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Autore: Honeymouth    14/09/2016    1 recensioni
Gli incubi hanno trascinato Pitchblack in un oscuro abisso. Il Signore degli Incubi è davvero scomparso per sempre, dilaniato dai suoi sottoposti? Oppure la sua mano aguzza tornerà per gettare nuovo scompiglio nel mondo degli uomini? Piuttosto che preoccuparsi per la salute dell’Uomo Nero, i Guardiani temono un suo ritorno e si preparano al peggio. Che cosa vorrà Pitchblack? Vendetta o risposte a domande che non sapeva nemmeno di avere dentro di sé?
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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«Que viene el Coco»
Titolo di un’incisione di Francisco Goya

La stanza, parzialmente immersa nell’oscurità, aveva l’aspetto di una tomba. Le pareti grigiastre sembravano pietra viva scavata nella roccia e soltanto una fascia di luce arancione attraverso il vetro della finestra indicava che i lampioni erano accesi e pulsanti, là fuori, sulla strada. Il letto ampio era occupato. Le lenzuola erano gonfie là dove l’uomo giaceva, respirando sommessamente. Una vaga luce verdastra baluginava nel buio, mostrando l’ora. Era quasi mezzanotte. L’uomo russò. Un’ombra si mosse. Un paio di occhi brillarono diafani, come due distanti piccole lune disperse nell’infinità dell’universo. Della sabbia nera si librò nell’aria, frusciando lievemente, come se, invece di scorrere attraverso l’aria, scivolasse sul vetro. La linea di granelli diamantini, scintillanti di arancione e bianco contro il nero dell’oscurità, mentre intercettavano i raggi di luce filtranti dall’esterno, si diressero verso la sagoma dormiente. Forme indistinte presero a galleggiare sopra la testa dell’uomo. Esse si fecero sempre più distinte. Una bambina inseguiva un uomo, che le dava le spalle, indifferente ai suoi richiami. Dopo quelli che parvero istanti, la piccola figurina si dissolse, come se fosse fatta di fumo. L’uomo, distaccato finché la bambina lo inseguiva, si voltò. Sul suo volto sabbioso si riusciva a scorgere un’espressione inquieta e spaventata. Si era reso conto di ciò che aveva perso solo nell’attimo in cui era svanito, forse per sempre. La figurina si voltò a destra e sinistra, cercando la bambina, senza scorgerla. La sabbia si coagulò di nuovo. Ora, di fronte all’uomo, c’era una ragazza alta, con i capelli lunghi, che gli dava le spalle. L’uomo cercò di avvicinarsi, ma lei iniziò a camminare, indifferente ai suoi richiami, come lui era stato indifferente ai suoi prima. L’uomo iniziò a correre, tentando di raggiungerla, ma lei era sempre un passo avanti, con portamento altero. L’uomo incespicò e cadde, si rialzò e continuò a correre, ma, invece di ridurre le distanze, si allontanava sempre di più dalla ragazza. Un sogno dorato vagante, dalla forma sinuosa di una razza, entrò fluttuando nella stanza. «No…» sussurrò Pitchblack, il volto contratto dall’angoscia. «Non adesso…» mormorò ancora, mentre il sogno lo individuava e scivolava nella notte, per avvisare il suo padrone. L’uomo si agitava nel sonno, mentre l’incubo continuava il suo corso. La sabbia si agitava, mentre una terza figura pareva emergere di fronte alla ragazza. Pitchblack, lo sguardo sgranato, rimase a fissare l’incubo che si dipanava. Voleva essere sicuro che avesse successo. Un nastro dorato attraversò la finestra, come se non ci fosse stata, e l’Uomo Nero venne afferrato e scaraventato in strada. Urtò l’asfalto con la schiena, con un tonfo secco e doloroso. Pitchblack si rialzò a fatica e fece un passo zoppicante in avanti. Si strofinò il braccio sinistro, e rimase lì, in piedi, senza muoversi, come se si aspettasse di cadere se avesse arrischiato un altro passo. Era curvo in avanti, la testa dolorante sollevata. Davanti a lui, un ometto dorato dal cipiglio deciso e dal viso paffuto lo guardava severo, la frusta scintillante stretta nella sua mano destra, pronta a colpire di nuovo, se fosse stato necessario. «Sandman… Non è come sembra!» disse l’Uomo Nero, il terrore negli occhi. Pitchblack aveva paura quasi di ogni cosa, una cosa che non aveva mai detto a nessuno, ma che era vera. C’era però una graduatoria. Al primo posto di questa, almeno da quando era stato battuto a Pasqua, Pitchblack aveva messo Sandman, che se la giocava alla pari con i suoi stessi incubi. La voce di Mr. Boogeyman tremò leggermente quando disse: «Te lo giuro… Sandman… Davvero, non è come sembra!» Eppure Sandman non era convinto. Non era troppo incline a credergli, considerando che era un mago nel fingere emozioni che non aveva, per poi poter colpire alle spalle. Il piccolo sole di sabbia dorata che era il Signore dei Sogni alzò di nuovo la mano, cercando di colpire Pitchblack. Quest’ultimo riuscì a evitare qualche scudisciata, ma l’ultima lo centrò in pieno petto. Per un istante, una striscia di sabbia d’oro scintillante si aprì come una ferita in mezzo al suo petto. Pitchblack si lasciò sfuggire un gemito di dolore e si rannicchiò su se stesso. Il volto contratto dalla sofferenza, alzò di nuovo il viso verso Sandman, mentre la sabbia da oro diventava nera come pece e poi, faticosamente, si richiudeva. Un altro paio di colpi, forse, e non sarebbe più stato capace di mantenere la sua forma e sarebbe stato degradato a semplice incubo. Non sapeva se nella trasformazione avrebbe perso anche coscienza di sé e si sarebbe trovato a vagare senza scopo se non quello di inserirsi nelle menti dei bambini e spaventarli nel sonno. Sarebbe stata solo questione di tempo, poi e sarebbe stato trasformato in sogno da Sandman. Per un fugace momento, la prospettiva gli sembrò allettante. Poi, un urlo squarciò la notte. Sandman lanciò un’occhiata orripilata a Pitchblack e si gettò verso la fonte del rumore, volandoci incontro a cavallo di un pegaso alato. Entrò nella stanza buia dalla quale aveva buttato fuori Pitchblack, solo per trovarsi di fronte un uomo ansante, coperto di sudore freddo da capo a piedi, ritto a sedere sul suo letto, gli occhi grigi sgranati e i corti capelli neri dritti e arruffati. Per Sandman aveva un’aria familiare e rimase stupito: cosa ci faceva Pitchblack nella camera di un adulto? E come aveva fatto a spaventarlo in quel modo? Spaventare gli uomini adulti era cosa complicata e terrificante. L’uomo intanto si stava stropicciando gli occhi con una mano, si era alzato e aveva iniziato a camminare agitato in mezzo alla stanza, piangendo in silenzio. Sandman si riscosse e tornò in strada. Pitchblack era scomparso.

Joey era in cortile e giocava con dei rimasugli di neve. Natale era passato e le vacanze stavano per finire. La bambina aveva lo sguardo triste. Ogni tanto lanciava un’occhiata alla strada, come se si aspettasse di veder arrivare qualcuno. Tornò a concentrarsi sulla costruzione di una specie di castello di neve in un angolo del giardino. Aveva finito di costruire un ponte con dei corti rametti, quando alzò di nuovo lo sguardo. Dall’altra parte dello steccato c’era un uomo in piedi, che le sorrideva timorosamente, commosso. La bambina si alzò. «Papà?» L’uomo annuì, ma la bambina non si mosse. Rimase lì, in piedi, a fissarlo. Non sapeva cosa pensare e le emozioni che le attraversavano la mente l’avevano paralizzata. Aveva come paura che lui non fosse vero, che non fosse lì sul serio, aveva paura che fosse tornato per fare del nuovo del male a lei e alla mamma, ma allo stesso tempo i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime di gioia e una parte di lei aveva voglia di corrergli incontro e abbracciarlo e rimanergli in braccio per ore. Il padre aprì il cancello e fece qualche passo verso la figlia. Si inginocchiò nella neve. «Joey…» La bambina lo guardò fisso negli occhi e, come se solo in quel momento lo avesse veramente riconosciuto, lo abbracciò. «Papà!» disse, singhiozzando, mentre calde lacrime le scendevano sulle guance. Il padre la strinse forte a sé e la sollevò. La porta del cortile si aprì. La madre di Joey era sulla soglia con un lieve sorriso sulle labbra. Anche lei era commossa. Il padre di Joey, con la bambina in braccio, le si avvicinò e la baciò. Lei gli accarezzò la faccia, guardandolo negli occhi e poi chiuse la porta.
Pitchblack era al di là della staccionata, con una strana, nuova sensazione dentro di sé. «Sei venuto a controllare come andavano le cose, Pitch?» chiese una voce allegra e frizzante alla sua sinistra. Jack Frost era in equilibrio sulla staccionata. Sorrideva beffardo, come al solito. Pitchblack non seppe cosa rispondere. «Immagino di sì.» rispose, non senza una certa ironia. Il suo volto aveva un’espressione grave. «Joey non mi vede più.» disse poi. «La bambina che è appena entrata? È lei Joey?» L’Uomo Nero annuì. «Mentre tornava a casa l’ho salutata, ma lei non ha risposto al saluto. Non mi vede più. Era l’unica che mi riuscisse a vedere.» Jack Frost non disse niente. «Lei credeva in me. Eppure di me non aveva paura. Deve essere stato per quello che i miei poteri…» Pitchblack si interruppe improvvisamente. Non gli sembrava il caso di rivelare che era ormai un’ombra di se stesso, soprattutto non ad uno dei suoi più acerrimi nemici. Si rese conto, però, che ormai non aveva più molto senso. «Il mio tempo è passato.» aggiunse. «La paura c’è e ci sarà sempre, ma l’Uomo Nero è qualcosa che appartiene al passato. Io appartengo al passato.» C’era una punta di amarezza nella sua voce. Jack Frost lo guardò. Aveva l’espressione vagamente preoccupata. Iniziò a soffiare il vento, un vento freddo. Pitchblack stava iniziando a dissolversi. Lentamente, il suo corpo iniziava a sfaldarsi e leggeri frammenti grigiastri volteggiavano nell’aria, come cenere. «Non preoccuparti, Jack Frost. Dove c’è il bene, c’è sempre anche il male. Qualcuno prenderà il mio posto, la lotta non si fermerà mai. Ma la mia ora è arrivata. Addio, Jack Frost.» Il vento lo spazzò via. Jack Frost non ebbe il tempo di dire niente. Poté soltanto guardare il peggiore nemico dei guardiani svanire così, semplicemente. Suo malgrado, sentì del dispiacere. Un frullo d’ali smeraldo lo distrasse. «Dentolina… Io… Non è stata colpa mia, non gli ho detto niente!» «Lo so, Jack Frost.» rispose lei, anch’essa vagamente triste. «Alla fine ha fatto qualcosa da guardiano, dopotutto.» disse lei. Jack Frost la guardò con aria interrogativa. «Sandman ci ha detto che Pitchblack ha aizzato un incubo contro l’uomo che è appena entrato da quella porta. È il padre di Joey, non è così?» Jack Frost annuì, ancora scombussolato dalla sparizione di Pitchblack. «Il futuro non è mai scritto in modo indelebile, ma quello di Joey pareva segnato. Restituendole il padre, credo che Pitch l’abbia salvata.» spiegò Dentolina, con un lieve sorriso. I suoi grandi occhioni viola sembravano felici e tristi allo stesso tempo. Jack fissò la casa dove una famiglia si era riunita. «Era nostro nemico. Eppure… Mi dispiace.» «Questo significa che sei un vero guardiano, Jack Frost.» disse Dentolina, con un sorriso più ampio. Jack sorrise di rimando. «Forza Jack, andiamo, qualcosa mi dice che Babbo Natale ha bisogno di noi.» disse poi, indicando il cielo, dove all’improvviso era comparsa una scintillante aurora boreale. «D’accordo.» fece Jack.
   
 
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