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Autore: Anna Wanderer Love    05/08/2016    4 recensioni
Jemima Wright è un'ex agente dello S.H.I.E.L.D, licenziatasi dopo aver subito gravissime ferite provocate dal Soldato d'Inverno nel corso di una missione segreta.
Un anno dopo di ritrova a lanciare coltelli contro quello stesso Soldato nella sua cucina.
Perché il Soldato d'Inverno è così ossessionato da lei? Perché la controlla, la segue dappertutto? E, soprattutto, perché quando Jemima guarda quegli occhi scuri non sente rabbia, ma solo compassione?
[Dal testo:]
Si chinò, inginocchiandosi. Lo guardavo con le lacrime agli occhi e la bocca piena di sangue, ma ero determinata a non cedere.
Il suo sguardo si spostò sulla mia gamba, intrappolata sotto a pezzi di cemento.
Con uno scatto si spostò vicino alla mia anca e sollevò un piccolo masso. Il sollievo che provai nel sentire quel peso non gravare più sulla mia carne fu quasi violento, ma prima che potessi muovermi o trascinarmi via da quella trappola un palo di ferro rovinò sulla gamba.
Urlai con tutto il fiato che avevo, mentre il dolore esplodeva nella mia mente.
L’ultima cosa che vidi prima di svenire fu il bagliore del suo braccio di metallo.
(Bucky/Soldatod'InvernoxNuovoPersonaggio) (StevexNatasha)
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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When Love arrives in the dark

When I'll repay you.

 
 

(drawingjustforfun su tumblr)

 

- Chi è? - Jemima si voltò e si irrigidì nel vedere Gabriela con in mano il suo diario. Per carità, normalmente non si sarebbe fatta alcun problema, dato che Gab era una delle poche persone che le erano rimaste vicine. Ma quel diario non era uno di quelli in cui ogni ragazza normale scrive delle sue cotte, dei suoi sentimenti e delle serate passate in discoteca a limonare con degli sconosciuti. Fosse stato così, non avrebbe fatto una piega.
 Ma in quelle pagine macchiate da disordinate linee d’inchiostro, Jemima aveva riportato la maggior parte dei suoi pensieri riguardo a lui, senza trattenersi dal menzionare il braccio di metallo o i suoi sensi iperpotenziati, accennando brevemente anche alle torture che lui aveva subìto. Sapeva bene che era pericoloso farlo, che, se caduto in mani sbagliate, quel piccolo oggettino avrebbe potuto provocare danni alquanto consistenti; ma aveva bisogno di trovare un modo di sfogarsi, e un diario così piccolo che conteneva segreti così grandi le era sembrato il male minore, tra tutto ciò che stava passando. 
Tuttavia Gab voltò il diario verso di lei, tenendolo aperto con l’indice e il medio per mostrarle un disegno impresso sulla carta. 
Jemima si sentì stringere il cuore mentre si alzava e si avvicinava, fissando il volto ritratto sulla carta. Era James, ovviamente; era un suo primo piano che mostrava solo metà del suo volto. L’iride verde fissava un punto lontano, mentre ogni dettaglio del suo viso lasciava capire che l’uomo era assorto in pensieri ben poco piacevoli. Ogni tratto era stato curato con la perfezione più accurata.
- James - si limitò a dire, allungando la mano e riprendendosi il diario. Lo chiuse, serrando le labbra, e Gab si rese conto di aver fatto la domanda sbagliata.
- Io... Jem, scusami. Non avrei dovuto chiedertelo...
Jemima scosse la testa, girando e allargando le braccia. - No. No, tranquilla. 
Si sedette sul divano, incrociando le braccia e accarezzando con le dita la superficie ruvida del diario, levigata dall’uso. 
Alzò lo sguardo verso Gab, che era rimasta a fissarla in piedi, di fianco al mobile. Era spoglio, senza fotografie. Quella era la prima volta che Jemima la invitava a casa sua, ed era rimasta sorpresa dall’assenza di tutto ciò che normalmente indicava un coinvolgimento emotivo con persone o oggetti. Niente quadri, niente foto incorniciate, niente pupazzi d’infanzia, niente post-it sul frigo. Sembrava che Jemima si fosse trasferita lì solo da qualche giorno, e invece era passata già qualche settimana dal suo arrivo in città.
- Ti va di raccontarmi cosa è successo? - chiese Gab, sedendosi a gambe incrociate accanto a lei. Abbracciò un cuscino e ci affondò il mento.
Jemima si strofinò con stanchezza la fronte, sospirando. Prima o poi sarebbe dovuto succedere, pensò.
- Semplicemente eravamo troppo... diversi. Lui non ha avuto una vita facile, ha passato lunghi anni orribili che l’hanno trasformato in una persona completamente diversa da quella che era stata. Era in queste condizioni che l’ho incontrato per la prima volta. Non è stato un incontro piacevole, ne ho subìto le conseguenze per molto tempo, e talvolta ancora adesso mi ricapita di sentirmi male, quando ci penso. Poi... poi il caso, il destino, chiamalo come vuoi, ha voluto che ci incontrassimo di nuovo. E lui stava cambiando. Ho provato ad aiutarlo ad andare avanti, a superare quelle torture che aveva passato ma... - la voce le si spezzò e Gab le strinse una mano, con lo sguardo intriso di dispiacere nel vederla asciugarsi le lacrime. - Evidentemente non voleva trascinarmi ancora più a fondo nei suoi incubi, con lui. Non sono riuscita ad aiutarlo come vorrei, anche se ancora adesso continuo a pensare, a sperare, che lui continui a pensare a me.
Jemima fece una breve pausa, riprendendo il controllo sulla propria voce e abbozzando un debole sorriso.
- Ora devo andare avanti e ci sto provando. È passato molto tempo, e se avesse voluto tornare da me l’avrebbe già fatto, perciò...
Gab le sorrise, avvicinandosi a lei e abbracciandola. Jemima posò la testa sulla sua spalla, lasciandosi cullare dalla sua stretta rassicurante.
- Sei ammirevole, ragazza. E io direi che il modo migliore per cominciare è una bella pizza. Che ne dici?
Tutta l’atmosfera nostalgica si dissolse con le loro risate.
- Io ci sto - esclamò Jemima.

 

La pelle era morbida e calda sotto al suo tocco, mentre le sue dita scivolavano avanti e indietro a tracciare il profilo del suo fianco.
James respirava lentamente, lasciando che i suoi polmoni si riempissero di quel profumo appena percepibile. Il corpo di lei era caldo contro il suo, rannicchiato tra la miriade di coperte e il suo petto.
James sfiorò con le labbra la pelle morbida del collo, disegnando una scia delicata lungo la giugulare della ragazza.
Un breve sorriso fece capolino sulle labbra di Jemima mentre girava il volto verso di lui, con la voce impastata dal sonno. - Non sapevo uccidessi le tue vittime mordendogli la gola, Buck.
James le afferrò il fianco e la fece voltare completamente verso di sè, appoggiando la fronte alla sua.
- È un nuovo metodo, dovresti sentirti onorata di essere la prima a sperimentarlo.
Lei ridacchiò, mentre James si sdraiava sulla schiena e lei si rannicchiava sopra di lui, appoggiando il volto nell’incavo della sua spalla.
- Ma io lo sono infatti. Chi mai potrebbe dire di essere torturato così piacevolmente da un uomo così sexy?
Il Soldato chiuse gli occhi e appoggiò una mano sulle spalle nude di Jemina, massaggiando lentamente i muscoli contratti e facendola gemere.
- Non prendermi in giro.
Rallentò il respiro, godendosi la sensazione del calore del corpo della sua ragazza contro il suo, del suo respiro che gli scivolava sul collo, delle sue forme che premevano morbide contro il suo torace sotto al tessuto leggero della maglietta.
- Dammi un bacio - sussurrò.
Jemima sospirò, socchiudendo gli occhi con un mugugno. - Continua a massaggiare lì, prima.
Uno sbuffo la fece ridere, e Jemima si allungò per appoggiare la bocca su quella di lui, rimanendo così per qualche secondo prima di accarezzare le sue labbra con le proprie.
James le passò una mano tra i capelli, approfondendo il bacio e mordendole piano il labbro inferiore.
- Ti amo, James Buchanan Barnes - mormorò Jemima, aprendo gli occhi e guardandolo con intensità.
Gli occhi di James si illuminarono.
- Ti amo anche io, Jemima Wright.

 

Quando riaprì gli occhi, James sentì una fitta al petto. Avrebbe voluto continuare a sognare di averla accanto, stringerla a sè, baciarla. Invece era sdraiato un letto in una casa piena di sconosciuti che aveva potenzialmente messo in pericolo, febbricitante e ben lontano dalla guarigione.
Finalmente si decise a porre attenzione alla figura sulla porta.
La donna teneva gli occhi bassi, torturandosi le mani. - In questo momento la febbre ti è calata, non ci metterà molto a salire. Devi lavarti, così ti sentirai meglio.
James doveva ammettere che ormai il suo odore doveva essere piuttosto disgustoso, tra il sudore e il sangue accumulati in quei giorni.
Non fece obiezioni, e anche se la testa gli girava terribilmente fece uno sforzo atroce per mettersi in piedi. Barcollò e Hale si affrettò a soccorrerlo, passandosi il suo braccio attorno alle spalle per sorreggerlo.
Ci vollero diversi minuti per raggiungere il bagno, e alla fine Bucky crollò ansimante sul pavimento, cercando di non rigettare quel poco che aveva mangiato poche ore prima.
Mentre recuperava osservò l’ambiente.
Il bagno era una stanzina quadrata e piccolissima, con uno minuscolo scaffale ingombro di boccette e flaconi che occupava l’unica parete non occupata dai sanitari.
La vasca da bagno era piena di acqua calda e fumante. Hale gli aveva procurato dei vestiti puliti che aveva messo sul ripiano del lavandino, e ora se ne stava in piedi, a disagio, sfuggendo il suo sguardo.
- Se hai bisogno... di aiuto per spogliarti, io... - le sue guance erano arrossite, James riuscì a vederlo nonostante la sua carnagione scura.
- Ce la faccio - disse soltanto, a corto di fiato.
- Allora vado. Sono qua fuori - Hale uscì, seguita dalla gonna svolazzante, chiudendosi la porta alle spalle.
Solo dopo cinque minuti James si sentì abbastanza in forze da riuscire ad alzarsi. Lentamente si spogliò, accompagnato costantemente dalla sensazione di nausea e dai giramenti di testa, fino a rimanere nudo. Si immerse senza esitare nell’acqua calda e si lasciò sfuggire un gemito quando il suo calore gli raggiunse la pelle.
Chiuse gli occhi e si godette quella sensazione di calma e benessere, così insolita per lui. Lentamente andò a tastarsi la ferita, sfiorandola delicatamente con il palmo della mano, per poi passare alle cicatrici risalenti alle operazioni dell’Hydra, quando gli avevano impiantato l’arto metallico. Talvolta gli dolevano ancora. Era un dolore atroce, che lo teneva sveglio per tutta la notte e gli impediva di riposare sia il corpo che la mente.
Subito la sua mente volò all’unico rimedio in grado di guarirlo. Lei. 
Devo smetterla di pensarci, si rimproverò stancamente. Si concentrò piuttosto a elaborare un piano per fuggire il più presto possibile. Non poteva rimanere ospite di Hale e Abhik per molto altro tempo, o li avrebbe entrambi messi in pericolo. Ma era ancora nel bel mezzo della convalescenza, se mai sarebbe guarito. Il veleno che aveva in circolo nel sangue evidentemente si era diffuso molto rapidamente, fino a portarlo a condizioni critiche. Se il suo corpo fosse stato come quello di un normale essere umano, probabilmente sarebbe stato già morto. Anche se, c’era da dire, se lui fosse stato un normale essere umano di certo non avrebbe avuto il corpo di un quasi trentenne a cento anni suonati. 
Sarei nella tomba, pensò. E sinceramente, avrebbe voluto esserci andato molto tempo prima.
Un lieve bussare lo distolse dai suoi pensieri.
- Tutto bene?
- Sì - la voce gli uscì più roca del solito. - Solo un altro minuto. 
Velocemente si insaponò e lavò via tutto il sangue dalla ferita, senza alcuna delicatezza. Non gli importava del dolore, aveva imparato a tenerlo a bada molto tempo prima. Almeno, quello fisico. 
Quando dovette alzarsi, una vampata di dolore gli percorse i muscoli ma strinse i denti e si issò a forza fuori dalla vasca, afferrando l’asciugamano posato accanto al lavandino. La sua mente gli urlava di chiedere aiuto, ma la vergogna di farsi vedere in quelle condizioni gli impediva di chiamare Hale.
Lui era il Soldato d’Inverno, non un debole bambinetto incapace di vestirsi. 
Ci impiegò più tempo di quando avrebbe voluto, ma alla fine riuscì a farcela da solo. Quando aprì silenziosamente la porta, individuò subito la figura di Hale che si sorreggeva al muro, con una mano posata sul ventre, nascosto dalle vesti fluttuanti. 
Aveva gli occhi chiusi, i capelli scuri le erano in parte scivolati davanti al volto, ma riuscì a scorgere ugualmente la sua espressione sofferente. 
- Stai bene? 
La giovane donna sussultò, raddrizzandosi e puntando per un attimo lo sguardo su di lui. Lo distolse dopo pochi secondi. 
- Sì, io-ti riaccompagno in camera. 
- Vorrei... se posso, uscire un attimo all’aria aperta. 
James sapeva che poteva essere rischioso, ma sentiva davvero il bisogno di cambiare ambiente. Hale si morse il labbro, esitante. 
- C’è un piccolo cortile interno, se vuoi...
- Sarebbe perfetto. Ti ringrazio - mormorò lui. Hale abbozzò un sorriso stentato, prima di avvicinarsi e prenderlo sotto braccio. 
Lentamente percorsero lo stretto corridoio. James sentiva il battito accelerato della vena cefalica del braccio di Hale sotto alle dita. 
Le scale furono dure. Per poco non cadde. La testa cominciò a girargli, sentiva la temperatura corporea del proprio corpo estremamente elevata, ma continuò a camminare, un piccolo passo alla volta, finché non si trovò davanti ad un piccolo salotto. Al centro, seduta a un tavolo e attorniata da pastelli e fogli colorati, lo fissava una bambina. Il colore delle sue iridi era un blu di un’intensità impressionante, così come quello degli occhi di Hale. Ne rimase sorpreso, dato che la donna dimostrava al massimo diciannove anni. 
La bambina, avvolta in una tunica di un verde tenue, gli rivolse un timido sorriso sdentato che lui ricambiò. E fu allora che la presa di Hale sul suo bracciò si rafforzò e la sua voce si fece più brusca. 
- Andiamo. 
James si lasciò condurre fino alla porta che dava sul cortile interno. Era un rettangolo d’erba ombreggiata dagli edifici accanto alla casa, con una vecchia bicicletta e una palla abbandonati accanto a uno sgabello. 
James si sedette lì, appoggiando la nuca alla parete di mattoni. Hale rientrò per pochi minuti, tornando con una brocca e un bicchiere pieni d’acqua. James lo accettò con gratitudine, bagnandosi le labbra screpolate. 
Lei si sedette a gambe incrociate a terra, a qualche metro di distanza da lui, fissando le mani che aveva lasciato sul grembo. 
- Se può rassicurarti in qualche modo, non ho intenzione di fare del male né a te né al tuo bambino. 
Hale sussultò e lo guardo con gli occhi sgranati. - Come hai capito che...
- Ti sfiori continuamente il ventre - rispose lui a bassa voce, stringendosi nelle spalle. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, osservandola. Si chiese dove fosse il padre dei due bambini in quel momento. - Il bambino è debole?
Il volto di Hale riflesse chiaramente il tormento interiore che la colse a quella domanda. 
- Temo di sì - rispose con voce sommessa. - Sto cercando di riposare il più possibile, ma ho continui dolori... 
James strinse le labbra. - E io non aiuto a farti rimanere serena, immagino - Hale alzò lo sguardo per parlare, ma lui la fermò con un sorriso d’amarezza misto a divertimento. - Va tutto bene. Ormai, è ciò a cui sono destinato. Portare solo ansia e morte con me... non preoccuparti. Non ti ferirò in alcun modo. Se dovesse essere necessario ti proteggerò per ripagarti dell’aiuto. 
Nello sguardo della giovane donna scorse una silenziosa gratitudine che alleviò il suo dolore. 
- Vorrei rientrare - disse dopo qualche secondo. Era rimasto esposto fin troppo a lungo.
Hale si alzò. - Ma certo - disse, come se la conversazione non si fosse mai temuta. Ma in realtà, mentre guardava quel viso stanco, un filo di tenerezza cominciava a insinuarsi nel suo cuore.







Perdonatemi per il ritardo! Ma sono stata in Irlanda per due settimane e ho dei problemi familiari che mi rendono difficile concentrarmi sullo scrivere... spero di farmi perdonare con questo capitolo, comunque. 
Che ne pensate di Hale? Vi piace? Come pensate che evolverà il suo rapporto con James?
E in quanto a Jemima? 
Fatemi sapere se questo capitolo è stato di vostro gradimento, ladies!
Anna xx

   
 
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