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Autore: Yellow Canadair    02/11/2016    3 recensioni
Sulla piazza era sceso il silenzio, e il sangue che scorreva sul sagrato sembrava avere la stessa voce di un fiume in piena, anche se la scia era lenta e scura.
Fu in quel momento che si fece largo tra la folla un uomo. Uno che non ci avresti scommesso due lire, che zoppicava pure e che chissà per quale ferita non era riuscito a infilarsi nemmeno una delle maniche della giacca.
Quello non era solo un disgraziato appena dimesso: era un agente del CP che aveva parecchia rabbia da smaltire.

Chi l’ha detto che il CP9 è sconfitto? Aspettate poi che metta le mani addosso a Spandam, e vedremo chi ha davvero perso, a Enies Lobby.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kalifa, Rob Lucci
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Per rinfrescarsi la memoria: qui le Mini-Avventure del CP9 ("Missioni extra-curriculari del CP9"). 

 

 

Un tetto sopra la testa

 

Una figura silenziosa comparve alle spalle del direttore. « Che cosa sta succedendo qui? Questa porta non deve mai rimanere aperta a lungo. » disse una donna alta, con i capelli lunghi e color ebano che le scendevano in due ciocche ondulate ai lati della testa. Aveva gli occhi grandi incredibilmente tristi e un tono di voce lugubre come la pioggia che scendeva a San Popula quel giorno.

« Primario Charlotte Gelatine! » la salutò con speranza Jodie. « Codice rosso! »

« Santo Cielo, direttore, perché non fa passare la barella? »

« Mia cara Gelatine, le regole sono regole! Non è ancora stata pagata la prima rata per questo paziente, e io non posso assolutamente lasciare che venga operato. Si creerebbe un pericoloso precedente in questo nosocomio. » spiegò il direttore.

« Direttore, conosco benissimo le regole di questo ospedale. E conosco anche le regole del mio Ordine. » spiegò il mesto primario accarezzandosi i lunghi capelli neri. « “In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario” » recitò la donna con ritmo cadenzato. « Lei sta inferendo su un uomo inerme, ostacolandone il ricovero »

« È stata sua madre, personalmente, a darmi l’ordine di far rispettare le regole dell’ospedale. NON quelle del Giuramento! »

Charlotte Gelatine s’inalberò, gli occhioni lucidi si trasformarono in due fessure minacciose, abbandonò il tono mesto, spinse la barella di lato (anzi, le due infermiere e Jodie dovettero trattenerla perché non sbandasse pericolosamente) e sibilò irosa: « Non hai nessun diritto di nominare mia madre, lurido verme di terra! E ringrazia di avere un contratto vincolato, altrimenti ti avrei sbattuto fuori dal mio ospedale nel momento stesso in cui ci ho messo piede! »

Kaku intanto si avvicinò al suo compagno sulla barella. Le parole involontarie di Jodie avevano molto impressionato lui e i suoi amici: “Sta per morire”, aveva detto. Mise da parte qualsiasi ritegno e, attirata l’attenzione di Charlotte Gelatine, le sussurrò: « Signora, per favore… troveremo i soldi, ma non lo abbandoni. »

Charlotte Gelatine tornò immediatamente una creatura afflitta e dolce: « Cosa gli è successo? » domandò accarezzando i capelli neri e sporchi di Rob Lucci con fare materno.

« U-una rissa » disse esitante Kaku.

« Chapapa! Una grande rissa con Rufy Cappello di Paglia » cianciò Fukuro, e più tardi ci vollero due infermieri muscolosi per staccarlo dal muro dove l’aveva mandato a schiantarsi Blueno.

« Una rissa con dei marinai di Capnew, il regno della Paglia » improvvisò Jabura « Hanno tentato di molestare sessualmente sua sorella » disse indicando Califa, che gli resse il gioco asserendo: « Quella era decisamente una molestia sessuale. »

Poi Jabura riprese la parola: « Ma lui è intervenuto e l’ha salvata »

« Caro ragazzo » sussurrò Charlotte Gelatine. Poi, rivolta a Kaku, che era più basso di lei e nell’insieme doveva sembrarle poco più di un bambino sporco, disse: « Trova quei soldi e placa il direttore. Farò in modo che il tuo generoso amico non muoia, non aver pensiero »

Poi il primario si voltò verso Jodie e la incoraggiò con mestizia: « Forza, quasi-paramedico Jodie, che aspetti? In sala 4, è già pronta e l’hanno appena pulita »

Il volto di Jodie si illuminò con un sorriso: « … l’avversario è troppo lento, troppo lento, e non serve il suo intervento per fermare la corsa del miracolo! All’attacco con le infermiere Barbara e Ann in testa con il primario che… » e la barella scomparve in fondo al corridoio. Un attimo prima che la grande porta si chiudesse, Jodie con un cenno della mano fece agli agenti: “Aspettate là!”.

Il direttore, schiumando di rabbia, uscì di scena con gli occhi fiammeggianti e una vena sulla fronte ingrossata come un fiume che sta per rompere gli argini. « Avete solo ventiquattr’ore a partire da mezz’ora fa. Ho perso fin troppo tempo con questa storia. »

 

Visto che a quanto pare era dalla loro parte, il CP9 aspettò notizie da Jodie. Sapeva che ogni minuto per loro era prezioso, quindi probabilmente non ci avrebbe messo molto. E poi, volevano notizie di Lucci: era davvero così grave? Erano riusciti a salvarlo, almeno per il momento?

Aspettarono.

Si fermarono in sala d’attesa, davanti alla scrivania dell’accettazione e per la prima volta dopo ore si sedettero: le gambe cedettero sulle seggiole di plastica e loro tirarono il fiato. Jabura si stese direttamente per terra.

La donnina dell’accettazione li guardava critica. « Io mi farei dare uno sguardo » disse rivolta a Kaku.

« Non è necessario, sto bene » mentì lui dopo aver dato una scorsa al prezzario su un volantino che stava affisso dietro il bancone.

Kumadori cominciò a disperarsi, chiuse un occhio e recitò: « Yoyoi! Fosse accaduto tutto per mia cagione? Dovevo forse trasportare con maggiori cure il nostro compagno? »

« Sicuramente. » rincarò la dose Jabura guadagnandosi un’occhiataccia di Califa.

« È necessario che mi suicidi, l’onta è tale da non sopportarla…! »

« Sono trecento Berry per l’obitorio. Contante o assegno? » lo zittì la donna dell’accettazione.

Poi finalmente le porte si aprirono e uscì Jodie. Sorrideva, non sembrava propriamente felice ma almeno era un buon segno. Immediatamente gli agenti la circondarono, e lei depose fra le mani di Kaku degli oggetti: tre piccoli e tozzi cilindri di metallo nero, leggeri, con i bordi color oro, poco più grandi di anelli da donna.

« I fermacoda del vostro amico. » spiegò lei davanti alla perplessità del gruppo. « Le cose metalliche vanno tolte. Glieli potete restituire quando lo verrete a trovare. »

« Come sta? Si è svegliato? »

« No, certo che no. È ridotto veramente male… » esitò, forse doveva usare parole più appropriate. « Ma non preoccupatevi! Sembra un ragazzo forte, no? La signora Charlotte l’ha preso a benvolere, se la caverà. Solo… beh, procuratevi quei soldi. Lo so che è difficile, ma…

« Va bene. » asserì Kaku sedendosi e prendendosi la testa tra le mani. « Adesso sta a noi. »

 

~

 

La parcella dell’ospedale era salatissima.

Le condizioni di Rob Lucci erano disperate.

Non c’erano i soldi per mangiare.

Cosa poteva andare peggio?

San Popula era sotto una pioggia fittissima.

Quella era l’isola con “La città della regina della primavera”, ma si sa che la primavera è una donna capricciosa, e il sole e la pioggia si alternano.

Era l’ora di pranzo, le strade erano deserte e c’erano cinque ex agenti del CP acquattati sotto un ponte; Blueno non era ancora tornato.

« Chapapa… hanno detto che è un tipo robusto » disse Fukuro in tono di consolazione.

Hattori, accovacciato su un cartone, tubò triste: aveva accompagnato gli amici di Rob su e giù per San Popula a cercare qualche lavoretto anche se erano stanchi morti; alcuni di loro erano anche feriti gravemente, e li teneva su la caparbietà e la fibra miracolosa.

« Hanno detto anche che senza soldi non iniziano la terapia » sospirò Kaku, che per non pesare sulle spese mediche aveva rinunciato a farsi lasciare all’ospedale. Ma non era messo male come Lucci.

Sembrava che San Popula, tanto fiorente e tanto piovosa, avesse già tutte le persone che occorrevano: Kaku e Califa, dopo aver tentato di cercare un posto in qualche rimessa per barche o in qualche ufficio di segreteria, avevano abbassato le loro richieste ed erano andati con gli altri a cercare altri impieghi: portapizze, baristi, garzoni, attacchini di manifesti, nessuno aveva bisogno di loro e nessuno li avrebbe pagati neanche un Berry.

Era stata una lunga ricerca durata da subito dopo aver lasciato l’ospedale, a metà mattina, e per ora avevano deciso di sospenderla perché stavano per svenire. Si erano ritirati sotto un ponte per scampare alla pioggia e aspettavano che i negozi riaprissero dopo la pausa pranzo per rilanciarsi nell’impresa di racimolare qualche soldo.

Blueno li raggiunse e distribuì loro del pane: un sacchetto di carta pieno di pane di quella mattina che apparve a tutti loro come un pranzo di Natale, e che fece immediatamente sgomitare i loro stomaci.

« Dove l’hai trovato? » chiese Califa speranzosa. Aveva guadagnato abbastanza per quelle pagnotte?

« Ho aiutato un tizio a tirare giù la saracinesca del suo forno, me li ha dati lui. Niente soldi. »

Per alcuni minuti non si sentì altro che il masticare vorace dei sei ragazzi.

« È necessario cercare un posto per dormire » considerò all’improvviso Califa.

« Perché, non ti piace qui? » ridacchiò Jabura indicando il sotto-ponte extralusso. « Ci sono persino i cartoni, come coperte. »

Nessuno raccolse la provocazione di Jabura, e rimasero silenti ad ascoltare la pioggia che scendeva. Dal canale davanti a loro si levava odore di umido e di salmastro, perché a poca distanza c’era il mare, e guardavano il mesto dondolio delle barchette al pontile sulla riva opposta.

Kumadori prese a recitare: « “piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri che l'anima schiude novella, su la favola bella che ieri t'illuse…” » e seguitò a declamare quella vecchia poesia mentre lentamente la pioggia continuava a scendere, disegnando curve concentriche sulla superficie scura del fiume.

La poesia andava avanti tra paesaggi tranquilli e fanciulle palpitanti, e nessuno interrompeva quel monologo. Sembrava che le gocce di pioggia avessero preso a cadere in un ritmo diverso, e non somigliavano più a quegli spilli freddi che avevano inzuppato le loro vesti finora.

 

« Ricominciamo a cercare? » soffiò fuori Kaku preparandosi ad alzarsi in piedi.

Gli altri annuirono.

« Del resto rimanere qui non riporterà Paolino a casa » disse una voce accanto a Kumadori.

Tutti si voltarono a guardare chi avesse parlato.

Era una donna sulla sessantina, alta circa sessanta centimetri, con due grandi buste che pesavano insieme una sessantina di chili. Era molto forzuta.

Guardò anche lei gli agenti del CP9 attraverso due spesse e tonde lenti. « Siete i miei nuovi affittuari? » domandò. « Avevo appuntamento qui con i miei nuovi affittuari. Siete voi? »

Una magica equazione si disegnò nella mente del carpentiere: nuovi + affittuari = padrona di casa con casa libera. « È lei che affitta la casa? » ribaltò la domanda Kaku.

« Oh sì! Meno male! Temevo vi fosse successo qualcosa a Enies Lobby! Come siete sudici! Il viaggio dev’essere stato terribile! Ma come li puliscono, i treni? Venite con me, la casa è qui vicino! »

« Questa è chiaramente una molest- »

I capelli di Kumadori tapparono la bocca a Califa prima che rovinasse quella botta di fortuna.

La signora, si scoprì strada facendo, aspettava dei nuovi inquilini che dovevano arrivare quel giorno da Enies Lobby, ma gli agenti sapevano bene che da Enies Lobby non sarebbe arrivato più nessuno oltre loro: anche se fossero sopravvissuti al Buster Call, Jabura aveva rotto il cambio dei binari, il metodo più rapido per arrivare a San Popula. Con una nave ci sarebbe voluto del tempo per arrivare fin lì.

La signora li condusse poco fuori dal centro della città, in un quartiere tranquillo dalle strade spaziose e dalle case coloniche che sorgevano a un centinaio di metri di distanza l’una dall’altra; l’architettura somigliava a quella dei palazzi storici di San Popula, ma non c’erano tutti quei ricchi balconi e i cornicioni dalla foggia elaborata: era un modo di costruire più pratico, più adatto alla campagna che si estendeva dietro alle case.

« Però al lumacofono avevamo concordato solo quattro letti… e voi siete in sei. » osservò la padrona di casa strada facendo.

« Sì… all’ultimo minuto si sono aggiunti anche il nostro fratellone e la nostra sorellina! » imbastì Jabura mostrando Kumadori e Califa, che cominciava a essere un po’ stufa di essere usata per le balle del collega. In quale finta molestia sessuale l’avrebbe coinvolta, adesso?

« Lui ha perso il lavoro l’altro giorno, il circo in cui lavorava è stato spazzato via da un tifone, e lei ha lasciato il marito » Jabura abbassò la voce, fingendosi furioso per quello che stava per dire: « …quel bastardo la picchiava. »

La signora si mise una mano sulla bocca per il dispiacere e non replicò subito. « Oh, povera cara… » disse accarezzando il ginocchio di Califa.

« Questa è una molestia sessuale » disse l’agente, fredda e distaccata.

« È ancora sotto shock, vede? »

« Chiederò alle mie amiche del circolo del bungee jumping se hanno qualche materasso in più, va bene? »

Discussero anche del prezzo dell’affitto; avendo guardato gli annunci nelle vetrine delle agenzie immobiliari del paese, Califa constatò che era un fitto molto più basso delle altre case della stessa metratura che aveva osservato negli annunci; li aspettava una grande cucina su cui si sarebbero affacciate ben tre camere da letto e il bagno. La segretaria per un po’ aveva pensato di dover dormire tutti quanti per terra in un unico stanzone (molestia sessuale!), ma si domandava una cosa: quel fitto così basso nascondeva qualche difetto della casa o era solo dovuto alla posizione un po’ periferica?

Parlando parlando, arrivarono alla palazzina dove avrebbero vissuto: una grande casa colonica di due piani, senza ascensore, di mattoni azzurri con gli infissi bianchi. Al pianterreno viveva la padrona di casa, al primo piano avrebbero abitato i sei agenti del CP9, mentre nella mansarda risiedeva una famigliola con due bambini piccoli che, per due ore esatte al giorno, dalle tre alle cinque del pomeriggio, facevano una gran baraonda mentre per il resto del giorno si sarebbero dette due mummie, tanto che giocavano in assoluto silenzio.

« Questo era l’appartamento che doveva abitare il mio povero bambino, Paolino! » pianse la padrona di casa girando una grande chiave di ferro nella vecchia toppa.

« Yoyoi! Sorti avverse tempestano la vita dei puri di cuore! Quale male imprigionò il destino della sua prole? » domandò Kumadori.

La signora si girò con uno sguardo assassino degno del peggior Rob Lucci e sibilò: « È andato via di casa per lavorare »

Interdetti, gli agenti non replicarono e la signora continuò: « Era troppo piccolo. IO ero contraria. »

« Quanti anni aveva? » domandò Fukuro scucendosi la bocca.

« Trentatre »

« Ma quale bambino! Chapapa, era adultissimo! Era ora che se ne andasse! Doveva fare il parassita a vita? » esclamò con dubbia riservatezza l’agente.

Jabura lo picchiò ricordandogli che era il dovere di ogni bambino rimanere per sempre nella stessa palazzina della mamma, e la signora gli fece lo sconto sull’affitto.

 « Cari, e i vostri genitori dove sono? »

« Siamo fratelli. La nostra mamma era una coraggiosa Marine morta in servizio, papà era un macellaio » Jabura riuscì pure a spremersi una lacrimuccia « E ci hanno detto, sul letto di morte: “bambini, non vi separate mai! E prendetevi cura del nostro piccione viaggiatore” »

La signora fu molto, molto commossa dalla storia e promise a Jabura una torta.

« Io avevo pure trovato un bel lavoro a mio figlio! Doveva fare l’impiegato al catasto cittadino e invece no! A Water Seven doveva andare, a fare il carpentiere! Mannaggia a me che non gli ho raddrizzato quella fissa dei nodi e delle corde! Mi manca così tanto… a casa conservo ancora una scatola vuota dei suoi sigari preferiti… »

« Ma è Pauly!! È Pauly del Dock 1! Quello che Lucci odia! » esclamò Fukuro mettendosi fuori dalla portata di Jabura.

« Conoscete Paolino!? E ditemi, come sta? »

Consapevoli di aver innescato una bomba, Jabura si affrettò a dire: « No, no… sicuramente non è lui, il nostro amico si è confuso con un altro carpentiere!

La signora si chetò e per fortuna cominciò a fare da cicerone nella casa: se avesse cominciato a parlare di Pauly da piccolo, difficilmente Kaku avrebbe smesso di ridere e Fukuro a lungo andare si sarebbe lasciato andare in racconti troppo dettagliati, mentre era necessario mantenere un basso profilo: Water Seven? Chi, loro? Mai sentita nominare.

La porta d’ingresso si affacciava su un grande salotto con un accogliente divano, e dall’altra parte dell’ampia stanza c’era la cucina con il tavolo da pranzo di legno al centro e quattro sedie assortite, che la separava dalla zona salotto; su questa zona giorno si affacciavano tre camere da letto, una matrimoniale e due spaziose singole; nel bagno c’era un terribile odore di chiuso e i sanitari rosa antico stonavano con gli armadietti verdi.

I rubinetti erano quasi tutti da aggiustare, le maniglie erano flosce e tutte le prese di corrente avevano i fili esposti, ma per fortuna c’era Kaku che, da carpentiere, era in grado di risolvere tutto in poco tempo.

« Ma voi… » aguzzò la vista la donna mettendo a fuoco i suoi affittuari « Ma voi siete feriti!! » esclamò spaventata. « Oh, poveri cocchi! Adesso ci penso io! »

« Signora, ecco… » la fermò Kaku esitante « La ringraziamo molto, ma non… ce la caveremo da soli… non abbiamo molto con noi, al momento. »

La signora, tranquillissima, apr​ì il primo cassetto della cucina ed estrasse un cucchiaio di legno, e con esso Kaku si beccò una caterva di botte da una donna di sessant’anni che pesava sessanta chili ed era alta sessanta centimetri: era terribilmente offesa dall’idea che il suo inquilino pensasse che lei volesse essere pagata per una cosa del genere.

 

Venne fuori che il “piccolo Paolino” da piccolo era uno scapestrato, sempre a fare risse con i ragazzotti del porto, e la signora aveva imparato per amore e per forza a ricucirlo. Per cui le risultò semplice prendersi cura dei sei ragazzi, e per di più non brontolavano nemmeno per l’acqua ossigenata che bruciava!

« Prima tu » aveva detto rude Jabura spingendo Kaku verso la signora. E in effetti il povero carpentiere, dopo averle prese (anche) da Zoro, era messo proprio male.

Si sistemarono nella camera da letto matrimoniale, che era la più pulita, e aveva un grande comodino dove poter poggiare con praticità le garze e i fili di sutura.

Uno alla volta, prima Kaku, poi Califa, poi tutti gli altri, si sottoposero alle cure della padrona di casa. La porta della stanza, salvo per la ragazza, fu lasciata solo socchiusa, e Fukuro si chiuse la bocca con la sua zip per evitare di fare gaffe.

« Dovete volere davvero molto bene a vostro fratello » disse la signora dopo aver sentito una versione decisamente romanzata della storia di Rob Lucci.

« Papà lo picchiava… e da piccoli litigavamo tanto… ma siamo una famiglia… » raccontava Jabura con un’interpretazione da Oscar. « Lo voleva solo educare, non era un papà cattivo… ma Rob ha un caratteraccio tremendo… »

« Jabura, stai spaventando la padrona di casa » gli ricordò Blueno.

« Oh benedetti ragazzi, avete sofferto così tanto… » si commuoveva la signora. « Forse dovrei essere felice del fatto che Paolino stia bene, e che non abbia passato una brutta infanzia… »

Tutti stavano per rallegrarsi di questa decisione quando la signora continuò: « No, che dico? Ha tradito sua madre, continuerò a serbargli rancore! » poi tornò di miele: « Stasera torno a portarvi i materassi per dormire! Non preoccupatevi e pensate solo a cercare un lavoro! »

« E adesso? » disse Kaku quando la padrona di casa fu andata via.

« Torniamo in città. » dispose pratica Califa. « Ogni minuto è prezioso. »

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Ciao e grazie per aver letto anche questo capitolo! Poveri ragazzi del CP9, cornuti, mazziati, ma io li adoro troppo e metterli in scena mi dà tanta soddisfazione. Dai, Jabura e Kumadori non sono un amore inenarrabile? ♥ 

A proposito di Kumadori, i versi che qui recita fanno parte della lirica "La Pioggia nel Pineto”, composta da Gabriele D’Annunzio nel 1902. 

Il personaggio originale di Charlotte Gelatine (sì, figlia di cotanta madre!) fa riferimento al Giuramento di Ippocrate, che è un giuramento speciale che onorano tutti i medici. Lei però cita quello originale di Ippocrate, composto intorno al IV a.C. I medici di oggi giurano su un testo un po' diverso... i tempi sono cambiati! 

Rob Lucci è vanitoso! È un aspetto secondario (chissà perchè ma saltano all'occhio subito altri dettagli... tipo la sete di sangue e l'arroganza, chissà perché), ma a guardare bene i dettagli si nota che è un tipo che ci tiene molto al proprio look; la sua, per esempio non è una coda normale: in realtà Rob Lucci prima si fa una scriminatura ben dritta dalla fronte alla nuca, e poi lì si lega due codini vicinissimi, affiancati, stretti nei primi due fermacoda. Poi i codini convergono in una coda unica, retta dal terzo fermacoda. Si nota benissimo nelle vignette in cui è di spalle.

Detto ciò, grazie per aver letto! Spero che la storia vi stia piacendo, ma se avete dubbi, critiche o suggerimenti vi prego di non aver remore e usare il box delle recensioni!

Grazie e a presto,

Yellow Canadair

 

  
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