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Autore: L S Blackrose    31/05/2017    1 recensioni
« Per sempre all'inverno ella apparterrà ».
Questa è la maledizione che grava su Gwen, splendida e impavida principessa del clan MacWarden. Da che ha memoria, il gelo che porta dentro di sé è sempre stato l'unica costante della sua vita.
Ma ci sono fuochi che nemmeno il ghiaccio può estinguere: ardono in segreto nel più freddo dei cuori e sciolgono ogni ostacolo imposto dal fato.
E se le fiamme destinate a salvare Gwen avessero i riflessi del cielo, il profumo della luce del sole...e la celebre caparbietà dei Vandemberg?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Axel Vandemberg, Bryce Vandemberg, Nuovo personaggio, Stephen Eldrige
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo II

 

In a grave of roses, while the night is closing in
My soul is so cold, but I want to live again
I want to fight for this, save me from this darkness

(I want to live, Skillet)


 

 

«Non l'hai ancora trovata?». La voce incredula del Principe Axel risuonò nel corridoio vuoto, causando un'eco fastidiosa. «Com'è possibile? Hai sguinzagliato, quante? Cinquanta matricole?».

«Cinquantasette» precisò seccamente Bryce, entrando a grandi falcate nel proprio studio. A quell'ora del pomeriggio, quando mancava poco al calar del sole, la facoltà di Botanica era pressoché deserta.

Bryce si avvicinò alla propria scrivania, piena zeppa di carte e spessi tomi enciclopedici. Prese il blocco degli appunti, sul quale aveva disegnato e schematizzato dettagliatamente i progetti dei prossimi impianti da eseguire. Diede loro un'occhiata svogliata, poi gettò il quaderno in uno dei cassetti.

Si sedette compostamente sulla poltrona a lato della finestra che si affacciava direttamente sulle serre e occhieggiò il proprio riflesso. La sua agitazione interiore non traspariva poi molto, si disse. Dopo essersi complimentato con se stesso, trovò persino la forza di invitare il proprio fratello ad accomodarsi, sebbene quel giorno Axel non avesse fatto altro che irritarlo. A morte.

No, non poteva pensare alla morte, non in quel momento.

Bryce scacciò in fretta le immagini di bare e cimiteri dalla mente e si concentrò sul foglio che teneva in mano: un ritratto a carboncino che lui stesso aveva eseguito, più di una settimana prima. Ne tracciò i contorni con la punta delle dita, assorto nella contemplazione della figura eterea e affascinante che lo perseguitava da nove giorni a quella parte.

Nove giorni e ancora nessuna risposta.

Il Principe accarezzò quasi con timore la pergamena, come se temesse di veder sparire la figura impressa nella carta come era successo alla sua gemella di carne e sangue.

Sempre che di carne e sangue fosse realmente, si disse Bryce. Poteva essersi immaginato tutto? L'apparizione improvvisa di lei, il suo canto incantevole e ammaliante, la sua angelica bellezza, i sentimenti che aveva fatto nascere nel suo cuore di solito muto e irraggiungibile... Ripensando a quella sera, gli sfuggì un sospiro.

«Stai sospirando per una donna? Tu?».

Bryce alzò di poco il capo per rivolgere un'occhiata pungente al fratello. Axel aveva chiuso la porta e ci aveva appoggiato contro la schiena. Un raggio di sole gli illuminava metà del volto, rendendo i suoi capelli biondi splendenti come oro fuso.

Il suo sorrisetto incredulo contribuì ad accrescere l'irritazione di Bryce: Axel lo stava fissando con lo stesso cipiglio che lui stesso avrebbe riservato a Morton se l'avesse visto danzare una giga con una corona di fiori in testa. «Non credevo sarei vissuto tanto a lungo da assistere a questo momento. Sul serio, non trovo nemmeno le parole per esprimere la mia…».

«Esatto, fratello». Bryce lo interruppe, seccato e rassegnato allo stesso tempo. Si adagiò più comodamente sulla poltrona, affondando la testa nel morbido schienale. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. «Non dire nulla. Taci e lasciami deprimere in solitudine».

Dopo l'ordine perentorio del fratello, Alex restò in silenzio per tre minuti buoni. Praticamente un record, decretò Bryce: da quando Eloise aveva accettato di sposarlo, non c'era stato verso di fargli chiudere la bocca. Era diventato quasi peggio di Gil, che ancora si struggeva per l'indifferenza che Lara mostrava nei suoi confronti. E lui, Bryce, si stava paurosamente avvicinando al loro livello.

Stava diventando un caso pietoso e patetico.

Nel malinconico silenzio dello studio, la voce di Axel risuonò come uno sparo. «Sai qual è la cosa più strana?» chiese, in tono sorprendentemente gentile.

«Sono certo che stai morendo dalla voglia di dirmela» ribatté Bryce, enfatizzando l'affermazione con accento speranzoso.

Lo sguardo truce del fratello non intaccò di una virgola il sorriso indisponente di Axel. Egli non diede segno di aver recepito la minaccia, anzi esibì un ghigno che era il ritratto stesso della perfidia. «La cosa più strana, caro fratellino» esordì, mentre raggiungeva in pochi passi la finestra. «Oltre ai ritratti che stai seminando in giro per la città e ai tuoi lamenti da principessa innamorata, la cosa più sconvolgente è che, da quella sera, da quando hai incontrato la tua bella sconosciuta, non hai più fatto accenno a bare, mausolei e pompe funebri». Axel gli lanciò uno sguardo divertito, fingendo di non notare la sua espressione oltraggiata. «Morton dev'essere quantomeno disperato».

Bryce strinse gli occhi, ma cedette davanti all'evidenza di quelle affermazioni. Rappresentavano esattamente la sua situazione di caso pietoso e patetico.

Scosse la testa, avvilito. Per una volta decise di concedersi la debolezza di mostrare le proprie emozioni, tanto peggio di così non poteva ridursi. «Non so più cosa fare» proruppe, alzandosi di scatto dalla poltrona e cominciando a passeggiare avanti e indietro. «Ho fatto delle ricerche sia su di lei, che sul fratello. Non ne ho ricavato che poche informazioni, superficiali e inutili dal momento che quello che volevo non era sapere chi era, ma rintracciarla».

Bryce prese uno dei fogli in precario equilibrio sulla scrivania e lo porse ad Axel. Era il resoconto che alcune matricole gli avevano riportato e non vi erano trascritti che pochi dati sul conto di Arthur Russell MacWarden, erede al trono del regno indipendente di Stormhold. «Credevo che, finché fosse rimasta in città, avrei potuto facilmente ritrovarla. Invece è come se fosse sparita nel nulla. Eppure so che non è così. Ho visto con i miei occhi una delle sue guardie riportare il principe Arthur al Collegio, quindi significa che lei deve trovarsi ancora qui». Bryce si passò una mano tra i capelli, con stizza. «E' qui, da qualche parte. Così vicina che riesco quasi a…».

«Bryce».

«…a sentirla. Chiamalo presentimento, o semplice intuizione, ma sono certo che…».

«Bryce».

«…che c'è?» esclamò il Principe, perdendo del tutto il controllo sui propri nervi.

Si voltò verso Axel, pronto ad ascoltare di nuovo commenti sarcastici sul proprio comportamento da pazzo innamorato. «Non so cosa mi prende, va bene? Non mi riconosco più neanch'io. Stamattina mi sono visto allo specchio e per poco non sono svenuto. Dormo poco, i capelli non vogliono saperne di stare al loro posto, sono perennemente…».

«Bryce!» sbottò Axel per la terza volta, quasi ringhiando. Resosi conto che con le parole non avrebbe ottenuto l'attenzione del fratello, lo prese per le spalle e lo fece voltare quasi di peso verso la finestra. «Ecco, dannazione. Guarda con i tuoi occhi e finiscila di agitarti».

Bryce lo assecondò, sporgendosi in avanti per scrutare oltre i vetri opachi. Le proteste per i modi maleducati del consanguineo gli si bloccarono sulle labbra non appena mise a fuoco ciò che Axel intendeva mostrargli.

Dopo una settimana piena di angosce e tormenti, un sorriso si affacciò sul volto del Principe. Il destino aveva ascoltato le sue preghiere. Annuì tra sé. «Andiamo, non c'è tempo da perdere. Dobbiamo mettere in pratica un piano».

Axel posò gli occhi sulla mano del fratello, che si era ancorata al suo braccio in una presa convulsa, non consentendogli alcuna via di fuga. «Noi? Io cosa c'entro, di grazia? E' un problema tuo».

Bryce corrugò la fronte e si schiarì la voce. «Se non fosse stato per il mio intervento, ora Eloise sarebbe fidanzata con qualcun altro e tu vagheresti per il mondo afflitto e consumato dal dolore. Sai che quando vuole vendicarsi, la mia cara sorella non dimostra alcuna pietà. Ho messo a rischio la vita per aiutarti. Non pensi di dovermi un favore?».

Axel si arrese con una smorfia e un sospiro. «Che cosa devo fare?».

Bryce cominciò a trascinarlo verso la porta. «Soltanto usare la tua abile e irritante parlantina con quel soldato: distrailo e toglimelo dai piedi. Al resto penso io».

Bryce non vide il sorriso di Axel, ma percepì il suo sollievo in ciò che gli sussurrò mentre scendevano le scale a precipizio. «Finalmente ti riconosco, fratellino».



 

*




 

«Altezza, si sta facendo tardi». La voce pacata e roca di Gawain rimbombò tra le pareti di vetro della piccola serra. Il capitano teneva un braccio appoggiato allo stipite della porta d'ingresso, l'altro prudentemente vicino alla spada che portava appesa alla cintura. Dalla sua posa rigida e tesa, sembrava quasi che attendesse un attacco a sorpresa da un momento all'altro. A nulla erano valsi i racconti entusiasti di Arthur, che assicurava che non si erano verificati crimini o attacchi di alcun genere da quando era arrivato all'Università. Wain era un soldato, ma si comportava più come un fratello maggiore quando c'era di mezzo la sicurezza di Gwen.

Un fratello maggiore iperprotettivo e paranoico.

La Principessa gli dedicò un sorriso rassicurante. «Non ti preoccupare, ho quasi finito. Aspettami pure fuori».

Il capitano annuì e tornò a montare la guardia. L'unico motivo che gli impediva fisicamente di raggiungerla all'interno della serra, era la sua allergia al polline. In caso contrario, Wain le sarebbe rimasto appiccicato tutto il tempo, come aveva fatto la settimana precedente. Gwen aveva dovuto ricorrere alle minacce per ottenere qualche ora di libertà. E Wain si era arreso solo perché temeva che lei si facesse male nel tentativo di metterle in pratica.

Con un sospiro, la Principessa avanzò lungo il sentiero di sassolini che conduceva verso i cespugli di rose. L'aria umida e calda che si respirava in quell'ambiente solitario le dava sollievo, attutiva il freddo che teneva prigioniero il suo corpo. Un freddo che si faceva ogni giorno più intenso e doloroso.

Lo sguardo di Gwen scivolò lungo la mano che reggeva il libricino di botanica, fino alla pelle del polso che sbucava dalla stretta manica dell'abito di velluto. Pelle del colore della neve, sulla quale spiccavano dei disegni dai bordi d'argento, sottili e delicati come merletto.

I Glifi di Morloch.

La sua maledizione.

Per sempre all'inverno ella apparterrà. Così aveva declamato lo Spirito che le aveva impresso quei segni sul corpo. Marchi che si facevano sempre più spessi e intricati ogni anno che passava, segnando il corso inesorabile del tempo.

Non gliene rimaneva molto, pensò Gwen, rabbrividendo nonostante il caldo afoso che la circondava. Dopo aver preso possesso di entrambe le sue braccia, i Glifi si erano estesi anche al collo e si facevano sempre più vicini al suo…

«Milady?».

Gwen trasalì e si coprì il braccio in tutta fretta. La voce che l'aveva chiamata non era quella familiare di Wain: qualcun altro era entrato nella serra, dalla porta opposta a quella che aveva usato lei.

Gwen si voltò, un'espressione cordiale sul volto. Che scomparve rapidamente quando riconobbe il giovane che le si stava avvicinando. Il sorriso che le riservò, una volta giunto a pochi passi da lei, era luminoso e affascinante. I raggi del tramonto giocavano tra i suoi capelli biondi, creando tra i ricci dei riflessi rosso fuoco.

Era lui, non vi erano più dubbi.

Ogni suo lineamento combaciava con quelli che vedeva in sogno fin da quando era piccola, solo che non si sarebbe mai aspettata di vedere le proprie immagini oniriche prendere forma e colore. Incrociando le iridi turchesi del ragazzo, Gwen per poco non smise di respirare.

Nel notare la sua espressione sconvolta, il sorriso del giovane vacillò. «Perdonatemi, non era mia intenzione spaventarvi».

Gwen era certa di essere impallidita, ma si affrettò a dominarsi. «Sto bene, non preoccupatevi». Puntò gli occhi sul libro che stringeva convulsamente tra le dita e disse con voce ferma: «Scusatemi, so che non ho il permesso di stare qui. Volevo solo vedere con i miei occhi un esemplare di rosa molto raro, poi me ne andrò».

Non ottenendo risposta, rialzò prudentemente lo sguardo sul viso del giovane. Lui la stava osservando con attenzione, le sopracciglia lievemente corrucciate.

Vederlo così concentrato su di lei fece mancare un battito al suo cuore. L'istinto le gridava di fuggire, di scappare il più lontano possibile, di allontanarsi da quegli occhi che le trafiggevano l'anima e le trasmettevano una sensazione piacevole e insolita, simile a ciò che aveva provato non appena era entrata in quella serra. Un calore che le serpeggiava sulla pelle e che riusciva a mettere a tacere il potere latente della maledizione.

«Una rosa, avete detto?». Il ragazzo spostò gli occhi sul libro di Gwen e parve illuminarsi. «Posso aiutarvi, se lo desiderate. Quale esemplare state cercando?».

La Principessa esitò prima di rispondere. «Non vorrei recarvi disturbo, signore».

Se lui notò la sua reticenza, non lo diede a vedere. Al contrario, accennò un inchino e le sorrise. «Chiamatemi Bryce, milady. Per me sarebbe un onore farvi da guida. Conosco queste serre come le mie tasche».

Gwen dovette ricorrere a tutto l'autocontrollo di cui disponeva per non rimanere a bocca aperta come una sciocca.

Bryce.

Come aveva potuto non riconoscerlo? Disegnava il suo volto come lo vedeva nella mente da talmente tanto tempo, che non aveva mai pensato di cercarlo nel mondo reale. Se avesse svolto delle ricerche - come di sicuro aveva fatto Wain -, lo avrebbe riconosciuto subito. Gwen non aveva incontrato molte persone nei suoi diciannove anni di vita, né si era mai interessata ai ritratti e ai libri genealogici delle grandi casate. Eppure ora, dopo aver udito il nome del giovane, le sembrava ovvio: un volto così bello, dai tratti eleganti e regali, non poteva che appartenere ad un membro di una famiglia aristocratica. E non una qualunque: la dinastia dei reali di Aldenor era una delle più antiche e prestigiose del Continente.

Lui era un Principe.

Gwen rivolse al ragazzo lo stesso sguardo indagatore che lui le aveva riservato in precedenza. In particolare notò che non aveva accennato a toccarla, per il baciamano di rito. Doveva aver intuito la sua ritrosia e si era tenuto saggiamente a distanza. Apprezzò talmente quell'accortezza che fu lei a porgergli la mano. Lei, che non osava toccare mai nessuno che non conoscesse. «Capelli biondi, occhi blu, modi galanti. Non potevate che essere un Vandemberg» gli disse, mentre lui, leggermente perplesso, le stringeva delicatamente la mano. «Il piacere è mio, milord. Sono Gwennyfer MacWarden, di Stormhold. Ma, per favore, chiamatemi Gwen».

Il Principe batté due volte le palpebre, come se la sua risposta l'avesse confuso. Aveva ancora la mano di lei tra le sue e Gwen si sorprese del calore che irradiava la sua pelle: un tepore da cui era difficile staccarsi. Lo fece comunque, usando il libro come pretesto. «Ecco, questa è la rosa che sto cercando».

Il Principe Bryce spostò gli occhi da lei alla pagina che gli stava mostrando. Annuì e le indicò un cespuglio poco distante da dove si trovavano. «Prego, da questa parte».

Non accennò a toccarla ancora, né le porse il braccio per accompagnarla. Gwen gliene fu grata, preferiva mantenere una rigorosa distanza tra loro. Averlo incontrato non era un segno del destino, faceva solo parte di una macchinazione messa in moto da Gawain. Era stato lui a convincere suo zio a lasciarla partire, lui a persuaderla ad uscire finalmente dal palazzo per trascorrere un po' di tempo con Arthur. Perché Wain sapeva di lui, e voleva che lei lo incontrasse almeno una volta. Glielo aveva detto quella notte, durante la quale si era scusato un'infinità di volte e Gwen non aveva fatto altro che stringergli la mano e ascoltare le sue motivazioni. Alla fine lo aveva perdonato, come accadeva sempre con Wain. Lo conosceva da diciannove anni e, in tutto quel tempo, non era mai riuscita a restare arrabbiata con lui per più di dieci minuti. L'aveva ferita, ma gli voleva troppo bene per serbargli rancore.

«Gwen». Il suo nome venne pronunciato con dolcezza inaspettata dal principe Bryce. «La vostra rosa, eccola». Si spostò per lasciarle spazio e lei si chinò per portare gli occhi all'altezza dei fiori. «Fate attenzione, hanno spine lunghe e affilate».

Gwen guardò i boccioli con tenerezza. «Mi sembra giusto. Sono fiori talmente rari e delicati. In qualche modo dovranno pur difendersi».

Bryce non replicò. Si fermò accanto ad un gruppo di rose rosse e ne prese una nel palmo. Mentre faceva scorrere le dita tra i petali, fissò Gwen. «Vi interessate di botanica?».

Lei accarezzò con reverenza uno dei boccioli prima di rispondere. «Non proprio. Ho studiato qualche libro, ma non posso definirmi un'esperta».

«Però amate le rose».

Gwen non poté trattenere un sorriso. «Chi potrebbe non amarle?».

«E loro amano voi, a quanto pare». Il giovane le si era avvicinato e Gwen dovette alzare la testa per guardarlo in viso. «Si schiudono soltanto di notte, quando la temperatura è particolarmente fredda. Come avete fatto?».

La Principessa abbassò di nuovo lo sguardo sui boccioli e si accorse con sgomento che uno di essi aveva cominciato ad aprire debolmente i petali. Ritrasse in fretta la mano, spaventata. Di solito riusciva perfettamente a trattenere il freddo dentro di sé, non le era mai successo di trasmetterlo involontariamente a qualcosa o qualcuno.

Rimproverò duramente se stessa per quella perdita di autocontrollo. Sentiva il proprio cuore martellare contro le costole e la testa cominciava a girarle. Che fosse dovuto all'aria soffocante della serra, o alla vicinanza del principe Bryce, Gwen non avrebbe saputo dirlo con certezza.

«Io non…» tentò di giustificarsi, ma le parole le morirono in gola.

Il viso del giovane era chinato verso di lei, i suoi occhi posati sulle sue labbra. Uno di quei ricci bronzei gli ricadeva sulla fronte e Gwen sentiva le dita prudere per il desiderio di toccarlo. Le accadeva lo stesso quando vedeva uno strumento musicale, un fiore particolarmente bello, un libro antico e raro. Non aveva mai provato un'emozione così forte nei confronti di una persona che nemmeno conosceva.

Stava per indietreggiare, quando vide Bryce alzare una mano. Il Principe sembrava aver avuto lo stesso pensiero di Gwen: prese tra le dita un ciuffo che le stuzzicava il mento e glielo riposizionò dietro l'orecchio.

Per la prima volta da che aveva memoria, Gwen si sentì arrossire. Lo sguardo intenso del ragazzo non contribuiva affatto a ridurre l'imbarazzo che provava: lui continuava a guardarla come se stesse cercando di decifrare un mistero alquanto complicato, ma lo trovasse estremamente affascinante. Pareva quasi volesse dirle qualcosa, mentre con la punta delle dita le sfiorava la guancia. Un tocco leggero e impalpabile, ma non invadente: se Gwen avesse voluto, avrebbe potuto ritrarsi in qualunque momento.

Tuttavia non lo fece: il dolce calore che aveva avvertito quando gli aveva stretto la mano stava nuovamente contrastando lo strato di gelo che le avvolgeva il corpo. Era una sensazione inebriante e Gwen si ritrovò ad immaginare a come si sarebbe sentita se lui avesse continuato a toccarla, se gli avesse permesso di far scorrere quelle dita gentili e morbide lungo le braccia, sulla nuca, in mezzo ai capelli.

Chiuse per un attimo gli occhi, abbandonandosi al contatto, sicura che il principe Bryce non avrebbe approfittato della sua debolezza. Non c'era alcuna malizia nel modo in cui la guardava, perfino il suo tocco era rispettoso e misurato. Come se temesse di spaventarla, o di farle del male.

Non appena riaprì le palpebre, Gwen trovò gli occhi turchesi del giovane fissi nei suoi. Il palmo della sua mano riposava sulla sua guancia, le lunghe dita le sfioravano la tempia. Lo sguardo pensieroso di Bryce le percorse tutto il viso, prima di tornare ad incatenarsi al suo.

«Chi siete, milady?». La sua voce era soffocata, velata di un'emozione trattenuta a stento. «E' possibile che vi abbia già incontrata prima d'ora?».

Lei posò la mano su quella del Principe, ancorata fermamente alla propria pelle. «Non sono che una delle tante principesse di questo vasto Continente».

Gwen dovette imporre tutta la forza di volontà di cui disponeva alle proprie dita, che si rifiutavano di lasciar andare quelle del ragazzo. Si concesse di stringergli un'ultima volta la mano, prima di muovere qualche passo indietro. «Ora devo andare. E' stato un onore potervi conoscere, milord».

Bryce aveva di nuovo quell'espressione abbagliata e confusa. Ci mise più del dovuto a riscuotersi; quando finalmente ci riuscì, lei aveva ormai raggiunto la porta.

Il capitano l'aspettava sul viale che conduceva alla serra e stava conversando amabilmente con un altro giovane, alto e biondo. Quest'ultimo si interruppe non appena la scorse e le rivolse un elegante inchino. Gawain aveva perso la posa statica che assumeva quando era di guardia, sembrava più rilassato. Ciò non gli impedì di stringere gli occhi con diffidenza quando vide l'espressione assente della Principessa. «Altezza, vogliamo andare?» le domandò, porgendole il braccio.

Lei annuì meccanicamente, ma prima che potesse avanzare verso Wain, una voce la fermò.

«Gwen».

Lei esitò solo un attimo, poi si voltò. Bryce si ergeva immobile sull'uscio della serra, il respiro affannoso come se avesse attraversato di corsa l'intera Capitale. I suoi occhi color acquamarina non si staccarono da lei nemmeno per un istante. Non ricambiò lo sguardo guardingo di Gawain, né quello incredulo dell'altro ragazzo, il quale, vista la somiglianza, non poteva che essere un altro Vandemberg.

«Permettetemi di rivedervi, Gwen».

La richiesta sussurrata in tono accorato suonò quasi come un'imposizione, alla quale Gawain rispose portando la mano all'elsa della spada. «Come osate rivolgervi in questo modo a…».

Gwen lo interruppe con un gesto e non riuscì a reprimere un sorriso alla vista dell'espressione determinata e battagliera dipinta sul volto del Principe Bryce. Un sorriso che, da divertito, divenne mesto quando avvertì gli spilli del gelo pungerle il polso. La tregua imposta dal contatto con il Principe era ufficialmente terminata: i Glifi si riappropriarono del suo corpo, scacciando il debole calore che le si era annidato nel petto quando le loro pelli si erano incontrate.

Nonostante la tristezza e il dolore, Gwen non distolse lo sguardo da quello di Bryce. Non avrebbe mai dimenticato il suo volto, la perfezione e la grazia di quei lineamenti, la gentilezza che le aveva mostrato. Il suo cuore avrebbe anche potuto fermarsi, trafitto dalle spine del gelo, ma sarebbe morta senza rimpianti. Aveva incontrato colui che popolava i suoi sogni da più di un decennio, gli aveva parlato, lo aveva toccato.

Bryce.

Avrebbe custodito gelosamente quei pochi ricordi fino al suo ultimo respiro.

Per sempre.

«Vi ringrazio per la cortesia, milord» gli disse, mantenendo un tono volutamente freddo e distaccato. Non poteva alimentare speranze senza futuro. Non poteva permettere che anche lui soffrisse. «Addio».

Il Principe trasalì come se gli avesse conficcato un pugnale tra le scapole. Gwen avvertì i suoi occhi puntati sulla schiena finché lei e Wain non uscirono dai cancelli dei giardini dell'Università.

Il capitano aspettò qualche minuto prima di rivolgerle la parola. «State bene, Altezza?».

L'angoscia nella sua voce fece intenerire Gwen, che gli strinse il braccio con affetto. «No, Wain. Ma era da tanto che non mi sentivo felice come ora. E credo che il merito sia in gran parte tuo. Avevo torto e ti ho rimproverato ingiustamente, quindi ti porgo le mie scuse. E ti ringrazio, mio capitano».

Von Lear chinò rispettosamente il capo. «Farei qualunque cosa per voi, Altezza». Il suo mormorio si perse nell'aria fresca del tramonto. «Qualunque cosa».



 

*



 

Ancora bloccato sulla porta della serra, Bryce rimase ad osservare le due figure perdersi in lontananza. Un istinto che non sapeva di possedere gli urlava di correre, di raggiungerli, di strappare la ragazza dal braccio di quel soldato e di avvolgerla tra le proprie, per non lasciarla andare mai più.

Fece appello al contegno su cui aveva sempre fatto affidamento e si sforzò di respirare normalmente. Aveva il petto che fremeva per l'agitazione, i muscoli tesi e la mascella rigida.

Con la coda dell'occhio, vide Axel che gli si avvicinava. «Fratellino, mi stai spaventando. Ti senti bene?» gli chiese, cautamente.

Bryce si posò una mano sul cuore, la stessa mano con cui aveva avuto l'ardire di toccare quella ragazza. Gwen. «Non proprio, ma sopravviverò. Devo sopravvivere se voglio rivederla».

Sebbene fosse incredulo oltre ogni immaginazione, Axel sogghignò. «Sai, mi dispiace doverti deludere, ma non credo che quella ragazza abbia voglia di incontrarti di nuovo. Quand'è uscita sembrava sconvolta. Il tuo famoso fascino non funziona più?».

Bryce strinse la mano in un pugno. Anche lui si sentiva sconvolto da quel che era accaduto in quella serra. Eppure era sicuro di non sbagliarsi: non appena l'aveva toccata, tra loro si era instaurato un legame, una corda che sentiva vibrare sotto pelle e che lo manteneva in contatto con lei.

No, non poteva morire prima di averla rivista almeno un'altra volta. Doveva risolvere il mistero che aleggiava attorno a quella principessa candida come la neve.

All'improvviso un'idea si fece strada nella sua mente. «Come ho fatto a non pensarci prima? I becchini. Ecco la soluzione».

Bryce era talmente concentrato sulle proprie riflessioni da non accorgersi dell'espressione palesemente sarcastica di Axel. «Credevo avessi messo una pietra sopra ai tuoi consueti presagi di morte. Perdona il gioco di parole».

Il fratello lo fulminò con un'occhiata stizzita. «Ho sempre sostenuto che l'amore rende le persone stupide: tu ne sei la prova vivente». Scosse la testa, esasperato da tanta ottusità. «I becchini, Axel, conoscono tutto e tutti in questa città. Se invece delle matricole avessi assoldato loro, probabilmente a metà settimana avrei ottenuto tutte le informazioni che volevo». Si tolse un ricciolo dalla fronte con un lamento di sconforto. «Andiamo. Devo spiegare tutto a Morton. Sono certo che non mi deluderà».

Axel alzò un sopracciglio, squadrandolo con scetticismo. «E se quella ragazza non volesse essere trovata? Se non volesse rivederti? Dovresti rispettare la sua scelta».

Bryce non replicò. Gli voltò le spalle e si incamminò verso lo studio, le braccia rigide lungo i fianchi. Si fermò in prossimità dell'entrata e voltò la testa quanto bastava per guardare Axel in faccia. «Quella ragazza è pazza di me» proferì, con una sicurezza che sorprese non poco il fratello maggiore.

Il sorriso che danzava sulle labbra di Bryce avrebbe incantato anche il più reticente dei cuori. «Solo che ancora non lo sa. Sarà mia premura informarla».

 

 


 


 

 

* * * * * * *
 

Salve a tutti! Sono finalmente riuscita a terminare il secondo capitolo e mi sento soddisfatta. Ad un certo punto mi sono lasciata trasportare dalla scena che vedevo nella mia mente, quindi credo di aver esagerato e dipinto Bryce molto OOC. Ma chi non diventa OOC quando si innamora? Io stessa mi sentivo molto OOC mentre scrivevo, perché di solito sono la persona meno romantica del pianeta xD

Spero che la storia vi piaccia! Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, anche i pareri negativi (purché costruttivi) sono ben accetti.

Vi mando un bacio, alla prossima,

Lizz

 

n.b.: alcuni particolari in riferimento alla saga potrebbero essere sbagliati e/o confusi. Credo sia arrivato il momento di rileggerla da capo per l'ennesima volta *.* per quanto riguarda i Glifi, sono una mia invenzione.

 

 

   
 
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