Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: A i r a    11/10/2017    1 recensioni
Uno aveva ucciso la persona più cara che aveva.
L’altro aveva bruciato il proprio futuro.
♦♦♦
Uno provava pateticamente a colmare ciò che ormai non aveva più.
L’altro cercava semplicemente un motivo per andare avanti.
♦♦♦
Uno era la personificazione di una notte d’inverno.
L’altro sembrava più una giornata di Sole con il vento.
♦♦♦
Due soggetti, la cui vita cambiò a causa di un errore, accomunati dal fatto di non sapere che a tutti, prima o poi, è concessa la possibilità di ricominciare.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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♦♦♦
5| I sorrisi non sanno parlare

 
*** Venerdì 1 Marzo – 11:31 ***
 
Dopo essersi sistemato quasi adeguatamente a casa di Armin, Eren passò la settimana a cercare un lavoro serio.
Non pensava certo di continuare a fare la ‘donna delle pulizie’ nella casa di quel ghiacciolo per il resto della sua misera vita. No, lui voleva essere indipendente, e trovarsi un lavoro onesto era la cosa più importante.
Anche se in quel momento era davanti a quell’appartamento angusto e freddo nonostante non fosse il suo giorno lavorativo. Il motivo era uno: si era accorto di aver dimenticato la sua adorata macchina fotografica, nonché partner di mille avventure, a casa di Levi.
Suonò il campanello una volta, che bastò a far rivelare l’uomo dalle occhiaie fin sotto i piedi.
«Disturbo?» chiese un Eren leggermente spaventato.
Eren pensò che già di per sé l’espressione naturale di Levi non era molto amichevole e se si aggiungeva il fattore “irritabilità” assieme alla “Luna storta”, questo sembrava più un diavolo sceso in terra.
«Certo che disturbi. Che c’è?» Le sue parole erano fredde e pesanti come marmo ma Eren non ci diede peso.
«Ecco…» Inclinò leggermente la testa per intravedere l’interno dell’appartamento. «Ho dimenticato una cosa importante e vorrei riprendermela.» Affermò quasi sull’attenti.
Levi si voltò indietro per vedere in quali condizioni fosse l’appartamento e… beh, faceva schifo.
Documenti sparsi ovunque, palline di carta seminati per tutto il salotto e il suo enorme libro, rovinato dal tempo, sul tavolo della cucina con trucioli di matita sparsi su tutto il ripiano. Sembrava fosse passato un tornado.
Non dormiva da due giorni e aveva finito il caffè. Stanco e ridotto peggio di un universitario con quattro esami nella stessa settimana, decise di pestare il suo orgoglio e di far entrare il ragazzo.
«Tch, entra.» Lo invitò togliendo la catena.
Appena la porta si aprì del tutto, gli occhi di Eren si sbarrarono, sorpreso che tutto quel caos l’avesse fatto Levi.
Pensò che nemmeno lui sarebbe stato capace di eguagliare un disordine simile e, proprio per questo, gli scappò una leggera risatina. Avendo conosciuto il soggetto di fianco a lui e la sua mania per la pulizia, gli sembrò quantomeno ironico il fatto che la sua ossessione era tanto grande quanto il caos che riusciva a fare.
Questa cosa la trovò, in un qualche modo, adorabile.
«Che hai da ridere, moccioso?» ringhiò il moro accigliato e con le braccia incrociate.
«Niente, solo che non so se riuscirò a trovare l’oggetto che cerco in mezzo a tutto questo caos.» Mentì.
Aveva già adocchiato la sua macchina fotografica ma considerata la situazione, decise di aiutarlo – o di fare straordinari gratuiti, era uguale. –
Levi pensò subito che il moccioso volesse morire giovane, ma in quel momento non aveva nemmeno la forza per stare in piedi, figuriamoci per arrabbiarsi.
«Fa quello che devi fare, basta che non mi disturbi.» Anche se, effettivamente, la sua sola presenza lo stava disturbando, cercò di concentrarsi sullo studio di quel libro e sottolineare le cose importanti per scrivere il dannatissimo documento che gli serviva per il lavoro.
Eren, nel frattempo, si mise a raccogliere le cartacce e buttarle nel sacchetto preso da sotto il lavandino.
A far da sottofondo a quella scena tranquilla, vi era solamente un orribile silenzio che al più giovane sembrò simile a quello del suo licenziamento. Decise di compiere il primo passo, anche al costo di farlo più lungo della gamba.
«Dovresti riposare.» Il suo tono sfiorò l’incertezza ma in fondo, era solo preoccupato.
«Non dirmi quello che devo fare.» Era come se Levi si fosse rinchiuso in una bolla.
Certo, Eren non era nessuno, ma vederlo in quelle condizioni gli faceva tornare alla mente il vecchio se stesso che lavorava senza sosta per uno stipendio che gli garantiva l’affitto e il mangiare per un mese.
Solo in quell’istante si rese veramente conto che il suo impiego non era dignitoso.
Come poteva considerarsi un lavoro ciò che consuma il corpo?
A giudicare dai capelli, le occhiaie, l’umore e i movimenti, Eren poteva intuire che non dormiva da almeno due giorni. Ne sapeva abbastanza in materia e non voleva che qualcun altro stesse male come lui.
Prese tutto il coraggio che portava con sé e, facendo cadere per terra il sacchetto pieno di palline di carta e fogli stracciati, andò a sedersi di fronte a lui, accigliato e pieno di determinazione finché la sua ombra, che andò a coprire il macigno dal quale Levi traeva informazioni, non irritò quest’ultimo sull’orlo di una crisi.
«Eren!» Il suo sguardo si trasformò in una lama, pronta ad affondare nell’anima del bruno che, dopo aver visto quegli occhi e udito il suo nome pronunciato con quel tono, si sentì un topo in trappola.
La sua determinazione sparì come un mucchio di cenere dinanzi a una tempesta. Gli occhi smeraldini andarono a posarsi sulle mattonelle di ceramica scura, cercando di dire qualcosa. Qualunque cosa potesse convincere Levi a staccare anche solo per cinque minuti.
«R-riposati, per favore.» Sembrava quasi una supplica, al quale il più grande inizialmente non sembrò vacillare.
Quello sguardo tagliente non accennava a staccarsi da Eren fino a quando, con un sospiro, cedette.
Si alzò dallo sgabello chiudendo il grosso libro poi, con fare non curante, si buttò sul divano bianco.
Eren, al solo vedere quella scena, pensò che Levi e quel divanetto si completassero a vicenda, come un puzzle.
Levi, testa sul cucino e braccio destro sugli occhi, interruppe il silenzio che si creò.
«Solo cinque minuti, sia chiaro.»
Le labbra del più giovane si distesero in un sorriso un po’ troppo largo che fortunatamente Levi non vide. Era riuscito a convincere il ghiacciolo diabolico a riposarsi. Per lui, quella, fu una grande vittoria.
«Sì, sì… io intanto cerco la mia mac–»
«E’ sul mobile vicino al televisore.» Affermò. «Oltre la linea di confine delle tue pulizie.» Aggiunse.
Il sangue del giovane si gelò, non sapeva cosa aspettarsi. Una punizione? Denuncia? Tortura? Esilio?
Niente di ciò. Solo indifferenza, che al giovane cuore del bruno sembrò quasi peggio di tutte le cose sopracitate.
«Grazie.» Sputò solamente prima di andarsene a gambe levate.
Uscito dall’appartamento, un sorriso mongolo si impresse sul suo viso, dando l’impressione a chiunque lo guardasse, di aver raggiunto un traguardo importante per la prima volta.
Non sapeva se essere felice del fatto che Levi non lo cacciò subito da casa sua dandogli semplicemente l’oggetto o essere terrorizzato da quell’indifferenza che gli causò un battito in meno.
Quella singola frase bastò per trasferire tutto il caos di quella casa nella sua testa.
 
*** Ore: 13:52 ***
 
Sembrava più la ricerca di Cenerentola che una semplice caccia al proprietario di quella chiave.
Nessuno sapeva chi fosse quel dannato Marco dagli occhi verdi e quelli che affermavano di conoscerlo, non si trattava della stessa persona.
Decise che finché non avesse trovato il soggetto in questione, avrebbe appeso la chiave a cavallo dello specchietto retrovisore centrale, sperando soprattutto che lo avrebbe distratto da quell’orribile giocatore dell’NBA.
Certo, fare il taxista in una città come Boston era una vera e propria piaga ma qualche volta, le coincidenze capitavano anche quando meno le si aspettava.
«Buongiorno, portami subito all’ospedale!» Il tono della persona appena entrata quasi prepotentemente, era stranamente allegro, tanto che fece girare il conducente, trovandosi una donna vestita con stivali marroni, impermeabile giallo canarino, sciarpa rigorosamente arancione e un paio di occhiali spessi che facevano da contorno a due occhioni color nocciola, vispi e sicuri.
«Ehm… per caso è felice?» Sì, decise di tirar fuori il lato "taxista ficcanaso" che era in lui.
«Ahahahah, ragazzo, certo che lo sono! Un mio amico si dimette oggi. E’ un collega, un rivale e un tipo dall’umorismo di un bradipo ma a quel ragazzo è impossibile non volergli bene.» Una pausa, in cui Jean capì che sarebbe stata una chiacchierata molto lunga. «Oggi è il suo compleanno, non è grandioso?! Una coincidenza del genere non la vedevo da almeno due anni! Ah, che ricordi, in quei tempi…»
Ed era proprio in quelle occasioni che il ragazzo avrebbe tanto voluto mangiarsi la lingua.
 
Il viaggio continuò per un’oretta abbondante, assieme alla chiacchierata di Hanji che sembrò essere più una seduta dallo psicologo che un semplice dialogo fatto per riempire il silenzio o ammazzare la noia.
Ad un tratto però la donna smise di parlare, attirata dalla chiave dorata che ondeggiava per via dei piccoli sobbalzi del veicolo.
«Che bella chiave, come mai l’hai appesa lì?» Finalmente una frase che non riguardasse la sua vita.
«Non è mia. L’ha persa un cliente.» Rispose noncurante.
L’immagine di Eren comparì nella mente della bruna che al solo ricordo di lui alle prese nella ricerca dell’oggetto, rise sotto i baffi.
«Un ragazzo dagli occhi verdi?» domandò.
Gli occhi di Jean andarono a posarsi sullo specchietto retrovisore, in modo da vedere la sua cliente in faccia.
«Pensiamo alla stessa persona?»
«Chissà.» Farfugliò Hanji tra sé e sé, guardando fuori dal finestrino.
Giunti a destinazione Hanji impugnò la sua borsa e chiuse la portiera, lasciando il povero autista senza risposte, fino a quando un ticchettio attirò la sua attenzione.
Abbassò il finestrino del lato del passeggero anteriore, dove gli parlò un’Hanji divertita.
«Eren è un po’ sbadato. Perdonalo.»
Detto ciò, la sagoma della donna sparì dietro la grande porta d’ingresso dell’ospedale, lasciando Jean confuso.
Cosa diavolo aveva appena sentito?
Purtroppo non poté soffermarcisi molto poiché l’uomo sedutosi nei sedili posteriori gli stava già chiedendo di partire.
«Dove la porto, signore?» chiese con tono cordiale.
«Museo d’arte, per favore.»
«Ricevuto.»

 
*** Ore: 16:27 ***
 
Il museo d’arte non era mai molto affollato, a parte i giorni delle gite scolastiche: quelle erano le peggiori.
Era il suo posto preferito, calmo e pieno di colori, l’atmosfera e il profumo gli donavano una strana serenità interiore. Lui era il tipo che arrivava sempre in anticipo, così dedicò un po' tempo ad ammirare i quadri e le sculture che ornavano le pareti bianche della galleria.
Quel pomeriggio doveva incontrarsi con uno dei suoi sottoposti: una delle fonti dell’agenzia.
«Signor Smith, mi scusi il ritardo.»
Un giovane dalla palese passione per la palestra si presentò davanti all’uomo con in mano un taccuino non molto grande. Nessuno sapeva molto della sua vita privata, ma era una delle figure più importanti dell’azienda; il capo dalla pettinatura sempre rigorosamente ordinata si fidava di lui.
«Ho portato l’articolo di Ymir.» Aggiunse porgendogli l’oggetto dalla copertina rosso scuro.
Le labbra del più anziano si distesero in un sorriso soddisfatto.
«Reiner, hai notizie di Jaeger?» Sembrava preoccupato ma era solamente curioso.
«No, signore. Però Annie mi ha detto che la sua vicina di casa non la smetteva più di chiedere di lui. Forse gli è successo qualcosa.» Dal tono sembrava che la cosa non lo toccasse minimamente.
Reiner Braun era un ragazzo dallo sguardo intimidatorio da far gelare il sangue. A intimidire la gente era anche il fatto che facesse il buttafuori in una delle discoteche più discusse della città. Lui, però, era solamente un fidato sottoposto di Erwin Smith, il redattore capo della rivista "Titan News".
«Capisco.» Disse solamente rimettendosi ad osservare il dipinto davanti a lui con aria pensierosa.
 
Giunse la sera e non appena arrivò a casa, Erwin si liberò dalle scarpe di cuoio poi, tirandosi su le maniche della camicia bianca, si sedette al tavolo della cucina aprendo il computer portatile come ogni sera.
Aprì la posta elettronica e stranamente trovò una mail da parte di Jaeger.
La aprì, curioso, e la lesse, notando subito che quella non era una mail né di scuse né tantomeno dal tono formale.
 
– Signor sopracciglio,
il solo fatto di scrivere questa mail è un atto che ferisce indiscutibilmente il mio orgoglio ma voglio che lei sappia una cosa. Lo sa, l’agenzia si è sempre fidata delle fonti, di queste persone che agiscono nell’anonimato perché considerato un lavoro rischioso. Io, in prima persona, pensavo che fossero una sottospecie di eroi della notte ma la devo informare che durante il mio ULTIMO impiego, una persona mi ha riferito che i presunti spacciatori, su cui mi era stato dato il preciso compito di fotografare il loro arresto, non erano tali ma bensì due ragazzi che trasportavano della semplice farina di cocco.
In parole povere: la fonte o ha sbagliato o ha mentito.
E, per l’amor del cielo, non sto rivendicando il mio posto di lavoro; il fatto che lei mi abbia licenziato senza nemmeno ascoltare la mia versione, basandosi solamente su una macchina fotografica rotta, fa di lei una persona vigliacca e superficiale, solo questo.
Deve sapere però che negli ultimi mesi, in agenzia, sembrava essere stato scoperto il nome di una di queste fonti: Reiner Braun. Il motivo mi è sconosciuto.
Purtroppo non ho prove per accusare nessuno, ma spero che la prossima volta che licenzierà qualcuno, lei abbia almeno la pazienza di ascoltare le ultime parole del suo sottoposto.
Eren Jaeger. –
 
L’ultimo sorriso della giornata si distese sulle labbra dell’uomo che dopo aver letto le ultime righe, pensò di chiamare il suo collega più fidato, nonché amico d’infanzia. Quella mail gli fece ricordare un avvenimento non molto recente che coinvolse Reiner.
«Pronto, Mike? Sono io, Erwin.»
 
*** Ore: 20:45 ***
 
Suonò la sveglia che era stata messa accuratamente sul tavolino vicino al divano su cui era steso.
Quel rumore fastidioso lo svegliò dal breve letargo, facendogli spingere il piccolo pulsante in cima all’oggetto.
I suoi occhi si aprirono di colpo non appena notò che era già buio. Guardò l’ora: 20:45.
«Cazzo!» imprecò prima di vedere un piccolo post-it sotto l’odiata sveglia.
Era scritto in corsivo ma lo lesse facilmente.
-Non star sveglio tutta la notte. Eren-
Inutile dire che quel foglietto confermò il pensiero che Levi fece quella mattina: quel ragazzo voleva veramente morire giovane.






 Schizzo Time 
Ma ciao C: 
Ooohhh, finalmente del dialogo! Finalmente Eren fa il "primo" passo!
Se qualcuno se lo stesse chiedendo, l'amico che Hanji è andata a trovare è proprio Moblit. Quell'uomo è troppo sfortunato.
Cosa chiederà mai Erwin a Mike? E perché Moblit era in ospedale?
Mmmmmmah.
Dal prossimo capitolo, comparirà una figura mooolto importante. Spero di aver incuriosito qualcuno, ahaha.

Ho voglia di gelato alla menta.
A presto!
Aira.
  
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