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Autore: Valka    15/09/2016    0 recensioni
First Larry ever! ♥
«Louis se ne stava sdraiato sul letto di Harry e osservava incuriosito le pillole per il sonno. Era abbastanza sicuro che sua zia, dopo la depressione post parto, avesse ingerito quantità industriali di quella roba. Chissà cosa avrebbe dovuto farci uno come Harry?
Pensò che avrebbe dovuto saperlo, perché la sera prima l'aveva baciato.
All'inizio era stata tutta una ripicca contro Eleanore, ma poi, vedendolo cosí indifeso era scattato qualcosa. Aveva saputo da Gemma che Harry era più piccolo di lui di un solo anno, ma ieri sera gli era sembrato un bambino, qualcosa da proteggere. Era l'unica cosa certa che ricordava; tutti quei baci che non avrebbero dovuto significare nulla avevano centrato proprio l'obiettivo di quello stupido gioco: confonderlo.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Boo, so che sono brutta e cattiva perché non ho mai continuato questo progetto e sono ancora di più una testa di you-know-what perché avevo scritto almeno altri 4 capitoli.
Comunque sono tornata! E sto anche meditando di farlo diventare un progetto a quattro mani, forse, in un futuro remoto ma non troppo. Questo capitolo non mi piace un granchè, ma è necessario ai fini della trama.
Spero possa essere di vostro gradimento, si accettano consigli/critiche (costruttive, ovviamente) e anche commenti, obvs.
Peace ♥
Valka

•••

Il rumore delle posate che tagliavano il cibo e del telegiornale che, ad un volume moderato come al solito, trasmetteva le notizie del giorno,  la famiglia Styles stava consumando un’abbondante cena.
La famiglia Styles e il compagno di Anne, come al solito.
Nel religioso e interessato silenzio col quale stavano tutti ascoltando la tv, non fu nemmeno possibile udire Gemma poggiare le posate accanto al piatto.
La ragazza si chiarì la voce, e a quel punto il fratello le rivolse un’occhiata interrogativa.
Ma lei lo liquidò con un gesto della mano.
- Mamma… ? – Anne si girò, uno sguardo curioso sul volto, molto più eloquente di ogni altro ‘Sì, cara?’.
Anne, oltre ad essere una madre fantastica era infatti un’ottima ascoltatrice.
Aveva sposato Robin e lui si era istallato a casa loro, ma era sempre stata chiara su una cosa: i figli prima di tutto.
E così Harry e Gemma non avevano avuto alcuna difficoltà ad abituarsi a lui.
Anzi, tante volte Harry si era ritrovato a pensare al fatto che, se per qualche strano motivo Robin avesse fatto i bagagli e se ne fosse andato, avrebbe perso quell’idea di famiglia che aveva.
- Senti, devo chiederti una cosa. Però fammi fine. – aggiunse.
La conosceva tanto da sapere che la dolce Anne era un’ottima madre, sì, ma un po’ troppo rigida talvolta.
- E va bene. – acconsentì Anne, lasciandole carta bianca.
Lei si schiarì la voce ancora una volta, come se stesse annunciando chissà che. Per un attimo Harry inorridì al pensiero che magari la sua sorellina potesse essere incinta di quel tizio, quel Jake.
Ma il pensiero venne scacciato subito da un paio di occhi verdissimi.
Harry socchiuse i suoi, di occhi, sospirò con convinzione e tornò a concentrarsi sull’importantissimo discorso di Gemma.
- Io ed Eleanore Calder, hai presente quella ragazza tanto a modo che venne da noi tempo fa?, be’ ecco, noi due vorremmo andare fuori per una settimana. In vacanza. A… New York. Sai, dato che ho festeggiato da poco i fatidici ventuno… -
- Gemma, ascoltami… -
- Non ho finito. – esordì la sorella
Ma chiaramente aveva esaurito le argomentazioni, perciò lasciò la parola alla madre.
- Posso parlare ora? Onestamente tesoro, non me la sento di lasciare andare voi due ragazze da sole a New York. So che sei maggiorenne e tutto, ma non si sa mai. E tu non sei mai stata lontana da casa. –
- Sarebbe un’occasione per imparare. –
- Lo sarebbe se con voi ci fosse qualcuno di responsabile. –
- Ma… mamma, voleva venire anche Harry. –
Ed Harry non riuscì a trattenere la smorfia interrogativa sul volto.
Però, guardando la sorella, trovò i suoi occhi imploranti. E in quel momento capì di non poterla tradire.
- Davvero, Harry? Vuoi davvero andare a New York? – sua madre era stupita.
Da quando aveva passato l’ultimo ‘brutto periodo’, così la sua famiglia aveva denominato la leggera forma di depressione attraversata dal ragazzo, tutto era cambiato.
Anne si sentiva ancora in colpa per non aver capito prima i problemi del figlio.
Ma come avrebbe potuto? Si chiese Harry, guardandola con tenerezza.
Evitava sempre le domande, con loro rideva e si comportava come tutti i ragazzi adolescenti si comportano in famiglia.
Forse anche troppo bene, aveva detto sua madre.
Ma quando aveva iniziato a calare di peso lei non aveva esitato a scoprire la causa del disturbo, stroncato sul nascere a dire dello psicologo.
Harry non si sentiva tanto diverso da prima. Certo, gli attacchi di panico erano stati sostituiti da una più brutale apatia, e le nottate insonni colmate da quelle piccole pasticche per dormire.
Una sola, mi raccomando! Gli ripeteva Anne.
Ma una sola non bastava a fargli chiudere gli occhi, né a tranquillizzarlo.
Comunque stava migliorando, non vedeva più il vecchio dottore tanto spesso e si sentiva dire da tutti quanto stesse meglio, ma Anne desiderava ardentemente che si divertisse. Lo mandava alle feste con Gemma, lo impegnava in progetti assurdi.
E lui faceva tutto, tutto per non far preoccupare sua mamma. Gemma un po’ ne approfittava, ma Harry sapeva che era genuinamente preoccupata. Anche perché altrimenti, non l’avrebbe mai portato a New York con lei.
- Mi piacerebbe vedere New York. – sentì la fossetta sulla guancia. Non sapeva come, ma era in grado di sentirla, quando sorrideva.
- Oh Harry… io sarei contentissima di mandarvi ma così, da soli… -
- Mi sono dimenticata di dirti che viene anche il cugino di Eleanore. – Anne sbattè le palpebre un paio di volte, con aria interrogativa.
- Quanti anni ha, questo cugino? –
- L’età di Eleanore. – Gemma sorrise. L’aveva in pugno.
- Suppongo che prima o poi i pulcini debbano lasciare il nido. Ebbene, ma voglio prenotare l’aereo, i biglietti e tutto il resto con te, signorina. –
 
- Chi diavolo è il cugino di Eleanore? –
- È… un tizio. Non lo conosci, lascia perdere. Adesso non è il momento, te lo presento quando… Oh Eleanore! Mia madre ha detto di sì! – Gemma si chiuse la porta alle spalle, lasciando un Harry con i capelli all’aria e lo sguardo interdetto.
La copro e nemmeno mi ringrazia. Che ingrata.
Harry si avviò nella sua stanza, pronto per dormire. Dopotutto se lei non voleva dargli alcuna spiegazione, non avrebbe avuto di meglio da fare.
Il letto di ottone scricchiolava. Era un letto così vecchio e consumato dal tempo che il ragazzo temeva che prima o poi avrebbe perso misteriosamente una zampa, quella che di tanto in tanto sentiva traballare, e lui si sarebbe ritrovato a terra.
La sua stanza era la più grande e luminosa della casa.
Aveva una finestra enorme che dava sulla via, e quando si dimenticava di tirare le tende veniva svegliato alle cinque del mattino dai primi albori del giorno.
Delle volte lo faceva apposta, per vedere l’alba, ma ancora più spesso capitava che lasciandole aperte Anne venisse a chiudergliele, stampandogli anche un bacio sulla tempia.
Si svegliava quasi sempre, visto il suo sonno di carta, nonostante le pasticche.
Si sedette sul bordo, per poi sdraiarsi supino.
New York. L’idea lo terrorizzava e gli piaceva allo stesso tempo. C’erano così tante cose da vedere e da fare, a New York.
A labbra strette e sottovoce, cominciò a canticchiare il motivetto di un musical che da bambino aveva amato, West side story.
Al pensiero sorrise, interrompendo la canzone. Un sorriso che comunque scomparve quasi subito, distrutto dalla vista delle pasticche sul comodino.
Allungò una mano per afferrare il tubetto. Lo osservò.
Era bianco e arancione, e prometteva sonni tranquilli.
Sapeva quasi a memoria quello che c’era scritto nelle indicazioni sul retro.
Il farmaco è indicato nel trattamento dell'ansia.
È anche indicato per bloccare o attenuare gli attacchi di panico e le fobie nei pazienti affetti da agorafobia. Le benzodiazepine sono indicate soltanto quando il disturbo e'grave, disabilitante o sottopone il soggetto a grave disagio.
Harry sospirò, rovesciandosi due compresse nella mano.
Appena mandate giù, si infilò sotto le coperte. Magari quella notte l’avrebbe passata senza incubi.
 
- Grazie per avermi coperto, ieri. –
- Solo ieri, Gemma? Dovresti iniziare a dirmele prima le cose. –
- Era un piano di riserva. –
- Dovresti iniziare a dirmeli prima, i piani di riserva. – commentò lui allora.
Alla luce delle dieci, sua sorella si era fatta viva in camera sua. Dopo essersi sdraiata accanto a lui, avevano iniziato a discutere.
- Se vuoi puoi anche restare a casa. Sono certa che Tom sarebbe felice di ospitarti per… -
- Non voglio rimanere a casa, Gemma. E smettila di vedermi solo come una zavorra pesante. Non sono una zavorra, sono tuo fratello. –
- Hai ragione. Non ti vedo come una zavorra, Harry. Ti vedo come il mio fratellino che ha passato un brutto periodo e… perdonami se delle volte non so come comportarmi. – I suoi begli occhi erano caduti sulle pasticche.
- Quella roba funziona? – gli chiese
- Non molto, a dire il vero. – rispose Harry, afferrando il tubetto e chiudendolo nel cassetto del comodino.
Quel cassetto era pieno di figurine e cianfrusaglie di quando era bambino.
Qualcosa risaliva addirittura all’epoca nella quale i suoi erano ancora sposati.
- A proposito, l’hai detto a papà? –
- Sì. Ha detto che non ci sono problemi. –
- Anche se c’è il cugino di Eleanore? –
- Gli ho detto che è gay. – alzò le spalle e ridacchiò.
Harry inarcò un sopracciglio, ma poi decise di lasciar perdere.
- Vuoi dirmi chi è questo cugino misterioso? – le domandò, sdraiandosi su un fianco.
Tutti i ricci gli crollarono sugli occhi, pizzicandogli le guance.
- Harry, sai mantenerlo un segreto? – il ragazzo la guardò come se avesse appena fatto una domanda retorica, quale in effetti era.
- Be’… non è il cugino. È il fidanzato. Ma mamma non ci avrebbe mai mandati, altrimenti. –
Harry annuì, lentamente. Il destino aveva deciso di giocargli un brutto scherzo, non c’era dubbio.
Ma no, idiota. È solo una stupida coincidenza. Cose del genere capitano sempre. E poi, per quale ragione dovrebbe toccarti?
Perciò si limitò a mettere su una faccia compunta, e a continuare ad ascoltare i vaneggiamenti di sua sorella.
 
I vestiti con i quali era arrivato avevano deciso di soffocarlo.
La maglietta gli si era totalmente appiccicata al corpo, i pantaloni gli si erano magicamente ristretti addosso, e la stupida felpa era totalmente zuppa di sudore, tanto che Harry dovette sfilarla.
- Gemma, ma tu sapevi che era così caldo? – mugolò, trascinando il bagaglio fuori dall’aeroporto.
Eppure avevano camminato solo per una quindicina di minuti.
La sorella, colta di sorpresa quanto lui, scosse la testa, quasi boccheggiando.
- A Londra non è così . –
- A Londra piove sempre – aggiunse, fermandosi di fronte a quella che doveva essere la strada.
Estrasse il cellulare e compose un qualche numero, poi parlò per qualche istante in tono troppo formale.
Sicuramente non era Eleanore.
O Louis.
- Ci viene a prendere un taxi tra poco. – commentò poi soddisfatta, riprendendo a frugare nella borsa alla ricerca di uno specchietto.
Entrambi erano in condizioni disastrose dopo il volo, ma mentre ad Harry non interessava affatto, sua sorella stava rischiando una crisi isterica.
- Appena arriviamo in Hotel mi faccio una doccia infinita. –
Hotel.
Anne, Gemma, Eleanore e persino Louis avevano litigato una settimana intera sulla questione.
Anne non voleva infatti che Harry fosse costretto a dormire con uno sconosciuto. Gemma voleva stare in stanza da sola, o in alternativa con Eleanore.
Eleanore inizialmente aveva combattuto – all’insaputa di Anne – per dormire con Louis, ma proprio due giorni prima di partire avevano avuto un’altra litigata.
Così era stato stabilito che le ragazze avrebbero dormito assieme e, dopo mille rassicurazioni da parte di Harry, si era deciso che i ragazzi avrebbero fatto lo stesso.
Con la cosa delle pasticche e tutto avrebbe preferito di certo dormire solo, ma…
Gli occhi verdi di Louis tornarono prepotenti al centro dei suoi pensieri.
Da quella strana notte i due non si erano più visti. Solo sentiti una volta al telefono, visto che Gemma gli aveva chiesto di rispondere per lui.
‘Gemma, parla tu con la Clader perché io sto impazzendo!’ aveva gridato Louis, al cellulare.
‘Problemi in paradiso?’ aveva dunque chiesto Harry.
Sulle Prime Louis non l’aveva riconosciuto, ma poi si era messo a ridacchiare.
‘Il riccetto del party dell’anno!’ era riuscito ad esordire dopo un po’, in tono sarcastico.
‘Lo scontroso del party dell’anno!’ aveva dunque risposto Harry, con una certa ilarità.
Ma la conversazione era durata ben poco perché le dita con le unghie ben curate di Gemma gli avevano strappato via il cellulare dalle mani, escludendolo per sempre da quella conversazione, senza nemmeno la possibilità di salutare.
Ma era sicuro che il ragazzo che stava all’altro capo del telefono fosse riuscito ad afferrare lo ‘stronza’ che Harry le aveva lanciato.
- Eleanore e Louis hanno risolto? – chiese Harry, di punto in bianco. Doveva essere informato, dopotutto.
Ma sua sorella gli rivolse uno sguardo di terrore puro.
- Ho paura che questa vacanza segnerà il punto di rottura. Ma è anche ora, voglio dire, è una storia che non sta in piedi… -
Harry si limitò ad assimilare.
Non riusciva a pensare ‘Povera Eleanore’ o ‘Povero Louis’, dopo quello che il ragazzo stesso gli aveva detto.
Quando il taxi arrivò, i due fratelli lo caricarono con i loro bagagli e salirono sui sedili di pelle, che si appiccicarono a loro come fanno le farfalle sulle ragnatele.
- Vedrai quando dovremo alzarci… - borbottò Harry, strappando una risatina alla sorella, che gli afferrò la mano e gli poggiò la testa sulla spalla.
I suoi capelli scottavano, forse più della sua pelle. E per un istante Harry non invidiò affatto le ragazze – o i ragazzi – dalle chiome fluenti.
I suoi si erano ammosciati, nonostante i litri di schiuma applicati. Ora gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi.
Cercò di riavviarseli, mente l’autista guidava.
Era strano perché lì il guidatore era al contrario.
Harry tentò di guardarlo per un po’, ma proprio non riusciva ad abituarsi alla sensazione.
In più, l’uomo al volante aveva evidentemente deciso di farli ammazzare, perché guidava come se fosse inseguito.
Di fatto Harry si voltò, ma oltre a una fila di macchine veramente poco sospette non notò nulla.
Quando si voltò di nuovo, la vide.
Di fronte ai suoi occhi scintillava una soleggiata New York. 
My Medicine.
 
Il rumore delle posate che tagliavano il cibo e del telegiornale che, ad un volume moderato come al solito, trasmetteva le notizie del giorno,  la famiglia Styles stava consumando un’abbondante cena.
La famiglia Styles e il compagno di Anne, come al solito.
Nel religioso e interessato silenzio col quale stavano tutti ascoltando la tv, non fu nemmeno possibile udire Gemma poggiare le posate accanto al piatto.
La ragazza si chiarì la voce, e a quel punto il fratello le rivolse un’occhiata interrogativa.
Ma lei lo liquidò con un gesto della mano.
- Mamma… ? – Anne si girò, uno sguardo curioso sul volto, molto più eloquente di ogni altro ‘Sì, cara?’.
Anne, oltre ad essere una madre fantastica era infatti un’ottima ascoltatrice.
Aveva sposato Robin e lui si era istallato a casa loro, ma era sempre stata chiara su una cosa: i figli prima di tutto.
E così Harry e Gemma non avevano avuto alcuna difficoltà ad abituarsi a lui.
Anzi, tante volte Harry si era ritrovato a pensare al fatto che, se per qualche strano motivo Robin avesse fatto i bagagli e se ne fosse andato, avrebbe perso quell’idea di famiglia che aveva.
- Senti, devo chiederti una cosa. Però fammi fine. – aggiunse.
La conosceva tanto da sapere che la dolce Anne era un’ottima madre, sì, ma un po’ troppo rigida talvolta.
- E va bene. – acconsentì Anne, lasciandole carta bianca.
Lei si schiarì la voce ancora una volta, come se stesse annunciando chissà che. Per un attimo Harry inorridì al pensiero che magari la sua sorellina potesse essere incinta di quel tizio, quel Jake.
Ma il pensiero venne scacciato subito da un paio di occhi verdissimi.
Harry socchiuse i suoi, di occhi, sospirò con convinzione e tornò a concentrarsi sull’importantissimo discorso di Gemma.
- Io ed Eleanore Calder, hai presente quella ragazza tanto a modo che venne da noi tempo fa?, be’ ecco, noi due vorremmo andare fuori per una settimana. In vacanza. A… New York. Sai, dato che ho festeggiato da poco i fatidici ventuno… -
- Gemma, ascoltami… -
- Non ho finito. – esordì la sorella
Ma chiaramente aveva esaurito le argomentazioni, perciò lasciò la parola alla madre.
- Posso parlare ora? Onestamente tesoro, non me la sento di lasciare andare voi due ragazze da sole a New York. So che sei maggiorenne e tutto, ma non si sa mai. E tu non sei mai stata lontana da casa. –
- Sarebbe un’occasione per imparare. –
- Lo sarebbe se con voi ci fosse qualcuno di responsabile. –
- Ma… mamma, voleva venire anche Harry. –
Ed Harry non riuscì a trattenere la smorfia interrogativa sul volto.
Però, guardando la sorella, trovò i suoi occhi imploranti. E in quel momento capì di non poterla tradire.
- Davvero, Harry? Vuoi davvero andare a New York? – sua madre era stupita.
Da quando aveva passato l’ultimo ‘brutto periodo’, così la sua famiglia aveva denominato la leggera forma di depressione attraversata dal ragazzo, tutto era cambiato.
Anne si sentiva ancora in colpa per non aver capito prima i problemi del figlio.
Ma come avrebbe potuto? Si chiese Harry, guardandola con tenerezza.
Evitava sempre le domande, con loro rideva e si comportava come tutti i ragazzi adolescenti si comportano in famiglia.
Forse anche troppo bene, aveva detto sua madre.
Ma quando aveva iniziato a calare di peso lei non aveva esitato a scoprire la causa del disturbo, stroncato sul nascere a dire dello psicologo.
Harry non si sentiva tanto diverso da prima. Certo, gli attacchi di panico erano stati sostituiti da una più brutale apatia, e le nottate insonni colmate da quelle piccole pasticche per dormire.
Una sola, mi raccomando! Gli ripeteva Anne.
Ma una sola non bastava a fargli chiudere gli occhi, né a tranquillizzarlo.
Comunque stava migliorando, non vedeva più il vecchio dottore tanto spesso e si sentiva dire da tutti quanto stesse meglio, ma Anne desiderava ardentemente che si divertisse. Lo mandava alle feste con Gemma, lo impegnava in progetti assurdi.
E lui faceva tutto, tutto per non far preoccupare sua mamma. Gemma un po’ ne approfittava, ma Harry sapeva che era genuinamente preoccupata. Anche perché altrimenti, non l’avrebbe mai portato a New York con lei.
- Mi piacerebbe vedere New York. – sentì la fossetta sulla guancia. Non sapeva come, ma era in grado di sentirla, quando sorrideva.
- Oh Harry… io sarei contentissima di mandarvi ma così, da soli… -
- Mi sono dimenticata di dirti che viene anche il cugino di Eleanore. – Anne sbattè le palpebre un paio di volte, con aria interrogativa.
- Quanti anni ha, questo cugino? –
- L’età di Eleanore. – Gemma sorrise. L’aveva in pugno.
- Suppongo che prima o poi i pulcini debbano lasciare il nido. Ebbene, ma voglio prenotare l’aereo, i biglietti e tutto il resto con te, signorina. –
 
- Chi diavolo è il cugino di Eleanore? –
- È… un tizio. Non lo conosci, lascia perdere. Adesso non è il momento, te lo presento quando… Oh Eleanore! Mia madre ha detto di sì! – Gemma si chiuse la porta alle spalle, lasciando un Harry con i capelli all’aria e lo sguardo interdetto.
La copro e nemmeno mi ringrazia. Che ingrata.
Harry si avviò nella sua stanza, pronto per dormire. Dopotutto se lei non voleva dargli alcuna spiegazione, non avrebbe avuto di meglio da fare.
Il letto di ottone scricchiolava. Era un letto così vecchio e consumato dal tempo che il ragazzo temeva che prima o poi avrebbe perso misteriosamente una zampa, quella che di tanto in tanto sentiva traballare, e lui si sarebbe ritrovato a terra.
La sua stanza era la più grande e luminosa della casa.
Aveva una finestra enorme che dava sulla via, e quando si dimenticava di tirare le tende veniva svegliato alle cinque del mattino dai primi albori del giorno.
Delle volte lo faceva apposta, per vedere l’alba, ma ancora più spesso capitava che lasciandole aperte Anne venisse a chiudergliele, stampandogli anche un bacio sulla tempia.
Si svegliava quasi sempre, visto il suo sonno di carta, nonostante le pasticche.
Si sedette sul bordo, per poi sdraiarsi supino.
New York. L’idea lo terrorizzava e gli piaceva allo stesso tempo. C’erano così tante cose da vedere e da fare, a New York.
A labbra strette e sottovoce, cominciò a canticchiare il motivetto di un musical che da bambino aveva amato, West side story.
Al pensiero sorrise, interrompendo la canzone. Un sorriso che comunque scomparve quasi subito, distrutto dalla vista delle pasticche sul comodino.
Allungò una mano per afferrare il tubetto. Lo osservò.
Era bianco e arancione, e prometteva sonni tranquilli.
Sapeva quasi a memoria quello che c’era scritto nelle indicazioni sul retro.
Il farmaco è indicato nel trattamento dell'ansia.
È anche indicato per bloccare o attenuare gli attacchi di panico e le fobie nei pazienti affetti da agorafobia. Le benzodiazepine sono indicate soltanto quando il disturbo e'grave, disabilitante o sottopone il soggetto a grave disagio.
Harry sospirò, rovesciandosi due compresse nella mano.
Appena mandate giù, si infilò sotto le coperte. Magari quella notte l’avrebbe passata senza incubi.
 
- Grazie per avermi coperto, ieri. –
- Solo ieri, Gemma? Dovresti iniziare a dirmele prima le cose. –
- Era un piano di riserva. –
- Dovresti iniziare a dirmeli prima, i piani di riserva. – commentò lui allora.
Alla luce delle dieci, sua sorella si era fatta viva in camera sua. Dopo essersi sdraiata accanto a lui, avevano iniziato a discutere.
- Se vuoi puoi anche restare a casa. Sono certa che Tom sarebbe felice di ospitarti per… -
- Non voglio rimanere a casa, Gemma. E smettila di vedermi solo come una zavorra pesante. Non sono una zavorra, sono tuo fratello. –
- Hai ragione. Non ti vedo come una zavorra, Harry. Ti vedo come il mio fratellino che ha passato un brutto periodo e… perdonami se delle volte non so come comportarmi. – I suoi begli occhi erano caduti sulle pasticche.
- Quella roba funziona? – gli chiese
- Non molto, a dire il vero. – rispose Harry, afferrando il tubetto e chiudendolo nel cassetto del comodino.
Quel cassetto era pieno di figurine e cianfrusaglie di quando era bambino.
Qualcosa risaliva addirittura all’epoca nella quale i suoi erano ancora sposati.
- A proposito, l’hai detto a papà? –
- Sì. Ha detto che non ci sono problemi. –
- Anche se c’è il cugino di Eleanore? –
- Gli ho detto che è gay. – alzò le spalle e ridacchiò.
Harry inarcò un sopracciglio, ma poi decise di lasciar perdere.
- Vuoi dirmi chi è questo cugino misterioso? – le domandò, sdraiandosi su un fianco.
Tutti i ricci gli crollarono sugli occhi, pizzicandogli le guance.
- Harry, sai mantenerlo un segreto? – il ragazzo la guardò come se avesse appena fatto una domanda retorica, quale in effetti era.
- Be’… non è il cugino. È il fidanzato. Ma mamma non ci avrebbe mai mandati, altrimenti. –
Harry annuì, lentamente. Il destino aveva deciso di giocargli un brutto scherzo, non c’era dubbio.
Ma no, idiota. È solo una stupida coincidenza. Cose del genere capitano sempre. E poi, per quale ragione dovrebbe toccarti?
Perciò si limitò a mettere su una faccia compunta, e a continuare ad ascoltare i vaneggiamenti di sua sorella.
 
I vestiti con i quali era arrivato avevano deciso di soffocarlo.
La maglietta gli si era totalmente appiccicata al corpo, i pantaloni gli si erano magicamente ristretti addosso, e la stupida felpa era totalmente zuppa di sudore, tanto che Harry dovette sfilarla.
- Gemma, ma tu sapevi che era così caldo? – mugolò, trascinando il bagaglio fuori dall’aeroporto.
Eppure avevano camminato solo per una quindicina di minuti.
La sorella, colta di sorpresa quanto lui, scosse la testa, quasi boccheggiando.
- A Londra non è così . –
- A Londra piove sempre – aggiunse, fermandosi di fronte a quella che doveva essere la strada.
Estrasse il cellulare e compose un qualche numero, poi parlò per qualche istante in tono troppo formale.
Sicuramente non era Eleanore.
O Louis.
- Ci viene a prendere un taxi tra poco. – commentò poi soddisfatta, riprendendo a frugare nella borsa alla ricerca di uno specchietto.
Entrambi erano in condizioni disastrose dopo il volo, ma mentre ad Harry non interessava affatto, sua sorella stava rischiando una crisi isterica.
- Appena arriviamo in Hotel mi faccio una doccia infinita. –
Hotel.
Anne, Gemma, Eleanore e persino Louis avevano litigato una settimana intera sulla questione.
Anne non voleva infatti che Harry fosse costretto a dormire con uno sconosciuto. Gemma voleva stare in stanza da sola, o in alternativa con Eleanore.
Eleanore inizialmente aveva combattuto – all’insaputa di Anne – per dormire con Louis, ma proprio due giorni prima di partire avevano avuto un’altra litigata.
Così era stato stabilito che le ragazze avrebbero dormito assieme e, dopo mille rassicurazioni da parte di Harry, si era deciso che i ragazzi avrebbero fatto lo stesso.
Con la cosa delle pasticche e tutto avrebbe preferito di certo dormire solo, ma…
Gli occhi verdi di Louis tornarono prepotenti al centro dei suoi pensieri.
Da quella strana notte i due non si erano più visti. Solo sentiti una volta al telefono, visto che Gemma gli aveva chiesto di rispondere per lui.
‘Gemma, parla tu con la Clader perché io sto impazzendo!’ aveva gridato Louis, al cellulare.
‘Problemi in paradiso?’ aveva dunque chiesto Harry.
Sulle Prime Louis non l’aveva riconosciuto, ma poi si era messo a ridacchiare.
‘Il riccetto del party dell’anno!’ era riuscito ad esordire dopo un po’, in tono sarcastico.
‘Lo scontroso del party dell’anno!’ aveva dunque risposto Harry, con una certa ilarità.
Ma la conversazione era durata ben poco perché le dita con le unghie ben curate di Gemma gli avevano strappato via il cellulare dalle mani, escludendolo per sempre da quella conversazione, senza nemmeno la possibilità di salutare.
Ma era sicuro che il ragazzo che stava all’altro capo del telefono fosse riuscito ad afferrare lo ‘stronza’ che Harry le aveva lanciato.
- Eleanore e Louis hanno risolto? – chiese Harry, di punto in bianco. Doveva essere informato, dopotutto.
Ma sua sorella gli rivolse uno sguardo di terrore puro.
- Ho paura che questa vacanza segnerà il punto di rottura. Ma è anche ora, voglio dire, è una storia che non sta in piedi… -
Harry si limitò ad assimilare.
Non riusciva a pensare ‘Povera Eleanore’ o ‘Povero Louis’, dopo quello che il ragazzo stesso gli aveva detto.
Quando il taxi arrivò, i due fratelli lo caricarono con i loro bagagli e salirono sui sedili di pelle, che si appiccicarono a loro come fanno le farfalle sulle ragnatele.
- Vedrai quando dovremo alzarci… - borbottò Harry, strappando una risatina alla sorella, che gli afferrò la mano e gli poggiò la testa sulla spalla.
I suoi capelli scottavano, forse più della sua pelle. E per un istante Harry non invidiò affatto le ragazze – o i ragazzi – dalle chiome fluenti.
I suoi si erano ammosciati, nonostante i litri di schiuma applicati. Ora gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi.
Cercò di riavviarseli, mente l’autista guidava.
Era strano perché lì il guidatore era al contrario.
Harry tentò di guardarlo per un po’, ma proprio non riusciva ad abituarsi alla sensazione.
In più, l’uomo al volante aveva evidentemente deciso di farli ammazzare, perché guidava come se fosse inseguito.
Di fatto Harry si voltò, ma oltre a una fila di macchine veramente poco sospette non notò nulla.
Quando si voltò di nuovo, la vide.
Di fronte ai suoi occhi scintillava una soleggiata New York. 
   
 
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