Capitolo
22: FAMIGLIA RIUNITA
Furono ore terribili, quelle. Dal momento del
ritrovo del cadavere di Ryan, fino a quando, stremati, non erano andati
a
dormire.
Per riuscire a dividere Amalia dal corpo esanime
del fratello ci erano voluti Rosso e Rachel insieme. Tara no, lei era
troppo
scossa per riuscire a muoversi anche solo di un millimetro.
Komand’r aveva gridato, aveva scalciato,
aveva
graffiato i due ragazzi e perfino tirato loro i capelli. Lucas, infine,
era
stato costretto a pizzicarle il nervo del collo per farle perdere i
sensi.
Avevano portato la ragazza mora in uno degli uffici e
l’avevano adagiata su un
materasso, dopodiché avevano dovuto occuparsi della
rimozione dei due corpi.
Tara aveva pianto mentre, con i suoi poteri,
creava due fosse nel cortile. E anche Lucas aveva gli occhi lucidi
mentre
adagiava dentro una di esse proprio il corpo di Ryan, tenendolo avvolto
in una
coperta. Seppellirono anche Rose, nella fossa accanto al rosso. Per
quanto
fossero state orribili le cose che aveva fatto, anche lei era pur
sempre stata
una vittima di Wilson, e meritava di poter almeno riposare in pace.
Per non dimenticarsi dove fossero le fosse, Tara
tracciò sul suolo i contorni di esse e su quella di Ryan
lasciò un incisione.
Tempo di concludere tutto quanto, e si era fatto
ormai mattino. I tre ragazzi erano distrutti, sia nel corpo che nella
mente. Non
avevano idea di chi potesse essere stato il responsabile di quelle due
morti,
non avevano nemmeno la testa per cercare di rifletterci su. Senza dire
una
parola erano andati a dormire, chi nascondendo meglio il dolore, come
Lucas,
chi, invece, non riuscendoci affatto, come Tara. Rachel
l’aveva sentita
singhiozzare diverse volte, mentre cercava di chiudere occhio nel suo
materasso.
Miliardi di cose erano passate nella sua mente,
mentre si era girata e rigirata sotto le coperte.
Aveva pensato ad Amalia, a Tara, a Lucas, a come
ciascuno di loro doveva essersi sentito quando avevano visto il corpo
del loro compagno.
Ma soprattutto Amalia. Rachel non poteva nemmeno immaginarlo. Lei non
aveva mai
perso un famigliare in quel modo. Anzi, non aveva mai perso nessuno, in
quel
modo. Certo, i suoi amici erano morti, ma lei non aveva mai visto i
loro
cadaveri; non li aveva visti con gli occhi ancora sgranati e la bocca
semiaperta in un grido di disperazione che nessuno aveva udito, non li
aveva
visti riversi nel loro stesso sangue.
Se per lei era stato scioccante, per Amalia
doveva essere stato terribilmente traumatico. Non si sarebbe stupita se
avesse
davvero perso la testa, dopo l’accaduto.
Aveva pensato poi a Rose, e a come Dreamer
avrebbe reagito quando avrebbe scoperto cosa le era successo. Lui aveva
detto
che si sarebbe preso cura di lei, sembrava tenerci anche molto, a lei.
Il nuovo capitolo della vita di Corvina era
cominciato davvero nel peggiore dei modi. Un suo compagno, un suo
amico, non
c’era più. Non lo avrebbe più rivisto,
da quel giorno per tutto il resto della
sua vita. Ryan si era sempre tenuto per le sue, era vero, ma la sua
mancanza
avrebbe sicuramente generato un vuoto molto difficile da riempire.
Anche Rachel aveva singhiozzato, prima di
riuscire finalmente a chiudere occhio.
***
Rachel
camminava accanto a rastrelliere piene di armi medievali, piedistalli
su cui
erano esposte antiche armature dei tempi delle crociate, bacheche e
scaffali
pieni zeppi di oggetti antichi.
C’era una
quantità industriale di sapere, tutto attorno a lei. Ogni
esposizione, anche
quelle più piccole ed inutili, avevano una didascalia che
spiegava per filo e
per segno cosa fosse quel determinato oggetto, in quale ambito
lavorativo
venisse adoperato e quale persona famosa lo avesse usato.
Ma a lei
non interessava davvero molto tutta quella roba. L’unica cosa
su cui era
concentrata, era su quanto diavolo fosse pesante il suo zainetto. Si
maledisse
per averlo riempito in quel modo. Pesava una tonnellata e la visita al
museo
era praticamente appena iniziata.
Dopo
qualche minuto rinunciò ad ascoltare la guida. Non aveva
proprio la testa per
mettersi a riempirsela di tutte quelle informazioni che, detto con
tutta
onestà, non le sarebbero servite a nulla a meno che non
avesse deciso di andare
a lavorare proprio in quel museo una volta terminati gli studi. O di
fare
l’archeologa, o la storica, o robe di quel genere, insomma.
Certo,
accrescere il proprio bagaglio culturale è sempre una buona
cosa, ma in quel
momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Richard.
Richard, la
stessa persona che si trovava ad una manciata di ragazzi da lei e che
teneva
Kori per mano, la quale non smetteva un solo istante di sorridere.
La corvina
strinse i pugni. Quanto la odiava. Quell’oca, quella gallina,
quella...
«Ehi
Roth!»
la chiamò qualcuno, bisbigliando.
Lei si
voltò pigramente, per poi posare gli occhi su un ragazzo dai
capelli color
carota, che la guardava con un sorriso idiota. Wally.
«Ti sei
fatta male, questa mattina?» domandò lui, senza
far svanire quel maledetto
sorriso.
Rachel
inarcò un sopracciglio.
«Perché?»
«Perché
sei
caduta dal paradiso, ecco perché, angelo mio.»
Diverse
risatine si sollevarono da alcuni dei ragazzi presenti attorno a loro.
Anche lo
stesso Wally allargò il suo sorrisetto. Rachel
serrò la mascella, irritata come
mai lo era stata con lui. Fu quasi tentata di sferrargli un cazzotto
sul naso e
far sparire quell’espressione idiota dal suo brutto muso,
quando qualcuno si
frappose tra loro, allontanando il rosso. Logan.
«Falla
finita, Wally» intimò il ragazzo biondo, cercando
di allontanarlo da lei.
«Qual
è il
problema?» domandò quello, sollevando le mani in
segno di resa. «Volevo solo...»
«Abbiamo
capito cosa volevi» si intromise Victor arrivando in quel
momento, affiancando
il suo migliore amico. «E, sinceramente, potevi anche
risparmiartelo.»
«Andiamo,
si ride e si scherza, non voglio offendere nessuno!»
«Non sempre
gli altri sono in vena di sorbirsi i tuoi scherzi, dovresti
saperlo.»
«Oh, ma
dai...»
«Evapora,
Wally» aggiunse Jennifer, aggiungendosi al gruppo in
compagnia di Karen.
Il rosso
parve quasi disperato. «Jenni, anche tu no...»
La ragazza
incrociò le braccia, facendo un verso di disappunto. Wally,
intuendo che forse
doveva aver sorpassato il limite, si ritirò con un sospiro
abbattuto. A quel
punto, i quattro amici si rivolsero alla ragazza corvina.
«Ignoralo,
è solo un buffone» le disse Jennifer, sospirando.
«Io lo so bene...»
Rachel
abbozzò un sorriso. «Tranquilla, lo so
anch’io. Grazie, comunque, a tutti voi.»
Logan
sollevò il pollice. «Puoi sempre contare su di
noi.»
Victor annuì a conferma di quelle
parole, rimanendo in
silenzio.
La corvina
si sentì grata a loro, per il loro intervento. Se non ci
fossero stati,
probabilmente avrebbe preso per il collo Wally. Era sorprendente come
Logan e
Victor fossero intervenuti nonostante fino a qualche minuto prima anche
loro
stessero ridendo e scherzando bellamente, coinvolgendo anche i loro
compagni.
Evidentemente, lei era molto più importante per loro di
quanto non potesse
immaginare. E certo, Richard forse non c’era più,
ma c’erano sempre loro.
Su di loro
avrebbe sempre potuto contare, ne era sicura. Erano come una famiglia,
per lei,
anche se spesso e volentieri se ne dimenticava e credeva di essere
sola. Ma non
era così, lei non era sola. Non con loro.
La visita
per il museo continuò. Rimase in compagnia dei suoi amici,
ai quali ben presto
si aggregarono altri ragazzi che conosceva più e meno bene,
perfino lo stesso
Wally, il quale riuscì ad ottenere il perdono della corvina.
Logan e Victor
ripresero le loro mansioni di spiritosoni del gruppo e tutto quanto
sembrò tornare
alla normalità.
Rachel
rimase sulle sue, non disse più molto, si limitò
a sorridere di tanto in tanto
quando qualcuno dei suoi compagni faceva qualcosa di tremendamente
stupido per
poi beccarsi un richiamo dai professori.
Di tanto in
tanto, tuttavia, il suo sguardo cadeva poco davanti a lei, su Richard e
Kori. E
il suo sforzarsi di essere serena diventava quasi una tortura.
Più cercava
di non pensarci, più quel maledetto bacio tra il suo amico
di infanzia e Stella
le ritornava in mente, provocandole una dolorosa stretta al cuore. Era
successo
un’infinità di tempo prima, ma
quell’avvenimento era ancora perfettamente
nitido nella sua mente. E, di conseguenza, non desiderava altro che
mandare
tutto al diavolo, andarsene da quel museo e restarsene da sola.
Non poteva
andare avanti in quel modo. Avrebbe fatto meglio a parlare con Richard.
Erano
giorni, settimane, mesi che pensava di farlo. Non sapeva ancora cosa
dirgli,
non sapeva nemmeno come si sarebbe comportata di nuovo in sua presenza,
probabilmente nemmeno sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi, ma
qualcosa se
lo sarebbe inventato.
Quando è troppo, è troppo, pensò, annuendo con convinzione.
Prese un
profondo sospiro, poi si allontanò dal gruppo di amici senza
farsi notare. Si
fece largo tra la folla di studenti, avvicinandosi sempre di
più a quella
coppietta tanto felice quanto lei era triste.
Stava quasi
per raggiungerli, quando vi fu un lungo e potente scossone che fece
tremare la
terra. Vi furono grida sorprese, alcuni ragazzi persero perfino
l’equilibrio,
diversi oggetti in mostra caddero dai loro ripiani e si frantumarono
sul
pavimento.
Rachel fu
una di quelli che perse l’equilibrio. Si ritrovò a
terra, in ginocchio,
stordita e confusa. Sollevò lo sguardo, vide altri studenti
cadere, udì le
grida sollevarsi di intensità, alcune bacheche gremite di
oggetti si
rovesciarono, causando danni enormi e ferendo perfino delle persone.
La ragazza
dischiuse le labbra, interdetta. Non riusciva a capire cosa stesse
succedendo,
sapeva solo che stava cominciando a spaventarsi. Una luce di un blu
accecante
cominciò a penetrare nel museo tra le grosse finestre. La
corvina si voltò
verso di queste, per poi sgranare gli occhi interdetta.
Non seppe
spiegarsi con esattezza cosa vide. La luce si fece dieci volte
più intensa,
accecandola completamente.
Le grida si
fecero ancora più forti. Rachel cercò
disperatamente con lo sguardo i suoi
amici, Richard, perfino Kori, ma non vide nulla.
E poi tutto
fu spazzato via.
Le grida
svanirono, i ragazzi svanirono, il museo intero svanì. Agli
occhi di Rachel non
rimase altro che il buio.
Un buio che
l’avrebbe perseguitata per il resto della vita.
***
Il cielo
stellato della notte comparve all’improvviso di fronte a lei,
rimpiazzando
l’oscurità. Un dolore terribile la
colpì ad un braccio e ad una gamba. Gemette.
O meglio, lei lo avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Si rese
conto di muoversi
senza il suo volere, e ogni passo le causava una lancinante fitta di
dolore.
Camminava su un tetto, quasi barcollava, tenendosi con una mano il
braccio
ferito. La cosa più scioccante era che aveva solamente un
occhio aperto.
Faticava a
respirare, sentiva come se ci fosse qualcosa di fronte al naso che la
opprimeva.
Si fermò
all’improvviso, appoggiandosi contro la parete di
un’uscita di emergenza. Piegò
il capo e tossì goffamente, graffiandosi la gola. Non appena
quei colpi di
tosse giunsero alle sue orecchie, capì ogni cosa.
Stava
succedendo, di nuovo. Non più con Hank, tuttavia, ma con...
con...
«Wilson.»
Una voce si sollevò in aria all’improvviso,
soffiando quel nome con disprezzo,
come se fosse il peggior insulto esistente sul pianeta.
Rachel si
voltò. O meglio, Wilson, si
voltò. Sotto lo sguardo della sua unica pupilla, apparve
Jeff Dreamer. Il
Visionario osservava l’uomo con sguardo severo e truce,
stringendo con forza la
presa attorno al bastone da passeggio.
«Sei
arrivato, dunque.» L’ultima persona che lei avrebbe
immaginato di vedere, fu
proprio quella che Slade accolse con indifferenza, malgrado la sua
critica
condizione di salute.
«Sì,
Wilson,
sono arrivato.» La lama a serramanico sbucò
dall’estremità del bastone e il
Visionario cominciò a camminare verso di lui.
«Questa è la resa dei conti. Non
mi sfuggirai di nuovo.»
Deathstroke
estrasse l’unica katana
rimastogli con la
mano che poteva ancora utilizzare, ma
ricevette una dolorosa fitta di dolore nel fare ciò.
Mugugnò sommessamente, poi
si mise in posizione. «Non è leale combattere
contro un avversario ferito»
commentò, mentre Jeff continuava ad avvicinarsi molto
lentamente, prendendosi
tutto il tempo del mondo.
Il ragazzo
si fermò, abbozzando un sorriso sadico. «Senza i
tuoi poteri ci impiegherai
almeno qualche settimana per guarire completamente. E io non ho tutto
questo
tempo.»
Slade
sgranò l’occhio quando udì quelle
parole. «Come sai dei poteri?»
«Spirito di
osservazione. Dopo che la tua conduit da laboratorio ha ridotto la tua
gamba in
quelle condizioni così pietose, era praticamente impossibile
che tu riuscissi a
scappare da quell’hotel. C’era sicuramente qualche
trucco sotto. E quel trucco
l’ho scoperto nella Low Sub, quando hai ucciso Jade. Anche
se, francamente, non
avrei mai immaginato che anche tu fossi un conduit. E tutta quella
storia sulla
genetica... ammetto di essere rimasto senza parole.
«Sapevo
già
che attaccandoti non avrei avuto possibilità, considerando
inoltre il tuo
potere, quindi ho lasciato che fossero Rachel e i suoi amici a
combatterti. Io
ho semplicemente radunato i miei uomini e atteso il momento opportuno
per sferrare
il colpo di grazia, e quel momento è stato dopo che Rachel
ti ha sottratto i
poteri. Perché è andata così, dico
bene?»
Wilson
strinse la presa attorno al manico della katana, rabbuiandosi.
«Allora te ne
sei accorto... non credevo che fossi così sveglio.»
«Ho
imparato dal peggiore.» Dreamer si sgranchì il
collo, roteando il bastone. «E
ora, pagherai per ciò che mi hai fatto. Per ciò
che ci hai fatto.»
«Lo sai che
non ti permetterò di uccidermi così facilmente,
vero? Non ho passato tutto
questo tempo a cercare di scoprire i segreti dei conduit per poi farmi
eliminare da un moccioso come te. Non distruggerai tutto il mio lavoro
di mesi.»
«Ne sono
consapevole, vecchio. Ma a me non importa!» Jeff
partì alla carica per primo. «Ne
rimarrà solo uno, e sarò io!»
Sferrò un
fendente con tutta la sua forza verso l’addome di Wilson,
mirando quello che
l’uomo avrebbe faticato di più a proteggere, ma
Slade riuscì comunque a
proteggersi roteando la katana verso il basso e muovendo il busto.
Dreamer
sgranò gli occhi, sorpreso.
«Credevi
davvero che sarebbe stato così facile?» lo
incalzò il mercenario.
Jeff serrò
la mascella, poi tentò un nuovo affondo all’altro
fianco, ma anche questo fu
deviato senza troppe difficoltà dall’uomo.
«Non
ci siamo proprio, moccioso.»
«Silenzio!»
sbraitò il Visionario, cominciando a sferrare un fendente
dietro l’altro,
sempre con più forza, sempre con più rabbia e
sempre con più rapidità.
Dal canto
suo, Wilson continuò a difendersi da ogni attacco, ma fu
anche costretto a
dover indietreggiare. Diverse volte ricevette terribili fitte di dolore
al
braccio e alla gamba, a causa della furia del suo avversario, ma tenne
comunque
stretti i denti.
Continuò a
difendersi, cercando di guadagnare tempo e stancare il proprio
avversario, poi
decise di contrattaccare. Parò l’ennesimo attacco
e le lame rimasero incrociate
a mezz’aria, a quel punto cercò di sferrare una
ginocchiata al Visionario, ma
quello saltò all’indietro, evitandola.
Slade
cominciò ad inferire con altrettanta brutalità,
mulinando quella katana che
chissà quante vite aveva già strappato. Dreamer,
tuttavia, mostrò
un’incredibile agilità evitando tutti quegli
attacchi, scansandosi, rotolando e
saltando. Il giaccone nero svolazzava ogni volta che il ragazzo si
muoveva
bruscamente, ma a questo non sembrava dare molto fastidio.
Jeff evitò
un altro attacco, saltando all’indietro ed atterrando sopra
un grosso cabinato
contenente delle ventole di areazione. A quel punto gridò e
si gettò in
picchiata sul nemico, mirando la sua gola. Slade si scansò,
mugugnando per una
fitta alla gamba, poi ricambiò il gesto con la katana, ma
Dreamer piegò le
gambe e si protesse con il suo bastone.
«Sono anni
che mi preparo per questo scontro, Wilson. Non mi sconfiggerai tanto
facilmente!» sibilò Jeff, roteando con un gesto
secco l’arma, allontanando da
essa la spada di Deathstroke e facendolo indietreggiare.
Si avventò
su di lui, questa volta mirando al torace, ma ancora una volta Slade
deviò
l’attacco. «E io combatto da prima che tu
macchiassi il pannolino, sei tu
quello svantaggiato!»
Abbatté la
lama sull’avversario, che rotolò di lato,
evitandola. Dreamer si rialzò,
partendo alla carica con un attacco rotante. «Ma io ho tutti
e quattro gli
arti!»
Ancora una
volta, le armi si incrociarono e rimasero ferme. I due rimasero fermi
per un
momento, faccia a faccia, lama contro lama. Entrambi mugugnarono per lo
sforzo
di dover tenere salda la presa attorno ai manici, Slade per via degli
handicap
fisici, Dreamer per via della comunque notevole forza
dell’uomo.
Nonostante
le ferite, Wilson stava dando parecchio filo da torcere al Visionario.
Ma allo
stesso tempo, Jeff si era rivelato molto più temibile di
quanto il mercenario potesse
immaginare.
«Credo
proprio... che la tireremo per le lunghe...»
osservò Deathstroke, con il
braccio che tremava per lo sforzo.
«Bene
così.
Non ho impegni questa notte» rantolò il Visionario
in risposta, per poi
ritrarre di scatto il bastone, facendo sbilanciare l’uomo e
sferrandogli un
calcio all’addome. «E tu?!»
Il
mercenario fece un verso soffocato, ma si risollevò
immediatamente, giusto un
secondo prima che la lama di Dreamer gli trafiggesse la schiena. Si
protesse
con la katana, le armi si incrociarono di nuovo. Un minuscolo sorriso
increspò
le labbra di Wilson, velato tuttavia dalla maschera. «I miei
complimenti. Sei
quasi riuscito a farmela, Joe.»
Dreamer
sgranò gli occhi. Parve più colpito da quel
nomignolo, che da qualsiasi altro
attacco. Ma ci mise ben poco per riprendersi. «Non chiamarmi
così!» ululò,
sferrando un altro calcio che questa volta andò a vuoto.
Slade saltò
all’indietro, ignorando il dolore lancinante alla gamba.
Roteò la
katana. I due avversari si osservarono ancora per un breve momento,
entrambi
con il fiatone. Poi, senza dire altro, ripartirono
all’attacco.
Questa
volta Slade non si risparmiò. Fingendo di non avere nessuna
ferita grave,
attaccò il Visionario con tutto quello che aveva, e la
stessa cosa fece Jeff.
La luna
osservò i due nemici mentre si cimentavano in un susseguirsi
quasi infinito di
affondi, stoccate, sferzate, schivate e parate. La loro sembrava quasi
una
danza, con l’unica differenza che il primo a commettere un
errore sarebbe
morto.
Saltarono
da una parte all’altra del tetto, perfino oltre il bordo per
poi atterrare su
altri tetti, spostandosi di palazzo in palazzo. Ogni millimetro mosso
per
Wilson era un’agonia, ma a lui non importava. Non sapeva
nemmeno più come
facesse a continuare a lottare in quel modo, ormai andava avanti
semplicemente
per inerzia. Ma non si sarebbe fermato fino a quando non avrebbe visto
il suo
avversario a terra, sconfitto.
Non sapeva
ancora quanto avrebbe resistito, sapeva solo che doveva vincere e
concludere
quella faccenda di cui da tanti anni sapeva di essere il principale
colpevole,
anche se non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Non a lui.
Tantomeno a
lei. Tantomeno a tutti loro.
Le
battaglie per cui il mercenario aveva sempre combattuto non erano mai
state
davvero importanti per lui, ce n’era sempre stata solamente
una che davvero gli
era interessata. E l’aveva persa, forse perché,
all’epoca, non ci aveva creduto
davvero.
E ora ne
pagava le conseguenze. E il tutto alla vigilia di quella che,
sicuramente, era
la minaccia più grande che il loro pianeta avesse mai visto.
Non voleva
combattere davvero, non con quel ragazzo che aveva di fronte, ma non
aveva
altra scelta. Il suo avversario non si sarebbe mai fermato, per nulla
al mondo.
Nessuna parola, o gesto, sarebbe riuscito a placarlo. Ormai era tardi
per
quello. Doveva sconfiggerlo, e se per fare ciò avrebbe
dovuto ucciderlo,
allora, lo avrebbe fatto.
Avrebbe
patito le pene dell’inferno, ma lo avrebbe fatto. Lo avrebbe
rivisto nei suoi
incubi, ma lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe mai perdonato, ma lo
avrebbe
fatto, comunque, in ogni caso.
Così come
aveva fatto quando era stato costretto ad allontanare Rose da
sé. Non era stata
la scelta più facile della sua vita, tutt’altro,
ma anche in quel caso era
stato costretto. Non aveva avuto tempo per lei e non avrebbe nemmeno voluto vederla
ammalarsi. Aveva dovuto
agire, e basta, ignorando le conseguenze, ignorando i sentimenti
altrui,
ignorando perfino i suoi stessi.
E adesso
non gli restava che concludere anche quella faccenda. Per sempre.
Il bastone
di Dreamer si avvicinò. Slade con un grido di rabbia
sferrò un potentissimo
fendente verso quell’arma, colpendola con il piatto della
katana. L’impatto fu
devastante, Jeff fu disarmato e sbilanciato all’indietro.
Barcollò, stordito ed
indifeso. Wilson lo colpì con un calcio allo stomaco,
scaraventandolo contro il
cabinato di un’uscita di emergenza. Il ragazzo
sbatté contro il muro, poi cadde
carponi, tossendo.
«Mi
dispiace» disse Slade, sollevando la katana, pronto per
finirlo.
«No...»
sibilò Jeff, scuotendo la testa, per poi muoversi con una
rapidità
impressionante. «... non è vero!»
Si fiondò
contro l’uomo, placcandolo all’addome. Wilson
mugugnò di dolore, entrambi
caddero a terra, l’uno sopra l’altro, e la spada
scivolò dalle mani del
mercenario.
Dreamer
mosse il proprio braccio di scatto, con un gesto secco, e un coltello
sbucò
fuori dalla manica. Lo afferrò al volo, poi
attentò al collo di Slade.
Deathstroke notò la nuova arma e sgranò
l’occhio. Mosse l’unica mano che poteva
controllare e bloccò l’attacco
dell’avversario afferrandolo per il polso. Il
coltello rimase sospeso a mezz’aria, tra lui e il Visionario.
«A te...
non è mai dispiaciuto niente!» soffiò
Dreamer, mentre digrignava i denti per lo
sforzo.
«Ti
sbagli.»
Wilson si alzò di colpo, sferrandogli una testata. Jeff
gridò e cadde
all’indietro, perdendo il coltello.
Entrambi si
risollevarono, gemendo per la fatica. Dreamer aveva il naso che
sanguinava,
mentre il dolore al braccio e alla gamba di Wilson cresceva inesorabile.
Il
Visionario gridò e si avventò
sull’uomo, sferrandogli un pugno sul lato del
capo, dove la maschera non lo avrebbe protetto. «Io non mi
sbaglio affatto!»
Slade non
riuscì a spostarsi e fu colpito. Barcollò
all’indietro, mugugnando, poi sferrò
un pugno a sua volta, colpendo proprio il naso del ragazzo.
«Sì, invece! A me
importa! Mi è sempre importato!»
Jeff
barcollò a sua volta, facendo un verso di dolore.
Scrollò il capo per
ricomporsi, gocce di sangue caddero dal suo volto, mentre la chiazza
rossa si
allargava. Si toccò con due dita sotto il naso, per poi
ringhiare di rabbia
quando notò il colore scarlatto che queste avevano assunto.
Ripartì alla
carica, sferrando un altro pugno al nemico. «Sei solo uno
sporco bugiardo!»
Ancora una
volta Slade incassò il colpo, avvertendo una lancinante
fitta di dolore alla
tempia. Tossì del sangue, che andò a macchiare la
maschera dall’interno,
riempiendola di un odore nauseabondo. Rantolò di rabbia, poi
colpì nuovamente
l’avversario, questa volta su una guancia. «E tu
sei uno stupido moccioso!»
Questa
volta il ragazzo perse l’equilibrio e cadde a terra, di lato.
Il cappello gli
scivolò dal capo, lasciando scoperti i suoi capelli biondi,
mossi e spettinati.
Tossì a sua volta, rialzandosi sui gomiti. Rimase a terra
per un momento, a
riprendere fiato, mentre Wilson lo osservava barcollando, incapace di
fare
qualsiasi cosa a causa del dolore agli arti.
Poi,
Dreamer gridò a squarciagola per la rabbia e si rimise in
piedi fulmineamente,
voltandosi e sferrando un calcio girato nuovamente alla tempia
dell’uomo. Slade
osservò la gamba avvicinarsi a lui, impotente, e fu colpito.
Ruzzolò a terra,
mugugnando per il dolore. Si rese presto conto che quel calcio gli
aveva
spostato i legacci della maschera da dietro l’orecchio,
facendogliela saltare
via. La gelida aria della notte sferzò sul suo volto e sulla
barba ispida,
punzecchiandolo. Alcuni spifferi scivolarono sotto la benda
sull’occhio,
bruciando sulla cicatrice.
«Se
davvero... ti importava...» rantolò Dreamer, nel
frattempo. «... allora
dov’eri... quando il mondo ci cadeva addosso?!»
L’uomo
sollevò lo sguardo e lo vide in faccia. Sentì le
propria interiora
attorcigliarsi quando notò il suo volto ridotto ad una
maschera di sangue,
lividi e trucco sbiadito. I suoi occhi verdi scintillanti e la sua
bocca
contratta in una smorfia trapelavano un misto di emozioni tra la rabbia
e anche
tra qualcosa di molto, molto più angosciante: la tristezza.
Slade
abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo ancora negli
occhi. «Mi dispiace.»
«Sì...
dispiace anche a me!» Jeff ripartì alla carica,
gridando a pieni polmoni.
Wilson si
alzò nuovamente in piedi, e lo scontro poté
proseguire. Calci, pugni, ginocchiate,
gomitate. Nessuno di loro aveva più la forza di schivare i
colpi. Jeff si
procurò un occhio nero e sputò anche un dente,
mentre il sangue continuava a
scendere dal suo naso.
Dal canto
suo, Slade non era messo molto meglio. Gli si era strappato un
sopracciglio, e
il liquido vermiglio stava colando sul suo unico occhio buono,
impedendogli di
vedere nitidamente il proprio avversario, e gli si erano anche tagliate
entrambe le labbra.
«Ti
odio»
biasciò Jeff, in un momento di pausa nel quale entrambi
rimasero fermi, con le
braccia abbandonate a peso morto accanto ai fianchi, reggendosi in
piedi per
miracolo.
«Immagino...
di meritarmelo...» osservò Wilson, mentre
annaspava.
«Ci hai
abbandonati, e ci hai trattati come spazzatura. Soprattutto me. Certo
che te lo
meriti.»
«Lo so. Lo
so.» Slade sospirò e chinò il capo,
scuotendo lentamente la testa. «Non avrei
mai dovuto fare tutte quelle cose. E avrei anche dovuto... imparare ad
accettarti... per quello che eri.» Risollevò lo
sguardo, osservando quel volto
distrutto che era quello del suo avversario, immaginandosi al suo posto
quello
che aveva il giorno in cui lo aveva visto per la prima volta.
«Non potrò mai
cambiare ciò che ho fatto in passato... ma ora devi capire
che ci sono
questioni... molto più importanti da risolvere. Non dobbiamo
combatterci. Sei
in pericolo, ragazzo. Tu... Rose... tutti quanti.»
«Che genere
di pericolo?»
«Devo...
tornare... al laboratorio...» biascicò
l’uomo, evitando la risposta come in
trance. «Mi servono... altri campioni...»
Le forze
abbandonarono il corpo di Wilson. Il mercenario cadde a terra, con un
lamento
soffocato. Il pensiero di rialzarsi immediatamente nemmeno gli
sfiorò la mente,
esausto com’era. Gli arti non volevano più
rispondere ai suoi comandi. Tossì altro
sangue, sollevò lo sguardo e vide il ragazzo osservarlo
dall’alto, celato
dietro un’espressione indecifrabile.
«Non...
deve... finire così...» rantolò ancora
Slade, cercando a fatica di appoggiarsi
sui gomiti, ogni millimetro mosso era un agonia.
«Hai perso,
vecchio. Ora basta lottare inutilmente.»
L’uomo
sollevò di nuovo lo sguardo, impietrì quando vide
la sua stessa katana in mano
al Visionario. Dreamer aveva il fiatone, il sangue continuava a colare
dal
naso, aveva i capelli arruffati e a malapena si reggeva in piedi, ma si
avvicinò comunque al mercenario.
«No...
aspetta...»
«Ho
già
aspettato... molto più di quanto tu possa credere... ma ora
basta.» Jeff
torreggiò su di lui, sollevando la katana con entrambe le
mani. «Ho passato
tutta la vita... ad aspettare... e le cose sono andate di male in
peggio.
L’unico modo per aggiustare tutto... è
ricominciare da capo. Da zero. Da solo.
Senza di te... e senza Rose.»
Slade
sgranò l’occhio. «Cosa... che... che
cosa hai fatto a Rose?!»
Un sorriso sadico
si dipinse sul volto del Visionario. Fu peggiore di qualsiasi risposta,
per
Wilson.
«Ho fatto
ciò che andava fatto. E ora tocca a te.»
Un
sentimento che mai Deathstroke aveva provato affiorò dentro
di lui.
Paura.
Un
sentimento terribile, straziante, che fece capire al mercenario quanto
impotente fosse in quel momento. «Rose... bambina
mia...» sussurrò, mentre
sentiva l’occhio inumidirsi. «No...»
Sollevò lo
sguardo, osservando quel ragazzo con sguardo implorante.
«Joseph... ti
scongiuro...»
«Joseph
è
morto. Sei stato tu ad ucciderlo. Ora c’è
solamente Jeff Dreamer. E lui...
diventerà l’imperatore di questo mondo marcio che
è rimasto ad osservarlo
mentre la sua vita scivolava nell’oblio!» Nello
sguardo del Visionario balenò
una luce maligna. «Osserva con i tuoi occhi, ciò
che TU hai creato. Hai gettato benzina sulle fiamme
del mio odio per anni e anni! Tu mi hai fatto questo! Tu mi hai
trasformato in
un mostro! E ora tu ne pagherai le conseguenze. Ucciderò te,
i tuoi uomini,
porterò via tutto quello per cui hai combattuto,
farò crollare le tue speranze
come un castello di carte!
«Prenderò
Sub City sotto il mio comando, cancellerò ogni traccia del
tuo governo, la
gente imparerà a rispettarmi, tutti si inchineranno di
fronte a me, volgendomi
il rispetto che merito! Dovranno temermi, amarmi, pregare che io sia
clemente e
che non uccida le loro famiglie davanti ai loro stessi occhi!
Spazzerò via il
tuo impero, e sulle sue ceneri ci costruirò il mio, proprio
come tu stesso avevi
previsto! Da oggi in poi, si giocherà secondo le mie regole.
Il cambiamento è
arrivato, infine. Hai perso la guerra, vecchio. E ora soffri, soffri
come ho
sofferto io!»
Il ragazzo
calò la katana, trafiggendo la schiena dell’uomo,
facendolo gridare di dolore.
Il suo fu un urlo straziante, la cosa peggiore che qualcuno avrebbe mai
potuto
udire. Un urlo fatto di dolore fisico e mentale. L’urlo di un
uomo che aveva
lottato fino allo stremo delle forze per una causa nella quale credeva
fino in
fondo, e che aveva perso. L’ urlo di un uomo che assisteva in
prima persona
alle conseguenze che il suo stesso comportamento avevano provocato.
L’urlo di
un uomo che era stato privato di tutto ciò che gli era
rimasto per mano di una
persona che, in profondo, ancora amava.
Il suo
ultimo pensiero andò a ciò che era sicuramente
stato il suo tesoro più prezioso.
Ciò di cui era sempre stato orgoglioso, ciò che
avrebbe dovuto difendere fino
allo stremo delle forze, e che invece aveva perso nel modo
più orribile di
tutti.
Il dono che
la donna che aveva amato anni addietro gli aveva portato. Tre doni, per
l’esattezza:
Grant, il
primogenito, il suo orgoglio, il suo sé stesso ma
più giovane, testardo,
astuto, forte, incapace di arrendersi e di ammettere la sconfitta.
Rose, la
sua bellissima figlia, leale, coraggiosa, sportiva, sempre con il
sorriso
stampato sulle labbra, gentile e buona come il pane.
E per
finire l’ultimo ma non per importanza, quello che, nonostante
le sue
difficoltà, sicuramente avrebbe potuto essere il
più promettente dei tre, dotato
di un intelligenza sopraffina, un vero e proprio bambino prodigio.
Così volle
ricordare i suoi tre figli nel suo ultimo attimo di vita, ossia per
ciò che
erano stati in passato, e non per ciò che erano diventati
per colpa sua.
«È
sempre
più buio prima dell’alba. Peccato che
l’alba non giungerà mai più a Sub
City»
sibilò ancora Dreamer, in un momento in cui Deathstroke fu
ancora in grado di
sentirlo. «La città ora è mia. E non
preoccuparti per il tuo caro laboratorio,
ci hanno già pensato i miei uomini a bruciare tutto
quanto.»
Jeff
ridacchiò, mentre l’uomo, ormai ad un passo dal
grande salto, gli rivolgeva
un’ultima occhiata carica di sconforto.
«Ci
rivedremo all’inferno, padre.»
La katana
fu estratta dalla schiena. L’oblio avvolse il corpo di Wilson
Slade.
***
Rachel si svegliò di soprassalto,
colpita come
da una doccia gelata. Si alzò di scatto, la coperta
scivolò via dal suo corpo,
lasciandola al gelo.
Un turbinio di pensieri e immagini sfocate e
confuse impazzavano nella sua testa come un uragano. Riuscire a
cogliere
qualcosa di sensato in mezzo a quel pandemonio le fu impossibile.
Gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte.
Rabbrividì, ma non solo per gli spifferi d’aria.
Tutto quello che aveva visto,
udito, percepito... non le sembrava minimamente possibile.
Dai sentimenti che Wilson le aveva inviato senza
nemmeno rendersene conto, alle parole che lui e Dreamer si erano
scambiati, al
loro cruento scontro.
Il fatto che lei aveva assorbito i poteri di
Wilson per poi, in seguito, osservare il mondo dai suoi occhi come
anche era
accaduto con Hank, la vera identità di Jeff, Rose, la
terribile minaccia di cui
Slade aveva accennato, la morte dello stesso mercenario.
Improvvisamente, molti più tasselli del
mosaico
andarono a comporsi insieme, e il disegno in esso raffigurato
cominciò ad
apparire più chiaro agli occhi di Rachel. E più
tutto questo accadeva, più lei
sentiva dei brividi percorrerle la spina dorsale.
Jeff Dreamer...
Joseph Wilson. Figlio di Slade Wilson. Fratello
di Rose Wilson. In cerca di
vendetta per i torti subiti in passato... alla disperata ricerca di un
nuovo
inizio, un inizio che comprendeva lui e lui soltanto. Nemmeno Rose, la
sua
stessa sorella, meritava di farne parte.
Rose... la ragazza che Rachel e i suoi compagni
avevano trovato morta nel loro stesso rifugio... assieme a Ryan.
Rachel comprese. Comprese tutto quanto. La
verità fu un pugno allo stomaco, per lei. Anzi, peggio
ancora.
Era stata usata.
Tutto faceva parte del piano di Dreamer, ogni
cosa. Mentre lei tentava disperatamente di salvare la vita di Tara, il
Visionario tesseva la sua fitta ed intricata ragnatela. Aveva permesso
che la
sua stessa luogotenente morisse, la stessa ragazza che invece lo aveva
ammirato
e dipinto come un salvatore.
Jade, Rose, Ryan e chissà quante altre
decine di
uomini e donne che costituivano i suoi Visionari erano morti per
permettergli
di perseguire il suo scopo. Non avevano davvero lottato per la
libertà che era
stata loro promessa, erano solamente stati dei burattini nelle mani del
loro
capo, che in realtà aveva sempre e solo voluto vendetta. E
ora, Rachel dubitava
perfino della colpevolezza di Wilson.
Aveva fatto cose orribili, vero, ma lei era
appena stata nella sua mente. Aveva percepito i suoi sentimenti, le sue
emozioni, il suo profondo dispiacere, e aveva anche capito che tutto
ciò che
Deathstroke aveva fatto, era davvero stato per proteggere le persone da
un
qualcosa di talmente pericoloso e potente che perfino lui stesso aveva
temuto.
Un qualcosa che nemmeno lei era riuscita a comprendere, ma che era
molto più
vicino di quanto potesse immaginare, o che addirittura era
già arrivato.
Qualcosa che avrebbe ucciso tutti i suoi amici, e forse anche lei.
Certamente, Wilson non era buono. Ma non era
nemmeno il cattivo che aveva creduto lui fosse. L’unico,
vero, cattivo che
esisteva a Sub City... era Dreamer. Un folle disposto a sacrificare
tutto
quello che aveva, persone, amici, perfino famigliari, per perseguire
una
stupida vendetta. E lei lo aveva aiutato.
Lo aveva aiutato a vendicarsi, anzi, di
più.
Sottraendo i poteri a Wilson, lei gli aveva le aperto le porte per il
controllo
di Sub City. Ora lui avrebbe dettato le regole in quella
città. Aveva
detronizzato Slade... solamente per prendere il suo posto, per
distruggere
tutte le sue ricerche e poter completare la sua vendetta nel migliore
nei modi.
E Rachel lo aveva perfino abbracciato. Aveva
abbracciato l’assassino del suo amico. L’assassino
dell’unico uomo che, forse,
era davvero in grado di salvare il mondo, anche se non si sapeva ancora
da
cosa.
Non solo Jeff aveva tradito i suoi alleati, ma
aveva anche condannato il mondo privandolo della vita
dell’unica persona che
davvero sapeva cosa stava succedendo, che forse perfino sapeva quale
fosse la
causa delle esplosioni. Wilson Slade... per tutto quel tempo aveva
detto il
vero. Non era lui la minaccia da combattere. Se lei e i suoi amici non
si
fossero messi in mezzo, probabilmente lui non avrebbe mai fatto loro
del male.
La corvina sentì la bile salire in
bocca. E poi
la rabbia. E infine, un profondo senso di vuoto, amarezza e tristezza.
L’immagine di Ryan che ridacchiava
insieme a
lei, seduto al tavolo di quella tavola calda, balenò nella
sua mente. Era
successo il giorno prima, ma a lei sembravano passati anni. Una lacrima
solitaria solcò la sua guancia. Usata, affranta e con un
amico in meno, ecco
com’era. Anzi, non solo lei, ma tutti i suoi compagni.
E la cosa peggiore in assoluto era che era stata
proprio lei a chiedere aiuto a Dreamer. Se non fosse stato per lei,
forse Ryan
sarebbe stato ancora vivo. Sentì una morsa al cuore quando
ebbe quel pensiero.
Era... anche colpa sua. Era soprattutto,
colpa sua.
Inspirò profondamente, poi si
alzò dal materasso
e scese al piano di sotto. Doveva raccontare a tutti gli altri che cosa
aveva
visto. Ad Amalia in primis. Doveva dirlo anche a lei, principalmente a
lei, e
assumersi le sue responsabilità. O così, o non
sarebbe più riuscita a dormire
di notte.
Credeva che forse era troppo presto e che gli
altri stessero ancora dormendo, ma nella sala relax trovò
Lucas, con in mano
uno straccio, intento a strofinare le chiazze di sangue sul pavimento.
Accanto
a lui c’erano due secchi, uno blu e uno rosso, il primo dei
quali aveva altri
stracci appesi sul bordo.
La ragazza dischiuse le labbra quando lo
notò.
Il moro non ci mise molto ad accorgersi della sua presenza e si
voltò verso di
lei. I loro sguardi si incrociarono. Nei suoi occhi, Rachel lesse il
nulla.
«Non riuscivo a sopportare
l’idea che qui ci
fosse ancora il suo sangue» spiegò lui,
sinteticamente, con tono incolore, per
poi rimettersi a strofinare.
Rachel rimase in silenzio, annuendo lentamente.
Prese uno straccio dal secchio blu e lo bagno nell’acqua al
suo interno, poi si
chinò accanto a lui per poi dargli una mano. Cancellava una
traccia di sangue,
spremeva lo straccio nel secchio rosso facendo colare i residui, lo
immergeva
di nuovo in quello blu e ricominciava. L’odore del sangue a
contatto con l’acqua
era alquanto sgradevole, ma si costrinse ad ignorarlo.
Andarono avanti così a lungo, in
silenzio.
Corvina aveva ancora tutte quelle cose da dire, ma decise che prima
avrebbe
atteso anche gli altri.
Malgrado tutto, quel momento con la sua
compagnia di Lucas riuscì a farla sentire più
tranquilla. Se non altro, c’era
anche lui.
Improvvisamente, Rosso smise di pulire il
pavimento per portarsi l’avambraccio di fronte alla bocca.
Tossì parecchie
volte, questa volta piegandosi perfino. Rachel si allarmò e
avvicinò una mano
verso di lui, ma il moro la rifiutò con un cenno. Dopo
diversi altri colpi di
tosse, riuscì a placarsi. «Sto bene, tranquilla.
È solo... quest’odore che mi
da un po’ alla testa. Forza, finiamo... questa
cosa.»
La conduit annuì timidamente, anche se
la sua
risposta non la convinse molto.
Ci misero un’altra buona
mezz’ora, ma poi
finirono tutto. Svuotarono i secchi nel lavandino e buttarono via gli
stracci,
poi si accomodarono sul divano, rimanendo entrambi in silenzio. Le loro
spalle
si sfiorarono, Rachel sentì un brivido percorrerla, ma
rimase comunque ferma
dov’era.
Avrebbe voluto dire qualcosa per smorzare quel
silenzio, ma non le venne in mente niente. Non le fu, tuttavia,
necessario
soffermarsi a lungo su quel pensiero, perché la porta si
aprì all’improvviso.
Entrambi si voltarono, per poi notare la figura
di Amalia in piedi sull’ingresso. Rachel avvertì
una stretta allo stomaco
quando la vide. Aveva il viso smorto, i capelli arruffati e gli occhi
rossi di
pianto. Non c’era più alcuna traccia della ragazza
arrogante che Corvina aveva
conosciuto.
Komand’r entrò nella stanza e
vide i due ragazzi
seduti. Li osservò per un momento, senza aprire bocca, gli
occhi che non
trapelavano alcuna emozione al di fuori dello sconforto.
Lucas si alzò in piedi e si mise di
fronte a
lei. Amalia spostò dunque lo sguardo su di lui. Rimasero
fermi per un attimo,
poi le labbra della mora tremolarono. La ragazza chinò il
capo e cominciò a
singhiozzare. A quel punto, Rosso si avvicinò a lei e la
abbracciò. Il pianto
di Komi si intensificò. La sorella del defunto Ryan
appoggiò la fronte sulla
spalla del compagno e si strinse con forza a lui, continuando a
singhiozzare
sempre con più intensità.
Rachel si alzò a sua volta, anche lei
con gli
occhi lucidi, e si unì a loro. Cinse sia Amalia che Lucas
per i fianchi,
Komand’r separò un braccio da Red X per accogliere
anche la corvina, e poco
dopo si ritrovarono tutti e tre stretti in un unico grande abbraccio.
Alle spalle di Amalia, sulla porta, Rachel
notò
Tara. La bionda era ferma ad osservare la scena, anche lei con i
lucciconi agli
occhi. Non si aggiunse a loro, probabilmente aveva paura di scoppiare
di nuovo
a piangere. Entrò semplicemente nella stanza e attese che i
suoi compagni
terminassero.
Passarono diversi, lunghi, interminabili minuti,
nei quali Amalia espresse tutto il suo dolore, poi, infine,
riuscì a placarsi.
I tre si separarono, la mora cercò di ripulirsi dalle
lacrime.
Quando il silenzio scese nuovamente nella
stanza, la corvina intuì che era giunto il suo momento.
Inspirò profondamente,
raccolse tutta la forza di volontà che quel momento
così grigio riuscì a
concederle, poi attirò l’attenzione dei suoi
compagni.
«Ragazzi...» mormorò, ricevendo gli sguardi di tutti i presenti. La corvina esitò, quando ripensò a come anche Ryan sarebbe rimasto ad ascoltarla, se solo ci fosse ancora stato. Deglutì, poi prese coraggio e andò avanti: «Devo... dirvi una cosa.»
E quindi... bon.
Potrei dire tantissime cose, ma finirei solo con l'annoiarvi. Se volete avere le idee più chiare, potete cercarvi la biografia di Deathstroke sull'internet, scoprirete che ha davvero tre figli, e che non mi sono inventato nulla.
Certo, Joseph in realtà non è per niente come l'ho dipinto io, anzi, tutt'altro, ma vabbé, è proprio qui che entra in scena l'autore. Lui può fare l'inimmaginabile. A dire il vero, all'inizio pensavo di rendere Jeff solo un vecchio amico della famiglia Wilson, di Rose in particolar modo, ma poi Joseph mi è balzato davanti agli occhi di botto, e ho avuto l'illuminazione. Credo, inoltre, che il tutto abbia reso molto, mooolto meglio. Sia chiaro, questo è quello che penso io, sono comunque sempre aperto ad ascoltare differenti opinioni. Naturalmente, il cambio repertino del background di Jeff ha scombussolato un po' le cose, ma alla fine è stata la cosa migliore per la trama.
E niente. Abbiamo scoperto la verità - buona parte, almeno - su Dreamer e Slade, su chi sia veramente chi e cosa. Io non intendo sbilanciarmi, lascerò che siate voi a decidere chi dei due abbia ragione, chi torto, chi sia davvero "buono" e chi sia davvero "cattivo". Questo perché io per primo ammetto che non è affatto semplice prendere una decisione. Entrambi hanno le loro colpe, e allo stesso tempo le loro ragioni per comportarsi nel modo in cui si sono comportati.
Jeff voleva vendetta, Deathstroke voleva "salvare il mondo". Da cosa? Ottima domanda. Questa, era la domanda giusta. Purtroppo però le mie risposte sono limitate.
Poi, penso che ormai sia chiaro cosa sa fare Rachel, senza saperlo, con i suoi poteri.
Ryan non ce l'ha fatta, tantomeno Rose. Immagino sia chiaro chi sia stato il loro assassino. E posso ben lasciarvi immaginare che cosa succederà adesso. Per adesso, i capitoli più frenetici sono finiti, ma manca ancora un pezzettino prima della fine. Ci sono ancora delle questioni da risolvere, delle identità da svelare, dei passati da chiarire... insomma, c'è ancora una bella carrellata di roba.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io mi sono impegnato a mille. Credo che tutti abbiano capito che, alla fine, Slade sia stato sopraffato dalla stanchezza, al termine del combattimento, ecco perché ha perso. Combattere in quel modo con un braccio e una gamba fuori uso non credo faccia molto bene.
Piccola nota tecnica, durante il combattimento tra i Wilson, io mi immaginavo in sottofondo canzone, che ritengo sia la theme perfetta per Dreamer, da qui deriva inoltre la sua frase"guerra dei cambiamenti".
Ho detto tutto. Come al solito, ditemi la vostra, che io la ascolto volentieri.
Ora vado a studiare per la matura (ouch), alla prossima!