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Autore: HeyAM    08/10/2016    2 recensioni
Quando lo vide la prima volta, nella sua uniforme, il sangue le si gelò nelle vene. Non era il primo tedesco che vedeva, ma lui era tutta un'altra cosa, quel teschio sul copricapo urlava morte.
Ha dato lui l'ordine lui di uccidere la moglie, vive per l'ideologia di Adolf Hitler, l'uniforme lo ha divorato.
Per lei il rosso è il colore dell'amore, per lui quello del sangue, ma cosa succede se si incontrano?
Dal prologo:
E lui era lì, guardava con sguardo freddo ciò che accadeva attorno a lui, dava l'impressione di essere alto anche se era seduto, le mani erano coperte dai guanti di pelle nera. Gli occhi azzurri dell'uomo la congelarono, sentì una strana sensazione dentro di sé, le cose sarebbero cambiate.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Lo Sturmbannführer Schwartz si aspettava tante persone quando bussarono alla porta, ma certamente non poteva aspettarsi l'ingresso della ragazza italiana.

Posò la penna stilografica nera che teneva in mano sui documenti che stava controllando precedentemente, sollevò il sopracciglio destro in quella che era una richiesta silenziosa di sapere cosa l'altra volesse.

La vedeva tesa, quasi tremare, stava in piedi davanti alla sua scrivania senza parlare.
Vedendo che l'altra non accennava ad aprir bocca lui sospirò.
"Elizabeth" non gli riusciva chiamarla con il suo vero nome, preferiva usare la versione tedesca. "Sono un uomo impegnato, può farmi la grazia di dirmi cosa la porta nel mio ufficio?" Domandò lui con un sorrisetto sinistro.

Quelle parole la riportarono probabilmente alla realtà tanto che rimediò subito. 
"Si... Mi scusi..." balbettò lei ancora in preda all'agitazione. "Si tratta di mio padre, signore..." aggiunse poco dopo, sempre insicura e incerta.
"Chissà perché ma la cosa non mi sorprende." La interruppe lui. "Ma non ne so nulla, cosa è successo?" Domandò poi.
"Signore è un periodo difficile per tutti noi, non stiamo usando il riscaldamento, lui ha sbagliato, ma non succederà più..." Schwartz continuava a capirne poco, ma la sua espressione si fece più dura.
"Cosa ha fatto?" Sillabò lui marziale.
"La legna... Lui si è rifiutato di darla ai due uomini che sono venduti a chiederla..." disse lei, non voleva andare nei particolari ma aveva già chiaramente capito che all'ufficiale erano questi che interessavano.
"È tutto?" Chiese lui, sospettava che ci fosse dell'altro. 
Elisabetta non rispose, cosa poteva dire d'altronde? Se avesse parlato anche del lancio dei sassi contro i soldati le cose sarebbero state più difficili. 
"Elizabeth ti ho chiesto, è tutto?" Aveva smesso di usare la forma di cortesia e questa cosa mise ancor più, se possibile, la giovane italiana a disagio.
Scosse il capo chiudendo gli occhi mentre le mani si stringevano a pugni facendo impallidire le nocche.
"Lui ha tirato qualche sasso contro i due uomini..." ammise abbassando il tono di voce. 

Lui scoppiò a ridere, ma non era una di quelle risate felici, era tutto tranne questo, era sinistra e fece rabbrividire la ragazza.
"Ti avevo detto di tenerlo a bada." Commentò poi lui. "Cosa vuoi da me Elizabeth? Ha aggredito i miei uomini oltre che essersi rifiutato di collaborare." Aggiunge poi tornando composto e marziale come poco prima. 

"La prego signore... Non potete portarci via anche lui... Mia madre, mia sorella, io, ne moriremmo tutte..." Lo supplicò lui, gli occhi appena lucidi nonostante cercasse di trattenere le emozioni.
Quella considerazione però ebbe effetto contrario su di lui, che sembrò arrabbiarsi maggiormente.
"Qua ti sbagli, tuo fratello non lo abbiamo preso noi, siete voi che avete tradito, voi sporchi italiani." Scattando in piedi e puntandole contro l'indice.
"Ma cosa ci posso fare io?" Replicò allora lei, le lacrime che lambivano i suoi occhi chiari. "So che non vedo mio fratello da quasi tre anni, so che ora è in un vostro campo e non abbiamo più sue notizie da tanto, non l'abbiamo voluta noi questa guerra, o quanto meno non io!" Rispose lei.
"Vuole prendere qualcuno? Prenda me, ma lasci mio padre, non farà più qualcosa di simile ormai." 
Sembrò colpito da quanto la ragazza disse e scosse il capo tornando a sedersi. Rimase qualche secondo in silenzio e quel lasso di tempo, seppur brevissimo, sembrò durare un'eternità per lei.
"Torna a casa Elizabeth." Sentenziò solamente lui.
"E che ne sarà di mio padre?" Tornò all'attacco lei.
"Elizabeth torna a casa." Sillabò nuovamente lui, quello era un ordine vero e proprio, come uno di quelli che dava ogni giorno ai suoi uomini.
La disperazione del momento aveva però dato alla giovane una sicurezza che non credeva di poter avere.
"E se non lo faccio cosa mi fai? Vuoi uccidermi? Tanto non sarebbe la prima volta o?" Non si rese conto di ciò che aveva detto finché lui non saltò in piedi dalla sedia passando oltre la scrivania fino ad arrivarle davanti. 
Cercava di indietreggiare, non doveva osare così tanto e lo sapeva bene.
"Signore..." mormorò lei ma lui non ci vedeva più dalla rabbia. Osò alzare, solo per qualche istante, le iridi chiare così da incontrare quelle azzurre e fredde dell'uomo e quel breve istante fu sufficiente per lei per leggere la rabbia nel suo sguardo.
"Non permetterti mai più di piombare nel mio ufficio e dirmi come fare il mio lavoro." Il tono piatto, lui che incombeva su di lei con quella enorme differenza di altezza. Lei ormai era alle lacrime, gli occhi chiari della donna non erano mai stati così lucidi. Sentirlo pronunciare quelle parole la fece cedere, tutta l'adrenalina del momento era svanita.
Sentì le gambe farsi molli e nel tentativo di allontanarsi inciampò nei suoi piedi.
Era pronta a sentire l'urto con il pavimento in legno della stanza quando le braccia dell'ufficiale la presero. 
Si ricorda ancora la sensazione che provò quando le mani dell'uomo cinsero le sue braccia. 
Si fece scappare un urlo per la sorpresa e quando alzò lo sguardo l'ufficiale la guardava con un volto inespressivo studiandola silenziosamente. 
Facendosi forza sulle gambe tornò in posizione eretta.

Lo sguardo era sulle sue braccia che erano ancora tenute dalle mani della SS.
"Stai bene?" Le chiese all'improvviso l'uomo, come se ignorasse che era stato lui ad indurla in tale stato. 
Annuì debolmente col capo. 
"Sei testarda Elizabeth..." scosse il capo lui mollando la presa dalle sue braccia.
"Cosa ne sarà di lui?" Chiese, arresa, a questo punto. Rialzò solo ora lo sguardo sull'uomo, le lacrime che silenziose e solitarie scendevano dagli occhi lungo le appena arrossate guance della donna.
"Non piangere bimba..." sospirò lui senza rispondere alla domanda.
Era cambiato qualcosa, prima l'aveva vista forte, scontrosa, ma ora era come annullata. 
"Non sto piangendo..." si sforzò di rispondere lei, negando l'evidenza. Lui accennò un sorriso, il più sincero che gli avesse visto fare fino ad adesso. 
La stessa mano che prima le aveva impedito di cadere si abbassò verso il suo volto e con l'indice, quello che le aveva puntato contro prima, le asciugò le lacrime. 
Elisabetta, dal canto suo, era come paralizzata.
"Perché?" Gli chiese solo. Indietreggiò di qualche passo, finché non sentì la parere della stanza toccare la sua schiena, si appoggiò e si fece scollare fino al suolo.
"Non lo so." Disse solo lui. Lei rimase in silenzio, in stato di trance per qualche istante, lui si era abbassato di fronte a lei ma l'unica cosa che riusciva a vedere erano le sue ginocchia. 
"Mi spiace." Fu lui a dirlo, le sue parole ruppero il silenzio dopo un'infinità di tempo.
Lei annuì, si rialzò in piedi e lui fece lo stesso. 
"Vai a casa Elizabeth." Ripeté le stesse parole di prima, ma questa volta il tono era più pacato, più mite e questo la convinse a fare ciò che lui le disse. 
Senza una parola uscì, a sguardo basso, così come era entrata, dalla stanza.





Era tornata a casa da qualche ora e si era chiusa nel suo silenzio, la discussione con Schwartz era stata più che distruttiva e lei ne era uscita sconfitta se non umiliata.
Era quasi sera e lei e sua madre sedevano al tavolo senza dire una parola, ogni tanto una delle due alzava lo sguardo sull'altra per qualche istante per poi abbassarlo nuovamente.
E mentre erano lì sedute udirono distintamente il rumore della serratura aprirsi. Si guardarono perplesse e sua mamma si alzò diretta verso la porta. Lei invece era anche solo incapace di fare questa semplice cosa, ma quando sentì la madre urlare il nome del marito e questa salutarlo un enorme peso le si tolse dallo stomaco, dopotutto forse non aveva proprio perso.





~

Ciao a tutti,
Ecco qui anche il terzo capitolo.
Volevo parlarvi di un mio piccolo dubbio, la storia non è ancora stata recensita e questo mi lascia un po' perplessa, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, andare avanti così è davvero molto difficile.
Comunque grazie mille a tutti quelli che leggono le mie creature e alla prossima!
  
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