tutto sollevato, senza più ombre nel rivolgersi a lui. Gli parlò con calore. – Io non smetterò di aspettarti. So che un giorno combatteremo dalla stessa parte della barricata. – gli tese la mano, un invito, un saluto. – Non vedo l’ora che quel giorno arrivi.

André esitò un attimo sulla soglia, sotto gli sguardi silenti dei due compagni di Bernard, di Bernard stesso. Alla fine sciolse i dubbi in sorriso, salutò Bernard con affetto, pur senza accoglierne la mano. – Arrivederci… amico mio.

 

 

 

***

 

 

A mezzogiorno,André tornò a Palazzo Jarjayes. Pranzò con Nonna Marie, nella cucina di casa. Bevve e mangiò di gusto.

– Ti piace, caro? – gli chiese la Nonna, come faceva quand’era bambino.

André sorrise. – Sì. Mi mancava molto il tuo arrosto, Nonna.

La vecchietta contemplò il nipote con aria incerta, come se lo studiasse ben oltre la sua risposta.

– Tornerai in Caserma già stasera, vero?

– Sì. La licenza è finita. – disse.

– … posso chiederti un favore, vero?

– Certo, Nonna.

– Porteresti un poco di dolce a Oscar? Ha detto che stasera non tornerà a casa.

– … va bene, Nonna.

– Sono preoccupata per lei, André. – mormorò, ma lasciò intendere come, a un tempo, si preoccupasse per lui. – La vita militare, in quella sudicia caserma… e gli orari impossibili, e i soldati così grezzi… e l’aggressione che vi è toccata qualche mese fa, poi…

– Se fosse concesso, ti inviterei a vedere gli addestramenti ogni mattino. E la rivista, e tutte le ronde presiedute da Oscar. Ti passerebbe di certo la preoccupazione. – ammiccò André, con aria leggera e indulgente. Era una maschera, naturalmente; ma André era ben deciso a non far capire alla Nonna quanto fosse d’accordo con lei. Piuttosto aggiunse, con un tono d’orgoglio che, stavolta, non poté proprio cancellare: – Oscar sa quello che fa, credimi.

A quella risposta, la Nonna rassegnò ogni lamentela, ma André la udì borbottare tra sé e sé, subito dopo, quando si alzò per togliergli il piatto vuoto davanti e prendere proprio il dolce.

– No, per me niente dolce. Grazie, Nonna. – disse.

Aiutò la Nonna a sparecchiare, poi andò al piano di sopra a cambiarsi.

L’uomo che ridiscese nell’atrio non indossava più abiti borghesi e composti, ma una divisa blu: era il Soldato Grandier.

La Nonna gli venne incontro porgendogli una scatola. André l’abbracciò per un attimo, poi si congedò da lei con un sorriso vago e rilassato. Andò alle stalle a prendere il fido Jules***.

 

 

***

 

 

– André? Avanti.

La voce di Oscar lo raggiunse attraverso la porta. André entrò senza attendere oltre, abituato a farsi indovinare, ormai, dal semplice modo di bussare.

Si aspettava di trovarla alla scrivania, a firmare carte come al suo solito. Invece lei guardava fuori dalla finestra, verso il cortile della Caserma, i lunghi capelli biondi sfiorati dalla sola candela che illuminava il suo ufficio; capelli lunghi, ormai, come non erano mai stati, non più tagliati dal giorno in cui si era allontanata per sempre dalla Corte, per scarsa cura di sé o per mancanza di tempo.

La divisa blu spiccava contro quel biondo, mentre aggiungevano oro su oro le sue rifiniture e gli alamari, più la fascia chiara stretta alla vita sottile; la spada pendeva inerte lungo il fianco sinistro, nella sua guaina.

Oscar beveva del tè caldo, uno dei pochi lussi che aveva potuto portare con sé nelle baracche della Compagnia.

André posò la scatola sul ripiano della scrivania, accanto ad alcuni fogli. – Da parte della Nonna. – disse solamente.

Il Comandante sorseggiò il tè, senza voltarsi. Poi si udì il suono lieve della tazza che poggiava sul piattino.

– André… hai sentito degli Stati Generali?

– … sì. Oggi… sai, ho visto Bernard Chatelet.

Il silenzio di Oscar fu eloquente, per André. Aveva colto subito di chi si trattasse, anche se non lo vedeva da più di un anno; anche se non ne avevano parlato mai più dopo il rilascio.

– È in gran forma. – disse André, sorridendo e contemplando la schiena di Oscar dorata di riccioli. – È un grande trascinatore di folle. E poi… ho visto Rosalie.

Oscar si voltò verso di lui. André trattenne le parole, il tempo di incrociare il suo sguardo.

Quando ebbe la completa attenzione di lei, rivelò: – … ci crederesti? Bernard e Rosalie… sono marito e moglie.

Alla luce della candela, gli occhi di Oscar parvero accendersi come diamanti al sole.

– Marito e moglie… – ripeté, come se a farlo potesse imparare a crederci; ma tutto, nel suo viso, lasciava intendere perplessità.

– Mi sono sembrati molto felici. – aggiunse André, con tono di dolcezza. – Rosalie mi ha chiesto di portarti i suoi saluti.

– … la piccola Rosalie… – lo sguardo di Oscar vagò verso la scatola portata da André, posta accanto alla candela.– Era così fragile, così indifesa… – Oscar socchiuse gli occhi, celando la loro luce tra le ciglia. – … eppure piena di coraggio. Bernard… quel giovane irruento e indomabile… saprà avere cura di lei? – sussurrò, con un tono intimo e delicato che non poteva appartenere a un Comandante, né poteva essere ascoltato da un Soldato.

André annuì, la sua voce fu più alta di un sussurro, più sicura. – Sì. Ne sono assolutamente certo.

Oscar ricambiò il suo sguardo deciso. – Avrai ragione tu. – mormorò.

– Se è tutto, Comandante, io mi ritiro nelle camerate. – annunciò André, non senza un pizzico di quella tenera ironia che gli apparteneva sempre. Non era come Alain, lui, non rideva di cose estreme, né in modo estremo. Era caldo, piuttosto, anche quand’era triste. E a volte si scopriva a scherzare, suo malgrado, sui ruoli costituiti, sul fatto che non potesse più chiamarla, in pubblico, soltanto Oscar, ma dovesse attenersi all’etichetta militare.

Oscar stette a contemplarlo, seria e attenta. Si risolse solo dopo qualche istante a dire

– È tutto. Puoi andare.

André si mise sull’attenti, portandosi una mano alla fronte e battendo i tacchi.

– Comandante…

Si volse, cercò la maniglia della porta. 

– Ah, aspetta. Ancora una cosa. Hai ricevuto notizie di Alain?

André scosse il capo, con un sospiro profondo e addolorato. – No.

– Va bene. – disse Oscar, rassegnata. Poi abbozzò un sorriso. – Buonanotte, André.

André uscì lentamente, e da ultimo la guardò in un ultimo scorcio. – … buonanotte, Oscar.

 

Rimasta sola, il Comandante posò la tazza e il piattino sulla scrivania. Proprio lì, accanto alla scatola di Nonna Marie, c’era una lettera cui André non aveva badato. Recava il sigillo reale e la firma della Regina, ed era di quella mattina stessa.

“Oscar, amica mia, mio figlio Joseph chiede continuamente di voi. Vi prego, non appena vi sarà possibile, di raggiungerci a Meudon. Non sono in grado di negare a mio figlio alcun piacere, nello stato di salute in cui si trova. Egli desidera vedervi con tutto il cuore; così io.”

Non c’erano altre spiegazioni, né Sua Maestà Antonietta si dilungava sulle condizioni del Principe. Ma Oscar conosceva la calligrafia di Sua Maestà, i suoi svolazzi, la sua delicatezza. Niente che potesse essere messo a confronto con il tremito che aveva guidato quelle poche righe.

Il Comandante tornò alla finestra. L’aprì di slancio, offrendosi alla gelida aria esterna.

 

Il Principe Joseph, la Regina.

Gli Stati Generali, il Re.

Rosalie e Bernard.

La scomparsa di Alain dopo la morte di Diane.

André.

 

La candela fu rapita da un soffio di vento invernale, nella stanza si fece buio di colpo.

Oscar soffiò candida condensa nell’aria. A occhi chiusi ascoltò i rumori ovattati della Caserma a riposo. Dalle camerate le giunsero gli echi vivaci dei suoi uomini, che a quell’ora, anziché dormire, giocavano a carte o si perdevano in concitati discorsi politici. Non avevano timore di dire ciò che pensavano, ormai, perché sapevano che lei non li avrebbe mai puniti per averlo fatto.

Quella sera le parve di udire molte volte, e in molte tonalità, quasi fossero un canto, le parole

Libertà

e

Uguaglianza.

Una di quelle voci, avrebbe giurato, era di André.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_____________

* Canto dell’Eco di Parigi nell’introduzione all’episodio 33 dell’anime, secondo la versione giapponese.

** Le parole di Bernard alla folla e tutto il dialogo successivo sono un collage tra la versione originale giapponese della scena dell’episodio 33 e la traduzione italiana. Laddove la nostra versione mi pareva più bella e incisiva di quella originale, l’ho preferita, e viceversa. A volte ho ritoccato le battute, invece, per renderle più aderenti al mio racconto.

*** Il cavallo di André si chiama Alexandre (fa il paio con César, Cesare e Alessandro! XD), ma io, quando ne parlai in Rivoluzione, non lo sapevo ancora. Così inventai, per pura assonanza, che si chiamasse Jules. Jules&César, Giulio&Cesare… mwahahahahah!

 

Nata come regalo, questa storia finisce come un regalo. :D

E ora… *DLIN DLON* Capolinea! Qui si scende, signore e signori!

Purtroppo, aggiungerei, qui si scende. Anche se tante cose, come molte di voi hanno notato, sono preludio di quanto ho scritto e scriverò nell’altra mia long, anzi, longhissima (!) Rivoluzione.

È stato molto bello cimentarmi in questa storia, scegliendo una coppia di protagonisti di norma osteggiata e poco approfondita. Una piccola sfida con me stessa, per tanti motivi, che mi sento felice d’aver compiuto.

Dedico questo Epilogo, che spero vi sia piaciuto, a tutte le lettrici che mi sono state vicine dando fiducia non tanto alla coppia o al rating, ma all’idea di fondo e al mio scrivere, con tutti i suoi difetti e possibilità. Sono felice di questo affetto, non scontato e non dovuto, che spero di poter rendere almeno un po’ con questa storia e con le successive. Grazie con tutto il cuore!

 

vostra

VeronicaFranco

 

 

Vi lascio con due immagini sorprendenti della fan-artist Donau (*________*!!!) segnalatemi qualche giorno fa dalla pupa Orny81. Anche se si ispirano certamente al manga (in cui Bernard rapiva Rosalie invece di Oscar), sembrano molto in sintonia anche con questa storia, vero!! *O*

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