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Autore: Yellow Canadair    09/03/2017    4 recensioni
Sulla piazza era sceso il silenzio, e il sangue che scorreva sul sagrato sembrava avere la stessa voce di un fiume in piena, anche se la scia era lenta e scura.
Fu in quel momento che si fece largo tra la folla un uomo. Uno che non ci avresti scommesso due lire, che zoppicava pure e che chissà per quale ferita non era riuscito a infilarsi nemmeno una delle maniche della giacca.
Quello non era solo un disgraziato appena dimesso: era un agente del CP che aveva parecchia rabbia da smaltire.

Chi l’ha detto che il CP9 è sconfitto? Aspettate poi che metta le mani addosso a Spandam, e vedremo chi ha davvero perso, a Enies Lobby.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kalifa, Rob Lucci
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Epilogo

Cuore colombo

 

La nave della Marina galleggiava dolcemente nella baia dell’isola di Jiangxin. Le onde dell’oceano la facevano alzare e abbassare, e dondolava sul mare blu. Le vele e gli alberi si riflettevano nell’acqua tersa.

Kaku e Lucci ne avevano costruite molte, di navi del genere, ed ebbero subito chiaro che la cosa più sensata da fare era lasciare la nave dei pirati Candy e continuare il viaggio con quella della Marina; inoltre sapevano bene che una chiglia rivestita di agalmatolite non era da buttar via, così come le insegne della Marina che erano sempre un ottimo biglietto da visita.

« Dobbiamo andare, Califa. » disse Kaku sulla spiaggia, con i resti di Very Good che ancora li fissavano ma che non osavano ricomporsi.

« Solo un istante. » rispose la ragazza.

I suoi colleghi la osservarono tornare brevemente sui suoi passi, ma nessuno intervenne. Fukuro prese fiato per dire qualcosa, ma Jabura, brusco, gli serrò la zip: Califa stava scavando una piccola buca.

Dentro vi piantò il fiore che una bambina le aveva regalato nella lontana San Popula.

Poi si rialzò, spazzolò via la terra dalle ginocchia con le mani, si tirò gli occhiali sopra la testa e disse ai suoi ragazzi: « Possiamo ripartire »

 

Alcuni mesi dopo…

 

Il grande fiume scorreva lento e dignitoso, accarezzando gli argini di frasche e di canneti. L’altra riva sembrava un luogo lontano, sconosciuto, con le stesse frasche e gli stessi canneti per chilometri e chilometri, fino al mare che era solo un’idea lontana.

Faceva capolino da un bosco di faggi un vecchio cascinale a due piani squadrato, dal tetto sfondato e le finestre serrate da persiane vecchie di almeno mezzo secolo; la vernice si era staccata pezzo dopo pezzo e mostrava la struttura di pietra e di mattoni.

Era poco più che una vecchia fotografia; solo il faggio più vicino che si muoveva al vento faceva sembrare tutto reale, seppur fermo nel tempo.

La nave della Marina si era arenata a chilometri dalla foce, si era incagliata sul fondale fangoso del fiume vicino al cascinale, e lì era rimasta; gli agenti erano scesi sul greto di sassi, l’avevano guardata, e poi Kaku e Lucci si erano scambiati uno sguardo e avevano preso a smantellarla con l’ordine inverso di quello che usavano per costruire.

Due giorni dopo non esisteva più alcuna nave della Marina: c’era una chiatta per muoversi sul fiume e un cascinale a due piani con il tetto riparato e le finestre aperte.

Era strano vedere degli agenti del CP9 comportarsi in maniera così normale, così ordinaria, era strano vedere Fukuro essere mandato senza troppi complimenti in legnaia prima che si spegnesse il camino e prima che con le sue chiacchiere piantasse troppa zizzania.

Certe cose invece erano sorprese piacevoli, come Jabura che tornava dalla caccia con quattro o cinque conigli che Blueno avrebbe senza remore spellato e arrostito.

Altre cose erano molto incredibili, come incrociare Kumadori di primo mattino e vederlo senza rossetto nero e cerone. E poi c’erano scorci di tranquillità che nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere, come Califa che rammendava, seduta davanti al camino, le camicie di Jabura e Lucci che si erano scannati un’altra volta.

Kaku si divertiva sul fiume, andava su e giù con la chiatta per i paesini dell’argine a vendere i conigli di Jabura o i pesci che pescava lui. La gente ormai lo conosceva e a lui sembrava di aver recuperato quella vita spensierata che aveva a Water Seven, quando usciva a divertirsi con gli altri carpentieri. Certo, non c’era più il bar di Blueno, ma aveva imparato ad apprezzare le osterie dove gli uomini, dopo la fatica nei campi, giocavano a carte e bevevano vino rosso.

Andava e veniva dal paese.

Tornava a casa la sera, si sedeva con Rob Lucci al tavolo della cucina, e discutevano fitto fitto scrivendo annotazioni su un quaderno. Califa spesso interveniva, indicava questo o quell’appunto, Kaku correggeva, e poi di nuovo a fare congetture. Blueno preparò ettolitri di caffè, in quel periodo. Quando Jabura si avvicinava al tavolo nell’aria si vedevano già le scintille, ma ogni tanto persino lui riusciva ad avere qualche buona idea.

C’erano delle sere, quando il sole era tramontato e il lavoro fuori casa era finito, in cui Kaku tornava, si sedeva sul divano, ed era come un segnale per dire che non c’era nulla su cui costruire supposizioni. Il vento spazzava l’argine ed era semplicemente bello stare tutti insieme a casa. Chi a poltrire da una parte, chi a fare addominali dall’altra, chi a cucinare e chi a pulire, però si stava insieme, e tutti ogni tanto tendevano l’orecchio per sentire, piacevolmente, la pioggia battere sulle tegole.

Era meraviglioso, ma non poteva durare. Quella promessa fatta a Spandam doveva essere onorata e, prima o poi, tutto quel confabulare e quel pianificare viaggi avrebbe portato a una pista di caccia concreta e inesorabile.

Spandam non si era messo contro dei comuni mortali, del resto: si era messo contro un’élite di assassini, gli stessi assassini che lui aveva scelto di sfruttare per assicurarsi la vita e la carriera.

 

Una sera Kaku tornò a casa correndo, e tutto cominciò a girare velocemente. Gli appunti sul quaderno divennero abbozzi di carte geografiche, Califa prese una calcolatrice e cominciò a battere rapidamente sui tasti: misurava rotte, distanze, costi di spostamento.

Kumadori tentò il Seppuku perché avevano perso, senza volere, il mercantile che trasportava merci da quell’isola alla successiva: era partito il giorno prima e adesso bisognava aspettare una settimana. Nessuno vi badò, e l’anima pia di sua madre non gli concesse di morire.

Dopo l’ultima settimana di pace, il CP9 salpò.

Fu un peccato, perché quella casa immersa nella campagna era proprio quello che ci voleva, dopo le vicissitudini di Enies Lobby e quelle di San Popula.

Nonostante l’ambiente bucolico, però, c’erano stati momenti di estrema tensione: come quando Kaku era entrato nella doccia, aveva girato la manopola e si era goduto la cascata di acqua calda…. ma pochi secondi dopo si era reso conto di avere i piedi completamente in ammollo, e che l’acqua stava per tracimare dal piano della doccia. Seccato, aveva chiuso il rubinetto ed era uscito dal box.

Tornato nel salotto con l’accappatoio addosso, aveva squadrato uno per uno Rob Lucci, Califa, Jabura, e soprattutto Kumadori.

« I capelli dallo scarico vanno tolti dopo ogni vostra doccia! » aveva esclamato.

Era stata presa come una dichiarazione di guerra e ci erano voluti due giorni per riportare il salotto in condizioni abitabili: nel CP9 sono tutti un po’ permalosi.

Quando il mercantile partì, portandosi gli agenti in borghese, l’inseguimento di Spandam potè dirsi finalmente cominciato. Jabura scalpitava per menare le mani e per strangolare l’ex direttore, ma mai quanto lo desiderava Rob Lucci.

Il suo carattere è più composto e non si lascia spesso andare a dichiarazioni d’intenti… anzi no, non è vero. Contro Cappello di Paglia, sicuro di vincere e che nessuno potesse batterlo, aveva spiattellato piani e intenzioni. Adesso ci pensa due volte prima di dire che è un superumano e che nessuno è alla sua altezza.

Non che questo abbia minimamente intaccato il suo spirito assetato di stragi: dopo lo scontro con Cappello di Paglia qualcosa si è mosso, qualcosa è cambiato, ma ciò che ha fatto Spandam è troppo difficile da seppellire sotto la proverbiale pietra, e troppi anni sono trascorsi nel riuscito sforzo di rendersi uno spietato e lucido assassino.

E questo io lo so bene. Lo so perché ho passato quasi trent’anni sulla spalla del mio amico, e sono sicuro che arriverà il giorno in cui Spandam rimpiangerà ogni singolo istante trascorso indegnamente a capo di questi ragazzi.

Portare a termine una missione, uccidere senza remore, sacrificare la propria vita in nome della Giustizia Oscura, non è roba da persone comuni.

È roba da CP9.

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

È con immenso dispiacere che concludo questa storia. Certo, essendo mia potrei continuare a torturare il CP9 a raccontare del CP9, ma per stavolta finisco così. Con un piccolissimo Hattori che ha dato voce all'epilogo. 

I miei bambini preziosissimi!!! Chi mi conosce sa bene quanto mi sia innamorata del CP9, quanto abbia a lungo spulciato ogni rognosa vignetta per tirare fuori caratteri, manie, vizi e virtù di questi sette ragazzacci ♥ Rob Lucci mi ha fatta letteralmente dannare e scrivere di lui mi è sempre riuscito ostico... meraviglioso, ma ostico; con Jabura e Kumadori mi sono divertita, credo di non aver mai incontrato dei personaggi così ♥ 

Ma in realtà non potrei fare a meno di nessuno, nel gruppo. Ed è per questo che del CP9 (o CP0, aggiornandomi) continuerò a scrivere.

Un grazie immenso alle persone che mi hanno sOpportata ♥

Un grazie altrettanto grande a chi ha recensito, e ancora più immenso a chi l'ha fatto assiduamente. Grazie. 

Grazie al CP9, che si è lasciato amorevolmente spupazzare per mesi ♥

Grazie a te, che sei arrivato fin qui.

Yellow Canadair

 

  
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