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Autore: mugsy    17/05/2009    4 recensioni
"se ne dicono di stronzate da bambini. Stronzate in cui noi crediamo. Stronzate che abbiamo l’illusione che si avverino. Stronzate che chiamiamo sogni"
In un'anonima periferia di un'anonima città, si incrociano le strane vite di un omicida per hobby, una "sfigata" con un terribile segreto e una lesbica che vuol cambiare pagina. A far da contorno, le turbe mentali e le strane angoscie di Virginia, condite da sogni altrettanto bizzarri. Perchè quando perdi la tua strada, recuperarla richiede un prezzo elevato.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1)
Fuggi coniglio.
Fuggi bastardo.
Fuggi preda.

Fuggi dal campo visivo. Fuggi perché vorresti salvarti, vorresti metterti in salvo. Ma non ci riuscirai. La tua patetica vita non merita di essere salvata. E  non sarò certo io quello che te la lascerà. La vita non dovrebbe esser data a persone patetiche come te.
Ormai sei mio. Smettila di fuggire. Sei troppo lento per me. Troppo lento, e troppo stupido.
Sei mio ormai. Mio, mio e soltanto mio. Cosa scappi a fare? Solo per allungare le tue sofferenze? Che sforzo vano, il tuo. Che inutile e infruttuoso spreco di energie. Pochi metri ti separano da me. 3 metri. Riesco a sentire il tuo odore. Odori di paura. 2 metri. 1 metro. Ti ho preso. E ora muori.







Di nuovo pioggia. Ancora pioggia. Sono giorni che il cielo non fa altro che eruttare pioggia. Non capisco da dove provenga tutta quest’acqua. Mah! Non capirò mai per quale motivo deve piovere. A cosa diavolo serve la pioggia? Ma soprattutto, a che diavolo serve l’acqua? È un elemento insulso e inutile, l’acqua. Non serve assolutamente a nulla. Che me ne faccio di tutto sto liquido, quando nella vita contano soprattutto le cose solide, come il ghiaccio, la terraferma, la roccia, il fuoco… quelle si che sono cose utili.
Ovviamente, quella stupida della mia matrigna non la pensa così. Pensa che l’acqua sia un elemento importantissimo per la vita sulla terra. “Senza acqua, come faremmo noi donne a truccarci? E poi, l’acqua rende più sexy. Tuo padre infatti mi ha conosciuto proprio mentre uscivo dall’acqua durante una giornata a mare”. Mio Dio, ma mio padre quel giorno non poteva rimanersene a casa?








Mamma mia quanto è buona la grappa di Joe! È una vera sinfonia per il palato. Dopo un buon omicidio, non c’è niente di meglio di quel nettare per rimettersi in sesto.
Sarà meglio tornare a casa, però. Quelle due squinternate di Federica e Virginia si staranno sicuramente chiedendo che fine ho fatto. È comprensibile, visto che sono le due di notte passate. Accidenti, uccidere quel pezzo di merda si è rivelato più difficile di quanto pensassi. Non credevo davvero di metterci tutto questo tempo.







“Ron, finalmente sei tornato. Ma dove cazzo sei stato?”. Non imparerà mai. “Veramente mi chiamo Robert. Federica, quando capirai come mi chiamo il mondo sarà finito”. “Fa lo stesso, Bob. Vieni, sbrigati. Virginia ha avuto un’altra crisi. Sei il solo che può aiutarmi”. “Ti prego, Fede, non stasera. Ho avuto una giornata pesantissima. Abbi pietà di me”. Nel frattempo, Virginia, in preda alla pazzia, urla e si dimena come un ossessa. Sembra veramente una bestia scatenata, pronta a sbranare chiunque si fosse avvicinato. Per fortuna sono ormai abituato a questi atteggiamenti, quindi vederla in quelle condizioni non mi fa più tanto effetto.
Ricordo che la prima volta che la vidi così, per poco non ci rimasi secco: Virginia infatti con un gran balzo mi fece cadere per terra, e la mia testa sfiorò lo spigolo di un mobile.
Da quell’episodio rimasi così traumatizzato che non uscii di casa per giorni.
“AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH…BASTAAAAAAAAAAAAAAAAA!”.“Cazzo che vocione che ha. Meno male che nel palazzo oltre a noi non abita nessuno. Ma mi spieghi com’è successo?”. “Niente, stavamo discutendo delle posizioni migliori per scopare, e all’improvviso si è messa ad urlare VOGLIO UN CAZZO, VOGLIO UN CAZZO!”. “COSA?”
C’è poco da fare, quando uno nella sua vita pensa di averle sentite tutte, succede sempre qualcosa di peggio.





Incazzata. Ecco come mi sento in questo fottuto momento. Incazzata con tutto e tutti.
Incazzata con questa stupida pioggia, che non accenna a smettere e non mi fa dormire. Incazzata con quell’arpia della mia matrigna, che anche stasera mi ha fatto uscire di senno con i suoi discorsi “da brava ragazza educata”. Incazzata soprattutto con mio padre, che si fa mettere i piedi in testa da quella puttana vestita da modella.
Dio, quanto la odio.
Quanto vorrei uccidere quella troia e riportare in vita mia madre. Sarebbe la cosa più bella del mondo. Eravamo così felici quando c’era mia madre, così allegri, spensierati, pieni di vita… sembrava che la vita per noi fosse solo un gran divertimento, un’enorme giostra dalla quale non volevamo scendere mai. Era così divertente passare i pomeriggi insieme. Ricordo ancora quel giorno che andammo a Roma: fu uno dei giorni più belli della mia vita. Un giorno che rimarrà per sempre nel mio cuore. Cuore che, da quando mia madre è morta, non fa che provare odio.






“Vieni qui, porco”. Senza nemmeno darmi il tempo di riflettere, Virginia decide di passare all’azione: prima mi tocca il pacco, durissimo perché eccitato dalla strana situazione, poi si abbassa, mi toglie pantaloni e mutande e lo prende in mano. “Però. Devo ammettere che, se non fossi lesbica, ci farei un pensierino su di te”. “Federica, per favore. È gia abbastanza imbarazzante”. “Ma come, un uomo forte come te che si imbarazza a stare nudo davanti a due donne? E che sarà mai?”. “Eh si, che sarà mai. Come se fosse una cosa normale”. “Ma da quanto non scopi?”. Tasto dolente.
Effettivamente non sono mai stato un granché con le donne, anzi, se devo proprio dirla tutta, sono una vera frana. “Sinceramente parlando, da parecchioooooo”. Virginia è passata alle vie di fatto: in questo momento è difatti impegnata a ciucciarmi il cazzo. “Oh, si, cazzo, si”. Devo ammettere che è piuttosto brava: le sue labbra aderiscono perfettamente al mio pene e la sua lingua, ruotando con maestria, mi sta portando a vette di piacere mai toccate. Istintivamente, le metto una mano sulla testa, accompagnandone i movimenti, mentre Federica mi sussurra all’orecchio frasi dolci: “Ti piace come succhia la mia ragazza, eh? Maiale. Scommetto che avresti voluto che te lo succhiassi anch’io. Immagina: due troie a tua disposizione, pronte a fare qualunque cosa per soddisfarti e per accedere al tuo succo del piacere”. Le parole di Federica mi mandano fuori di testa, tanto da farmi venire con un copioso getto di sperma in bocca alla sua ragazza.









Un terribile temporale infuriava quella notte. Un temporale che sarebbe rimasto a lungo nella memoria di tutti. Un temporale così terribile da far rimanere sveglia la gran parte degli abitanti.

Tra questi, vi era anche Erika che dai suoi occhioni azzurri faceva trapelare solo un sentimento: la paura. Lei non aveva mai amato la pioggia, anzi, l’aveva sempre odiata con tutte le sue forze, e ancora di più odiava i temporali. Non poteva davvero sopportare il terribile, sordo rumore dei tuoni che si abbattevano sulla città. E dire che Erika, di norma, era una ragazza molto coraggiosa, che non aveva paura di nulla. Tuttavia, i temporali proprio non riusciva a sopportarli. Era più forte di lei.



Nello stesso momento, un serial killer stava facendo finalmente ritorno a casa, soddisfatto e beato come non mai. D’altronde, come dargli torto? Aveva anche quella sera ucciso un altro sporco e bastardo individuo che non meritava di vivere, ed inoltre Virginia, la sua vicina di casa, che di regola è lesbica, gli aveva fatto un pompino sotto gli occhi di Federica, la sua ragazza. Tutto questo per calmare quella pazza che, come sempre, aveva dato di matto per chissà quale motivo assurdo. A volte il killer si chiedeva com’era possibile che una ragazza dolce e bella (anche se strana) come Federica perdesse tempo con quella psicotica, mentre la fuori c’erano altre mille ragazze che sarebbero cadute ai suoi piedi. Non riusciva davvero a crederci.


Federica, dal canto suo, a differenza della sua ragazza, faticava a prendere sonno. Era ormai qualche notte che non riusciva a dormire, probabilmente perché l’ultima volta che aveva cercato di riposare si era ritrovata appesa penzoloni al balcone, e Dio solo sa come sia riuscita a non cadere giù. Per cui, in mancanza di sonno, faceva quello che da parecchio era ormai diventato il suo scaccia crisi: mangiare schifezze del supermercato.



Virginia, invece, dormiva beata.



  
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