Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: momoallaseconda    04/03/2017    3 recensioni
Di come potrebbe finire One Piece ne hanno parlato in tanti. A me piace pensare possa finire così.
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Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con il futuro e si preparò a vuotare il sacco.
-È finita, capitano.- Sorrideva serafica, come solo lei sapeva essere, anche in quel momento.
RufyxRobin SanjixViolet SaboxKoala
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La vita era imprevedibile.
Iniziava casualmente per volere di qualcun altro e finiva spesso in un modo che non avevi scelto tu.
Era piena di paranoie e dubbi esistenziali che non potevi risolvere solo con la logica.
Non rimanevi quasi mai soddisfatto del presente e ignoravi cosa ti riservasse il futuro, anzi certe volte dovevi essere grato solo per la possibilità di averlo un futuro.
Le cose desiderate avevano la spiacevole caratteristica di arrivare troppo tardi o addirittura mai.
I momenti brutti ti insegnavano che qualunque cosa fosse successa occorreva stringere i denti ed andare avanti, perché i periodi bui passavano, non duravano per sempre ed era necessario trarre sempre il meglio da ogni cosa per poter essere davvero felici.
Clover una volta le aveva detto che l’importante non era quello che trovavi alla fine di un percorso, ma quello che provavi mentre lo percorrevi, e anche se la vita fosse stata difficile e brutta, molto brutta, lo era sempre meno della morte e ci sarebbero stati anche momenti felici, un giorno.
In un giorno di sole come tanti, Nico Robin si ritrovò a pensare seriamente a quelle parole.
Nell’arco della sua esistenza aveva avuto parecchio tempo per riflettere e aveva capito che la vita la si poteva progettare, ma non programmare. In effetti nessuno, nemmeno Clover che tutto sapeva, avrebbe mai potuto programmare l’arrivo di Rufy.
Come una brava gomma da masticare, il pirata era rimasto appiccicato a lei, ai suoi pensieri e alla sua vita, fin dal primo momento. Era inimmaginabile pensare che un ragazzo giovane, ingenuo e a volte dalla dubbia intelligenza, sarebbe arrivato come un uragano a sconvolgerle l’esistenza e a mettere in crisi ogni sua convinzione, come quando era andato a riprenderla in cima a quella maledetta torre. Aveva cercato di cancellare i propri errori punendosi, ma non era servito a nulla, in fin dei conti si sapeva già che la gomma da masticare era difficile da staccare.
Doveva molto a quel ragazzo. Sorrise nostalgica. Gli doveva davvero tanto, forse pure troppo.
Una nuova vita lontana dalla solitudine, degli amici sinceri, una protezione su cui poter fare sempre affidamento, la possibilità di fare ancora del bene per questo mondo e ultimo, ma non per questo ultimo, era grata per il suo amore, quello che le dimostrava ogni giorno di più anche dopo sei anni. Un amore che lei ricambiava senza remore, incondizionatamente, in un modo che non credeva possibile.
La vita era davvero strana. Non decidevi tu di venire al mondo e spesso non decidevi come andartene, ma potevi cambiare il presente e forgiarlo a tuo piacimento, infondo l’oggi era il giorno che ti faceva paura ieri.
Lei aveva patito pene peggiori dell’inferno ma la vita che aveva ora se l’era guadagnata, lottando per ciò in cui credeva e dando fiducia alle persone giuste.
Si era guadagnata la realizzazione del suo sogno, la possibilità di partecipare all’attuazione di un nuovo Governo Mondiale, si era meritata l’amore dell’uomo migliore del mondo e aveva avuto l’opportunità di partecipare alla creazione di una nuova vita. Aveva scoperto la gioia di essere madre, lei che una mamma non l’aveva mai avuta.
Il suo paradiso personale lo aveva trovato su quell’isola, in una casetta vicino al mare, con un uomo buono e un inaspettato bambino che le riempiva il cuore di un amore così profondo che a stento riusciva a quantificare.
Dopo tante sofferenze, con la certezza che la sua anima fosse ormai dannata e destinata a non avere mai espiazione, non pensava di poter sognare una vita così bella.
Tenere in braccio il suo bambino addormentato, coccolandolo come ora, la faceva sentire una persona completa. Non credeva che avrebbe mai scoperto cosa si provava ad amare qualcuno così tanto da dare la vita pur di non vederlo mai soffrire. Era bellissimo sapere di poter trovare la redenzione in lui, vivere un po’ più a lungo, continuare ad esistere attraverso il suo bambino, nei suoi ricordi.
Robin sorrise materna, per una volta ad un esserino che a tutti gli effetti poteva vantare di aver davvero generato lei, distogliendo lo sguardo da lui solo per posarlo sull’altra metà del suo cuore.
Rufy era in piedi davanti a loro, tanto per cambiare impegnato in una assurda discussione con il fratello.
Da quando si erano trasferiti tutti a Marijoa le loro liti erano all’ordine del giorno.
Robin rise piano, il padre di suo figlio si comportava spesso da sciocco, ma a lei non gliene poteva importare di meno. Una donna non cerca sempre un uomo che la faccia ridere? Non di sé magari, ma quelli erano dettagli irrilevanti perché con lui ogni attimo era sempre meglio di quello passato.
Koala la pensava diversamente mentre sbuffava irritata dal letto d’ospedale dove appena il giorno prima aveva dato alla luce la sua secondogenita e osservava con cipiglio seccato marito e cognato litigare, i lunghi capelli legati in una comoda treccia che torceva per il nervoso. Robin le sorrise complice, carezzandole lievemente una mano, cercando di infonderle con lo sguardo la stessa serafica calma che la contraddistingueva da sempre. L’amica sembrò capire e sospirò pacata, continuando a cullare la piccola Lyla e decidendo di donare a lei tutta la sua attenzione.
Si, Robin amava con tutta sé stessa la vita che si era guadagnata, anche se in certi momenti avrebbe desiderato un po’ di tranquillità in più… e che arrivasse sotto forma di pugno fumante di Nami.
Riportò gli occhi su compagno e cognato, scotendo piano la testa, facendo ondeggiare leggeri i capelli a caschetto tagliati dopo il parto, bene attenta a non svegliare il suo bambino, l’unico in quella stanza in grado di pareggiare col padre in quando a forza polmonare e che stranamente ancora non aveva dato cenno di fastidio per la discussione che aveva luogo in quella stanza da qualche minuto. Sospirò divertita, erano due adulti perché si intestardivano su cose banali come quelle? Cosa importava se Rufy aveva voluto chiamare loro figlio…
“…Ace? Che c’entra lui?” esalò il moro, come leggendole nella mente e catalizzando la sua attenzione.
Sabo lo fissava torvo. “C’entra! Mi hai soffiato il nome di mio fratello!”
Rufy mise il broncio. “Io non ti ho soffiato niente! Tu hai avuto due femmine, io un maschio! Sono arrivato per primo ed Ace era anche mio fratello!” rispose piccato, incrociando le braccia.
“Ma questo vuol dire che se il terzo sarà maschio io non potrò chiamarlo così!” ruggì testardo l’altro.
Koala, che aveva appena deposto la piccola nella culla di fianco al suo letto, a quell’ultima uscita non riuscì a trattenersi. “Il terzo cosa, scusa?” esclamò spalancando gli occhi e guardandoli scioccata, venendo ignorata.
“Tu potresti mettere il mio a tuo figlio!” proclamò improvvisamente Rufy, entusiasta per l’idea geniale.
Sabo lo guardò male. “Ottimo, allora appena sarai morto farò un figlio solo per mettergli il tuo nome!”
“Io non farò un terzo figlio!” proclamò Koala decisa ma ignorata nuovamente.
Rufy si rabbuiò. “Volevo solo aiutarti e poi non è mica obbligatorio essere morti!”
“Si, invece!”
“No!!”
“Si!!!”
“MA CHE DISCORSI FATE???” alla fine, Koala era esplosa. I due litiganti si girarono a guardarla, tranquilli.
“Tesoro, calma. Il dottore ha detto che non è il caso di far agitare la bambina in questi giorni!” le disse Sabo, con un sorriso dolce che voleva sembrare rassicurante ma sortì l’effetto opposto.
Koala fumava dalle orecchie. “Tesoro…” mormorò con voce stridula, facendogli il verso “…la bambina non ha problemi! Le tue idiozie fanno agitare me!”
Sabo stava per ribattere alla moglie, ma Rufy lo precedette. “Ho trovato!!”
Robin, Koala e Sabo si voltarono verso di lui, Rufy si entusiasmò. “Potresti chiamarlo Barbabianca oppure Roger!” esclamò soddisfatto, convinto di aver risolto un problema che i più giudicavano inesistente.
Koala sprofondò nei cuscini affranta, Robin iniziò a ridere, ma Sabo si mise a riflettere. “In effetti non è una cattiva idea, il nome del padre…” mormorò pensoso, prima di aprirsi in un grande sorriso. “Ok è deciso! Il mio terzo figlio lo chiamerò Dragon!”
A Rufy scivolò via il sorriso, mentre Robin si copriva la bocca con la mano per frenare le risate sempre più forti.
“Starai scherzando, spero!” esalò Rufy, gli occhi spalancati “Non puoi! È mio padre!”
Sabo si mise le mani sui fianchi. “Lo è stato anche per me!”
“Non va bene lo stesso!” proclamò il moro, profondamente oltraggiato.
“E chi mi ferma, tu??” lo sfidò.
“Certo! E poi non è mica morto! Tu li vuoi morti!”
“La soluzione è semplice…” si intromise Robin, un sorriso enigmatico in volto. “Basterebbe far fuori Dragon…”
Koala riemerse dai cuscini guardandola sconvolta. “Ti prego, non ti ci mettere pure tu!”
Sabo le ignorò e proseguì convinto. “Ripensandoci, è meglio che al terzo metta nome Garp!”
“Non ci provare!!” esclamò Rufy, sgranando gli occhi. Robin ormai tratteneva le risate a fatica.
“Siete due idioti! Tanto io il terzo non lo faccio!” esclamò Koala che sprofondò nuovamente tra i cuscini, chiudendo definitivamente la questione.
 
“Rufy?”
Il moro distolse gli occhi dal mare per posarli sulla compagna, trovandola che lo scrutava curiosa.
“Va tutto bene?” gli chiese.
Lui le fece uno dei suoi enormi sorrisi, annuendo e riprendendo il cammino con il piccolo Ace in braccio.
Robin non si lasciò ingannare, conosceva bene le espressioni di quell’uomo ed era da quando avevano lasciato la camera d’ospedale di Koala venti minuti prima che Rufy era strano, taciturno e fin troppo calmo.  Aveva un pensiero fisso da giorni, se n’era accorta, e ora credeva finalmente di aver intuito quale fosse.
Lo affiancò, riprendendo insieme a camminare sulla spiaggia, ormai quasi arrivati alla piccola costruzione che si vedeva in lontananza e che per sei anni avevano chiamato casa.
Robin prese ad osservarlo di nascosto, vedendolo puntare gli occhi sul mare, sui gabbiani che volavano nel cielo azzurro del mattino, sull’orizzonte sgombro di nuvole, distogliendo velocemente lo sguardo ogni volta per posarlo su Ace che ancora gli dormiva in braccio, ma riportandolo poi costantemente sulla distesa d’acqua infinita.
Robin sospirò dolce. Si, era palese cosa bramasse il suo uomo ed anche cosa temesse, lo capiva perché la stessa cosa succedeva anche a lei da giorni.
Dopo essere rimasto sopito per qualche anno, il richiamo del mare stava ora avendo il sopravvento su ogni altra cosa e se lo avvertivano loro, probabilmente stava accadendo lo stesso anche ai loro compagni.
Dal suo punto di vista sarebbe stata una scelta semplice, ma Rufy aveva una responsabilità da capitano, avrebbe dovuto decidere per altre otto persone, non certo che loro volessero riprendere il mare con lui, ed ora aveva anche un dovere come padre.
Robin sorrise notando il suo sguardo abbacchiato, non si meritava di prendere questa decisone da solo.
“Rufy…” attirò la sua attenzione. “Lo sai… non hai che da chiedere…”
Il moro spalancò gli occhi preso in contropiede e la donna proseguì. “Il mio lavoro qui è finito. Non c’è più alcun motivo per rimandare l’inevitabile.” mormorò saggia.
Rufy posò mesto lo sguardo sul bambino. “Ma… Ace è ancora così piccolo.”
Esitazione da padre, assolutamente non da lui dal momento che tra loro era certamente il meno apprensivo, ma quel contesto era diverso, non dovevano semplicemente andare al parco, si trattava di decidere se riprendere il mare, con tutti i pericoli del caso, insieme ad un bambino di nemmeno un anno a bordo.
Robin non demorse, pericoli ce ne sarebbero sempre stati, lei per prima era terrorizzata all’idea che accadesse qualcosa ad Ace, ma era altresì certa che sarebbero stati felici sulla Sunny. I loro compagni le mancavano molto e sapeva che Ace avrebbe avuto tanti zii e zie pronti a proteggerlo in caso di necessità. Era sicura che il richiamo del mare fosse giunto a lei e a Rufy nello stesso momento per un motivo e poi… voleva che il suo bambino crescesse con la famiglia al completo, amando il mare e vivendo mille avventure come i genitori.
Sorrise sicura al compagno, infondendogli coraggio. “Anche Ren è piccolo. Però non credo che quei due si faranno i tuoi stessi scrupoli…” Rufy accennò un sorrisetto, tornando subito serio guardando il bambino.
Robin contemplò il mare, carezzando la testolina di Ace.
“Capitano...” il moro sobbalzò sentendosi apostrofare in quella maniera, non si sentiva chiamava così da sei anni.
Lei lo fissò intensamente. “Gli altri ti mancano, così come a me. Lo vedo come ti manca navigare e vivere avventure per mare. Siamo rimasti nascosti per troppo tempo… vedrai, sapranno proteggerlo, tu saprai proteggerci tutti come hai sempre fatto!”
Rufy abbozzò un timido sorriso innamorato, toccandosi appena l’immancabile cappello di paglia che da sempre teneva sulla testa. “Ma che ho fatto per meritarti?”
Lei sembrò rifletterci un istante. “Salvarmi la vita ha aiutato…” mormorò ridendo.
Ace prese ad agitarsi tra le braccia di Rufy, attirando la loro attenzione. Rapiti lo osservarono aprire gli occhi ed elargire piccoli versetti ad entrambi, agitando le manine in aria, ben felice di essersi svegliato in braccio al papà. Rufy ridacchiò posando nuovamente lo sguardo sulla madre di suo figlio, vedendo nei suoi occhi il luccichio di zaffiro che tanto amava, diventare sempre più luminoso man mano che guardava lui ed Ace come se fossero stati la cosa più bella del mondo. Sospirò quieto con una determinazione vivace che brillava nello sguardo.
“Credo che il mondo si sia goduto abbastanza la sua tranquillità… È ora di fare un po’ di rumore!” proclamò ridendo, gli occhi sull’orizzonte.
 
°
 
La vita era faticosa.
Quante volte ci si chiede, nei momenti di sconforto che la vita offre immancabilmente, come potersi rialzare, come uscirne, come vivere le difficoltà senza causare altri danni?
Franky non lo sapeva. Lui, a suo tempo, quella domanda se l’era posta più come una sfida, decidendo da solo di tagliare i ponti col passato pur di non essere costretto a scontrarsi con i suoi demoni. Era molto più facile diventare qualcun altro, piuttosto di affrontare i problemi rimanendo sé stessi e questo il carpentiere Cutty Flam lo aveva deciso con notevole sollievo, diventando il criminale Franky. Chiunque lo considerava un mostro, quindi perché non appoggiare quella diceria e diventarlo veramente?
Ma anche così, con una vita apparentemente perfetta con la sua banda, c’era un sassolino che premeva nella scarpa, smanioso di uscire e nel mentre deciso a fare più male possibile.
Sapeva che avrebbe sempre avuto sulla coscienza la morte del suo maestro, pur non avendo colpe dirette.
L’avventura passata con Rufy e gli altri aveva rivalutato il suo concetto di espiazione dei peccati, portandolo gradualmente non solo a realizzare il suo sogno più grande, ma anche a capire di non poter più affrontare da solo i suoi timori. Era molto più facile aver fiducia in sé stessi se qualcuno altro prima si era fidato di te. Rufy aveva visto in lui il buono che non credeva più di possedere e lo aveva salvato.
Iceburg e gli abitanti erano stati felici di rivederlo dopo essere tornato a Water Seven, non credeva che lo avrebbero accolto così calorosamente. In sei anni aveva lavorato sodo per riabilitare il suo nome agli occhi dei cittadini, arrivando ad accettare la richiesta di Iceburg di diventare suo socio nella direzione della Galley-La Company (anche se di rado si faceva vedere quando c’era da sistemare le scartoffie, quelle le lasciava volentieri ad Asinburg), nonché a diventare un membro affidabile della comunità, pur mantenendo la vena di follia che da anni lo contraddistingueva continuando imperterrito ad indossare come capo di vestiario solo mutande e camicie hawaiane anche in ufficio e cercando sempre di migliorare il corpo robotico con qualche nuova tecnologia che puntualmente Vegapunk gli spediva dai remoti angoli del mondo dove soggiornava.
Eppure non sempre era sufficiente venire perdonato dagli altri, nella maggior parte dei casi eri tu a dover perdonare te stesso e, in quelle settimane primaverili, guardando il mare calmo dalle lunghe scalinate della metropoli dell’acqua, Franky aveva realizzato dopo tanto tempo di esserci finalmente riuscito.
Lavoravi tutta una vita per veder realizzati i tuoi scopi e qualche volta eri fortunato, ce la facevi.
Provava ancora angoscia per la fine orribile dei loro alleati su Raftel, ma capiva che erano morti da eroi e nessuno avrebbe mai scordato il loro gesto. Il legame che univa una vera famiglia non era quello del sangue, ma quello del rispetto e della fiducia reciproca e lui ormai considerava tutti, Iceburg, Pauly, la sua vecchia banda, Kokoro, Law, Cavendish… tutti la sua immensa famiglia, tenendo nel cuore un angolo speciale per otto persone particolari, delle quali sentiva la mancanza ogni giorno un po’ di più.
Sorridendo nostalgico, scostò gli occhiali da vista che avevano gradualmente preso il posto di quelli da sole, e si asciugò una piccola lacrimuccia, avviandosi verso il dock uno, sentendo il bisogno di rivedere una vecchia amica.
Capitava spesso che la nostalgia e la tristezza prendessero il sopravvento e in quei casi Franky trovava pace solo dirigendosi nel magazzino principale della Galley-La che confinava col porto.
Anche quella sera vi si recò ed una volta lì, la totale assenza dei soliti carpentieri non lo stupì più di tanto, ormai era il tramonto, erano tutti andati a casa. Salutò con uno dei suoi ‘Suuuuper’, Yokozuna che spesso trovava a fare la guardia notturna alle imbarcazioni non ancora terminate, per conto di Pauly.
La rana rispose gracchiando entusiasta e lo seguì saltellante lungo i corridoi bui, fino ad un anfratto semi nascosto alla vista, che portava ad una piccola insenatura all’interno del dock uno di cui pochi erano a conoscenza. Lì, occultata e isolata ma ancora in perfette condizioni, si ergeva in tutta la sua magnificenza, la meravigliosa Thousand Sunny.
Franky si beò di quella vista che mai lo avrebbe stancato, come fosse andato a far visita ad una figlia. Non la vedeva solo da qualche giorno, ma sembrava sempre troppo tempo. Con timore reverenziale, prese ad osservarla in ogni angolo, pronto a riparare eventuali graffi o danni, pur sapendo non fosse possibile trovarne essendo nascosta ai più da sei anni. Toccandole lo scafo ebbe il solito brivido, ultimamente stava capitando spesso. Da settimane avvertiva nell’aria qualcosa ogni volta che si avvicinava alla nave. Sentiva distintamente una sorta di elettricità, un cambiamento nell’aria, ma non sapeva bene come interpretare quei segnali. Stringendosi nelle spalle, convinto fosse solo una sua impressione, si congedò dalla nave, salutando la rana gigante e, lasciandola al suo lavoro, si diresse al quartier generale della Galley-La, preparandosi all’idea di una bella cenetta.
Ridacchiò da solo pensando a quanto gli mancassero i manicaretti di Sanji, anche se non poteva dire che i cuochi di Water Seven cucinassero male, solo che Sanji era più bravo, ecco. Soprattutto sentiva la mancanza di quelli che aveva preparato gli ultimi giorni insieme, grazie alle ricette che gli abitanti di Raftel avevano gentilmente condiviso con loro, essenziali per cucinare i pesci che esistevano solo nei dintorni dell'isola, il suo famoso All Blue. Ripensò con affetto agli occhi lucidi del cuoco quando aveva realizzato di averlo trovato per davvero, e anche alla sua decisione di non sfruttarlo. Proprio come lui, quando aveva deciso di non abbattere il boschetto, anche Sanji aveva capito che non sarebbe stato giusto depredare quel tratto di mare dei suoi tesori. Ne aveva giusto assaporato le prelibatezze preparandoli durante il loro soggiorno, con il benestare degli abitanti che di quel mare vivevano.
Stava ancora rimuginando su quegli splendidi giorni senza pensieri mentre camminava per i corridoi, quando notò la luce dell’ufficio che condivideva con Iceburg, ancora accesa e si stupì di trovarvi il socio impegnato nella lettura di alcuni documenti, con Mozu sua segretaria, che attendeva paziente con un blocchetto in mano.
Franky si schiarì la voce, entrando. “Che fate ancora qui? Non dovreste già essere a cena?” chiese curioso.
Iceburg sollevò lo sguardo un attimo, rimettendosi subito a leggere le carte. “Se non lo faccio io, qui non lo fa nessuno.” mormorò, facendo alzare un sopracciglio a Franky. “Sono le nuove regolazioni stilate dal Neo Governo Mondiale per quanto riguarda i nostri due treni marini, appena arrivate da Marijoa.” Iceburg lo fissò di sottecchi. “Hanno dato finalmente una disposizione efficace anche per il nostro mestiere. Stanno facendo un gran bel lavoro laggiù…” considerò, ammirato.
Franky, sedendosi di fronte al vecchio amico, non poté non sentirsi orgoglioso, la sua sorellina Robin stava davvero cambiando il mondo come speravano.
“Visto che sei qui…” proseguì l’uomo. “Dovrei farti visionare alcune carte per sistemare le fondamenta di Water Seven. Pauly ha detto che se diamo entrambi l’approvazione, può organizzare una squadra per il primo collaudo della chiglia sperimentale che hai ideato. È probabile che dovremo evacuare una parte della città, dobbiamo saperlo per tempo.” Gli passò dei fogli. Franky si sistemò meglio gli occhiali e li prese in mano studiandoli per qualche minuto, per poi restituirglieli con un ghigno. “Mi sembra un suuuper progetto! Per me potete iniziare quando volete, la chiglia è già pronta! Magari quest’anno ci riusciamo davvero a trasformare l’isola in una nave!” esclamò ridendo benevolo.
Iceburg annuì serio. “Immaginavo fossi d’accordo... bene, Mozu? Per favore, entro domani stila una lista dei fornitori da contattare e prepara un piano per l’evacuazione solo delle zone nei dock 2 e 3 per i prossimi due giorni. Fatti aiutare da Kiwi appena ha finito con il magazzino del dock 4. I cittadini saranno a spese della Galley-La, ospitati nei migliori hotel. Poi puoi congedarti, abbiamo finito per oggi.”
Mozu terminò di prendere appunti e con un gran sorriso si affrettò a lasciare la stanza, lanciando una raggiante occhiata al Boss, che restituì il sorriso.
Non appena la porta si fu chiusa dietro di lei, Iceburg prese parola. “Sei stato alla Sunny, oggi?”
Franky annuì. “Si, stasera.” mormorò stranamente poco loquace, gli occhi al soffitto.
Al socio non sfuggì. “Non sei mai stato bravo a nascondere le emozioni. Ultimamente sei più assente del solito e non parlo solo del lavoro, non ti ho più visto nemmeno fare uno dei tuoi stupidi numeri… che cosa succede?”
Franky lo guardò abbattuto. “…diciamo che ho una strana sensazione addosso…”
Iceburg si accigliò. “Che genere di sensazione?”
Il cyborg ghignò, titubante. “Non ne sono sicuro ma credo che qualcosa stia per succedere. Da qualche giorno ho un pensiero fisso e non riesco a levarmelo…” mormorò, lo sguardo puntato sulla finestra al cielo che si faceva via via più scuro.
Il sindaco aggrottò le sopracciglia, pronto ad azzardare un’ipotesi quando il bussare alla porta lo precedette. Senza attendere risposta Pauly e Tilestone entrarono come furie nell’ufficio. Alle occhiate stranite dei loro capi, si affrettarono a riprendere fiato per spiegarsi. “Scu- scusate! Anf anf… scusate per i mo-modi buschi!” Pauly deglutì rumorosamente, mentre il suo compare cercava di fare dei respiri profondi per calmare l’affanno della corsa.
“C-c’è una nave! Giù in porto! Una nave strana!”
Tilestone gli diede man forte. “U-una nave molto particolare! Anf… Do-dovete venire subito!!” esclamò affannato ma entusiasta guardando fisso l’enorme cyborg che restituì l’occhiata, esitante, gli occhi che si sgranavano.
Non sarà mica…
Iceburg si schiarì la voce, ignorando i due dipendenti, ed esalò un laconico. “Cutty Flam, credo che questo ufficio sia diventato troppo piccolo per noi due…”
Franky si girò appena, squadrandolo furbo da sopra la spalla. “…stai per caso cercando di cacciarmi?”
L’uomo fece spallucce. “Credo solo che i tuoi servigi non siano più necessari…”
“Ma davvero?” Franky sorrise, entrambi sorridevano.
Pauly e Tilestone avevano osservato lo scambio di battute senza battere ciglio, non capendoci nulla ma rendendosi conto subito di essere stati bellamente ignorati. Pauly, sigaro spento alla bocca, azzardò nuovamente un approccio. “Scusate, signor Iceburg, Franky, forse non avete capito! Dovete venire subito al porto! Sono arriv-”
Il cyborg lo zittì alzando in aria una delle sue enormi mani, continuando a ghignare in direzione del vecchio amico, nonché ormai ex-socio.
“Lo so Pauly, lo so…” sussurrò emozionato. “Sono loro…”
Credo che mi servirà una nave…
 
°
 
La vita era trasformazione.
Nascevi, crescevi, ti riproducevi e morivi. Solitamente l’esistenza non ti permetteva di avere più di questo, ma pochi fortunati riuscivano ad ambire a qualcosa di più.
Un sogno. La promessa di mantenerlo a tutti i costi. La gioia di portarlo a compimento. L’impegno di tramandarlo ai posteri.
Dentro ciascun essere vivente esisteva una qualche forza capace di annullare o ribaltare il proprio destino, bastava solo crederci. Infondo era questione di prospettive, quella che il bruco chiamava fine del mondo, il resto del mondo la chiamava farfalla. Qualcosa alla ‘hai lottato, non è stato facile, ma sei qui, più forte di qualsiasi altra cosa!’
La felicità arrivava quando meno te lo aspettavi, ma mai in maniera casuale, si insinuava attraverso una porta che non sapevi di aver lasciato aperta e ti mostrava un mondo diverso.
Per Chopper la vita avrebbe potuto essere molto peggio se non avesse incontrato la ciurma di Cappello di Paglia. Nel normale scorrere del tempo, la dottoressa Kureha lo avrebbe abbandonato andando a far compagnia al suo vecchio maestro e lasciandolo completamente solo.
Certe volte immaginava la sua vita se non avesse incontrato Rufy, se non avesse mai lasciato l’isola, se Hilk non fosse mai morto. Probabilmente avrebbe mantenuto le stesse ambizioni, destinato a non vederle mai realizzate e obbligato ad abituarsi all’idea. Aveva sempre saputo di avere un sogno un po’ troppo ambizioso, eppure non voleva arrendersi, non era per sé stesso che lo faceva. Certo poi c'erano malattie per le quali non avrebbe potuto fare nulla. I suoi studi si fermavano alle patologie che avevano cause ed effetti concreti e a tal proposito, doveva ricordarsi di scrivere ad Usop per sapere come andava...
Chopper sospirò. Sentiva addosso il peso degli ultimi anni come un macigno.
Anni e anni di studi, prove, viaggi solitari per mare, sconforti, analisi, pericoli… gli avevano permesso di acquisire non solo una maturazione fisica e caratteriale da venticinquenne, ma anche conoscenze mediche che si sarebbe solo sognato se fosse rimasto a Drum tutta la vita. Si vergognava dei suoi pensieri perché amava la sua isola, ma lasciarla era stata la cosa migliore che potesse fare, il trampolino di lancio che serviva per la realizzazione del sogno che condivideva con Hilk, e proprio il suo vecchio dottore tornava spesso a far capolino nei suoi pensieri quando si sentiva giù di corda per un fallimento, ricordandogli sereno di continuare che ce l’avrebbe fatta, ormai mancava poco.
Chopper avrebbe tanto voluto fargli sapere tutte le cose bellissime che aveva visto e raccontargli delle sue scoperte, parlargli davvero e non solo ricordarlo come un immagine evanescente nella sua testa.
Perché alla fine a furia di tentativi ce l’aveva fatta, c’era riuscito davvero!
I suoi studi non si fermavano, sapeva di avere ancora tanto da fare perchè nel mondo comparivano sempre nuove patologie ma, al momento, nella libreria del castello sapeva di avere a disposizione cure e rimedi per ogni malattia si fosse attualmente mai affacciata sul pianeta.
Il suo sogno non gli era mai sembrato meno presuntuoso come in quel momento, mentre imbustava l’ultimo campione di erbe mediche e le disponeva al loro posto sullo scaffale, ammirando il lavoro di una vita di fronte ai suoi occhi. Polverine, pasticche, vaccini, erbe rare, sciroppi… ma anche liquori, veleni, virus, batteri e ogni sorta di muffa, tutto catalogato e ordinato per categoria in grossi tomi o barattoli, perché si sa che non si può ambire al bene assoluto senza prima conoscere gli effetti del male.
L’equilibrio tra queste due forze era necessario, si trovò a riflettere Chopper inaspettatamente.
A legarle spesso c’era un intreccio sottile, leggero e molto complesso, ma indistruttibile che portava anche a fare scherzi curiosi.
L’equilibrio aveva deciso che nella vita era stato troppo fortunato ad incontrare i pirati i Cappello di Paglia e quindi, come una sorta di compensazione divina incontrollabile, aveva fatto in modo che la sua strada si incrociasse con quella di una vecchia conoscenza che credeva sepolta per sempre nel dimenticatoio.
Una piccola esplosione risuonò tra le pareti del castello parecchi piani sotto i suoi piedi, facendo sobbalzare dalla paura il giovane medico, prima di fargli alzare gli occhi al cielo, seccato. Lanciò un’occhiata alle carte ancora da sistemare e si avviò deciso verso le scale, appuntandosi mentalmente di vietare alla ‘vecchia conoscenza’ anche l’uso del giardino per i suoi esperimenti, da quel momento in poi.
Via via che si avvicinava alla fonte dell’esplosione e le voci si facevano più concitate, Chopper sbuffava sconsolato e intanto rimuginava sul come avesse fatto a cacciarsi in una situazione del genere. Ah già, lo aveva voluto lui.
Sempre a causa del debito che sentiva di avere con l’universo, all’epoca gli era sembrato doveroso proporre al suo vecchio mito, il dottor Hogback, di venire a stare da lui quando lo avevano incontrato per caso, durante il viaggio di ritorno, all’arcipelago Sabaody in evidente stato di povertà e degrado. Era un vecchio pazzo, lo sapeva bene e i suoi compagni si erano premurati di farglielo notare fino alla nausea, ma lui era stato irremovibile. Ufficialmente aveva giocato la carta della seconda occasione, ogni persona ne meritava una nella vita, tutti potevano cambiare anche chi era stato molto malvagio, ufficiosamente gli aveva fatto pena e lui era ancora troppo dolce e ingenuo. Dopo quattro anni che non lo vedeva gli era sembrato soltanto un pover’uomo che chiedeva un’occasione per riscattarsi e a lui era sembrata bellissima l’idea di redimere il proprio mito di adolescente da una vita vuota e miserabile.
Ora, dopo sei anni di difficile convivenza, poteva dire di essere riuscito nel suo intento, Hogback aveva riabilitato il proprio nome e contribuiva al benessere degli abitanti dell’isola. Ogni tanto aveva ancora brevi schizzi di follia passeggera, ma Kureha, che mal lo sopportava, riusciva a riportarlo sulla retta via con un colpo ben piazzato. Gli ultimi due anni erano stati i più faticosi perché al dottore si era aggiunto un nuovo inquilino al castello e, seppur molto più disciplinato e amabile di un tempo, spesso i due insieme risvegliavano in Chopper l’istinto primordiale di buttarli giù dalla rupe a cornate. Si era reso conto presto che era molto più facile vivere per mare con il costante pericolo della morte che incombeva sulla testa, che avere a che fare con Hogback e Absalom ogni santo giorno. Per lo meno, l’uomo leone spesso era assente per i suoi viaggi da reporter.
Sospirò profondamente, aprendo il grosso portone d’ingresso, facendosi investire da una fredda folata di vento.
Non appena mise piede fuori un capogiro lo colse inaspettato, tanto che dovette poggiarsi alla parete per non franare a terra. Ma cosa…?
Prese a fare dei respiri profondi, cercando di placcare i battiti frenetici del cuore, tentando al contempo di auto-visitarsi per capire cosa gli succedeva d’un tratto. Stava bene fino a poco fa!
Riprese lentamente il pieno possesso del suo corpo ed analizzò attentamente l’ambiente intorno a sé. Nell’aria c’era un odore strano e inconsueto che non riusciva a distinguere tra la chiara e persistente traccia di fumo dell’esplosione, ma oltre a quello non notò nulla di insolito nel parco che circondava il vecchio castello, se escludeva i suoi due coinquilini (perché quello erano a tutti gli effetti) poco distanti che gridavano alle prese con un fuocherello da nulla che stava provocando enorme panico in entrambi.
Chissà cosa gli era preso… si riscosse presto, etichettando la cosa come una probabile conseguenza del troppo studio e non ci pensò più, avviandosi deciso verso i due piromani della domenica che erano finalmente riusciti a spegnere il piccolo incendio.
Chopper li raggiunse a passo di marcia e quelli presero a ridacchiare imbarazzati alla vista dell’occhiataccia del giovane medico.
“Sbaglio o avevamo già discusso sul provocare o meno danni per futili motivi nel castello?” dichiarò la renna, pacato, indicando il cucciolo di Lapin che fuggiva nella foresta, il ciuffo di pelo bianco che Absslom ancora teneva in mano, le varie boccette disseminate in giro, il calderone bruciato rovesciato a terra nella foga e l’ormai tristemente noto fumo nerastro che si spandeva in giro.
I due si guardarono ed Hogback si fece avanti, fiducioso. “Fosfosfosfos! Tu avevi parlato del castello, non del parco intorno al castello…” tentò di precisare.
Chopper sbarrò gli occhi. “È lo stesso! Kureha si arrabbierà un sacco quando saprà che avete fatto un altro esperimento sui Lapin! So che vi annoiate ma cercare di trasformarli in conigli normali non vi aiuterà!” precisò incrociando le braccia.
Hogback e Absalom sudarono freddo a quelle parole, erano terrorizzati dall’anziana donna. “Non andrai a dirglielo, vero? Ti prego dottor Chopper, non lo faremo più!” Mugugnò l’uomo leone il viso a terra, ben sapendo di stare toccando il suo punto debole.
Chopper era cresciuto e il fatto di essere ormai un dottore di fama non lo rendeva più incline a ondeggi sconsiderevoli e imbarazzi come un tempo, ciò nonostante sentirsi chiamare così aveva su di lui ancora un po’ d’effetto e le guance gli si colorarono rapidamente. “Sc-sciocchi! Non vi coprirò ancora!” annunciò, coprendosi le orecchie.
“Davvero davvero, dottore?” chiesero in coro, melliflui.
Chopper non riuscì a trattenersi. “Pia-piantatela!” ridacchiò, ondeggiando imbarazzato. “…E va bene! Ma è l’ultima volta!” si riscosse, indicandoli serio con lo zoccolo. I due sospirarono di sollievo.
Una forte ventata gelida proveniente da nord spazzò via quello che restava del fumo nero e provocò a Chopper un nuovo capogiro inspiegabile. Absalom lo afferrò in tempo prima che cadesse a terra.
Stavolta era più forte… ma che mi succede?
“Ehi, renna. Tutto bene?” chiese l’uomo leone, preoccupato.
“S-si…” pronunciò a fatica.
Che strano… mi sembrava di aver sentito… ma no, devo essermelo immaginato…
“Che sta succedendo qui?” una voce lontana gli fece capire che la dottoressa Kureha era tornata dalla spesa al villaggio.
“Fosfosfosfos! Non lo sappiamo, Chopper si è sentito male all’improvviso.”
…eppure io l’ho sentito…
“Sta male? E tu allora? Sei un medico! Guarda che ha, no??” proferì quella, avvicinandosi seccata.
“Non ne ho avuto il tempo!!”
…legno… ferro… fiori di ciliegio… latte… paglia…
“Sembra solo un normale capogiro ma non mi fido di voi due! Non è svenuto, ma… sembra quasi in trance… ehi, Chopper mi senti? Sono Kureha!”
…si… non me lo sono immaginato…
“Chopper? Ho delle notizie da darti! Su riprenditi!”
…li sento... sento il loro odore…
“Su, andiamo! Dorton mi ha appena detto che è arrivata una nave che conosci bene in porto!”
Sono qui… sono qui!
“Cappello di Paglia è venuto a prenderti!”
………
………………
“Ecco ora è svenuto davvero…” commentò la dottoressa scotendo la testa. “Portiamolo dentro mentre avviso Dorton di condurre al castello i pirati… anche quel tipo poi, prima si preoccupa di far perdere le sue tracce per anni e poi scatena quel putiferio a Sabaody, che capitano ti sei scelto, Chopper! …Tu, uomo pinguino, prendi le mie borse e datti una mossa! Dobbiamo far rinvenire Chopper prima che arrivi Cappello di Paglia... E MAGARI NEL FRATTEMPO MI SPIEGATE ANCHE COS'È QUEL DISASTRO IN GIARDINO!!”
 
°
 
La vita era come un concerto.
Il direttore batteva il tempo con la bacchetta e la musica prendeva il sopravvento su ogni cosa, dimenticavi tutto e seguivi quelle note fino a fonderti con esse.
Anche per i meno esperti si intuiva la fatica e l’impegno professati per far si che tanti strumenti dai tanti suoni diversi, diventassero una sinfonia armoniosa e perfetta, di cui fare sfoggio.
La vita era esattamente così.
Nascevi e subito ti venivano date le direttive su come dovessi crescere, qualcuno batteva il tempo per te.
Ti veniva insegnato a diventare parte integrante della società e a seguire la massa, per creare insieme l’armonia ideale.
Non c’erano scappatoie, eri costretto a far parte di quel gioco all’incastro obbligato a perseguire un solo scopo, un solo tipo di strumento, per il resto dei tuoi giorni.
La maggior parte delle persone accettava di buon grado, ma c’erano casi rari a cui veniva riservato un trattamento speciale: i solisti.
Solitamente musicisti sopraffini e degni di nota, ma sprovvisti di pregi più meritevoli di altri per doti canore o strumentali. Semplicemente individui capaci, in grado di emergere dalla massa con eleganza sapendo sfruttare appieno la base musicale per creare un elemento nuovo ed inaspettato.
Persone così non ce n’erano mai state molte, eppure la vita poteva proseguire meravigliosamente lo stesso.
Quindi, perché sentirne la mancanza? Rifletteva Brook.
Perché senza di loro le persone non avrebbero avuto modelli da seguire. Si rispondeva.
Questo mondo aveva ancora bisogno di solisti? Assolutamente si.
Seguire la massa e non tentare di emergere da soli, sarebbe mai stata la scelta giusta? Assolutamente no.
Brook il ‘Re del Soul’, si riteneva un solista? Forse... o forse no.
Di certo un sognatore lo era ancora e la massa non la seguiva più da tempo, ma non mostrava più la verve necessaria per levarsi sopra gli altri e non desiderava nemmeno suonare per una folla che chiamava il suo nome. Quella era stata una bella parentesi, ma destinata a rimanere tale.
Allora era forse all’assolo finale? No, a quello non ancora…
Lui era certo di essere nel pieno, nel bel pieno dell’opera! In quel momento in cui tutti i musicisti, solista compreso, suonano all’unisono per creare l’incrocio di suoni più bello dell’intera composizione, l’attimo che aspetti dall’inizio, da quando il direttore d’orchestra batte due volte sul leggio per dare il tempo. Il momento migliore, quello che ti fa vibrare il cuore e che non vorresti finisse mai. Ecco, lui si sentiva così ogni giorno.
Erano passati sei anni da quando i suoi compagni lo avevano accompagnato ai Promontori Gemelli per incontrare Lovoon ed entrambi avevano sfruttato ogni attimo per recuperare il tempo perso.
Brook ormai non temeva più la solitudine, anzi la cercava spesso e violino alla mano con l’amico usciva in mare aperto con una barchetta gentilmente concessa da Crocus.
A volte stavano via per giorni, arrivando anche a far preoccupare il vecchio custode del faro, ma tornando sempre allegri e spensierati, ricchi di nuovi brani ideati in quelle ore di lontananza, sperando sempre di deliziare il suo amico, il vecchio Crocus e, chi lo sa?, in un futuro prossimo, anche i suoi compagni.
Si, Brook era molto felice della sua vita con Lovoon, però iniziava a provare sempre più nostalgia per i tempi passati. Gli mancava la vita sulla Sunny, desiderava riprendere a vivere nuove avventure per mare, ritornare ad essere un solista, e questa volta nulla lo avrebbe fermato dal portare con sé la sua balena, infondo faceva già parte dei Mugiwara da anni.
Si era separato dai suoi compagni quasi in lacrime ma con la speranza nel cuore di potersi rivedere tutti presto e certe volte gli mancavano così tanto che avrebbe voluto tirarli fuori dai pensieri per riabbracciarli.
Con queste considerazioni ormai abituali nella mente, Brook attraccò la barchetta al piccolo molo dei Promontori, dopo essere stato fuori per tre giorni, uscendone con un balzello agile. Lovoon gorgheggiò felice al suo indirizzo prima di sparire sott’acqua, per il suo abituale sonnellino pomeridiano.
Il musicista si diresse rapido verso il faro. Prima di tornare, era deciso a trascorrere la serata dedicandosi alla trascrizione dei nuovi componimenti che gli erano venuti alla mente mentre era in mare aperto, purtroppo ora temeva fossero attività che avrebbe dovuto rimandare, perché pur non avendo più gli occhi (Yohohoho!), aveva notato la presenza di un’altra barca attraccata al molo e sapeva bene di chi fosse. Aumentò l'andatura, bramoso di sapere che buone nuove potesse portare questa volta il Re Oscuro con la sua venuta.
Aperta la porta del piccolo faro trovò, come previsto, Crocus seduto al tavolo della cucina intento a servire una tazza di caffè caldo al vecchio amico Rayleigh, sorridente come sempre.
“Brook, finalmente!” I due uomini lo accolsero con enfasi gioiosa, invitandolo ad unirsi a loro. Lo scheletro non se lo fece ripetere e Ray gli diede una pacca amichevole sulla spalla ossuta.
“Yohohoho! Come mai da queste parti, signor Rayleigh? È tornato prima stavolta. Di solito non la rivediamo prima di due mesi.” Chiese educatamente, prendendo volentieri la tazza di thè che Crocus gli stava gentilmente porgendo.
“Lo so ma dovevo venire per forza. Stavo giusto raccontando a Crocus delle ultime notizie, ormai non si parla d’altro. Pure Shanks ne è rimasto scombussolato.”
Lo scheletro lo fissò composto, leggermente accigliato. “Che notizie?”
Il medico sospirò. “È tornato oggi dopo tre giorni in mare, Ray. Non sa ancora niente.”
Brook spostò lo sguardo dall’uno all’altro, confuso. Il Re Oscuro ghignò, allungandogli un quotidiano con la data vecchia di giorni. “Il mondo è di nuovo in fermento.”
Il musicista aprì rapido il giornale, gettando un’occhiata veloce ai titoli principali.
Un articolo di mezza pagina annunciava la nomina a grand'ammiraglio della Neo Marina di Smoker e, contemporaneamente, comunicava la data imminente del suo matrimonio.
Un trafiletto a lato invece, diceva che la ciurma dei Pirati Hearts continuava indisturbata la sua avventura per mare, dando noie per lo più all’ammiraglio Coby, costantemente sulle loro tracce.
Capendo non potessero essere queste le novità che diceva Ray, girò pagina e rimase piacevolmente sorpreso nel vedere due gigantografie affiancate raffiguranti una Bibi ed una Rebecca sorridenti, elegantemente vestite. L’articolo annesso riportava notizia che entrambe erano state nominate Regina della propria nazione nell’arco degli stessi giorni, probabilmente anche per suggellare e incrementare la gemellanza che già esisteva tra questi due grandi popoli. Ma lo stupore di Brook a fronte dell’incoronazione delle due amiche era nulla se paragonato a quello che provò leggendo la pagina seguente. Lesse velocemente l’articolo, poi un’altra volta e un’ultima per sicurezza.
Senza parole, dirottò lo sguardo sui due vecchi membri della ciurma di Gold Roger che gli sorridevano con fare saputo. Deglutì rumorosamente. “Sta succedendo davvero?”
Rayleigh sghignazzò sereno, mentre Crocus si abbandonava ridacchiando contro lo schienale della sedia. “Mi sembra di rivivere tutto un’altra volta…”
Brook non fiatò, troppo sorpreso per replicare.
Insomma, tutti loro avevano sempre saputo che Rufy era una testa calda e agiva per lo più d’impulso provocando spesso e volentieri disastri incalcolabili. Non lo vedeva da anni ma il musicista sperava in cuor suo che fosse maturato un po’ da quel punto di vista, almeno di riflesso, vista la costante presenza di Nico Robin al suo fianco. Invece, come a voler demolire ogni speranza, quello nella fotografia che rideva in piedi su una palazzina, di fronte ad una folla oceanica, era proprio il suo vecchio capitano.
Lo scheletro sbuffò, combattuto tra l’essere preoccupato, infuriato o compiaciuto, ma considerando Rufy uno spaccone precipitoso in tutti e tre i casi.
Monkey D. Rufy, altresì detto 'Cappello di Paglia', Re dei pirati in carica, aveva ufficialmente dato inizio alla nuova era della pirateria.
Lui aveva detto… Brook non ci voleva credere… aveva urlato ad una folla immensa all’arcipelago Sabaody che sei anni prima aveva nascosto il tesoro leggendario di Gold Roger, invece di tenerselo!
Non era possibile… cosa ci faceva Rufy a Sabaody?? E perchè aveva fatto quell'annuncio?? Brook non ci capiva nulla.
Stando a quanto diceva il giornale, di punto in bianco aveva fatto sapere al mondo che esisteva ancora un tesoro da cercare, facendo scattare così l’ingranaggio che dava il via ad una nuova epoca di pirati sognatori, prima che Sentomaru si gettasse al suo inseguimento sparendo tra i Grove.
“…E tutto questo accadeva quattro giorni fa!” esclamò il vecchio Ray, eccitato. “I giornali che ho nello zaino invece sono dei giorni seguenti e parlano di decine e decine di giovani aspiranti pirati partiti da ogni parte del mondo per tentare la conquista del tesoro che Rufy si è pure premurato far sapere non trovarsi più su Raftel, ma in un punto preciso della Rotta Maggiore, che ha disseminato di indizi…”
Brook lo ascoltava solo in parte, il resto dei suoi pensieri erano tutti concentrati nel trovare una spiegazione logica e plausibile al gesto sconsiderato del suo capitano.
Perché quello che il resto del mondo non sapeva, era che il tesoro era si stato nascosto nuovamente da loro, ma solo per venire utilizzato dai Mugiwara stessi come denaro di ‘scorta’ nel caso si fossero trovati in ristrettezze economiche una volta ripartiti tutti insieme per nuove avventure, come già stabilito.
Era stata un’idea di Nami, come sempre la più assennata tra loro, ed era sembrata un’ottima idea a tutti quella di prendere una piccola parte del tesoro per i rifornimenti del viaggio di ritorno e nascondere la maggior parte come ‘assicurazione’ nel caso avessero trovato difficoltà. Il futuro era sempre incerto, chi poteva sapere cosa avrebbe riservato loro? Meglio prepararsi ad ogni eventualità, s’erano detti.
Ma ora… Brook si schiaffò una mano scheletrica sul teschio, mugugnando abbattuto.
Ora Rufy passerà un brutto quarto d’ora tra le mani di Nami quando lo beccherà…
Era una sfortuna che Rufy avesse fama di essere onesto e giusto, oltre che il criminale numero uno per la Neo Marina, perché tutti avevano creduto senza indugi alle sue parole, certi stesse dicendo il vero.
…perché ha lanciato questa sfida al mondo proprio ora? Rifletteva Brook, continuando a sorseggiare il suo the e sfogliando i quotidiani dei giorni successivi con ritrovata calma.
…a causa di questa sua trovata chissà in quanti gli staranno col fiato sul collo…
Il musicista non capiva il motivo delle azioni sconsiderate del pirata di gomma.
…e pensare che tutti lo cercheranno in lungo e in largo senza immaginare che sia nascosto in un posto così semplice, probabilmente nessuno arriverà mai a capire che è a… “Gli altri invece come stanno? Hai saputo nulla su di loro?”
Brook alzò il viso (che non aveva, ma non era il momento, Yohohoho!), puntandolo su Ray che lo guardava in attesa, e poggiò la tazza di the. “…Non li sento da un po’, ma credo che sia normale. In ogni caso, non hanno motivo di stare male, ancora…” mormorò, abbozzando una risatina nervosa.
I due uomini si guardarono sereni, poi Rayleigh prese di nuovo parola scrutandolo furbo. “Sai, sta correndo una voce giù all’arcipelago, ultimamente…” Brook si fece attento. “…Rufy quel giorno è riuscito a sfuggire alla marina, ma da quel momento c’è chi giura di averlo visto salire su una grossa nave che partiva per Water Seven, la metropoli dell’acqua. Shakky stessa me l’ha confermato. Sembra che voglia riprendere il mare… A Water Seven non ci sono forse il vostro carpentiere e la Thousand Sunny? Che sta combinando Rufy, tu ne sai niente?” chiese scaltro, prendendola larga.
Dopo un attimo di esitazione durante il quale ognuna delle sue domande trovava finalmente risposta, Brook sorrise, scambiando uno sguardo d’intesa con Crocus e sentendo in lontananza i gorgoglii di Lovoon, riemersa dopo il sonnellino. Sollevò lo sguardo, indirizzandolo verso la finestra, verso il mare.
“Yohohoho! Water Seven, eh? Beh Rayleigh, sappiamo bene entrambi che Rufy è una persona imprevedibile e l’unica cosa certa che posso dirti è che se il mio capitano ha finalmente deciso di riprendere il mare, i membri del suo equipaggio sono gli ultimi a venirlo a sapere, ma saranno anche i primi che lui andrà a cercare… Yohohoho!”
 
°
 
La vita era un dono prezioso.
Andava vissuta necessariamente attimo per attimo, perché era unica e non ne avresti avuta un’altra dopo.
Non dovevi sprecarla, rovinarla, lasciarla andare, ma amarla incondizionatamente e profondamente.
Era facile vederla così, molto facile. Il difficile arrivava quando eri obbligato a mettere in pratica il tuo stesso credo, quando nei momenti di sconforto dovevi importi la risalita, convinto sempre e comunque che il male di vivere che ti stritolava, che ti opprimeva, fosse una tappa fondamentale per capire quanto si fosse attaccati alla vita e alla speranza.
Qualcun altro ti permetteva di venire al mondo, ma stava ad ognuno poi trovare il modo giusto per riuscire a vivere al meglio gli anni che venivano concessi. Pochi, tutto sommato, e passavano veloci.
Nello stesso arco di tempo di un battito d’ali, non eri più bambino e navigavi per i mari.
Per merito di una strana e pazza ciurma non ti consideravi più un fallimento, eri un pirata, adolescente certo e con tutti i tormenti del caso, ma in grado di governare la tua vita cercando di dare sempre il massimo.
E poi, ti ritrovavi adulto senza nemmeno accorgertene. Le bravate svanivano, le liti si attenuavano, il corpo cambiava, i sentimenti crescevano e maturavano sotto la cenere delle sigarette, il male di vivere spariva quasi del tutto, restava solo il rammarico di non essere riuscito a dare di più quando ne avresti avuto l’opportunità.
Un abbraccio, un segno di stima, un conforto, un grazie
Non era possibile credere che cinque anni valessero tutto sommato qualcosa di più rispetto ai novanta di una vita media. Erano stati molto significativi ma non era giusto pensare che tutto il resto fosse meno importante o meno degno di essere vissuto se paragonato a quei cinque anni di viaggio con quella ciurma di scavezzacollo.
Sanji si era rassegnato all’età adulta, alla crescita, all’affrontare problemi diversi dal capire cosa volesse Rufy per cena, perché la vita era una sola e lui aveva saputo apprezzare ogni momento degli ultimi sei anni. Si impegnava ogni giorno, ogni singolo giorno, per rendere felici le persone che amava e fare della sua vita un capolavoro.
Per quanto gli anni sulla Merry prima e sulla Sunny poi fossero stati tra i più felici della sua vita, il biondo cuoco sapeva che quelli trascorsi con lei, non avrebbero mai avuto paragoni. Proprio come non si conosceva ciò che si aveva prima di perderlo, Sanji non sapeva che cosa gli mancasse prima che arrivasse, lei che da sola era diventata tutto il suo mondo. La vita per lui correva in un’unica direzione da sei anni, sempre verso Viola, due anime solitarie che l’universo aveva stabilito doversi incontrare per forza. Era accaduto il miracolo che aspettava da una vita, innamorarsi di una donna e venirne ricambiato.
Non era servito poi molto se ci ripensava ora… un paio di moine da parte sua, un calcio ben piazzato da lei, farle saltare la copertura e rischiare conseguentemente la vita, andarsene al momento sbagliato... Sanji rise da solo, era bastato questo per trovare l’amore della sua vita in una donna forte, scaltra, capace di tenergli testa, che non aveva bisogno della sua protezione ma che sei anni prima aveva comunque deciso di seguirlo e diventare parte della sua vita, lontano dagli obblighi regali a cui era abituata, perché lei sapeva già di appartenergli e di essere destinata a ben altro.
Al Baratie c’erano tornati insieme. A Viola erano brillati gli occhi nel vedere il ristorante sul mare che avrebbe chiamato casa d’ora in avanti e nel conoscere il famoso Zef, che l’aveva accolta come una figlia. Sanji ricordava ancora con soddisfazione il momento in cui l’aveva presentata ai vari cuochi e camerieri, le mascelle che avevano toccato terra erano state parecchie.
Il ristorante che conosceva non era cambiato poi molto, appena due navi ed un sottomarino in più, ma vi aveva ritrovato la stessa aria di complicità e cortesia di un tempo, ornata occasionalmente da scatti d’ira, guerre civili e defenestrazioni di clienti per conti non saldati.
Sanji amava la sua vita, la nuova come la passata, e non ne sprecava nemmeno un attimo. I demoni dell’infanzia erano spariti annegati in occhi color del miele e non lo tormentavano più, i giorni scorrevano sereni e spensierati.
Sarebbe stato tutto perfetto, se non fosse per un piccolo dettaglio insignificante…
Ecco, solitamente lui non era tipo da lamentarsi per bazzecole. Negli anni aveva sopportato cose inimmaginabili senza battere ciglio, se si escludeva la gelosia verso le sue dee, i modi rozzi del marimo, lo stomaco senza fondo di Rufy, il terrore di Usop quando bisognava scendere su una nuova isola, le mosse strane di Franky, un cliente che non voleva pagare… ok, forse si arrabbiava spesso, però qui si parlava di cose ben peggiori!
C’era questa piccola e banale magagna che disturbava la sua vita perfetta, che lo faceva uscire dai gangheri come niente e nessuno era riuscito a fare, e lui aveva avuto Rufy come capitano!
Una cosa che in sei anni non era riuscito a risolvere e che lo tormentava senza tregua, nell’ilarità generale.
Una cosa che i suoi colleghi esibivano come fosse un trofeo, un motivo di vanto, quando Sanji avrebbe solo voluto non averci mai più a che fare! Anzi, l’avrebbe voluta distruggere con le sue mani…
“…PERCHÈ SONO PASSATI PIÙ DI DIECI ANNI, VECCHIO!! PERCHÈ DIAVOLO È ANCORA APPESO LÀ?? TI DECIDI A LEVARE QUEL MALEDETTO AVVISO DI TAGLIA DAL MURO??” esclamò Sanji furente, indicando un punto preciso della parete principale del ristorante, facendo voltare verso di lui qualche testa curiosa che pranzava.
Era la sua prima taglia, quella in cui avrebbe voluto venisse sfoggiata tutta la sua virilità e prestanza, che in realtà mostrava il disegno osceno di un anonimo biondino sovrappeso al posto di una sua fotografia.
A causa di un impiegato sottosviluppato della vecchia marina, che probabilmente era troppo scemo per riuscire a fare un identikit decente di un pirata pluricercato, tutti lo avevano associato per anni ad uno scarabocchio e i suoi colleghi non facevano mistero di adorare la cosa. Anzi, la mostravano fieri come spiegazione ad ogni cliente che si chiedeva il significato della curiosa polena della nave ‘Testa di melanzana’, attaccata al Baratie.
Non ne poteva più, da anni vedeva l’orrendo disegno appeso nella sala da pranzo senza poter fare niente per risolvere la cosa. Certe volte aveva persino pensato di incendiare la nave ammiraglia, ma sarebbe servito a poco.
Quel giorno poi ne era particolarmente infastidito dopo aver sentito Kayme, passata per di là in mattinata per un saluto con Hacchan e i Tobiou Raider, velatamente lasciare intendere che gli anni per lui non passassero mai nonostante la barba e i capelli più lunghi, guardando sorridente il disegno e non rendendosi conto di aver appena frantumato l'orgoglio al povero cuoco. Nella sua ingenuità ancora intatta, la sirena desiderava fare un complimento, ma ebbe solo il potere di risvegliare in Sanji il fuoco fatuo della dignità miseramente calpestata anni addietro e mai più recuperata.
Zef, seduto comodo in poltrona, leggeva svogliato il giornale senza dare adito alle escandescenze del suo non più troppo giovane pupillo, che aveva per lo meno avuto la decenza di aspettare la fine del pranzo, e quindi che Kayme e gli altri se ne andassero e ci fossero molte meno persone in sala, per inveire nuovamente contro di lui e il costruttore navale che aveva accettato di costruire la polena là fuori.
“Ho detto di no Sanji, smettila di insistere. Hai fatto una promessa anni fa, non puoi rimangiarti la parola.” mormorò senza guardarlo, non tentando nemmeno di quietare la sua furia.
Sanji ormai fumava dalle orecchie, gorgheggiò parole incomprensibili prima di ringhiare velenoso. “Me l’hai estorta con l’inganno!”
Zeff alzò lo sguardo divertito, sorseggiando il brandy che Paty gli aveva appena portato. “Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare. Tu volevi che ti lasciassi dirigere la baracca e io volevo che quel caro ricordo rimanesse per sempre appeso là. Ora io sono andato felicemente in pensione e tu sei diventato capocuoco. È così che funzionano i compromessi.” ridacchiò piede rosso, tornando al suo giornale.
Paty, deciso a non perdersi l’ennesima sfuriata del biondino era rimasto nei paraggi e ghignando, diede man forte all’ex-titolare. “Avremmo anche la taglia più recente, ma quella hai scelto tu di tenerla e chi siamo noi per andare contro il capo?”
Sanji  lo incenerì con lo sguardo. “Ridete, ridete… un giorno vi ritroverete la ‘Testa di melanzana’ qui fuori, ridotta ad un colabrodo…” dichiarò serio, stringendo gli occhi.
Zef e Paty sghignazzarono. “Sono anni che lanci a vuoto questa minaccia, melanzanina. Ormai non ci crede più nessuno, anzi sei pure felice che quella nave abbia così successo tra i clienti…”
“Non so di che parlate, quell’obbrobrio non potrà mai farmi felice!” sospirò truce, rassegnato ormai a venir preso in giro dal vecchio mentore e dai suoi stessi dipendenti per chissà quanto ancora.
Era una battaglia persa in partenza lo sapeva bene gambanera, eppure non demordeva, un giorno ce l’avrebbe fatta a eliminare le tracce di quell’orrore dalla sua vita.
“A proposito…” mormorò Zef tornando serio, seppur con un guizzo ironico nello sguardo, senza staccare gli occhi dal giornale. “Hai letto le ultime notizie…?”
Sanji sospirò mesto, fissando un punto a caso della sala semi vuota, le mani in tasca. “Si…” esalò laconico, in risposta. “…spero solo che sappia quello che fa e che nel mentre non accada nulla a Robin-chan o a Ace…”
Zef e Paty si ritrovarono ad annuire, partecipi e divertiti dagli eventi.
Carne arrivò in gran carriera dall’ingresso, interrompendoli e catalizzando l’attenzione, tenendosi il cappello da cuoco con una mano perché non volasse via. “Un cliente non vuole pagare! Dice che il conto è troppo alto… ci pensi tu, capo?” chiese con una certa urgenza nella voce all’indirizzo di Sanji, ridacchiando.
Il biondino sbuffò contrariato, mentre Zef e Paty tornavano tranquilli alle rispettive occupazioni con un gran ghigno stampato in faccia.
“Si, arrivo…” dichiarò, avviandosi all’ingresso con le mani in tasca, desideroso di sbollire i nervi prendendosela con l’ignaro piantagrane.
Non fece in tempo a fare tre passi in quella direzione che un verso gutturale seguito da un peso morto che cadeva a terra, gli fece aggrottare le sopracciglia. In un secondo ne aveva inquadrato la fonte e vi si era avvicinato lesto constatando subito che si trattava chiaramente della figura pestata a sangue di un pirata, sfracellato contro le assi del pavimento proprio davanti alla porta d’entrata del ristorante.
Nessuno nella sala fiatava per lo sgomento, ma Sanji sospirò tranquillo, alzando lo sguardo e incrociando inevitabilmente in fronte a lui quello determinato della sua adorata Viola-chan che, gamba tesa e piede a martello, a quanto pareva aveva appena risolto il problema del conto troppo salato.
La vide ritirare la gamba silenziosamente ed accucciarsi accanto al viso del poveraccio a terra, sotto gli sguardi terrorizzati dei suoi compagni di nave che non muovevano un muscolo, e a quelli divertiti dei cuochi e dell’intera sala.
“Ora hai capito perché hanno messo questa dolce e delicata fanciulla alla cassa?” mormorò seria “Impara le buone maniere e cerca di non usare mai più quei modi arroganti con me…” continuò guardando il pirata, con il tono suadente e letale che Sanji ben conosceva.
Il tizio a terra aveva preso una botta tale che non sarebbe mai riuscito a spiccicare parola e Viola, intuendolo, si alzò apparentemente soddisfatta, lanciando al contempo un’occhiata di ammonimento ai compagni dell’uomo, che arretrarono, visibilmente impalliditi. “Qualcun altro ha qualcosa da dire sulla qualità degli ingredienti di questo ristorante o sulla bravura dei suoi cuochi?” chiese con calma sinistra, ricevendo occhiate terrorizzate e dinieghi convinti.
Dio quanto amava quella donna… Sanji mostrò un sorrisino compiaciuto, avvicinandosi a lei e non curandosi minimamente del fatto che gli aveva levato tutto il divertimento.
Vedendolo accostarsi, Viola gli sorrise dolce, allargando contenta le braccia per ricevere il suo braccio dietro la schiena ed abbracciandolo anche lei di rimando, mentre i pirati disincastravano il moribondo compagno dalle assi del pavimento e lasciavano una cospicua somma di denaro sul mobiletto vicino all’ingresso, con tanto di scuse e sguardi spaventati all’indirizzo della ‘coppia diabolica’ prima di congedarsi in tutta fretta.
Dopo averli visti, avevano finalmente riconosciuto i due dalla fama di irriducibili ossi duri che li precedeva e che sconfinava in tutto il mare orientale da anni.
Sanji, completamente dimentico di essere in una stanza con decine di persone, le lanciò un’occhiata carica di passione, incapace di staccare gli occhi da lei, prima di mormorare già sulle sue labbra. “Non si scherza con la mia signora…” Viola rispose con trasporto al bacio del suo uomo, stringendolo a sé maggiormente come se ne dipendesse la sua vita, prima di porvi fine altrettanto rapidamente, con una tirata d’orecchi che lo fece gemere.
Lei lo squadrò furba con un luccichio pericoloso negli occhi, le labbra ancora arrossate e lucide piegate in un sorrisino. “Vedi di ricordartene pure tu che non si scherza con questa signora!” gli sussurrò all’orecchio dolorante, riferendosi senz’altro all’episodio di quella mattina dove aveva fatto come al solito il cascamorto con la dolcissima Kayme ed era stato visto da lei. Il cuoco ridacchiò alzando gli occhi al cielo mentre lei gli sorrideva nonostante tutto innamorata e ancora abbracciata a lui senza alcuna intenzione di allontanarsi.
“Viola-chan quanto sei bella!!”
“Ti adoriamo!!”
“Sei fantastica!!”
Le urla dei vari cuochi presenti richiamarono la coppia dalla piccola nuvoletta rosa dove erano approdati e provocarono l’irritazione del biondo, che la strinse maggiormente a sé, incenerendo i colleghi con gli occhi mentre lei ridacchiava. “BRUTTI SCHIFOSI PIANTAGRANE, SMETTETELA DI FARE I CASCAMORTI CON MIA MOGLIE E TORNATE AL LAVORO PRIMA CHE DECIDA DI APPENDERVI AL SOFFITTO PER LE PALLE E USARVI COME ATTRAZIONE PER I TURISTI!!” …la finezza l’aveva scordata nell’altro grembiule.
Zef sogghignò sotto i baffi, guardando con la coda dell’occhio un paio di cuochi svolazzare attorno a Viola, giurandole amore eterno sprezzanti del pericolo, sotto lo sguardo divertito della ragazza e mortalmente oltraggiato del suo pupillo che aveva cercato di spingerli via con un calcio, allontanando –proteggendo, secondo lui– contemporaneamente lei da loro, non riuscendoci visto che Paty e Carne, con una luce sadica negli occhi, lo avevano preso alle spalle e lo stavano schiacciando a terra con il loro peso, dopo essersi seduti sopra di lui. Il vecchio Zef sospirò nella cagnara, addossandosi meglio allo schienale della poltrona che dava le spalle all’ingresso.
Lasciare il Baratie in mano loro era stata l’idea migliore da sei anni a quella parte. Aveva dovuto prendere atto che una donna, anche se non una qualunque, su quella bagnarola ci stava proprio bene, tanto più che a questa non aveva dovuto insegnare niente, sembrava nata per vivere su una nave ristorante. Quell’idiota del suo figlioccio era riuscito a conquistare una donna con i contro fiocchi che aveva pure rinunciato al trono di Dressrosa per lui. In sei anni era diventata una padrona di casa ineccepibile, scaltra e capace, Zeff non avrebbe potuto desiderare nuora migliore. Era capace con una sola occhiata di rimettere in riga Sanji quando questo si lasciava un po’ troppo andare negli apprezzamenti verso il gentil sesso che immancabilmente entrava dalla porta del ristorante, ma con enorme sorpresa di Zef, Viola si dimostrava fin troppo comprensiva circa la passione di Sanji per le donne, sapendo che non potesse farne a meno o, più probabilmente, rifletteva il vecchio piedi rossi, perché in cuor suo era certa che non l’avrebbe mai tradita, visto l’amore sconfinato che le dimostrava ogni giorno.
Per lei, per non intossicare il suo angelo, che non richiedeva tutte queste attenzioni, era anche quasi riuscito a smettere di fumare, se non si contavano i vaghi momenti di malinconia o di nervosismo, dove riusciva a fumare l’intero pacchetto in dieci minuti. Viola sapeva che era la sua valvola di sfogo e non lo obbligava mai a fare qualcosa che non volesse, ad esempio non batteva ciglio quando lui desiderava malmenare un incauto avventore pagante che aveva avuto però l’ardire di lanciare un apprezzamento troppo spinto a lei, soprattutto se questa era nel mentre di uno dei suoi spettacoli di flamenco. Esibizioni meravigliose, conveniva Zef, che avevano incrementato oltremodo la clientela già vasta del ristorante, attirando curiosi da tutto il mare orientale solo per vederla ballare e scatenando oltremodo le gelosie della sua melanzanina che, ringhiante e senza tante cerimonie, defenestrava ogni sboccato fan che veniva a contatto con le sue mani. La sua principessa non si toccava nemmeno col pensiero.
Zef ridacchiò perso nelle sue riflessioni, gettando un’occhiata a Viola, finalmente libera dalle minacce, vedendola all’improvviso perdere il sorriso e spalancare bocca ed occhi meravigliata, lo sguardo puntato sull’ingresso. Zef assimilò quel particolare in ritardo, rendendosi conto solo dopo qualche secondo che tutti nella stanza si erano improvvisamente bloccati, fermi come statue, fissando un punto imprecisato dietro la poltrona. L’unico che ancora si dimenava e lanciava improperi soffocati era Sanji, a terra mezzo soffocato dal dolce peso di Paty e Carne seduti su di lui che, come tutti, avevano smesso di colpo di ridere e fissavano la porta con sguardo incredulo. Zef si voltò curioso e ghignò compiaciuto nel medesimo istante in cui Sanji riusciva a scansare via i due cuochi e si alzava furibondo e scarmigliato.
“MA SIETE SCEMI?? CHE DIAVOLO VI PASSA PER LA TESTA??” ringhiò, continuando a dare le spalle all’ingresso.
Per un attimo nessuno rise né parlò e Sanji sembrò rendersi conto che qualcosa non quadrava. Scandagliò rapidamente la sala davanti a lui, notando il silenzio e gli sguardi vitrei di commensali e cuochi. Che cosa…?
Poi Paty, bocca spalancata e occhi fissi su un punto alle sue spalle, alzò un dito e indicò qualcosa dietro di lui, ma Sanji non lo guardava più. Lo sguardo incredulo gli era caduto sulla porzione di pavimento alla sua sinistra, dove un fascio di luce accecante faceva capolino dalla porta d’ingresso aperta, inondando il salone e stagliando chiaramente sulla soglia l’ombra tremolante di una figura inconfondibile che si allungava al suo fianco, là dove era stata per anni, proteggendolo e combattendo con lui, e Sanji capì subito, senza alcun bisogno di voltarsi, chi c’era alle sue spalle.
Con serafica calma, estrasse una sigaretta dalla tasca e la accese lentamente sotto lo sguardo attonito e silenzioso dell’intera sala.
“Ce ne hai messo di tempo…” mormorò tranquillo, aspirando avidamente una prima boccata.
Zef sogghignò tra sé e sé, mentre Viola mostrava le lacrime agli occhi e un sorriso di pura gioia, alternando lo sguardo da lui all’individuo ancora sulla porta che non accennava a muoversi né a proferire verbo.
Sanji sospirò una nuvoletta di fumo, prima di voltarsi finalmente e vedere quel sorriso enorme che mai aveva dimenticato, stagliarsi sotto la tesa logora di un vecchio cappello di paglia.
“…Però ora che me ne vado la taglia la togliete!!”
 
°
 
La vita faceva paura.
Era casuale, priva di certezze e sicurezze. Da un momento all'altro poteva colpirti un fulmine, o potevi cadere in mare, o inciampare nei tuoi piedi e battere la testa. Non era poi così difficile passare dall'altra parte.
In effetti, l'unica cosa certa della vita era che prima o poi tutti dovevano fare i conti con la morte, che fosse di un familiare, di un amico o, naturalmente, la tua. La fine purtroppo non la si poteva prevedere e, se non era improvvisa, arrivava sotto forma di lento e inesorabile decadimento, un processo inevitabile a cui non si sfuggiva.
Non aveva senso la morte, non aveva senso la vita, eppure si cercava sempre di trovare un equilibrio, per entrambe. Si sperava di vivere abbastanza a lungo da non avere rimpianti e che la morte giungesse su un'anima serena. Usop non se n'era mai preoccupato, credeva di avere molto più tempo.
Quando era tornato a Shirop sei anni prima, pensava di avere tutto il tempo del mondo.
Tempo per abbracciare Kaya, tempo per raccontarle le sue storie -vere, stavolta-, tempo per riuscire a farla innamorare di sé.
Sanji lo aveva spronato fino all’ultimo secondo perché si facesse avanti, prima di scendere dalla Going Grande Rufy una volta arrivati al Baratie. E lui ci aveva creduto davvero, con tutto l’animo, che il suo ritorno da eroe avrebbe fatto breccia nel cuore della ragazza.
Si sarebbe mostrato a lei in tutto il suo sfavillante splendore, abbagliandola e convincendo sé stesso di essere fantastico così come Sogeking  gli suggeriva da sempre, ma non era andata esattamente come se lo immaginava.
L’aveva ritrovata, quello si. Era bellissima come se la ricordava, certo. Dolce e delicata, sicuro.
Ma la sua Kaya, la donna che amava da sempre e che aveva lasciato piena di speranze a Shirop anni prima, non era più lei, era l'ombra della ragazza di un tempo.
La malattia che anni addietro la colpiva spesso e che sembrava essere stata debellata completamente, aveva ripreso il suo corso inesorabile nel suo già debilitato corpo, sempre più violenta e maligna, rendendola debole e stanca, come Usop non l'aveva mai vista.
Il loro primo incontro dopo lo sbarco era avvenuto nella sua grande casa, dove la vista di lei distesa su quel lettino asettico gli aveva provocato un orribile nodo in gola, ricordandogli la madre nella stessa condizione anni addietro.
Kaya era sveglia ed aveva trovato la forza per sorridergli dolcemente con gli occhi lucidi (non avrebbe saputo dire se per la malattia o per la felicità di poterlo rivedere) e mormorargli un ‘bentornato’ stanco ed affaticato, mentre Merry lo guardava sofferente e in pena, in piedi dall'altra parte del letto. Usop aveva risposto con un sorriso tirato,
l’aria che si faceva pesante ogni secondo di più che trascorreva in quella stanza, ma incapace di guardare altro che non fosse la sua più vecchia amica, emaciata e pallida, distesa su quel lettino bianco.
Si era fatto spiegare nel dettaglio la situazione da Merry. La malattia era tornata da un paio di mesi, con andamento altalenante e picchi di tre giorni ansiosi alternati a settimane di tranquillità, avevano interpellato più medici ma nessuno era stato in grado di aiutarla ed il vecchio maggiordomo non sapeva più che fare, Kaya non soffriva ma in quei giorni si sentiva così stanca da riuscire a fatica ad alzarsi dal letto. I dottori non trovavano una cura perché fisicamente non aveva nulla, lo stesso Chopper lo aveva confermato con un sospiro, dopo essere stato chiamato da Usop in fretta e furia. La diagnosi era chiara anche per lui: la paziente non aveva segni evidenti di malattie né di patologie particolari ma, per qualche motivo, il suo fisico era perennemente messo a dura prova da debolezza eccessiva e stanchezza cronica a cui non si poteva dare una causa. Le aveva prescritto una cura ricostituente basata su lunghe esposizioni al sole, respirare aria salmastra e una buona rosa di vitamine da prendere, più di questo Chopper non aveva potuto fare, omettendo di dire al suo vecchio amico che la sua impressione principale era che il problema della ragazza dipendesse da qualcosa che partiva dalla sua mente, ma aveva preferito non esprimerlo ad Usop, confidandolo però al maggiordomo Merry che aveva sospirato con fare saputo, giurando di tenerlo informato circa gli sviluppi. Chopper aveva però dato una buona notizia e cioè che senz’altro Kaya non era in pericolo di vita e, tra tutte le cose brutte che aveva dovuto affrontare in vita sua, Usop doveva ringraziare i Kami perché era certo non avrebbe retto se la morte se la fosse presa.
Il dottore gli consigliò di starle sempre vicino e sostenerla nei momenti in cui la malattia ricompariva e così aveva fatto, per sei anni. Usop aveva dovuto accettare il fatto di non poter far nulla di concreto per lei, tranne starle accanto ed aiutarla nella lenta ripresa, era tutto in mano alla volontà di Kaya.
I primi anni aveva avuto costanti ricadute periodiche, senza grossi drammi, ma che la obbligavano a tre o quattro giorni di fermo a letto, aiuto nella somministrazione dei cibi e nella vestizione. Usop stava da lei per tutto il tempo necessario a farla riprendere, raccontandole le avventure infinite vissute con la sua ciurma e lei non se ne stancava mai, ridendo e riprendendo colore giorno dopo giorno. Nei periodi in cui stava meglio riusciva a fare delle passeggiate, a trascorrere tutto il tempo che poteva all’aperto, a riprendere gli studi di medicina, non sapendo più se fosse o no il caso di indagare ulteriormente circa il suo problema.
Ogni volta Usop le era accanto ed ogni volta sperava che il periodo positivo non finisse, per continuare a gioire della compagnia di una Kaya dolce e in salute che lo faceva innamorare ogni giorno di più.
Ormai era palese per tutto il villaggio che fosse così, se ne erano accorti tutti. L’amore cieco ed assoluto che lui provava restava però relegato ai soli gesti, perché non si decideva a farsi avanti con le parole.
Usop la amava così tanto che era diventato automatico mettere il suo bene di fronte al proprio, anche se questo significava non esporsi mai per timore che lei si sentisse a disagio ed avesse una nuova ricaduta. Era così fragile, una petalo di rosa, una delicata piuma che non avrebbe retto il peso di un amore sconfinato come quello di Usop e si sarebbe spezzata pur di non dargli dispiacere, pur di non ammettere di non ricambiarlo, perché si Usop era certo che lei non provasse nulla per lui, se non contava il bene che gli voleva come amico e che non esitava a dimostrare.
Dopo anni passati ad accudirla e ad aiutarla, avrebbe dovuto accorgersi se lei fosse stata innamorata di lui, no? Avrebbe dovuto vedere differenze, gesti, sguardi, modi di porsi diversi… invece nulla faceva presagire che in sei anni lei avesse mai pensato a lui come a qualcosa di più che un amico. Faceva male, quelle poche volte che si permetteva di pensarci, faceva tanto male non poterla stringere come avrebbe voluto, ma si riscuoteva presto, sapendo di essere importante per lei in altri modi. Sanji ci aveva visto proprio male quella volta… avrebbe dovuto ricordarsi di farglielo sapere alla prossima visita al Baratie, o magari no… non voleva farsi compatire anche dall’amico con una vita sentimentale pressoché perfetta, bastavano già Carota, Cipolla e Peperone a farlo sentire inadeguato ogni volta perché non si decideva a farsi avanti. Ma loro non capivano. Era diventato un coraggioso pirata dei mari, ma sarebbe mai stato così forte anche di fronte al rifiuto della donna che amava? Non voleva scoprirlo.
Usop tutto sommato stava bene. Lavorava e trascorreva i suoi giorni con i suoi tre vecchi amici, ai quali si univano di tanto in tanto Bartolomeo e i suoi, quando passavano di là.
I suoi compagni gli mancavano moltissimo e molte volte la nostalgia era quasi insopportabile, ma quando era lontano lei gli mancava come l’aria e non vedeva l’ora di rivederla. Fortunatamente, Kaya negli ultimi tempi aveva avuto appena due ‘momenti’, come soleva chiamarli Merry in mancanza di un nome preciso alla malattia, curiosamente coincisi con i periodi duranti i quali Usop andava a fare visita ai compagni nel mare orientale e stava via per qualche giorno. Quando tornava, trovava Kaya in piena fase depressiva, ma ormai sapeva come prenderla e con poco la faceva tornare a sorridere e ad alzarsi dal letto.
Nell’ultimo anno non aveva più avuto alcun segno della malattia e Usop sperava sempre che fosse sparita del tutto perchè non danneggiasse più il suo fiore delicato. Ormai si accontentava di vederla sorridere in salute perché sapeva bene quanto la felicità potesse essere effimera. Arrivava quando si smetteva di lamentarsi dei problemi che si aveva e si ringraziava per tutti quelli che non si aveva e lui la prendeva così perchè non gli rimaneva che quello. Ringraziava per la possibilità di starle accanto sempre e comunque come in quell’assolato pomeriggio primaverile, seduti sull’erba fresca, guardando il mare, prendendosi una pausa dal lavoro e dagli studi di lei e scherzando tra loro come sempre.
Usop sospirò felice di essere con lei, di scorgerla serena sfogliare il giornale che si era portata, senza pensieri brutti a rovinare il loro idillio, beandosi della sua presenza vedendola accigliarsi e sgranare gli occhi, guardand-… eh?
Usop si rizzò a sedere in allerta, fissandola dritto in viso, improvvisamente ansioso. Era sul chi vive da anni e fremeva ad ogni suo irrigidimento del corpo come lo avesse vissuto sulla sua pelle.
Diede voce alla sua angoscia. “Che succede, Kaya?”
Ma lei non lo ascoltava, continuando a leggere il giornale rapita ed Usop si ritrovò a sudare freddo.
Appurato che non stesse per avere uno dei suoi ‘momenti’, doveva aver letto qualcosa di talmente sconvolgente da averla coinvolta totalmente. Riprovò, esitante. “Kaya, che cosa hai letto? Che succede?”
Lei si voltò verso di lui e lo sguardo che gli lanciò gli fece mancare il terreno sotto i piedi.
Cercò di sbirciare da sopra la sua spalla ma lei teneva il giornale rivolto costantemente verso di lei e non dava segno di volerglielo far vedere, anzi lo fissava con uno sguardo che metteva i brividi. Usop iniziò a spazientirsi. “Kaya, insomma! Che ti prende?” le chiese alzando i toni. Va bene che l’amava, va bene che era fragile, ma si stava preoccupando a morte!  Lei d’altro canto, respirava affannosamente ed aveva smesso di guardarlo, fissandosi le scarpe, il viso coperto dalla frangetta. Usop non riuscì a trattenersi, allungò il braccio per afferrare il giornale ma Kaya fu più veloce. Rapida, lo strappò in più parti, contorcendo le pagine sotto le sue mani, lacerando rabbiosamente i fogli che presero a cadere come coriandoli, disperdendosi nell’aria e intorno a loro, finché non ne rimasero che brandelli sparsi.
Il cecchino la guardava sconvolto. Ad occhi sgranati fissava la ragazza che aveva davanti, palesemente infuriata, senza riuscire a capire cosa avesse scatenato quella furia. Di una cosa era certo, però, quella non era Kaya!
La dolce ragazza che conosceva da anni non aveva scatti d’ira come quello senza motivo, anzi, non aveva proprio scatti d’ira! In quel momento realizzò che non l’aveva mai vista arrabbiata, nemmeno con Kuro lo era stata.
Ma che le prendeva?
La risposta non si fece attendere troppo. La giovane dottoressa si alzò in piedi, guardando l’amico di una vita ancora seduto a terra con un espressione di sofferenza pura in volto.
“Rufy ha ripreso il mare ed ha fatto sapere che il vostro tesoro è ancora nascosto da qualche parte…” mormorò tremante, deglutendo rumorosamente.
Usop la fissò sbigottito. Il suo capitano aveva detto di dare la caccia al tesoro…?
Si spalmò una mano sulla faccia. Rufy era davvero un idiota, si ritrovò a pensare innervosito.
Erano tutti d’accordo, perché si metteva a fare cose così stupide?? Usop alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Non vedeva l’ora di vedere l’ira di Nami abbattersi su di lui e, con quel pensiero in mente, ghignò tra sé e sè, facendo accigliare Kaya, che non si perdeva una sua espressione.
Dal momento che stupida non era, aveva chiaramente capito il motivo per il quale Rufy aveva deciso di indire una nuova ‘Era della pirateria’ proprio in quel momento e la cosa la stava devastando più di quanto avesse creduto, perché sapeva cosa sarebbe successo. La faccia felice di Usop le sembrò solo un’ulteriore conferma ai suoi dubbi e le provocò una stretta al cuore talmente dolorosa che le sembrò venisse trafitto da mille coltelli. Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche e cercò con tutte le sue forze di non piangere.
“Se sei davvero così felice di andartene, perché sei tornato? Non potevi restare dov’eri e non tornare mai più qui??” gli chiese velenosa, senza riuscire a frenare i tremiti che la scuotevano e non certo per l'aria fredda.
Usop, che in tutto questo pensava ancora alla faccia cianotica di Rufy mentre veniva soffocato da Nami, non aveva afferrato la cosa più importante e sgranò gli occhi alle parole di Kaya. Andarsene…? Lui…?
Tentò di articolare una domanda ma la ragazza era ormai un fiume in piena. “Io non sono mai abbastanza per te! PERCHÈ IO NON SONO MAI ABBASTANZA PER TE, OTTUSO NASONE??” era terrorizzata glielo leggeva negli occhi, ma Usop non riusciva a capire, la fissava basito completamente senza parole.
Lei che lo chiamava ottuso nasone?? Ma che stava dicendo? Era impazzita??
Dagli occhi di Kaya avevano preso a scorrere le lacrime, ormai incapace di trattenerle. “NON NE POSSO PIÙ, USOP!! NON NE POSSO PIÙ DI SENTIRTI DIRE CHE SONO UN DELICATO E DOLCE FIORELLINO!! NON CAPISCI CHE È PER COLPA TUA CHE STO MALE?? SONO ANNI CHE MI RACCONTI DELLE TUE AVVENTURE PER MARE, DI QUANTO TI MANCANO I RAGAZZI E NAVIGARE CON LORO! SAPEVO CHE PRIMA O POI SAREBBE SUCCESSO, ME L’HAI DETTO TU CHE RUFY VOLEVA RIUNIRVI UN GIORNO, E OGNI DANNATA VOLTA CHE TU PRENDEVI IL MARE PER ANDARE A COCO, AL BARATIE O CHISSÀ DOVE, IO MORIVO DENTRO, TERRORIZZATA CHE NON TORNASSI PIÙ! CHE UNO DI LORO TI CONVINCESSE A RIPRENDERE IL MARE!! ORMAI PENSAVO CHE NON SAREBBE PIÙ ACCADUTO E INVECE ADESSO È SUCCESSO DAVVERO! RUFY STA VENENDO A PRENDERTI E IO DOVRÒ LASCIARTI ANDARE UN’ALTRA VOLTA!”
Scoppiò in un pianto a dirotto sotto lo sguardo sbigottito del cecchino che non sapeva bene cosa fare. Se ne stava lì fermo a farsi vomitare addosso parole amare per lei, ma senza senso per lui, mentre Kaya cercava in ogni maniera di chetare la crisi che l’aveva colta dopo aver letto quella notizia sul giornale.
Non poteva farci nulla, l’equilibrio faticosamente conquistato in tanti anni si basava unicamente sulla presenza o meno di Usop al suo fianco. Le c’era voluto tanto tempo per accettare l’idea di non poter essere considerata più di un’amica da lui, si accontentava di stargli accanto ma ora, sapendo che se ne sarebbe andato un’altra volta, qualcosa si era spezzato dentro di lei, il sottile filo della ragione era rotto e la bocca correva a briglia sciolta come non era mai riuscita a fare prima.
Sempre sotto gli occhi del cecchino, che sembrava esser diventato una statua di sale, riuscì miracolosamente a calmarsi e con voce malferma continuò a parlare, decisa ormai a vuotare del tutto il sacco, sapendo che sarebbe forse stata l’unica occasione che aveva per riuscire a dichiararsi. “Col tempo ho raggiunto la consapevolezza che la mia malattia è strettamente collegata a te. Ricordi quando ci siamo rivisti sei anni fa? Stavo male e non sapevo perché ma ora si. Io sapevo che stavi per tornare su Shirop e che non eri più quello di un tempo… eri un eroe! Venivi addirittura chiamato ‘Dio’ sul tuo avviso di taglia. Eri diventato un uomo forte, coraggioso, un pirata di fama, del tutto  irraggiungibile. Non avevamo più nulla in comune e ho avuto paura di rivederti, perché sapevo che un uomo come te non avrebbe mai visto niente di più di un’amica in una ragazzina anonima come me. Se avessi permesso ai miei sentimenti per te di uscire, avrei fatto una figuraccia colossale, perché ero sicura che tu non avresti mai contraccambiato il mio amore e questo mi ha fatto ammalare. Sono sempre stata cagionevole ed è bastato poco, la mia mente ha fatto il resto… Ma poi ti ho rivisto ed eri meraviglioso con me, grazie alla tua presenza riuscivo a stare meglio.” Usop la fissava ad occhi spalancati, troppo sorpreso per riuscire a rispondere in qualche modo, lei gli si avvicinò, sedendosi nuovamente al suo fianco e guardandolo fisso. “…Tu mi facevi stare bene con la tua sola presenza! Non eri cambiato, eri lo stesso ragazzino dolce che amavo, ma eri diventato anche un uomo meraviglioso, quello che ogni donna sognerebbe, e ogni giorno di più io mi innamoravo di te, pur sapendo di non avere speranze, perché tu eri buono con tutti e aiutavi sempre gli amici in difficoltà! Io non potevo ambire ad altro…” Kaya tirò su col naso, asciugandosi gli occhi rossi di pianto. “…Ma adesso non potrò più fare affidamento nemmeno sulla tua amicizia… Rufy verrà a prenderti e so che tu non aspetti altro da anni… devo lasciarti andare e questa cosa mi sta distruggendo…” mormorò, l'ultima frase rivolta più a se stessa che a lui.
Lui che aveva ormai il cuore che scoppiava nel petto e che aveva creduto di essere morto per un attimo dopo averla sentita dire chiaramente che era innamorata di lui da sempre.
Il respiro gli si fece accelerato di colpo, mentre con la mente rimetteva insieme i pezzi e capiva perché negli anni non aveva mai visto differenze nei suoi comportamenti da quando avevano 17 anni. Semplicemente perché per lei non ce n’erano, amava il ragazzino che era stato, amava l’uomo che era diventato, e questa consapevolezza era difficile da descrivere. Scoprire di essere ricambiato dalla donna che amava da tutta la vita lo aveva sconvolto, atterrito e allo stesso tempo fatto sentire in paradiso.
Kaya sollevò lo sguardo su di lui, vedendo la confusione sul suo viso e si morse una guancia per l'agitazione.
Lo sapeva, lo sapeva che lui non provava nulla per lei. Cosa sperava di ottenere? Una scusa? Una promessa che non l'avrebbe lasciata sola? Lo sapeva che sarebbero arrivati solo deboli e patetici farfugliamenti per levarsi dall'impiccio, se l’era cercata. Ne moriva ma allo stesso tempo si sentiva in colpa per averlo messo a fronte di un problema del genere. Se davvero non l'amava non avrebbe mai potuto fargliene una colpa ed ora cominciava a vergognarsi anche per lo sfogo di poco prima. Avrebbe dovuto stare zitta, Usop non ne poteva nulla se lei si era fatta dei castelli in aria, ma ormai non si poteva tornare indietro. Sostenne il suo sguardo, all'improvviso senza più nessuna voglia di combattere e preparandosi ad attutire il colpo.
Quando Usop finalmente riprese l'uso della parola le si rivolse con un tono esitante e incerto “Per-Perchè non me l'hai mai detto prima?”
Lei lo guardò mestamente, voltando poi il viso e fissando gli alberi in lontananza. “Perchè sapevo che non sarebbe cambiato nulla. Avrei dovuto stare zitta anche oggi.” commentò amaramente.
Usop si accigliò, gli faceva male vederla così. “Tu credi davvero che io non provi niente per te?”
Kaya si voltò, gli occhi fiammeggianti, la determinazione ancora viva in lei nonostante il cuore a pezzi. “Ne sono certa! Altrimenti mi avresti  fatto capire qualcosa in sei anni!”
Lui deglutì, preso in contropiede, allontanandosi impercettibilmente da lei e sfuggendo al suo sguardo indagatore.
Aveva ragione. Dio se aveva ragione. Da anni si vantava di essere diventato un valoroso pirata che incuteva timore e rispetto, conosciuto in tutti i mari e sfidato da molti nemici potenti senza provare mai paura, quando bastava un'occhiata dolce di Kaya diretta a lui per far crollare tutte le sue certezze e ritornare ad essere il pivello che era sempre stato davanti al primo amore. Il coraggio che aveva dimostrato in battaglia spariva di fronte al fatto che in sei anni non era mai stato in grado di farsi avanti con lei, troppo timoroso di un rifiuto.
“I-io... no, non è vero... i-io... insomma tu stavi male! Eri sempre malata, avevo paura di rompere...”
“Che cosa? Il mio delicato equilibrio?” lo interruppe astiosa. “Smettila di mentire Usop. Se davvero avessi provato qualcosa per me una cosa del genere non ti avrebbe fermato!”
Usop tentò di spiegarsi rapido “Non era questo che... oh, io...” si bloccò e fece un respiro profondo. “Io... io pensavo di non essere corrisposto!” mormorò a fatica chiudendo gli occhi, mentre lei spalancava i suoi per la sorpresa.
Un codardo, ecco come si sentiva. Un maledetto codardo che si era trincerato dietro la sua paura rischiando di perdere la cosa più bella che avrebbe mai avuto al mondo e c'era voluto vederla in lacrime col cuore spezzato per fargli realizzare quanto era stato idiota! Ma ora non lo sarebbe stato più!
Riaprì di scatto gli occhi e li puntò nei suoi, facendosi coraggio con la speranza che le leggeva nello sguardo. “Io non ti voglio come amica Kaya. Da sempre io ti voglio in un altro modo...” ma Kaya continuava a fissarlo dubbiosa.
“Non mentire.” lo avvertì sull'orlo del pianto.
“Non sto mentendo...” mormorò roco, il cuore in gola “...sono stato un bugiardo per troppo tempo, ma era a me che mentivo! Convinto che mi bastasse rimanerti accanto per essere felice e non provare a chiedere altro, come ora mi rendo conto avrei dovuto fare, ma avevo paura... paura di non essere abbastanza forte o bravo per chiedere di più...”  Usop deglutì, la gola in fiamme ma gli occhi determinati puntati su di lei che lo guardava esterrefatta.
“Hai ragione, se Rufy verrà a prendermi io andrò con lui.” Kaya abbassò lo sguardo, gli occhi lucidi che premevano per dare nuovo sfogo alle lacrime, ma Usop le sollevò delicatamente il viso con una mano costringendola a guardarlo. “...se Rufy verrà, io andrò con lui e tu… tu verrai con me!” la ragazza trattenne il fiato ad occhi spalancati. “…non ho più intenzione di soffocare quello che provo e vorrei tanto che tu rimanessi con me per il resto dei miei giorni!” Usop chiuse gli occhi un istante, cercando di frenare il battito impazzito del suo cuore, prima di riaprirli determinato e ardito come un uomo dovrebbe sempre essere nel momento più importante della sua vita. “Ti amo Kaya... ti ho sempre amata... Voglio che tu parta con me, con la Sunny, e lì in presenza dei nostri Nakama… voglio fare di te mia moglie...” esalò sicuro, con un coraggio che non credeva di possedere e senza abbassare lo sguardo incrociato con quello lucido di lei, illuminato dal sorriso innamorato che le stava nascendo sulle labbra.
Prima che potesse rendersene conto, Kaya l'aveva afferrato per il bavero della giacca e l'aveva attirato a sé, coinvolgendolo in bacio che sapeva di lacrime mal trattenute ma anche di amore e speranza, e che durò il tempo di un battito d’ali, ma fece strabuzzare gli occhi al cecchino e soprattutto aumentare in maniera preoccupante la sua tachicardia.
Ci volle la risata dolce di Kaya, di quella che ora avrebbe potuto -finalmente- chiamare la sua donna, per fargli riavere coscienza di sé. Ma dovette far forza sul proprio autocontrollo per non accasciarsi al suolo pur essendo già seduto, quando la vide annuire rossa in volto ma serena e innamorata, alla sua proposta, incatenando i loro occhi.
Per l’emozione avevano preso a tremargli anche le ginocchia.
Usop le sorrise, avvicinandola a lui e unendo di nuovo le loro labbra per suggellare la promessa.
In un ultimo barlume di lucidità realizzò che ci aveva messo davvero tanto tempo -troppo-  per cancellare del tutto la paura dalla sua vita e doveva ringraziare solo lei per questo. Sentendola totalmente abbandonata a lui con il cuore finalmente sereno, approfondì il bacio, giurando a sé stesso sul suo onore di pirata che non avrebbe mai più sprecato nemmeno un secondo di questa sua nuova vita.
 
°
 
La vita era meravigliosa.
Se avevi fortuna, poteva essere come volevi tu, potevi costruirla un passo alla volta, senza strafare.
Nessuno ti insegnava come fare, stava a te tirar fuori sempre il meglio da ogni situazione avversa, dalle più lievi alle più pesanti. Nascevi solo e morivi solo, ma l'intermezzo era una scoperta continua.
Se accettavi il fatto che la vita non avrebbe mai potuto essere perfetta, ti accorgevi che era lo stesso meravigliosa.
Se accoglievi tutti gli eventi indistintamente, e ne facevi tesoro, erano esperienze guadagnate.
Se avevi la speranza, la salute e l'amore, era meravigliosa, perchè la vita era troppo breve per avere rimpianti o sperare che accadesse qualcosa di meglio e sprecare ogni attimo nell'attesa.
Se credevi fermamente che tutto dovesse accadere per un motivo preciso riuscivi a vivere più serenamente. Affrontavi con tranquillità anche i problemi più complicati.
Se riuscivi ad essere sempre pronto, gli imprevisti della vita ti scivolavano addosso come acqua.
Si, la donna in cima alla scogliera credeva fortemente in ciascuno di questi principi.
Meditava sui misteri della vita mentre, seduta a gambe incrociate, osservava il mare piatto, sotto il sole caldo del mattino, con i lunghi capelli rossi che svolazzavano liberi nel vento.
Meditava e rifletteva. Rifletteva e meditava. Occhi aperti, occhi chiusi. Un occhio aperto ed uno chiuso.
Dopo nemmeno dieci minuti si diede per vinta, aprendo entrambi gli occhi e decidendo senza indugio che tale arte non fosse adatta a lei. Non era capace di reggere i ritmi del tipo strambo che le stava seduto a fianco ad occhi chiusi, gambe incrociate e schiena dritta, ormai divenuto un tutt'uno con la natura che li circondava.
Sbuffò piano, per evitare di disturbare almeno la sua di concentrazione, e prese a guardarsi intorno.
A pochi passi da lei si ergeva una modesta tomba bianca con dei fiori freschi. La girandola attaccata alla lapide girava veloce per il vento che arrivava dalla baia e riuscì a catturare la sua attenzione per qualche secondo, prima di spostare nuovamente lo sguardo di fronte a sé, al mare sconfinato, e sbuffare di nuovo.
Niente, non ce la faceva. Nami, detta Gatta Ladra, navigatrice di Cappello di Paglia, autrice dell'unica cartina che conteneva la mappa completa del mondo, nonché detentrice del premio 'pazienza estrema', non riusciva a rilassarsi!
Non ce la faceva, non era nelle sue facoltà! Ringhiò tra i denti. Poteva raccontarsi quanto voleva che la vita era bella, che doveva fare tesoro di ogni cosa, che le avversità rendevano più forti, ecc... ma la verità era che l'unica cosa che l'avrebbe fatta felice in quel momento sarebbe stato mettere le mani attorno al collo del suo più vecchio amico, nonché capitano, fino a renderlo cianotico e, a quel punto, l'avrebbe lanciato in mare e che l'acqua facesse il suo dovere. Altro che le zucchine, sarebbe stato terrorizzato da ben altro, quell'idiota!
Una mano grande si posò leggera sulla sua chiusa a pugno che stringeva spasmodica. Sussultò, girandosi a guardare Zoro, al suo fianco, evidentemente riemerso dalla seduta di meditazione a causa dei suoi continui grugniti.
Sospirò piano, osservandolo in silenzio infonderle con il solo sguardo la calma che non lo aveva ancora lasciato.
Sembrò funzionare perchè Nami riprese a respirare normalmente. Lo ringraziò con un cenno del capo.
Zoro rise guardandola e lo stomaco della ragazza fece una capriola all'indietro.
Dopo anni quella familiare stretta era ancora onnipresente ogni volta che lui le sorrideva.
“Non avevi detto che ci avresti almeno provato?” le chiese lui con un sopracciglio alzato.
Lei sospirò. “Ci ho provato, ma non fa me! Non riesco a calmarmi così... preferisco ancora il mio metodo!”
Zoro la guardò scettico. “Fare shopping sarebbe un metodo per calmare gli istinti omicidi verso Rufy?”
Lei annuì convinta. “Altrochè! Ma non hai imparato niente in tanti anni con me??”
Il ragazzo fece spallucce, poco incline ad approfondire l'argomento. “Come vuoi... io c'ho provato a proporti un'alternativa più economica...”
Nami sorrise teneramente. “Lo so e per questo ti ringrazio, ma facciamola finita. Tu ti tieni la meditazione, io lo shopping sfrenato!”
Zoro ghignò incrociando le braccia. “Basta che mi giuri di non rendere Ace orfano e Robin vedova.”
La cartografa si imbronciò. “Non posso promettertelo....”
Lo spadaccino ridacchiò “Lo sai com'è... I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedirgli di nuocere.” sussurrò sdraiandosi a terra ed estraendo due buste dalla tasca, porgendogliele. “Queste me le ha date Nojiko prima che arrivassi qui e ti trovassi da sola in preda alla rabbia a incenerire alberi e cespugli...”
Alla vista delle buste bianche gli occhi della donna si illuminarono, battendo le mani tra loro come una bambina. “Oh! Sono già arrivate? Hanno fatto prestissimo!” commentò guardando il mittente, mettendole poi in tasca senza aprirle.
Zoro la fissò curioso. “Non le leggi?”
“Oh, non c'è fretta. Carrot e Momo possono aspettare qualche minuto.” mormorò suadente al suo orecchio, avvicinandosi a lui sull'erba e posandogli una mano all'altezza del cuore. Zoro sogghignò sereno già pronto a stringere a sé la sua donna, quando si accorse in ritardo di un particolare. Si alzò a sedere di scatto, guardandola con gli occhi spalancati. “Momo?? Intendi Momonosuke? Perchè diavolo ti scrive ancora quello??”
Nami da sdraiata si mise un braccio a sostenere la testa squadrandolo tranquilla dal basso. “Non mi dirai che sei geloso di un ragazzino...”
Zoro soffiò nervoso dal naso, stringendo gli occhi. “Ma quale ragazzino! Ormai avrà quasi 18 anni!!”
“Appunto. È un ragazzino per me...” ribadì serena. “...E poi non darti pensiero, lo sai che sono tua.” precisò, con una naturalezza disarmante che lasciò un attimo interdetto lo spadaccino, prima di scuotere la testa e ridistendersi al suo fianco dove venne accolto a braccia aperte. “Si, sei mia...” mormorò divertito vicino al suo orecchio. “Vedi di ricordarglielo, però...” Nami ridacchiò contro la sua spalla, accoccolandosi meglio.
Lo osservò qualche secondo in viso, ascoltando il rumore del vento tra gli alberi e delle onde sotto di loro, prima di infrangere nuovamente il silenzio. “Quando hai intenzione di tagliarlo...?”
Lui la fissò di rimando, sorpreso. “Che cosa?”
La cartografa si accigliò. “Come che cosa? Parlo di questo!” dichiarò toccandogli il mento. “Con questo pizzetto e i capelli più lunghi assomigli a Mihawk sempre di più ogni giorno!”
Zoro sbuffò. “Non è vero, il suo è diverso!” affermò deciso, come fosse la milionesima volta che lo ripeteva.
Nami assottigliò lo sguardo storcendo la bocca. “Di diverso avete solo il colore! E non lo penso solo io, lo dice anche Perona!”
Lo spadaccino schioccò la lingua. “Dovete piantarla di fare comunella alla mie spalle voi due...”
Nami rise, stringendolo di più a sé, beandosi delle sue coccole e della calma che le infondevano le sue mani attorno alla vita. Capitavano di rado momenti di intimità placida e tenera tra di loro, solitamente si comportavano come cane e gatto, ma qualche volta uno dei due, se non entrambi, sentiva il bisogno di esternare l'amore in maniera più dolce ed affettuosa. Da anni si capivano al volo, senza bisogno di parlare, come due perfette metà di un'anima sola ed in fondo era pure normale, erano così simili loro due. Zoro non era tipo da effusioni in pubblico e lei per prima non le amava particolarmente da chiederglielo, ma l'uno capiva quando l'altro ne avesse particolarmente bisogno. E Nami preferiva di gran lunga tenere per sé il lato dolce che il suo uomo faceva uscire solo con lei e, ovviamente, con Ren quando non ne aveva combinata un'altra delle sue.
Come se le avesse letto nel pensiero, Zoro prese ad accarezzarle con movimenti circolari e lenti il ventre piatto, come aveva preso a fare spesso quando era rimasta incinta e anche dopo, facendola diventare una dolce abitudine nei loro momenti intimi rubati alla quotidianità.
“Dov'è Ren?” le chiese, come lei si aspettava. Sorrise.
“Dove vuoi che sia... in giro per il paese.” rispose, trattenendo una risata.
“Da solo??”
“Ovviamente no, scemo. Con tuo padre e tua sorella...” mormorò, ancora contro la sua spalla.
Zoro alzò gli occhi al cielo. “Piantala, Nami!”
Lei rise di gusto, mai stanca di prenderlo in giro. “Dai, devi ammettere che lo sembrano davvero!”
Lo spadaccino si imbronciò. “Non so perchè dobbiamo continuare con questa farsa...”
Nami si sollevò sui gomiti, guardando il mare. “E io non so perchè me lo chiedi ogni volta! Lo so, lo abbiamo detto quasi per gioco, ma ha funzionato! Non sarebbe stato affatto semplice spiegare ad un paesino tranquillo come questo chi fossero i due strani individui che venivano spesso a farci visita... ammettiamolo, Mihawk e Perona non sono due che passano facilmente inosservati! E lo sai meglio di me che dopo il periodo con gli uomini-pesce quest'isola è diventata molto diffidente con i forestieri…”
Zoro grugnì. “Lo so, però devo fare comunque un discorsetto a Perona! Va bene in pubblico, ma ormai recita anche tra di noi a casa!”
Nami lo guardò di sbieco con un sorrisino. Sapeva a cosa si riferiva ma sarebbe stato inutile, la ragazzina fantasma non avrebbe perso facilmente la naturalezza con cui aveva preso a chiamarlo 'fratellone' ad ogni occasione buona. In tanti anni Nami aveva imparato che Perona era capace di avere una discussione fruttuosa anche con le pareti di casa, oltre che a farsi filmini mentali su chiunque, e non avrebbe mai avuto cuore di risvegliarla dalla gioia palese che provava nel considerare tutti loro la sua famiglia allargata. Sapeva bene che anche a Zoro non dispiaceva poi molto, ma era certamente più difficile farglielo ammettere.
“Non mi sembra dia così fastidio a Mihawk essere chiamato papà da lei...” mormorò furba, sapendo di toccare il tasto giusto, Zoro non sarebbe mai andato contro il volere del suo vecchio maestro. “Tra l'altro Ren li adora e devo dire che Occhi di Falco mi ha stupito! Sembra proprio un nonno amorevole con lui, almeno quando è sicuro che nessuno lo guardi... Genzo sta iniziando a diventare geloso...”
Fu il turno di Zoro di ridacchiare. Non era scemo, se n'era accorto pure lui e la cosa non gli spiaceva affatto!
Fin da quando aveva saputo che Nami era rimasta incinta aveva sperato che l'essere lo spadaccino più forte del mondo sarebbe stato un ottimo elemento per invogliare il futuro figlio (o figlia) ad apprendere l'arte della spada e seguire le sue orme, ma aveva dovuto arrendersi presto all'evidenza.
Per qualche motivo, al suo bambino di quasi quattro anni, di esercitarsi con le katane giocattolo che gli regalava dalla nascita non poteva interessare di meno, anzi preferiva di gran lunga stare ore e ore nell'agrumeto della mamma a rincorrere farfalle o a disegnare sdraiato sull'erba.
Zoro non riusciva a capacitarsene. Spesso in quei momenti gli tornava alla mente quando Nami, ormai prossima al parto, aveva preso l'abitudine di immaginare come sarebbe stata la sua creatura una volta messa al mondo, fantasticando senza sosta sdraiata con lui nel loro letto. Con un'esaltazione da imminente mamma cercava di coinvolgerlo nei suoi sogni ad occhi aperti con poco successo. Zoro non riteneva necessario creare tali fantasie dal momento che non era interessato a sapere come sarebbe stato caratterialmente o fisicamente, l'unica cosa che bramava era tramandare le sue conoscenze sull'arma bianca a quello che considerava già il suo erede.
Nami accettava relativamente questa sua mancanza di curiosità verso il nascituro ma una volta non ce l'aveva più fatta, era scoppiata. “Nessuno ha mai deciso che il mio bambino debba per forza essere un samurai. Magari da grande vuole fare l'artista!” gli aveva detto, nervosa. Zoro aveva sollevato lo sguardo scoccandole un’occhiata piena di compatimento. Davvero Nami pensava che suo figlio potesse anche solo contemplare l’idea di una vita priva di spade e sfide mortali?
Si, a quanto pareva... ragionò lo stesso Zoro.
Lo pensava davvero e quel che era peggio era che dopo quattro anni era arrivato al punto da non poter evitare di rifletterci pure lui. Nami ci aveva visto lungo, o forse era opera sua.
Non c'era verso di coinvolgere il bambino nei suoi esercizi, ci aveva provato tanto. Ogni volta tirava fuori qualche debole scusa, ridacchiava in un modo che somigliava in maniera impressionante a Nami, e si sedeva composto per terra, entusiasta di guardarlo mentre si allenava. Ecco si, almeno era riuscito ad affascinarlo, adorava guardare il suo papà fortissimo mentre faceva i suoi esercizi, ma il suo interesse si fermava lì, non aveva intenzione di provare, al contrario sprizzava energia da tutti i pori quando qualcuno, di solito zia Nojiko che ci aveva visto lungo, gli regalava un nuovo albo per disegnare.
In cuor suo, Zoro si stava placidamente abituando all'idea di non vederlo mai con una katana in mano, ma non si dava completamente per vinto. Magari era tutta una questione di età, forse l'interesse sarebbe giunto col tempo, non smetteva di sperarci e, intanto, spingeva il bambino a trascorrere quanto più tempo possibile con Mihawk, ogni volta che lui e Perona passavano a trovarli. Era sicuro che vedere all'opera un altro spadaccino abile e grandioso, come doveva ammettere fosse il suo vecchio maestro, avrebbe potuto dare un'ulteriore spinta al bambino. Certo, che poi passasse anche un sacco di tempo con Perona da aver quasi iniziato a ridere come lei e a giocare con i suoi ninnoli, erano dettagli...
“Non diventerà mai una sorta di Perona in miniatura, sappilo...” dichiarò Nami, che aveva intuito i pensieri del compagno come se li avesse espressi a voce alta. Lui la fissò giustamente stupito, mettendosi seduto come lei.
Alzò le spalle. “Sei un libro aperto per me...” mormorò al suo indirizzo, sorridendo. “Ren ha una personalità tutta sua. Solo perchè adora Perona e Mihawk non vuol dire che diventerà come uno di loro due... anche se tu speri nel secondo...” aggiunse con una faccia saputa.
Zoro ghignò. “Hai ragione, somiglia troppo a quella strega della madre!”
Nami si pavoneggiò come le avesse fatto un complimento, mormorando un 'eh, che ci posso fare? Sono fantastica.' mentre lui riprendeva parola. “...in ogni caso mi piacerebbe smettesse almeno di giocare con le bambole...” mormorò lui storcendo la bocca e incrociando le braccia.
Nami sbuffò una risata. “A parte che non ci sarebbe nulla di male in caso, ma non le puoi chiamare bambole! Sono le bamboline voodoo di Perona, dovresti essere felice che stia imparando a mutilare più gente possibile! Anche se non lo fa con una spada...” esalò dubbiosa.
Zoro scosse la testa ridendo. Aveva smesso di tentare di capire suo figlio da tempo e si era rassegnato ad amare incondizionatamente quello strano esserino vispo, nonostante non riuscisse a trovare punti in comune con lui nemmeno a pagarne. Sospirò mestamente.
Nami lo guardò con fare saputo, ridacchiando nei suoi pensieri.
Chiunque quando conosceva Ren lo additava subito come la sua fotocopia in miniatura e forse per certi piccoli evidenti aspetti era anche vero, come per il colore di capelli e la passione nel disegno, ma lei sapeva benissimo che le sfaccettature più importanti del suo carattere le aveva ereditate da qualcun altro.
Suo figlio era identico a Zoro.
Era vero non si somigliavano fisicamente, né avevano gli stessi interessi, ma erano uguali in tutti gli altri aspetti.
Lo stesso spirito indomito dell'uomo lo vedeva nel bambino, ogni qualvolta affrontava una difficoltà, che fosse un disegno riuscito male o un'ingiustizia subita da uno dei suoi amichetti al villaggio, non si dava mai per vinto affrontando ogni cosa certo delle proprie capacità.
Aveva una curiosità infinita che spaziava ad ogni argomento, con una predilezione per le cose che apprendeva direttamente da Zoro. Ren era fiero dei suoi geni e non ne faceva mistero, idolatrando il padre sopra ogni cosa.
Mostravano la stessa attenzione e lo stesso amore nel prendersi cura delle cose a cui tenevano, fossero una spada o un gioco. Zoro non si era mai reso conto che all'inizio Ren temesse Mihawk, le sue cicatrici e il suo sguardo serio, ma una volta capito che lo spadaccino fosse qualcuno di molto importante per il suo fantastico papà, lo aveva rivalutato. Se Zoro lo ammirava, allora Occhi di Falco doveva essere una persona straordinaria e degna di essere presa in considerazione da lui. Ora solo Zoro riusciva a staccarlo da Mihawk!
Erano simili anche nel preservare il loro ideale di giustizia e coerenza. Per quanto piccolo, Ren ne sapeva abbastanza da capire quando questi due suoi ideali venivano a mancare e, come Zoro, si impuntava perchè tutto si risolvesse.
Nami ridacchiò da sola pensando al fatto che avesse ereditato pure lo stesso senso dell'orientamento! Ancora si stupiva di come avesse fatto Zoro a raggiungerla da solo in cima alla scogliera prima (anche se forse i lampi che svettavano dal suo bastone avevano fatto da stella cometa), ma era capitato più volte che fosse toccato a lei andare a recuperare uno o l'altro finiti chissà come in cima a montagne o in villaggi vicini, senza che riuscissero a fornire alcuna spiegazione logica, come non era raro trovarli entrambi addormentati sotto gli alberi del suo agrumeto mentre ne raccoglievano i frutti per lei.
Forse, rifletté Nami, avrebbe dovuto correre ai ripari finché era in tempo e cercare di raddrizzare almeno il figlio...
Zoro, che nel frattempo non si era perso una sua espressione, quando la vide contrarre le labbra, come a volersi trattenere dal ridere, gliene chiese il motivo, curioso.
“Stavo pensando a quando torneremo sulla Sunny. Vorrei chiedere a Brook di dargli lezioni di violino...” mormorò Nami pensosa, una mano a sorreggere il mento.
Zoro si strozzò con la saliva. “ANCHE QUELLO??”
Lei rise un sacco alla sua espressione sconvolta. Zoro si imbronciò. “C'è già tua sorella che lo vizia con albi da disegno e poesie... ci manca solo la musica...”
Nami spalancò gli occhi come avesse ricordato qualcosa all'improvviso. “A proposito... come sta Johnny?”
Il ragazzo alzò le spalle, visibilmente scocciato. “Piuttosto bene direi, non era nulla di grave! È il solito esagitato e tua sorella gli da pure corda! Quell'idiota mi ha chiamato per aiutare Nojiko col negozio perchè lui ha il raffreddore! Cioè, un semplice raffreddore! Da come mi aveva chiamato in preda all'agonia pensavo l'avesse morso un mostro marino!
E io sono stato pure gentile! Gli ho detto che li aiutavo volentieri ma che non mi sembrava stesse così male, e sai che mi ha risposto? Che dovevo farmi i fatti miei e che non era un raffreddore ma una febbre mortale! L'ha salvato solo il fatto che al mio ringhio si è nascosto dietro sua moglie e Nojiko è incinta, non volevo farla agitare, ma un giorno di questi lo affetto!!”
“Oh, il mio spadaccino tenerone...” Nami rise, guadagnandosi un'occhiataccia per la presa ingiro. “...ti manca tanto Sanji, vero?”
Zoro la guardò inorridito. “Che c'entra il cuocastro ora??”
Lei lo guardò furba. “Ti manca da morire litigare con qualcuno che sia capace di tenerti testa!” mormorò suadente sotto il suo sguardo oltraggiato. “Comunque tranquillo, ormai non credo che ci voglia più molto tempo...” disse fiduciosa gli occhi puntati sul mare.
Zoro ghignò in un modo che non aveva mai perso con gli anni. “Ammetto che iniziavo a sentire la mancanza di questa adrenalina... Abbattere i cacciatori di taglie che arrivano sull'isola non dà più lo stesso brivido, ho una gran voglia di menare le mani!”
Nami sbuffò. “Rufy si è impegnato parecchio, poteva anche avvertirci in una maniera più semplice!” sospirò “L'ho sempre detto che siamo una ciurma di sbruffoni!” Il compagno sghignazzò sereno.
Lì, seduti sulla scogliera più alta dell'isola, godendo l'uno della calda presenza dell'altro ed ammirando il mare isolati dal resto del mondo, era facile pensare che la vita fosse davvero meravigliosa.
Nami sapeva che non fosse esclusivamente un mantra per la meditazione quello che qualche minuto prima l'aveva portata a considerare la sua vita sotto un’altra luce.
Sei anni avevano creato qualcosa in ognuno di loro e difficilmente avrebbe ritrovato le stesse persone con cui era partita da Coco undici anni prima. Tutti erano cambiati e probabilmente qualcuno avrebbe avuto con sé un bagaglio emotivo più forte degli altri. Se la storia metteva fine ad un’epoca non si doveva viverla male, ma come il naturale scorrere delle cose e lei, dopo tanti anni di sofferenze, poteva vantare di aver raggiunto la vera felicità.
Non le sembrava più nemmeno una fine, guardare lo sconfinato mare azzurro fondersi con l'orizzonte chiaro, ma un nuovo ed emozionante inizio. Sorrise felice, sentendo l'aria venire da sud farsi più tiepida.
“Zoro?”
“Mh?”
“Il vento sta cambiando…”
E come un flash se li rivide tutti davanti agli occhi a bordo della Sunny. Diversi nell’aspetto forse, ma con lo stesso spirito di un tempo.
Un esagitato capitano, una donna enigmatica, un curioso cyborg, uno scheletro canterino, una piccola renna, un cuoco casanova, un cecchino nasone, uno spadaccino scorbutico, una ragazzina isterica…
La vita insieme era da sempre la loro avventura migliore.
E l’orizzonte non le era mai parso più bello.
 
 
 
 
 


 
 
 
Angolo Autore:
…e dopo innumerevoli  mesi, ansie e angosce (mie), disastrose scene tagliate, blocco dello scrittore, impegni, ansie e angosce di nuovo, certezze di non riuscire a finirla…. ecco che finalmente riesce a pubblicare l’ultimo capitolo!! Mi sono emozionata da sola! ^^
I bambini sono stati i miei preferiti… li ho immaginati così tanto che spero non siano sembrati troppo finti, fatemi sapere se potete!
So che negli ultimi tre paragrafi mi sono un po’ lasciata andare, ma sono i primi quattro membri! Era quasi obbligatorio che avessero più spazio...
E scusate per la lunghezza spropositata… L avevo deciso di tagliare il capitolo in due parti, ma poi ho pensato, perché devo rompere le scatole ancora di più a quelle buone anime che leggono dandogli la rottura di star là a cambiare pagina? E in più ho ricevuto un fantastico appoggio da una donna meravigliosa che continua a sostenermi sempre e comunque anche quando non penso di essere riuscita a fare granchè… Zomi, sei un mito!! Il pezzo di Usop, Nami e Zoro è tutto per te, perché leggendo le tue ultime storie (tra tutte Caffè al ginseng) mi hai dato l’ispirazione finale per terminare quando credevo che il blocco mi avesse del tutto resa arida! Non smetterò mai di ringraziarti!
Ringrazio infinitamente dal profondo del cuore le belle persone che mi hanno accompagnato fino alla fine… grazie davvero a tutti per le bellissime parole nelle recensioni, aggiungendo la storia tra i preferiti, ricordati, seguiti… non sapete quanto mi abbia reso felice in questi mesi sapere che la mia storia stava piacendo davvero! ^^
È una cosa bellissima e sono un po’ triste sia arrivata la fine, ma tutto finisce prima o poi!
Ancora grazie grazie grazie a tutti!
A presto,
momoallaseconda
 
 
   
 
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