Luglio
2009, sessione estiva del primo
anno all’università. Quinto esame: diritto privato.
Era
stata un’estate particolarmente calda,
si respirava a fatica nella capitale e io avevo speso la fine della
primavera e
l’inizio dei primi mesi estivi a studiare il manuale di
diritto privato.
Prima
lo avevo letto accuratamente,
sottolineandolo con la matita, poi avevo iniziato a evidenziare le
parti più
importanti, infine avevo deciso di sottolineare con un ulteriore
pennarello
rosso la terza rilettura, colore che ricordava bene il sangue che ci
stavo
sputando sopra, infine, come i migliori glossatori, avevo iniziato a
scrivermi
a lato della pagina le cose che proprio non riuscivo a ricordare.
Ed
eccomi, in quell’aula un po’ troppa
fredda per via dell’aria condizionata molto alta, alle 8,30
del mattino senza
un filo di trucco e con l’aria di un condannato che si
appresta al patibolo.
Iniziarono
presto ad entrare i ben dieci
assistenti che avrebbero valutato noi poveri studenti prima di
mandarci, se
ritenuti idonei, a sostenere l’ultima parte
dell’esame con il professor Lupo.
Le donne erano quasi tutte in tailleur, gli uomini portavano, come di
consueto,
un completo blu. La prima cosa che notammo tutti fu una sola: lui non
c’era.
Dante Palermo non era presente nella sfilata del terrore che si era
appena
consumata di fronte all’aula.
Iniziò
l’appello e di lì a breve
cominciarono ad esaminare i primi ragazzi spaventati, del Professore
nessuna
traccia, ma pare fosse una pratica diffusa non presentarsi prima delle
due ore
dall’avvio della prova.
Alle
10 la porta dell’aula si aprì ed
entrò il Professor Lupo, seguito poco dietro dal dottor
Dante Palermo, con un
sorriso radioso ma senza perdere l’austerità del
ruolo.
Eccoci
alla resa dei conti, mio carissimo nemico. Ti farò vedere
quanto ho lavorato in
questi mesi, così magari per qualche secondo te lo tolgo
quel sorrisetto
soddisfatto dalla faccia.
Accanto
a me c’era Federico: non era
solito venire ai miei esami, un po’ perché ero io
la prima a voler stare da
sola, un po’ perché spesso i suoi impegni non
combaciavano con la mia sessione
d’esami. Lo avvertii irrigidirsi.
“Ehi
mostro, sei pronta?”
“Ce
ne vorrà prima che tocchi a me, è uscita
l’ultima lettera e io sono proprio fra
le ultime…”
“Come
sempre! Per questo sono venuto stavolta, se no rischi di implodere e
non
sarebbe un bello spettacolo!”
“…Ma
che tenero…” per quanto cercassi di
sembrare rilassata o almeno
controllata, la mia voce tradiva il mio nervosismo.
Una
delle leggende dell’università era
davanti a me, lo avevo visto tenere una lezione, conversare amabilmente
con gli
studenti ma non avevo la minima idea di cosa volesse dire sostenere un
esame
con lui. Se ne dicevano tante, ricordavo ancora molto bene
l’ammonimento di
Emanuele il primo giorno che lo incontrai: tenersi alla larga da Dante
Palermo
e da Andrea Mari.
Che
poi chi fosse questo Andrea Mari lo
avrei scoperto molto presto.
Un
ragazzo dai capelli castani, in un
completo grigio entrò dalla seconda porta
dell’aula e insieme a lui arrivò anche
il silenzio, evidentemente carico di terrore. Un brusio si
levò dai banchi: “Cavolo,
c’è pure lui… Palermo e Mari insieme
è una congiura, hanno deciso di non farne passare neanche
uno!”. Guardai
meglio quel ragazzo che si distingueva per il completo: aveva un
portamento
solenne, le spalle dritte e i capelli puliti e lucenti ben in ordine.
Si
aggiustò la cravatta celeste e prese l’elenco
degli studenti, lo studiò
accuratamente e si schiarì la voce:
“Carolina
D’Ottavio”
Una
ragazza minuta si alzò dal suo banco e
cercò freneticamente la sua carta
d’identità e il libretto nella sua borsa,
senza un’apparente successo.
“Signorina,
non ho tutta la giornata…”
“Ehm
sì, sì.. sto arrivando… un attimo,
è che non trovo… Oh ecco. Arrivo”.
Tremava, visibilmente. Il suo esame durò forse cinque minuti
poi fu rimandata
in lacrime al suo posto.
Nel
frattempo, dall’altro lato della
stanza, il dottor Palermo sembrava particolarmente infastidito dal
candidato di
fronte a lui:
“La
sua preparazione è scarsa come la sua capacità di
convincermi che non sta qui
cercando di passare l’esame alla meno peggio”
“Ma
no dottore, io le assicuro che ho studiato moltissimo…”
“Ho
dei seri dubbi e le chiederei in cosa consista la buona fede nelle
dichiarazioni di volontà e di scienza ma temo la risposta,
quindi mi limiterò a
chiederle gli effetti del contratto preliminare”.
L’esaminando
si risistemò sulla sedia e
iniziò a balbettare qualcosa. Qualcosa di probabilmente poco
convincente perché
quel ragazzo dai capelli mori e dagli occhi nocciola, lo
incalzò quasi subito:
“Il
contratto preliminare obbliga le parti?”
Non
riuscii a sentire la risposta, ma non
ce ne fu bisogno.
“Lei
mi sta dicendo che il contratto preliminare NON obbliga le parti???!”.
Il
dottor Palermo era davvero arrabbiato, il suo tono di voce si
alzò talmente
tanto da fermare in contemporanea tutti gli altri esami. Si mise in
piedi e si
rivolse all’intera aula:
“Se
non avete studiato tutto il programma, vi consiglio vivamente di uscire
immediatamente da quella porta, per non far perdere tempo a noi e a voi
stessi
con un esame ridicolo e umiliante!!!” e
così facendo indicò la porta alle
sue spalle.
La
sensazione che ci invase fu quella di
gelo.
Mi
ero ripromessa di diventare una
giurista migliore di lui, mi ero illusa che bastassero quei mesi per
poter
arrivare al suo livello e per dargli una sonora lezione, avevo creduto
che il
suo atteggiamento affabile e socievole fosse quello tipico di un figlio
di papà
che godeva della situazione che il suo cognome gli aveva portato. Non
avevo mai
avuto la sensazione che dietro quella disponibilità si
celasse una persona
tanto ostile. Mi ero sbagliata, mi ero sbagliata di tanto e quando me
ne resi
conto mi sentii così piccola da voler sparire. Ero stata
arrogante e
presuntuosa, come forse non lo ero stata mai in vita mia e avevo
commesso un
grande errore: sottovalutare il mio nemico, e dire che Teddy me lo
ripeteva
sempre che quella era la prima regola degli scacchi.
“Mostro…
tutto ok?”
Probabilmente
ero divenuta pallida e
Federico doveva essersi preoccupato.
Non
risposi prontamente alla domanda del
mio amico e come ero solita fare, rimisi la testa sul manuale per
rileggere in
velocità quelle cose di cui non mi sentivo affatto sicuro.
Vi assicuro che in
quel momento sembravano veramente molte, in testa avevo una distesa
deserta di
argomenti e di capitoli, come se non avessi fatto nulla fino a quel
momento.
Il
panico mi invase e sebbene il dottor
Mari fosse decisamente il meno affabile della cattedra, sperai solo di
non
dover capitare con il dottor Palermo. In quel preciso istante tutte le
mie
certezze vennero meno, mi sentii impotente di fronte a una materia
immensa e ad
un esame ai limiti dello scibile umano e avvertii quel senso di
arroganza e di
sfida venire meno.
Dentro
di me pensavo che non era
esattamente così che doveva andare: come nei migliori film o
nei miei libri di
avventura, la protagonista tira su il petto e il mento e affronta il
drago sguainando
la sua spada lucente e non pregando tutti i santi, in cui fra
l’altro non ho
mai creduto, che le cose andassero bene e basta. Come se il superamento
di un
esame simile potesse affidarsi a speranze ultraterrene.
Io
però avevo un alleato stavolta,
Federico al mio fianco mi mise una mano sul braccio e abbassando la
voce di
qualche tono per rassicurarmi mi disse:
“Ok,
Mostro. Fermati un attimo e guardami”
Non
ascoltai la sua intimazione, così mi
costrinse a guardarlo.
“Non-ti-impanicare!”
“..e
ti pare facile, hai visto che tip..”
“No.
Non mi pare facile ma io ti conosco. So quanto hai studiato, so quanto
sei
determinata quando ti metti in testa un obiettivo e per una che vuole
diventare
magistrato antimafia, questo esame non può essere e non deve
essere così
spaventoso. Lo so che quel tizio mette soggezione e mi pare anche
sufficientemente invasato, però tu devi rimanere concentrata
e non perdere di
vista il traguardo. Cosa fai a equitazione quando devi saltare
l’ostacolo?”
“Lo
guardo prima di girare il cavallo per affrontarlo…”
“Esatto:
focalizzi l’obiettivo. Ora devi fare esattamente la stessa
cosa, sei in corsa e
non devi lasciarti spaventare. Guarda il tuo ostacolo e saltalo. Stop.
Hai
studiato e sei preparata, sono disposto a scommettere che sei molto
più in
gamba della metà delle persone che si trovano in
quest’aula. Quindi non distarti
e quando chiameranno il tuo nome, se anche dovesse essere belli capelli
o l’urlatore
fighettone, respira e spacca il culo a tutti! Capito?”
Mi
guardò con quei suoi occhioni misti fra
il verde e il marrone e non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Aveva
ragione, aveva ragione su tutto. Non avrei permesso alla paura di
paralizzarmi
e non avrei buttato tutti quei mesi trascorsi a studiare.
Guardai
nuovamente la commissione, ma
stavolta alzai la testa, in me soffiava di nuovo il vento della
determinazione.
Il mio sguardo doveva essere cambiato perché Federico,
accanto a me, sorrise. D’altronde,
anche le migliori eroine hanno bisogno a volte di ritrovare la fiducia.
***
Passarono
diverse ore, un tempo che
riuscii in qualche modo ad impiegare un po’ conversando con
gli altri colleghi,
un po’ ridendo delle nostre avventure con il mio fidato amico.
Quando
la commissione chiamò il mio nome,
mi prese alla sprovvista. Presi il documento che avevo preparato
insieme allo
statino e scesi le scale che mi portarono davanti ai banchi della
commissione.
Il dottor Palermo era impegnato in un altro esame e non saprei dire
neanche
oggi se la cosa mi sollevò o piuttosto ne rimasi delusa, era
un periodo di
forte confusione.
Si
alzò da uno dei banchi una ragazza dai
lunghi capelli mori, gli occhi leggermente sporgenti e un naso
decisamente poco
ortodosso.
L’assistente
cercò subito di mettermi a
mio agio, ma l’esame risultò più tosto
del previsto. Sebbene avessi dedicato
molto tempo allo studio della materia, le sue domande mi misero
piuttosto in
difficoltà perché volte a comprendere se avessi
percepito davvero la
complessità della materia e il collegamento fra gli
argomenti. Su diversi punti
mi resi conto di essere stata superficiale.
“Signorina,
leggo nella sua preparazione che lei ha studiato molto ma forse non nel
modo
più corretto per il voto a cui probabilmente aspira. Ad
oggi, non posso darle
più di 24.”
E
io che avevo pensato al 30 e lode!
Non nego che fu veramente
una grande delusione, realizzai che avevo sprecato molte delle mie
energie,
arrivando ad un risultato mediocre che forse sarebbe stato
più che dignitoso
per qualcun altro, ma non per me.
Il
mio obiettivo è sempre stato diventare
magistrato, di forza d’animo ce ne sarebbe voluta ancora
molta. Le cose non
erano andate come previsto, ma potevo sempre rimediare.
Tornai
a sedermi al mio posto, accanto a
Federico, nell’attesa che mi chiamasse il professor Lupo.
“Allora,
come è andata?”
“Non
benissimo: 24”
“Hai
visto però?? Te lo avevo detto che non dovevi preoccuparti!
Certo non è un voto
altissimo, ma 24 è un bel voto in esami come questi!”
“Non
va bene. Non è il voto il problema: è il fatto
che io abbia studiato mesi la
mia prima materia veramente complessa e non sia riuscita a prendere
neanche un
voto che si avvicini alla zona 28-30. Qualcosa non è andato
nella preparazione”.
Mi misi a guardare un punto indefinito alle spalle della cattedra e non
prestai
attenzione a nulla e nessuno, specie a coloro che venivano da me a
congratularsi perché “24
con l’assistente
era già un grande risultato”.
Il
professor Lupo, comunque, avrebbe
ancora potuto alzarmi il voto.
Quando
mi presentai davanti a lui, non ero
particolarmente entusiasta e sperai che non si ricordasse del piccolo
disguido
avuto durante una delle sue prime lezioni.
Si
mise comodo sulla sedia, apri il mio
libretto e diede un’occhiata veloce alla media ottenuta fino
a quel momento,
poi guardò il foglietto che gli aveva passato
l’assistente con cui avevo
sostenuto l’esame e infine guardò me:
“Bene,
Signorina Alighieri, vedo che le hanno dato 24. Cosa ha intenzione di
fare?
Accetta o vuole la domanda?”, il suo tono era
pacato e serafico.
Lo
ero anche io, avevo preso la mia
decisione.
“Vorrei
alzare il mio voto, di molto, e non accetterei comunque un voto
così basso.
Quindi le chiedo di farmi una domanda.”
“Molto
bene, Signorina. Questo è lo spirito giusto: decadenza
convenzionale”.
Inutile
dire che la domanda mi colse alla
sprovvista, a parte la disciplina generale della decadenza, che
sicuramente non
era quello che voleva sentirsi dire il professore, non avevo propria
idea della
disciplina della decadenza convenzionale. Scoprii ben presto che si
trattava di
un articolo alla fine del codice civile dimenticato persino da Dio.
“Mi
coglie impreparata”
“Lo
immaginavo”, ripiegò il mio statino e me
lo porse con un sorriso, “ci vediamo
a Settembre”.
Scesi
le scale del piano rialzato dove si
trovava la cattedra del professore e avevo già in mente il
mio piano d’azione.
Mi misi nelle prime file, aspettando che si liberasse il dottor Topo,
un
assistente della cattedra molto più affabile e rassicurante.
Avevo bisogno di avere
un confronto con qualcuno che mi spiegasse le mie mancanze, qualcuno
che mi
aiutasse a capire dove avevo sbagliato nella preparazione. Ovviamente
non mi
passò in mente neanche per un istante la
possibilità di chiedere aiuto al
dottor Palermo.
Federico
mi stava aspettando pazientemente
tra le ultime file, gli avrei spiegato tutto a tempo debito, non
dubitavo che
mi avrebbe appoggiato qualunque cosa avessi scelto di fare. Stavo
guardando il
dottor Topo mentre conduceva un esame, nella speranza di intercettarlo
tra un
candidato e l’altro, quando sentii l’odore di
colonia invadermi prepotentemente
e con la coda dell’occhio mi resi conto che una figura si
stava avvicinando.
Non
avevo bisogno di girarmi per sapere
chi fosse, ormai quel profumo lo avrei riconosciuto fra mille. Non
volevo
guardarlo perché mi sentivo piccola e incompetente, oltre
che tremendamente
stupida: un cucciolo tigre ferito a morte, ecco come mi sentivo.
“Ho
sentito che ha rifiutato il voto…”
La
sua voce morbida mi arrivò come una
freccia scoccata dal migliore arciere. Probabilmente non era quella la
sua
intenzione, ma la sua attenzione per me in quel momento mi
umiliò particolarmente.
Io che avevo deciso e che mi ero ripromessa di prendere il massimo dei
voti a
quell’esame, ora venivo guardata come un bambino colto con le
mani nella
marmellata.
Tenni
lo sguardo basso e mi girai quanto
bastava per assicurarmi il rispetto del vivere comune e delle
istituzioni
universitarie.
“Sì.
Devo aver sbagliato qualcosa nella preparazione”
“Lo
penso anche io. Il suo atteggiamento, tuttavia, mi ha colpito molto,
non lo
nego. Non si sente spesso di studenti che rifiutano il voto
all’esame del
professor Lupo. Lei è ambiziosa…”,
con quest’ultima parola mi convinse a
dargli tutta la mia attenzione e più che guardarlo, lo
fissai con estrema fermezza
e per qualche secondo tenne il mio sguardo in silenzio, poi si
sistemò
nuovamente la cravatta e proseguì “…
è un
bene, in questo lavoro bisogna essere ambiziosi”.
Prese un pezzo di carta
vicino a lui e ci scrisse sopra qualcosa in velocità.
“Ecco, questo è la mia
email. Mi contatti a fine Agosto, ci metteremo d’accordo
per vederci in facoltà. La preparerò io
personalmente per la sessione autunnale
e capiremo cosa non ha funzionato nel suo metodo di studio. Ora si goda
quel
che resta della sua estate”.
Detto
questo, mi mise davanti quel
foglietto con il suo contatto e nessuna possibilità di fuga.
Non
avrei mai pensato che rifiutare quel
voto avrebbe cambiato così tanto gli avvenimenti futuri: il
dottor Palermo mi
aveva notato.
Mi
chiedo, tuttora, se sia stato un bene o
piuttosto una maledizione.
Nota
dell’autrice:
Mea
culpa! Non ho aggiornato per un’infinità
di tempo ma la vita post universitaria è veramente molto
dura. Cercherò di
scrivere con maggior regolarità per chi volesse seguirmi!
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