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Autore: edoardo811    03/06/2016    4 recensioni
Il mondo è finito. Come reagiresti se sentissi tu queste parole? Come reagiresti se potessi accertarti con i tuoi stessi occhi che queste parole sono vere?
Questo è ciò con cui Rachel è costretta a convivere ogni giorno. Quando vede la gente morire di fame per strada, quando vede l'ennesima banda di tagliagole generare il caos, quando è costretta a combattere fino allo stremo per la propria vita e per quella delle poche persone care che le sono rimaste.
Per quanto tempo può la volontà di una persona riuscire a resistere alle crudeltà che la vita riserva?
Si dice che l'ultima candela sia sempre quella che impiega più tempo a spegnersi, ma cosa potrebbe accadere quando anche la speranza cessa di esistere?
Rachel con i suoi poteri potrebbe distruggere l'intero creato. Che cosa se ne farà?
Li userà per aiutare il mondo... o per aiutare semplicemente sé stessa?
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Slade
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 22: FAMIGLIA RIUNITA

 

 

 

Furono ore terribili, quelle. Dal momento del ritrovo del cadavere di Ryan, fino a quando, stremati, non erano andati a dormire.

Per riuscire a dividere Amalia dal corpo esanime del fratello ci erano voluti Rosso e Rachel insieme. Tara no, lei era troppo scossa per riuscire a muoversi anche solo di un millimetro.

Komand’r aveva gridato, aveva scalciato, aveva graffiato i due ragazzi e perfino tirato loro i capelli. Lucas, infine, era stato costretto a pizzicarle il nervo del collo per farle perdere i sensi. Avevano portato la ragazza mora in uno degli uffici e l’avevano adagiata su un materasso, dopodiché avevano dovuto occuparsi della rimozione dei due corpi.

Tara aveva pianto mentre, con i suoi poteri, creava due fosse nel cortile. E anche Lucas aveva gli occhi lucidi mentre adagiava dentro una di esse proprio il corpo di Ryan, tenendolo avvolto in una coperta. Seppellirono anche Rose, nella fossa accanto al rosso. Per quanto fossero state orribili le cose che aveva fatto, anche lei era pur sempre stata una vittima di Wilson, e meritava di poter almeno riposare in pace.

Per non dimenticarsi dove fossero le fosse, Tara tracciò sul suolo i contorni di esse e su quella di Ryan lasciò un incisione.

Tempo di concludere tutto quanto, e si era fatto ormai mattino. I tre ragazzi erano distrutti, sia nel corpo che nella mente. Non avevano idea di chi potesse essere stato il responsabile di quelle due morti, non avevano nemmeno la testa per cercare di rifletterci su. Senza dire una parola erano andati a dormire, chi nascondendo meglio il dolore, come Lucas, chi, invece, non riuscendoci affatto, come Tara. Rachel l’aveva sentita singhiozzare diverse volte, mentre cercava di chiudere occhio nel suo materasso.

Miliardi di cose erano passate nella sua mente, mentre si era girata e rigirata sotto le coperte.

Aveva pensato ad Amalia, a Tara, a Lucas, a come ciascuno di loro doveva essersi sentito quando avevano visto il corpo del loro compagno. Ma soprattutto Amalia. Rachel non poteva nemmeno immaginarlo. Lei non aveva mai perso un famigliare in quel modo. Anzi, non aveva mai perso nessuno, in quel modo. Certo, i suoi amici erano morti, ma lei non aveva mai visto i loro cadaveri; non li aveva visti con gli occhi ancora sgranati e la bocca semiaperta in un grido di disperazione che nessuno aveva udito, non li aveva visti riversi nel loro stesso sangue.

Se per lei era stato scioccante, per Amalia doveva essere stato terribilmente traumatico. Non si sarebbe stupita se avesse davvero perso la testa, dopo l’accaduto.

Aveva pensato poi a Rose, e a come Dreamer avrebbe reagito quando avrebbe scoperto cosa le era successo. Lui aveva detto che si sarebbe preso cura di lei, sembrava tenerci anche molto, a lei.

Il nuovo capitolo della vita di Corvina era cominciato davvero nel peggiore dei modi. Un suo compagno, un suo amico, non c’era più. Non lo avrebbe più rivisto, da quel giorno per tutto il resto della sua vita. Ryan si era sempre tenuto per le sue, era vero, ma la sua mancanza avrebbe sicuramente generato un vuoto molto difficile da riempire.

Anche Rachel aveva singhiozzato, prima di riuscire finalmente a chiudere occhio.

 

***

 

Rachel camminava accanto a rastrelliere piene di armi medievali, piedistalli su cui erano esposte antiche armature dei tempi delle crociate, bacheche e scaffali pieni zeppi di oggetti antichi.

C’era una quantità industriale di sapere, tutto attorno a lei. Ogni esposizione, anche quelle più piccole ed inutili, avevano una didascalia che spiegava per filo e per segno cosa fosse quel determinato oggetto, in quale ambito lavorativo venisse adoperato e quale persona famosa lo avesse usato.

Ma a lei non interessava davvero molto tutta quella roba. L’unica cosa su cui era concentrata, era su quanto diavolo fosse pesante il suo zainetto. Si maledisse per averlo riempito in quel modo. Pesava una tonnellata e la visita al museo era praticamente appena iniziata.

Dopo qualche minuto rinunciò ad ascoltare la guida. Non aveva proprio la testa per mettersi a riempirsela di tutte quelle informazioni che, detto con tutta onestà, non le sarebbero servite a nulla a meno che non avesse deciso di andare a lavorare proprio in quel museo una volta terminati gli studi. O di fare l’archeologa, o la storica, o robe di quel genere, insomma.

Certo, accrescere il proprio bagaglio culturale è sempre una buona cosa, ma in quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Richard.

Richard, la stessa persona che si trovava ad una manciata di ragazzi da lei e che teneva Kori per mano, la quale non smetteva un solo istante di sorridere.

La corvina strinse i pugni. Quanto la odiava. Quell’oca, quella gallina, quella...

«Ehi Roth!» la chiamò qualcuno, bisbigliando.

Lei si voltò pigramente, per poi posare gli occhi su un ragazzo dai capelli color carota, che la guardava con un sorriso idiota. Wally.

«Ti sei fatta male, questa mattina?» domandò lui, senza far svanire quel maledetto sorriso.

Rachel inarcò un sopracciglio. «Perché?»

«Perché sei caduta dal paradiso, ecco perché, angelo mio.»

Diverse risatine si sollevarono da alcuni dei ragazzi presenti attorno a loro. Anche lo stesso Wally allargò il suo sorrisetto. Rachel serrò la mascella, irritata come mai lo era stata con lui. Fu quasi tentata di sferrargli un cazzotto sul naso e far sparire quell’espressione idiota dal suo brutto muso, quando qualcuno si frappose tra loro, allontanando il rosso. Logan.

«Falla finita, Wally» intimò il ragazzo biondo, cercando di allontanarlo da lei.

«Qual è il problema?» domandò quello, sollevando le mani in segno di resa. «Volevo solo...»

«Abbiamo capito cosa volevi» si intromise Victor arrivando in quel momento, affiancando il suo migliore amico. «E, sinceramente, potevi anche risparmiartelo.»

«Andiamo, si ride e si scherza, non voglio offendere nessuno!»

«Non sempre gli altri sono in vena di sorbirsi i tuoi scherzi, dovresti saperlo.»

«Oh, ma dai...»

«Evapora, Wally» aggiunse Jennifer, aggiungendosi al gruppo in compagnia di Karen.

Il rosso parve quasi disperato. «Jenni, anche tu no...»

La ragazza incrociò le braccia, facendo un verso di disappunto. Wally, intuendo che forse doveva aver sorpassato il limite, si ritirò con un sospiro abbattuto. A quel punto, i quattro amici si rivolsero alla ragazza corvina.

«Ignoralo, è solo un buffone» le disse Jennifer, sospirando. «Io lo so bene...»

Rachel abbozzò un sorriso. «Tranquilla, lo so anch’io. Grazie, comunque, a tutti voi.»

Logan sollevò il pollice. «Puoi sempre contare su di noi.»

Victor annuì  a conferma di quelle parole, rimanendo in silenzio.

La corvina si sentì grata a loro, per il loro intervento. Se non ci fossero stati, probabilmente avrebbe preso per il collo Wally. Era sorprendente come Logan e Victor fossero intervenuti nonostante fino a qualche minuto prima anche loro stessero ridendo e scherzando bellamente, coinvolgendo anche i loro compagni. Evidentemente, lei era molto più importante per loro di quanto non potesse immaginare. E certo, Richard forse non c’era più, ma c’erano sempre loro.

Su di loro avrebbe sempre potuto contare, ne era sicura. Erano come una famiglia, per lei, anche se spesso e volentieri se ne dimenticava e credeva di essere sola. Ma non era così, lei non era sola. Non con loro.

La visita per il museo continuò. Rimase in compagnia dei suoi amici, ai quali ben presto si aggregarono altri ragazzi che conosceva più e meno bene, perfino lo stesso Wally, il quale riuscì ad ottenere il perdono della corvina. Logan e Victor ripresero le loro mansioni di spiritosoni del gruppo e tutto quanto sembrò tornare alla normalità.

Rachel rimase sulle sue, non disse più molto, si limitò a sorridere di tanto in tanto quando qualcuno dei suoi compagni faceva qualcosa di tremendamente stupido per poi beccarsi un richiamo dai professori.

Di tanto in tanto, tuttavia, il suo sguardo cadeva poco davanti a lei, su Richard e Kori. E il suo sforzarsi di essere serena diventava quasi una tortura.

Più cercava di non pensarci, più quel maledetto bacio tra il suo amico di infanzia e Stella le ritornava in mente, provocandole una dolorosa stretta al cuore. Era successo un’infinità di tempo prima, ma quell’avvenimento era ancora perfettamente nitido nella sua mente. E, di conseguenza, non desiderava altro che mandare tutto al diavolo, andarsene da quel museo e restarsene da sola.

Non poteva andare avanti in quel modo. Avrebbe fatto meglio a parlare con Richard. Erano giorni, settimane, mesi che pensava di farlo. Non sapeva ancora cosa dirgli, non sapeva nemmeno come si sarebbe comportata di nuovo in sua presenza, probabilmente nemmeno sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi, ma qualcosa se lo sarebbe inventato.

Quando è troppo, è troppo, pensò, annuendo con convinzione.

Prese un profondo sospiro, poi si allontanò dal gruppo di amici senza farsi notare. Si fece largo tra la folla di studenti, avvicinandosi sempre di più a quella coppietta tanto felice quanto lei era triste.

Stava quasi per raggiungerli, quando vi fu un lungo e potente scossone che fece tremare la terra. Vi furono grida sorprese, alcuni ragazzi persero perfino l’equilibrio, diversi oggetti in mostra caddero dai loro ripiani e si frantumarono sul pavimento.

Rachel fu una di quelli che perse l’equilibrio. Si ritrovò a terra, in ginocchio, stordita e confusa. Sollevò lo sguardo, vide altri studenti cadere, udì le grida sollevarsi di intensità, alcune bacheche gremite di oggetti si rovesciarono, causando danni enormi e ferendo perfino delle persone.

La ragazza dischiuse le labbra, interdetta. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sapeva solo che stava cominciando a spaventarsi. Una luce di un blu accecante cominciò a penetrare nel museo tra le grosse finestre. La corvina si voltò verso di queste, per poi sgranare gli occhi interdetta.

Non seppe spiegarsi con esattezza cosa vide. La luce si fece dieci volte più intensa, accecandola completamente.

Le grida si fecero ancora più forti. Rachel cercò disperatamente con lo sguardo i suoi amici, Richard, perfino Kori, ma non vide nulla.

E poi tutto fu spazzato via.

Le grida svanirono, i ragazzi svanirono, il museo intero svanì. Agli occhi di Rachel non rimase altro che il buio.

Un buio che l’avrebbe perseguitata per il resto della vita.

 

***

 

Il cielo stellato della notte comparve all’improvviso di fronte a lei, rimpiazzando l’oscurità. Un dolore terribile la colpì ad un braccio e ad una gamba. Gemette. O meglio, lei lo avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Si rese conto di muoversi senza il suo volere, e ogni passo le causava una lancinante fitta di dolore. Camminava su un tetto, quasi barcollava, tenendosi con una mano il braccio ferito. La cosa più scioccante era che aveva solamente un occhio aperto.

Faticava a respirare, sentiva come se ci fosse qualcosa di fronte al naso che la opprimeva.

Si fermò all’improvviso, appoggiandosi contro la parete di un’uscita di emergenza. Piegò il capo e tossì goffamente, graffiandosi la gola. Non appena quei colpi di tosse giunsero alle sue orecchie, capì ogni cosa.

Stava succedendo, di nuovo. Non più con Hank, tuttavia, ma con... con...

«Wilson.» Una voce si sollevò in aria all’improvviso, soffiando quel nome con disprezzo, come se fosse il peggior insulto esistente sul pianeta.

Rachel si voltò. O meglio, Wilson, si voltò. Sotto lo sguardo della sua unica pupilla, apparve Jeff Dreamer. Il Visionario osservava l’uomo con sguardo severo e truce, stringendo con forza la presa attorno al bastone da passeggio.

«Sei arrivato, dunque.» L’ultima persona che lei avrebbe immaginato di vedere, fu proprio quella che Slade accolse con indifferenza, malgrado la sua critica condizione di salute.

«Sì, Wilson, sono arrivato.» La lama a serramanico sbucò dall’estremità del bastone e il Visionario cominciò a camminare verso di lui. «Questa è la resa dei conti. Non mi sfuggirai di nuovo.»

Deathstroke estrasse l’unica  katana rimastogli  con la mano che poteva ancora utilizzare, ma ricevette una dolorosa fitta di dolore nel fare ciò. Mugugnò sommessamente, poi si mise in posizione. «Non è leale combattere contro un avversario ferito» commentò, mentre Jeff continuava ad avvicinarsi molto lentamente, prendendosi tutto il tempo del mondo.

Il ragazzo si fermò, abbozzando un sorriso sadico. «Senza i tuoi poteri ci impiegherai almeno qualche settimana per guarire completamente. E io non ho tutto questo tempo.»

Slade sgranò l’occhio quando udì quelle parole. «Come sai dei poteri?»

«Spirito di osservazione. Dopo che la tua conduit da laboratorio ha ridotto la tua gamba in quelle condizioni così pietose, era praticamente impossibile che tu riuscissi a scappare da quell’hotel. C’era sicuramente qualche trucco sotto. E quel trucco l’ho scoperto nella Low Sub, quando hai ucciso Jade. Anche se, francamente, non avrei mai immaginato che anche tu fossi un conduit. E tutta quella storia sulla genetica... ammetto di essere rimasto senza parole.

«Sapevo già che attaccandoti non avrei avuto possibilità, considerando inoltre il tuo potere, quindi ho lasciato che fossero Rachel e i suoi amici a combatterti. Io ho semplicemente radunato i miei uomini e atteso il momento opportuno per sferrare il colpo di grazia, e quel momento è stato dopo che Rachel ti ha sottratto i poteri. Perché è andata così, dico bene?»

Wilson strinse la presa attorno al manico della katana, rabbuiandosi. «Allora te ne sei accorto... non credevo che fossi così sveglio.»

«Ho imparato dal peggiore.» Dreamer si sgranchì il collo, roteando il bastone. «E ora, pagherai per ciò che mi hai fatto. Per ciò che ci hai fatto.»

«Lo sai che non ti permetterò di uccidermi così facilmente, vero? Non ho passato tutto questo tempo a cercare di scoprire i segreti dei conduit per poi farmi eliminare da un moccioso come te. Non distruggerai tutto il mio lavoro di mesi.»

«Ne sono consapevole, vecchio. Ma a me non importa!» Jeff partì alla carica per primo. «Ne rimarrà solo uno, e sarò io!»

Sferrò un fendente con tutta la sua forza verso l’addome di Wilson, mirando quello che l’uomo avrebbe faticato di più a proteggere, ma Slade riuscì comunque a proteggersi roteando la katana verso il basso e muovendo il busto.

Dreamer sgranò gli occhi, sorpreso.

«Credevi davvero che sarebbe stato così facile?» lo incalzò il mercenario.

Jeff serrò la mascella, poi tentò un nuovo affondo all’altro fianco, ma anche questo fu deviato senza troppe difficoltà dall’uomo.

 «Non ci siamo proprio, moccioso.»

«Silenzio!» sbraitò il Visionario, cominciando a sferrare un fendente dietro l’altro, sempre con più forza, sempre con più rabbia e sempre con più rapidità.

Dal canto suo, Wilson continuò a difendersi da ogni attacco, ma fu anche costretto a dover indietreggiare. Diverse volte ricevette terribili fitte di dolore al braccio e alla gamba, a causa della furia del suo avversario, ma tenne comunque stretti i denti.

Continuò a difendersi, cercando di guadagnare tempo e stancare il proprio avversario, poi decise di contrattaccare. Parò l’ennesimo attacco e le lame rimasero incrociate a mezz’aria, a quel punto cercò di sferrare una ginocchiata al Visionario, ma quello saltò all’indietro, evitandola.

Slade cominciò ad inferire con altrettanta brutalità, mulinando quella katana che chissà quante vite aveva già strappato. Dreamer, tuttavia, mostrò un’incredibile agilità evitando tutti quegli attacchi, scansandosi, rotolando e saltando. Il giaccone nero svolazzava ogni volta che il ragazzo si muoveva bruscamente, ma a questo non sembrava dare molto fastidio.

Jeff evitò un altro attacco, saltando all’indietro ed atterrando sopra un grosso cabinato contenente delle ventole di areazione. A quel punto gridò e si gettò in picchiata sul nemico, mirando la sua gola. Slade si scansò, mugugnando per una fitta alla gamba, poi ricambiò il gesto con la katana, ma Dreamer piegò le gambe e si protesse con il suo bastone.

«Sono anni che mi preparo per questo scontro, Wilson. Non mi sconfiggerai tanto facilmente!» sibilò Jeff, roteando con un gesto secco l’arma, allontanando da essa la spada di Deathstroke e facendolo indietreggiare.

Si avventò su di lui, questa volta mirando al torace, ma ancora una volta Slade deviò l’attacco. «E io combatto da prima che tu macchiassi il pannolino, sei tu quello svantaggiato!»

Abbatté la lama sull’avversario, che rotolò di lato, evitandola. Dreamer si rialzò, partendo alla carica con un attacco rotante. «Ma io ho tutti e quattro gli arti!»

Ancora una volta, le armi si incrociarono e rimasero ferme. I due rimasero fermi per un momento, faccia a faccia, lama contro lama. Entrambi mugugnarono per lo sforzo di dover tenere salda la presa attorno ai manici, Slade per via degli handicap fisici, Dreamer per via della comunque notevole forza dell’uomo.

Nonostante le ferite, Wilson stava dando parecchio filo da torcere al Visionario. Ma allo stesso tempo, Jeff si era rivelato molto più temibile di quanto il mercenario potesse immaginare.

«Credo proprio... che la tireremo per le lunghe...» osservò Deathstroke, con il braccio che tremava per lo sforzo.

«Bene così. Non ho impegni questa notte» rantolò il Visionario in risposta, per poi ritrarre di scatto il bastone, facendo sbilanciare l’uomo e sferrandogli un calcio all’addome. «E tu?!»

Il mercenario fece un verso soffocato, ma si risollevò immediatamente, giusto un secondo prima che la lama di Dreamer gli trafiggesse la schiena. Si protesse con la katana, le armi si incrociarono di nuovo. Un minuscolo sorriso increspò le labbra di Wilson, velato tuttavia dalla maschera. «I miei complimenti. Sei quasi riuscito a farmela, Joe.»

Dreamer sgranò gli occhi. Parve più colpito da quel nomignolo, che da qualsiasi altro attacco. Ma ci mise ben poco per riprendersi. «Non chiamarmi così!» ululò, sferrando un altro calcio che questa volta andò a vuoto. Slade saltò all’indietro, ignorando il dolore lancinante alla gamba.

Roteò la katana. I due avversari si osservarono ancora per un breve momento, entrambi con il fiatone. Poi, senza dire altro, ripartirono all’attacco.

Questa volta Slade non si risparmiò. Fingendo di non avere nessuna ferita grave, attaccò il Visionario con tutto quello che aveva, e la stessa cosa fece Jeff.

La luna osservò i due nemici mentre si cimentavano in un susseguirsi quasi infinito di affondi, stoccate, sferzate, schivate e parate. La loro sembrava quasi una danza, con l’unica differenza che il primo a commettere un errore sarebbe morto.

Saltarono da una parte all’altra del tetto, perfino oltre il bordo per poi atterrare su altri tetti, spostandosi di palazzo in palazzo. Ogni millimetro mosso per Wilson era un’agonia, ma a lui non importava. Non sapeva nemmeno più come facesse a continuare a lottare in quel modo, ormai andava avanti semplicemente per inerzia. Ma non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe visto il suo avversario a terra, sconfitto.

Non sapeva ancora quanto avrebbe resistito, sapeva solo che doveva vincere e concludere quella faccenda di cui da tanti anni sapeva di essere il principale colpevole, anche se non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Non a lui. Tantomeno a lei. Tantomeno a tutti loro.

Le battaglie per cui il mercenario aveva sempre combattuto non erano mai state davvero importanti per lui, ce n’era sempre stata solamente una che davvero gli era interessata. E l’aveva persa, forse perché, all’epoca, non ci aveva creduto davvero.

E ora ne pagava le conseguenze. E il tutto alla vigilia di quella che, sicuramente, era la minaccia più grande che il loro pianeta avesse mai visto.

Non voleva combattere davvero, non con quel ragazzo che aveva di fronte, ma non aveva altra scelta. Il suo avversario non si sarebbe mai fermato, per nulla al mondo. Nessuna parola, o gesto, sarebbe riuscito a placarlo. Ormai era tardi per quello. Doveva sconfiggerlo, e se per fare ciò avrebbe dovuto ucciderlo, allora, lo avrebbe fatto.

Avrebbe patito le pene dell’inferno, ma lo avrebbe fatto. Lo avrebbe rivisto nei suoi incubi, ma lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe mai perdonato, ma lo avrebbe fatto, comunque, in ogni caso.

Così come aveva fatto quando era stato costretto ad allontanare Rose da sé. Non era stata la scelta più facile della sua vita, tutt’altro, ma anche in quel caso era stato costretto. Non aveva avuto tempo per lei e non avrebbe  nemmeno voluto vederla ammalarsi. Aveva dovuto agire, e basta, ignorando le conseguenze, ignorando i sentimenti altrui, ignorando perfino i suoi stessi.

E adesso non gli restava che concludere anche quella faccenda. Per sempre.

Il bastone di Dreamer si avvicinò. Slade con un grido di rabbia sferrò un potentissimo fendente verso quell’arma, colpendola con il piatto della katana. L’impatto fu devastante, Jeff fu disarmato e sbilanciato all’indietro. Barcollò, stordito ed indifeso. Wilson lo colpì con un calcio allo stomaco, scaraventandolo contro il cabinato di un’uscita di emergenza. Il ragazzo sbatté contro il muro, poi cadde carponi, tossendo.

«Mi dispiace» disse Slade, sollevando la katana, pronto per finirlo.

«No...» sibilò Jeff, scuotendo la testa, per poi muoversi con una rapidità impressionante. «... non è vero!»

Si fiondò contro l’uomo, placcandolo all’addome. Wilson mugugnò di dolore, entrambi caddero a terra, l’uno sopra l’altro, e la spada scivolò dalle mani del mercenario.

Dreamer mosse il proprio braccio di scatto, con un gesto secco, e un coltello sbucò fuori dalla manica. Lo afferrò al volo, poi attentò al collo di Slade. Deathstroke notò la nuova arma e sgranò l’occhio. Mosse l’unica mano che poteva controllare e bloccò l’attacco dell’avversario afferrandolo per il polso. Il coltello rimase sospeso a mezz’aria, tra lui e il Visionario. 

«A te... non è mai dispiaciuto niente!» soffiò Dreamer, mentre digrignava i denti per lo sforzo.

«Ti sbagli.» Wilson si alzò di colpo, sferrandogli una testata. Jeff gridò e cadde all’indietro, perdendo il coltello.

Entrambi si risollevarono, gemendo per la fatica. Dreamer aveva il naso che sanguinava, mentre il dolore al braccio e alla gamba di Wilson cresceva inesorabile.

Il Visionario gridò e si avventò sull’uomo, sferrandogli un pugno sul lato del capo, dove la maschera non lo avrebbe protetto. «Io non mi sbaglio affatto!»

Slade non riuscì a spostarsi e fu colpito. Barcollò all’indietro, mugugnando, poi sferrò un pugno a sua volta, colpendo proprio il naso del ragazzo. «Sì, invece! A me importa! Mi è sempre importato!»

Jeff barcollò a sua volta, facendo un verso di dolore. Scrollò il capo per ricomporsi, gocce di sangue caddero dal suo volto, mentre la chiazza rossa si allargava. Si toccò con due dita sotto il naso, per poi ringhiare di rabbia quando notò il colore scarlatto che queste avevano assunto. Ripartì alla carica, sferrando un altro pugno al nemico. «Sei solo uno sporco bugiardo!»

Ancora una volta Slade incassò il colpo, avvertendo una lancinante fitta di dolore alla tempia. Tossì del sangue, che andò a macchiare la maschera dall’interno, riempiendola di un odore nauseabondo. Rantolò di rabbia, poi colpì nuovamente l’avversario, questa volta su una guancia. «E tu sei uno stupido moccioso!»

Questa volta il ragazzo perse l’equilibrio e cadde a terra, di lato. Il cappello gli scivolò dal capo, lasciando scoperti i suoi capelli biondi, mossi e spettinati. Tossì a sua volta, rialzandosi sui gomiti. Rimase a terra per un momento, a riprendere fiato, mentre Wilson lo osservava barcollando, incapace di fare qualsiasi cosa a causa del dolore agli arti.

Poi, Dreamer gridò a squarciagola per la rabbia e si rimise in piedi fulmineamente, voltandosi e sferrando un calcio girato nuovamente alla tempia dell’uomo. Slade osservò la gamba avvicinarsi a lui, impotente, e fu colpito. Ruzzolò a terra, mugugnando per il dolore. Si rese presto conto che quel calcio gli aveva spostato i legacci della maschera da dietro l’orecchio, facendogliela saltare via. La gelida aria della notte sferzò sul suo volto e sulla barba ispida, punzecchiandolo. Alcuni spifferi scivolarono sotto la benda sull’occhio, bruciando sulla cicatrice.

«Se davvero... ti importava...» rantolò Dreamer, nel frattempo. «... allora dov’eri... quando il mondo ci cadeva addosso?!»

L’uomo sollevò lo sguardo e lo vide in faccia. Sentì le propria interiora attorcigliarsi quando notò il suo volto ridotto ad una maschera di sangue, lividi e trucco sbiadito. I suoi occhi verdi scintillanti e la sua bocca contratta in una smorfia trapelavano un misto di emozioni tra la rabbia e anche tra qualcosa di molto, molto più angosciante: la tristezza.

Slade abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo ancora negli occhi. «Mi dispiace.»

«Sì... dispiace anche a me!» Jeff ripartì alla carica, gridando a pieni polmoni.

Wilson si alzò nuovamente in piedi, e lo scontro poté proseguire. Calci, pugni, ginocchiate, gomitate. Nessuno di loro aveva più la forza di schivare i colpi. Jeff si procurò un occhio nero e sputò anche un dente, mentre il sangue continuava a scendere dal suo naso.

Dal canto suo, Slade non era messo molto meglio. Gli si era strappato un sopracciglio, e il liquido vermiglio stava colando sul suo unico occhio buono, impedendogli di vedere nitidamente il proprio avversario, e gli si erano anche tagliate entrambe le labbra.

«Ti odio» biasciò Jeff, in un momento di pausa nel quale entrambi rimasero fermi, con le braccia abbandonate a peso morto accanto ai fianchi, reggendosi in piedi per miracolo.

«Immagino... di meritarmelo...» osservò Wilson, mentre annaspava.

«Ci hai abbandonati, e ci hai trattati come spazzatura. Soprattutto me. Certo che te lo meriti.»

«Lo so. Lo so.» Slade sospirò e chinò il capo, scuotendo lentamente la testa. «Non avrei mai dovuto fare tutte quelle cose. E avrei anche dovuto... imparare ad accettarti... per quello che eri.» Risollevò lo sguardo, osservando quel volto distrutto che era quello del suo avversario, immaginandosi al suo posto quello che aveva il giorno in cui lo aveva visto per la prima volta. «Non potrò mai cambiare ciò che ho fatto in passato... ma ora devi capire che ci sono questioni... molto più importanti da risolvere. Non dobbiamo combatterci. Sei in pericolo, ragazzo. Tu... Rose... tutti quanti.»

«Che genere di pericolo?»

«Devo... tornare... al laboratorio...» biascicò l’uomo, evitando la risposta come in trance. «Mi servono... altri campioni...»

Le forze abbandonarono il corpo di Wilson. Il mercenario cadde a terra, con un lamento soffocato. Il pensiero di rialzarsi immediatamente nemmeno gli sfiorò la mente, esausto com’era. Gli arti non volevano più rispondere ai suoi comandi. Tossì altro sangue, sollevò lo sguardo e vide il ragazzo osservarlo dall’alto, celato dietro un’espressione indecifrabile.

«Non... deve... finire così...» rantolò ancora Slade, cercando a fatica di appoggiarsi sui gomiti, ogni millimetro mosso era un agonia.

«Hai perso, vecchio. Ora basta lottare inutilmente.»

L’uomo sollevò di nuovo lo sguardo, impietrì quando vide la sua stessa katana in mano al Visionario. Dreamer aveva il fiatone, il sangue continuava a colare dal naso, aveva i capelli arruffati e a malapena si reggeva in piedi, ma si avvicinò comunque al mercenario.

«No... aspetta...»

«Ho già aspettato... molto più di quanto tu possa credere... ma ora basta.» Jeff torreggiò su di lui, sollevando la katana con entrambe le mani. «Ho passato tutta la vita... ad aspettare... e le cose sono andate di male in peggio. L’unico modo per aggiustare tutto... è ricominciare da capo. Da zero. Da solo. Senza di te... e senza Rose.»

Slade sgranò l’occhio. «Cosa... che... che cosa hai fatto a Rose?!»

Un sorriso sadico si dipinse sul volto del Visionario. Fu peggiore di qualsiasi risposta, per Wilson.

«Ho fatto ciò che andava fatto. E ora tocca a te.»

Un sentimento che mai Deathstroke aveva provato affiorò dentro di lui.

Paura.

Un sentimento terribile, straziante, che fece capire al mercenario quanto impotente fosse in quel momento. «Rose... bambina mia...» sussurrò, mentre sentiva l’occhio inumidirsi. «No...»

Sollevò lo sguardo, osservando quel ragazzo con sguardo implorante. «Joseph... ti scongiuro...»

«Joseph è morto. Sei stato tu ad ucciderlo. Ora c’è solamente Jeff Dreamer. E lui... diventerà l’imperatore di questo mondo marcio che è rimasto ad osservarlo mentre la sua vita scivolava nell’oblio!» Nello sguardo del Visionario balenò una luce maligna. «Osserva con i tuoi occhi, ciò che TU hai creato. Hai gettato benzina sulle fiamme del mio odio per anni e anni! Tu mi hai fatto questo! Tu mi hai trasformato in un mostro! E ora tu ne pagherai le conseguenze. Ucciderò te, i tuoi uomini, porterò via tutto quello per cui hai combattuto, farò crollare le tue speranze come un castello di carte!

«Prenderò Sub City sotto il mio comando, cancellerò ogni traccia del tuo governo, la gente imparerà a rispettarmi, tutti si inchineranno di fronte a me, volgendomi il rispetto che merito! Dovranno temermi, amarmi, pregare che io sia clemente e che non uccida le loro famiglie davanti ai loro stessi occhi! Spazzerò via il tuo impero, e sulle sue ceneri ci costruirò il mio, proprio come tu stesso avevi previsto! Da oggi in poi, si giocherà secondo le mie regole. Il cambiamento è arrivato, infine. Hai perso la guerra, vecchio. E ora soffri, soffri come ho sofferto io!»

Il ragazzo calò la katana, trafiggendo la schiena dell’uomo, facendolo gridare di dolore. Il suo fu un urlo straziante, la cosa peggiore che qualcuno avrebbe mai potuto udire. Un urlo fatto di dolore fisico e mentale. L’urlo di un uomo che aveva lottato fino allo stremo delle forze per una causa nella quale credeva fino in fondo, e che aveva perso. L’ urlo di un uomo che assisteva in prima persona alle conseguenze che il suo stesso comportamento avevano provocato. L’urlo di un uomo che era stato privato di tutto ciò che gli era rimasto per mano di una persona che, in profondo, ancora amava.

Il suo ultimo pensiero andò a ciò che era sicuramente stato il suo tesoro più prezioso. Ciò di cui era sempre stato orgoglioso, ciò che avrebbe dovuto difendere fino allo stremo delle forze, e che invece aveva perso nel modo più orribile di tutti.

Il dono che la donna che aveva amato anni addietro gli aveva portato. Tre doni, per l’esattezza:

Grant, il primogenito, il suo orgoglio, il suo sé stesso ma più giovane, testardo, astuto, forte, incapace di arrendersi e di ammettere la sconfitta.

Rose, la sua bellissima figlia, leale, coraggiosa, sportiva, sempre con il sorriso stampato sulle labbra, gentile e buona come il pane.

E per finire l’ultimo ma non per importanza, quello che, nonostante le sue difficoltà, sicuramente avrebbe potuto essere il più promettente dei tre, dotato di un intelligenza sopraffina, un vero e proprio bambino prodigio.

Così volle ricordare i suoi tre figli nel suo ultimo attimo di vita, ossia per ciò che erano stati in passato, e non per ciò che erano diventati per colpa sua.

«È sempre più buio prima dell’alba. Peccato che l’alba non giungerà mai più a Sub City» sibilò ancora Dreamer, in un momento in cui Deathstroke fu ancora in grado di sentirlo. «La città ora è mia. E non preoccuparti per il tuo caro laboratorio, ci hanno già pensato i miei uomini a bruciare tutto quanto.»

Jeff ridacchiò, mentre l’uomo, ormai ad un passo dal grande salto, gli rivolgeva un’ultima occhiata carica di sconforto.

«Ci rivedremo all’inferno, padre

La katana fu estratta dalla schiena. L’oblio avvolse il corpo di Wilson Slade.

 

***

 

Rachel si svegliò di soprassalto, colpita come da una doccia gelata. Si alzò di scatto, la coperta scivolò via dal suo corpo, lasciandola al gelo.

Un turbinio di pensieri e immagini sfocate e confuse impazzavano nella sua testa come un uragano. Riuscire a cogliere qualcosa di sensato in mezzo a quel pandemonio le fu impossibile.

Gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte. Rabbrividì, ma non solo per gli spifferi d’aria. Tutto quello che aveva visto, udito, percepito... non le sembrava minimamente possibile.

Dai sentimenti che Wilson le aveva inviato senza nemmeno rendersene conto, alle parole che lui e Dreamer si erano scambiati, al loro cruento scontro.

Il fatto che lei aveva assorbito i poteri di Wilson per poi, in seguito, osservare il mondo dai suoi occhi come anche era accaduto con Hank, la vera identità di Jeff, Rose, la terribile minaccia di cui Slade aveva accennato, la morte dello stesso mercenario.

Improvvisamente, molti più tasselli del mosaico andarono a comporsi insieme, e il disegno in esso raffigurato cominciò ad apparire più chiaro agli occhi di Rachel. E più tutto questo accadeva, più lei sentiva dei brividi percorrerle la spina dorsale.

Jeff Dreamer... Joseph Wilson. Figlio di Slade Wilson. Fratello di Rose Wilson. In cerca di vendetta per i torti subiti in passato... alla disperata ricerca di un nuovo inizio, un inizio che comprendeva lui e lui soltanto. Nemmeno Rose, la sua stessa sorella, meritava di farne parte.

Rose... la ragazza che Rachel e i suoi compagni avevano trovato morta nel loro stesso rifugio... assieme a Ryan.

Rachel comprese. Comprese tutto quanto. La verità fu un pugno allo stomaco, per lei. Anzi, peggio ancora.

Era stata usata.

Tutto faceva parte del piano di Dreamer, ogni cosa. Mentre lei tentava disperatamente di salvare la vita di Tara, il Visionario tesseva la sua fitta ed intricata ragnatela. Aveva permesso che la sua stessa luogotenente morisse, la stessa ragazza che invece lo aveva ammirato e dipinto come un salvatore.

Jade, Rose, Ryan e chissà quante altre decine di uomini e donne che costituivano i suoi Visionari erano morti per permettergli di perseguire il suo scopo. Non avevano davvero lottato per la libertà che era stata loro promessa, erano solamente stati dei burattini nelle mani del loro capo, che in realtà aveva sempre e solo voluto vendetta. E ora, Rachel dubitava perfino della colpevolezza di Wilson.

Aveva fatto cose orribili, vero, ma lei era appena stata nella sua mente. Aveva percepito i suoi sentimenti, le sue emozioni, il suo profondo dispiacere, e aveva anche capito che tutto ciò che Deathstroke aveva fatto, era davvero stato per proteggere le persone da un qualcosa di talmente pericoloso e potente che perfino lui stesso aveva temuto. Un qualcosa che nemmeno lei era riuscita a comprendere, ma che era molto più vicino di quanto potesse immaginare, o che addirittura era già arrivato. Qualcosa che avrebbe ucciso tutti i suoi amici, e forse anche lei.

Certamente, Wilson non era buono. Ma non era nemmeno il cattivo che aveva creduto lui fosse. L’unico, vero, cattivo che esisteva a Sub City... era Dreamer. Un folle disposto a sacrificare tutto quello che aveva, persone, amici, perfino famigliari, per perseguire una stupida vendetta. E lei lo aveva aiutato.

Lo aveva aiutato a vendicarsi, anzi, di più. Sottraendo i poteri a Wilson, lei gli aveva le aperto le porte per il controllo di Sub City. Ora lui avrebbe dettato le regole in quella città. Aveva detronizzato Slade... solamente per prendere il suo posto, per distruggere tutte le sue ricerche e poter completare la sua vendetta nel migliore nei modi.

E Rachel lo aveva perfino abbracciato. Aveva abbracciato l’assassino del suo amico. L’assassino dell’unico uomo che, forse, era davvero in grado di salvare il mondo, anche se non si sapeva ancora da cosa.

Non solo Jeff aveva tradito i suoi alleati, ma aveva anche condannato il mondo privandolo della vita dell’unica persona che davvero sapeva cosa stava succedendo, che forse perfino sapeva quale fosse la causa delle esplosioni. Wilson Slade... per tutto quel tempo aveva detto il vero. Non era lui la minaccia da combattere. Se lei e i suoi amici non si fossero messi in mezzo, probabilmente lui non avrebbe mai fatto loro del male.

La corvina sentì la bile salire in bocca. E poi la rabbia. E infine, un profondo senso di vuoto, amarezza e tristezza.

L’immagine di Ryan che ridacchiava insieme a lei, seduto al tavolo di quella tavola calda, balenò nella sua mente. Era successo il giorno prima, ma a lei sembravano passati anni. Una lacrima solitaria solcò la sua guancia. Usata, affranta e con un amico in meno, ecco com’era. Anzi, non solo lei, ma tutti i suoi compagni.

E la cosa peggiore in assoluto era che era stata proprio lei a chiedere aiuto a Dreamer. Se non fosse stato per lei, forse Ryan sarebbe stato ancora vivo. Sentì una morsa al cuore quando ebbe quel pensiero.

Era... anche colpa sua. Era soprattutto, colpa sua.

Inspirò profondamente, poi si alzò dal materasso e scese al piano di sotto. Doveva raccontare a tutti gli altri che cosa aveva visto. Ad Amalia in primis. Doveva dirlo anche a lei, principalmente a lei, e assumersi le sue responsabilità. O così, o non sarebbe più riuscita a dormire di notte.

Credeva che forse era troppo presto e che gli altri stessero ancora dormendo, ma nella sala relax trovò Lucas, con in mano uno straccio, intento a strofinare le chiazze di sangue sul pavimento. Accanto a lui c’erano due secchi, uno blu e uno rosso, il primo dei quali aveva altri stracci appesi sul bordo.

La ragazza dischiuse le labbra quando lo notò. Il moro non ci mise molto ad accorgersi della sua presenza e si voltò verso di lei. I loro sguardi si incrociarono. Nei suoi occhi, Rachel lesse il nulla.

«Non riuscivo a sopportare l’idea che qui ci fosse ancora il suo sangue» spiegò lui, sinteticamente, con tono incolore, per poi rimettersi a strofinare.

Rachel rimase in silenzio, annuendo lentamente. Prese uno straccio dal secchio blu e lo bagno nell’acqua al suo interno, poi si chinò accanto a lui per poi dargli una mano. Cancellava una traccia di sangue, spremeva lo straccio nel secchio rosso facendo colare i residui, lo immergeva di nuovo in quello blu e ricominciava. L’odore del sangue a contatto con l’acqua era alquanto sgradevole, ma si costrinse ad ignorarlo.

Andarono avanti così a lungo, in silenzio. Corvina aveva ancora tutte quelle cose da dire, ma decise che prima avrebbe atteso anche gli altri.

Malgrado tutto, quel momento con la sua compagnia di Lucas riuscì a farla sentire più tranquilla. Se non altro, c’era anche lui.

Improvvisamente, Rosso smise di pulire il pavimento per portarsi l’avambraccio di fronte alla bocca. Tossì parecchie volte, questa volta piegandosi perfino. Rachel si allarmò e avvicinò una mano verso di lui, ma il moro la rifiutò con un cenno. Dopo diversi altri colpi di tosse, riuscì a placarsi. «Sto bene, tranquilla. È solo... quest’odore che mi da un po’ alla testa. Forza, finiamo... questa cosa.»

La conduit annuì timidamente, anche se la sua risposta non la convinse molto.

Ci misero un’altra buona mezz’ora, ma poi finirono tutto. Svuotarono i secchi nel lavandino e buttarono via gli stracci, poi si accomodarono sul divano, rimanendo entrambi in silenzio. Le loro spalle si sfiorarono, Rachel sentì un brivido percorrerla, ma rimase comunque ferma dov’era.

Avrebbe voluto dire qualcosa per smorzare quel silenzio, ma non le venne in mente niente. Non le fu, tuttavia, necessario soffermarsi a lungo su quel pensiero, perché la porta si aprì all’improvviso.

Entrambi si voltarono, per poi notare la figura di Amalia in piedi sull’ingresso. Rachel avvertì una stretta allo stomaco quando la vide. Aveva il viso smorto, i capelli arruffati e gli occhi rossi di pianto. Non c’era più alcuna traccia della ragazza arrogante che Corvina aveva conosciuto.

Komand’r entrò nella stanza e vide i due ragazzi seduti. Li osservò per un momento, senza aprire bocca, gli occhi che non trapelavano alcuna emozione al di fuori dello sconforto.

Lucas si alzò in piedi e si mise di fronte a lei. Amalia spostò dunque lo sguardo su di lui. Rimasero fermi per un attimo, poi le labbra della mora tremolarono. La ragazza chinò il capo e cominciò a singhiozzare. A quel punto, Rosso si avvicinò a lei e la abbracciò. Il pianto di Komi si intensificò. La sorella del defunto Ryan appoggiò la fronte sulla spalla del compagno e si strinse con forza a lui, continuando a singhiozzare sempre con più intensità.

Rachel si alzò a sua volta, anche lei con gli occhi lucidi, e si unì a loro. Cinse sia Amalia che Lucas per i fianchi, Komand’r separò un braccio da Red X per accogliere anche la corvina, e poco dopo si ritrovarono tutti e tre stretti in un unico grande abbraccio.

Alle spalle di Amalia, sulla porta, Rachel notò Tara. La bionda era ferma ad osservare la scena, anche lei con i lucciconi agli occhi. Non si aggiunse a loro, probabilmente aveva paura di scoppiare di nuovo a piangere. Entrò semplicemente nella stanza e attese che i suoi compagni terminassero.

Passarono diversi, lunghi, interminabili minuti, nei quali Amalia espresse tutto il suo dolore, poi, infine, riuscì a placarsi. I tre si separarono, la mora cercò di ripulirsi dalle lacrime.

Quando il silenzio scese nuovamente nella stanza, la corvina intuì che era giunto il suo momento. Inspirò profondamente, raccolse tutta la forza di volontà che quel momento così grigio riuscì a concederle, poi attirò l’attenzione dei suoi compagni.

«Ragazzi...» mormorò, ricevendo gli sguardi di tutti i presenti. La corvina esitò, quando ripensò a come anche Ryan sarebbe rimasto ad ascoltarla, se solo ci fosse ancora stato. Deglutì, poi prese coraggio e andò avanti: «Devo... dirvi una cosa.»

 

 

 

 

 

 

Con un giorno di anticipo, perché io vi voglio tanto bene. Spero che siate ancora tutti interi, dopo la valanga di informazioni appena ricevute. Se vi sentite un po' spaesati, state tranquilli, è tutto normale. Personalmente, ho amato questo capitolo. Penso che sia il mio preferito tra tutti, in assoluto. Qualcun altro sarà di un avviso differente, ma vabbé, son gusti.
E quindi... bon.
Potrei dire tantissime cose, ma finirei solo con l'annoiarvi. Se volete avere le idee più chiare, potete cercarvi la biografia di Deathstroke sull'internet, scoprirete che ha davvero tre figli, e che non mi sono inventato nulla.
Certo, Joseph in realtà non è per niente come l'ho dipinto io, anzi, tutt'altro, ma vabbé, è proprio qui che entra in scena l'autore. Lui può fare l'inimmaginabile. A dire il vero, all'inizio pensavo di rendere Jeff solo un vecchio amico della famiglia Wilson, di Rose in particolar modo, ma poi Joseph mi è balzato davanti agli occhi di botto, e ho avuto l'illuminazione. Credo, inoltre, che il tutto abbia reso molto, mooolto meglio. Sia chiaro, questo è quello che penso io, sono comunque sempre aperto ad ascoltare differenti opinioni. Naturalmente, il cambio repertino del background di Jeff ha scombussolato un po' le cose, ma alla fine è stata la cosa migliore per la trama.
E niente. Abbiamo scoperto la verità - buona parte, almeno - su Dreamer e Slade, su chi sia veramente chi e cosa. Io non intendo sbilanciarmi, lascerò che siate voi a decidere chi dei due abbia ragione, chi torto, chi sia davvero "buono" e chi sia davvero "cattivo". Questo perché io per primo ammetto che non è affatto semplice prendere una decisione. Entrambi hanno le loro colpe, e allo stesso tempo le loro ragioni per comportarsi nel modo in cui si sono comportati.
Jeff voleva vendetta, Deathstroke voleva "salvare il mondo". Da cosa? Ottima domanda. Questa, era la domanda giusta. Purtroppo però le mie risposte sono limitate.
Poi, penso che ormai sia chiaro cosa sa fare Rachel, senza saperlo, con i suoi poteri.
Ryan non ce l'ha fatta, tantomeno Rose. Immagino sia chiaro chi sia stato il loro assassino. E posso ben lasciarvi immaginare che cosa succederà adesso. Per adesso, i capitoli più frenetici sono finiti, ma manca ancora un pezzettino prima della fine. Ci sono ancora delle questioni da risolvere, delle identità da svelare, dei passati da chiarire... insomma, c'è ancora una bella carrellata di roba.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io mi sono impegnato a mille. Credo che tutti abbiano capito che, alla fine, Slade sia stato sopraffato dalla stanchezza, al termine del combattimento, ecco perché ha perso. Combattere in quel modo con un braccio e una gamba fuori uso non credo faccia molto bene.
Piccola nota tecnica, durante il combattimento tra i Wilson, io mi immaginavo in sottofondo
questa canzone, che ritengo sia la theme perfetta per Dreamer, da qui deriva inoltre la sua frase"guerra dei cambiamenti".

Ho detto tutto. Come al solito, ditemi la vostra, che io la ascolto volentieri.
Ora vado a studiare per la matura (ouch), alla prossima!


   
 
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